^8 uMq 'W^lw*^' Sw^« <'H'.t),li >.ttuiitmfitif y? mw^ >&AHVH8n-^'*^ NivERi/4 o NIVERJ//. ^lOSANCElfj-^ O ^^^ ■ ■^Aa3AIN()-3\Vi ^lOS-ANCftfj> %a3AINll3\ft^ ^^^MIBRARYQo, ^jMllBRARYQr ^.!/0JllV3J0^ ^OFCAIIFOSV '^^'OAavaaii^'^^ ^wjnvjjo^ - ^\^EyNlVER% ^c'Aavaaii-^ /. !^ < ■3 \m jo^ %oi\mi^^ '^J'JIJDNVSOI^ ^>;lOSv\NC[lfj-^ o J. ».- 'I .nSIUBRARYO/-. ^^tllBRARYQc. %OJI1V3JO'^ ^AOJIIVJJO^ AllFO/?^ -;;OF-CAIIFO%;_ AWFUNIVERVa ^lOSANCFlfj> vaan# ^OAavaan#- ^J3UDNVS01^ ^a^AiNnjttV^ ^OFCAIIFO% ^OAavaaiiiV^ ^OFCAllFOff^ ^OAavaaii-^'^'^ mmih o *^IIIBRARYQ<_^ ^vMllBRARYQr^ ^^WEDNIVERS/^ ^lOSANCflfj-;^ ^J'i]30NVS01=<'^ ■^/jajMNn-av^* (JIVERi'/A ^lOSMCElfj^ %a3AiNnBV^ ^OFCALIFOff^ ^OFCAllF0ff,)[J, ^\Ji \.ra.\\\miyy^ vr ^OAavaaiH^ "^OAavaaiii^^ ,^\\EIINIVER% or I Ik |V 1 ^ ^lOSANCElfjjx ■^/5a3MNfl]l\V^ JRARYd?/ ^tllBRARY(9/c nVD-iO"^ :aiifo% vaan# ^OFCAIIFOP^ ^OAavaaiii'^ .^WEUNIVERS/A _ INIVERJ/A ^lOSANCElfj-^ ^^lllBRARYOc^ ^lllBRARYQc, ^1 irrtt iLJ^i iJUdi I5:SCI IfTt: njDNY^Or- v/sa3MNfl-3HV- ^■j^^uDNvsoi^^ '-f/smm ,— •41 err ■ mi FCAIIF0% .■^FfM"-'^C' \ ER.S'/A 'A- JJ ^lOSANCflfj> o ^ sov-^^ llNl'^f'" ^01^" o M ).JOV^ ^ -< .^OFfAllfn/?,^;, "^^i?;' UNIVEBJ/A ■■'/iajAi.Mi jk\v i3NY!;nr'>" lIBRAIi , -n ^ m m >i , ^^^^■l'^'!^ % ^* ,^ME-ltNI\'! "ill .\lOSANr,FIfr> ..\l05ANCFtfr, ■A ,^ l^LiJ '-'■Y/?/-, ^^MF•^INIVFR(•,',^ .,,inSANr,Flfr.^ i!^}i f I r\F rAiiPnP/, 'fX^ # "JJliMSOl"- \M[UN'ivr' a. r. Ml P O E S I E DRAMMATICHE RUSTIGALI PARTE I. P O E S I E DRAMMATICHE RUSTICALI SCELTE ED ILLUSTRATE CON NOTE DAL DOTT. GIULIO FERRARIO. T.I I L A N O Feascesco Frsi e C. editori de' Classici Italiani Conlrada del Cappuccio ANNO i8i2. A SUA ECCELLENZA TL SIG. DUCA ANTONIO LITTA VISCONTI ARESE chan ciamberlano di s. m. i. e r. grand' ufficiai.e della legion d' ONORE GRAN DIGNITARIO nell'oruine della corona di ferro senatore conte del regno ED AGLI ILLUSTRI SPOSI POMPEO LITTA CAVALIERE DELLA CORONA DI FERRO CIAMDERLANO DI S. M. 1. E R. ED ELENA DE' PRINCIPI ALBANI Xalpoti;, J vvftpoi , ^alpott; evitev^spe ya,(i^pe. Aara fiev doiri Aara novporpofpoi; v^niv "EtVTEHvifiv. KtiTupii; Se , ^ea, Korpig , imv spaadat A/l/Lo./lwJ'" Zfvc ^£ ^ Kpovi-^a; Zsv<;, aipffiTOv oK^ov , fjf el ev:carpi,J(lv eU evTtaTpida; yrd/iiv ev^t^- EvSet' ig a'^laXiiV ffcspvov ^t'^^orryra, TCPsopreg Salve , o Sposa , e m, Sposo , a cui la sorle Si gran Suocero die. L'alma Latona De' figli allevatrice a voi conceda Egregia prole , e la Ciprigna Dea Pari amor vicendevole , e il gran Giove Inesausti tesori , che tragltto Facciano di gentile in gentil sangue : Dormite 1' iin spirando in petto all' altro Amore , e bei desiri . Teocrito Epitnlamio d'Er.ENjl. IX ECCELLENZA ED ILLUSTKI SPOSI. E. gll h mio clovcre non meno die ardente desiderio dl dare un segno del mio ossequlo , e quel migliore puh- hlico testunonio die per me si possa , del riconoscente animo mio a Voi , ECCELLENTISSIMO SiG. DuCA ^ lielkl fc- lice occasione y die con paterno cuore stringeste in doldssimi nodi Vaffettuoso vostro Nipote Pomfeo colla virtuosis- X sima Elena y innestando cosl net graii' d' arhore della vostra famiglia un pre- zioso raino della principesca prosa- pja degli Albani , siccome gia fece Vottiino Vostro Genitore colV avervi accoppiato all' inclita Barbara de' Bel- GiojosT. Ne minore e pure la niia hra- ma di offerire a Voi ^ Illustre Sposo iin argoinento di quell' affetto y die ho sempre nutrito fin da quando , pre- scelto a presied're alia Bi'iUoteca ^ in- sia:tie ornnmerito di vostra Casa , im- parai ad amare ne' vostri piu teneri anni quelle nasccnti nobili qualita _, che tanio ora si ammirano in Vol gict conferinate e mature^ Ma die farepotrei? Seguir forse la comunale usanza prendendo a commen- dare in Voi , Eccellentissimo Duca , V illustre sdiialta , e le anipie ricdiez- ze, e le altissime virtu vostre , per le quali a ragione risplendete come Iwni- nare della nostra P atria ^ e foste del XI prirni onori clecorato did Massimo de- gli Eroi.'^ Magnificare , o Pompeo, le azioni militari ^ con ciii calcando in si giovanile eta le onne segnate^i did saggio vostro Gen i tore ineritaste in riva cdV Ebro d preniio dovuto al vero coraggio? Palesare a tatti , o virtuosis- sima Elena , senza tiniore d'offendere la vostra niodestia e riserbatezza que' sinceri sentinientl die mi sono inspirati dalle vostre belle qunlita di spirito e di cuore? lo in tal guisa farei eco soltanto (die altrui parole , e forse non riuscirel die ad esporre freddamente cib die gia di Voi pubhiicb la farna ^ e a tributarvi quel volgare omaggio die appena nato muore. Pill coavenevole cosa adwiqac per dii prende parte nella vostra gioja ^ ed a VoT pili gradita ho rreduto di fare col compiere (jiiest opera , die da qnalche tempo fra gli ozj vampestri io aceva incomindata _, e col pabbli- XII carla , su Teseinpio di rinoinatl editori , sotto g!i auspicj Vostri ,• offerendovi con essa un piii durfvolc tributo di venerazione e di gratitiidinc. Spero che per tnl modo la rimembranza di questo si felice aQvenijnento si avrci a rinno- vare , quantunque volte la Tancia del celebre Buonarroti verrci letta , come lo fu sempre , dalle colte e gejitili per- sone . Mi glorio d' essere col piu pro- fondo rispetto Di Voi Eccellentisimo Duca ed lllustri Sposi Obbligatissimo ed Umilissiino Servilore GlLlJO FuRRARlO. xni AG LI AMATORI DFXLA DRAMMATICA POESIA GIULIO FF.RBARIO. N< on v'ha alcuna Nazione che gloriare si possa d' aver tanto contribuito agli avanzamenti della Drammatica Poesia quanto 1' Italiana. Molt' illustri Autori composero pei primi noii poche com- medie alia stessa norma de'Greci e Latini , ed hanno all'Italica scena trasportato non solo il loro gusto, ma passando oltre nel promo vere la comica poesia , I'ampliarono anche quanto all' estensione de'suoi soggctti. Osservando questi che di varie fatte esser jwssono le private persone da imitarsi , non pure cittadincsche coramcdie composero e b XIV tahernaric (i)cosi distinguendole , sict^ome gii fece- ro i Ladni giusta la diversita delle persone intro- dotte, ma ancora Pastorali, Pescatorie e Rusdcali dalle faccende che vi si trattano, e piii dagli uo- mini di villa die in esse intervengono a ragionare, seguendone leggiadramente non solo i giossolani costumi, ma ben anche i modi di dire e la favella. Imltarono essi per tal modo ogni sorta di persone alia commedia opportune col dlsegno di ammae- strare le pii'i volgari , dacclie videro che anche da queste era la commedia grandemente applaudita , e che quindi si diniostravaao capaci di ricevere quegli iusegiiamenti che sono i'oggetto principalo di una perfetta commedia. La piccola scelia dclle commedie Piusticali che vi presenlo sara una prova di questa felicissima invenzione degli ingegni Italiani; ed ivl troverete lidotte ad atli ed a scene le semplici , ma vivaci azioni di que' pochi perso- jiaggi villerecci , clie fanno ancora tanlo onore agli Idillj di Teocrito, e degli altri Greci e Latini Scrittori. Egli c ben vero clie certuni , a' quali le cose aniiche sono oggidi a noja , e che desiderano tro- vare nelle rappresenl azioni grandc apparecchiamento di Tcatro , scene indusulosamente legate e mara- Aigliosi accidenti , mi ])ia,simoranno che in questi iempi dia fiioii per cose di qiialche importanza (i) / lalini distlnsero le. loro commedie in Palliate , Togate , i; Tabernai ie. XV cosi piccole operettc , e deltate in uii secolo in cui Tarle clelle scene cominciava per cosi dire ad aver nascimento. Altri poi cui rincrescc; lo studio della propria lingua, ne si curano gran fatto d'intenderne i \olgari detti , i proverbj particolaii , e mille altii bellissimi modi dei quali e ricchissima , e che vi si trovano per entro sparsi con molta 'leggiadria , la stimcranno forse fatica degna di riso , e quesla rac- colta avri da essi quelle stesso accoglimento , che gia fecero alle altre poesie rusticali, di cui I'edi- zione fu invece desiderata con ansieta, ed apprez- zata dai veii dotti. Ma io, nulla -valutando I'irra- gionevole censura di questi , avrei caio sohanio che gli altri considerassero , che quanlo il nostro secolo e divenuto piii sottile in ci6 che I'arte ri- guarda, altrettanto e piu ha perduto nell'osserva- zione della natura , senza la quale non ci pu6 esser rappresentazione veramente degna di lode. Per qmsta ragionc fin da' suoi tempi lagnavasi il dottissimo Gravina che il genio servile (telle corti adulando le potenze straniere ohhliasse la gloria della liberta nativa^ e riducesse la nostra Nazio- ne alia servile imitazione di quelle genii ^le qua- li ehher da noi la prima luce dell' uinaniia (i): per lo cui vil ossequio il nostro teatro era fuio d'allora divenuto campo di mostruosita , nel quale non avean luogo altre produzioni dell'arte se noa quelle , ove meno si riconosceva la natura. Ma (i) V. Gravina della Ragion Poetica Lib. II. XVI in queste piccole commedie o egloghe , come tal- volta furono da' loro autoii chiamate^ trovasi la vera semplicita , scorgonsi le passioni ed i costumi tratti fuori veramente dal cuoreumano, ed odonsi parole che altrimenti non potevansi dire da uomini fuori di scena ed in fatli veri. Non si pii6 negare che siniili pregi siano comu- ni a non poche altre commedie contadincsche o favole boscherecce, che vennero scritte ne' dialetti di varj altri paesi d' Italia, non meno che a tante altre leggiadiissime poesle di simil genere gii da me annoverate nella prefazione alia Raccolta degli Idillj Rusticali, e di cui la venusta, la naturalezza e le grazie mi hanno indotto a paragonarle alle piu belle poesie de' Greci (i). £ cosa notissima (i) Qitesto paragone non Tnaiico cV eccitare V indegnazione di taluno , cui semhrando impos- sihile che Jie' 'varj dialetti d' Italia , ed in parti- colare nel nostra Milanese possansi comporre ot- time cose, proferl un troppo aiistero giudizio con-^ tro di esse e de' loro autori senza J'orse saperle leggere ed intcndcre. yl tali pcrsone pub ser-vir di risposta il seguente hellissimo sonetto in dia- letto Alllanese. I paroll d' on lenguagg car sur ]\Ianell Jlin ona tiii^olozza de' color Che ponnfa cl quader hrutt , e 7 ponn fa hell Segond la maestri a del pittor. XVII clie Giulio Cesare Cortese lui saputo si Ijene rap- presentare i caratteri contadinesolii , eel esprimere si al vivo i costunii e le jiassioni di gente simil ■nell'ordituia di uii dramnia scritto in dialetto Na- politano ed intitolato la /»o^rt,rhe il Giavina non Seriza idej , senza gust, senza on ccrvell Che regola i jyaroll in del desco/; 'Futt' i lenguagij; del Mond hin come quell Che parla on so umilissem servitor: E sti idej , sto hon gust gia el savara, Che no hin privativa di paes Ma ui coo che glian f lemma de stadia: Tant /<> vera che in bocca d' Ussuria El bellissem Icnguagg di Sienes L' e el lenguagg pu c . . . . che moi ghe sia. Questo Sonetto che non e riferito ad alcuno, essendo itnmaginaria la persona cui e diretto, fu composto dalV egregio nostro Concittadino Carlo Porta noto. e caro a tutli non ineno per V aniahile sno carattere , che per le sue poesie amenisslme in dialetto Milanese , ripiene di vi- •vacitci , di grazia, e somnia natural ezza , ed il cui talento nel rappresentare al vivo i divcrsi costumi delle persnne era nnlversalmentc applau- dito , quando si dilettava di recitare nel "^Tcatro de' Filodrammatici. II Pubhlico aspetta con an^ sietu III Lraduzione di Dante in lingua Milanese cui egli attende gia da qnalche tempo. XVI II flubitu (U iigiiagliarlo alia Taticia, e di giudlcarlo lino de' migliori rlie altbia I'ltalia. 7/ ^/'rta'o in cre- (h'liza e pure una hcllissima coinmedia ruslicale nel dialetto contadinesco Reggiano scritta in versi riniali di vane misure da un certo Conte Fossa, e fatla ad imitazione del Miles Gloriosus di Plau- to(i). Non parlero della Berncirda commedia in lingua rustica Bolognese , non essendo essa che una traduzione della Tancia del Buonarroti attri- liuita a Giulio Cesare Allogri , il quale altro non fece che mutare i nonii de' personaggi (p.). Le rommedie peru di Carlo Maria Maggi in lingua Milanese danno a vedere essere la lingua nostra bastevolmente capace di tutte le bellezze, die nelle conrniedie di Plauto e di Terenzio si ravvisano \ (5) (^\'^ II Cli. Siff. Cav. Luigi Lamherti fra gli altri me lie ha pailato con niolta lode. (2) // Tiiniilo ylccadeniico Dnhbioso aven- do tradotta la Tancia in lingua Bolognese la intitolo la Togna , e la piihhlic6 in Bologna per Giacomo M(jnii ncl i(i54. in R. nel qnal anno compaixe pure in Bologna per lo stexso Monti col titolo di Uernarda , e si aUrihiil all' ylllegri. V. Qtiadrio Stor. c rag. d' ogni Poesia. Vol. III. Part. II. ]>iig. 111. (.1) Anche nelle Operc del Balestrieri tro- 'vansi delle belle sceniehe composizioni in lingua Milanese. T''. la parte IT', e T'^f. della Srelta di Hime Toscaiio Milanesi ee. Milano , Alalatesta XIX ne laceio cIk; apjilaudltissime soiio alirchi non so- lamente ne' privati , ma anclie ne' puhblici Tea- tri alcune commedie nel medcsimo diaU-rio del nostro ex Olivetano P. Molina, (i) Tulli questi bellissiini componinienli sono peio roiidannali a ri- maneie per sempre ne'paesi nativi , in cuisoltanlo possono essere intesi ed ammirati ; ne per eonse^ guenza alcuno di essi puo aver luogo nella presente raccolta destinala a comprendere solameiite quci dramnii , che , ollre d'esser romposti con tutle quelle regole rhe si rieliiedono ad una peifetta coaunedia, sono altresi scritti nella piu pura favella d' Italia. Tali infatli sono qiielli die lio trasceld , essendo per la maggior parte conqjresi uello spoglio fatto dai Com- pilalori del A''ocal)olaiio della Crusca , o da ottimi Scrittori raccomandali eome utili.ssinii alio studio dclla nostra lingua. 1 due Alti sceniei di M. Francesco Bernl in- titolati la Cutiiuti ed il iV/o^7f«si;o (2) meritavauo (1) ^ppJaiiditissima fra le a I Ira fii sempre in ttil.U L Teatri de DllettarUi la i'uiiiiiictUa intiioluUi i Cont d" Ajaa , ed a^graditu inolUssi- mo anche ne' puhblici^ oct; vcnne rcciUit.a con. soniina lode did nostro De Mariiii iino de' pik valenli atiori di eui si possa iHinlnn: la Picale Cojiipni^iiia de' Connncdiiiiiti ludiani. {%) U Mogliazzo fatto da Bogio e Lisa stani- pato in Fireiiza ncl i^yyj. in 8. non c opera XX pure d'csscre spogllali con luaggiore diligenza , af- fine d'anicchire semprc; piii il noslio Dizionario di mold A'ocaboli e modi di dire onimessi con isvantaggio dclla Jiostra lingua, siccome potrassi di loggieri conoscere dalle note che y'l lio appo- sre. Alessandro Cecclierelli, nella dedicazione pre- messa alia prima assai rara edizione fatta nel i56y. indirizzata a Madonna Fiammetta Soderini, srrive die il Berni compose la Cat/inn nella sua j/iu te- ncra eta. Non saprei dire se nello stesso tempo egli componesse anclie I'altra operetta , trovando in ciascu- na la medesima facility della rima congiunta alia na- turalezza delle espressioni , e la vivacili\ degli sclier- zi unita alia semplicila dello stile. La lezione che ho seguito nella nstampa della Catrlna non e quella della [)nma edizione di Firenze fatia da Valente Panizzi nel iSGy. , ne quella dell'edizione di Napoli del iy5o. , che varia molto dalla suddet- la , c che fu tratta da un antico inanoscritto che sembra del tempo dell' A utore , o poco doj^o. Non v'lia dnbbio che si nell'una che nelFaltra trovansi di molti errori , (i) ond' io ho creduto a proposito ilcl Berni come per ishaglio noto it dili^entissi- mo Mazzuclielli all' articolo Berni , ma betisl fli MarceUo Roncaglia. J^. la Storia dell' Accade- iiiia dc Ilozzi , ed il Catalogo aggiitnto in fine. (i) JJ allra edizione della Catrina che tro- nuisi unita alte Poesie Thnlesche di M. F. Berni, XXI tli Sfjf'i^liore d'ambociue quclla lezioiu- , die mi e pa- ruta la piu giusta e la plii analoga alio stile ru- sticale del Berni, notandone in fine tutte le varia- zioni d\ iii;iggiore importanza. Cio e quanto ho sti- mato bene di fare nel lipruduni' alia luce queste due operetle del Berni. Siccome perq chiunque si dispone a leggere un qualche lihro ha sul prineipio un eerto qual desiderio d'esserein alcuna maniera informato, noii tanto delle opere ehe in esse si contengono, quan- lo dello Seriltore delle )nedesime, rammemorero qui hrevenienie, che questo Poeta chiarissinio per la sua varia erudizione edourina, e per Tingegno suo non nieno piacevole e proiilo che giudizioso , na- cque verso la fine del seeolo XV. in Lamporec- chio Terra della Toscana, e cesso di vivere nel di 26. Luglio 1 536. Chi de.sidcrasse sapere quali furono gli aid personaggi eui egli servi in Roma ove fiori principalmente circa il i SaG. , i viaggi da esso lai fatti in Italia , e iufonnarsi della sua famigliarit;'i col Cardinal Ippoliio, e col Dura Ales- sandro de'Medici, delle circostanze della sua morte, e di tutte le sue opere , legga la vita scritta con grande erudizione dal Conte Giammaria Mazzuchelli , che da noi f'li gia premessa ad uno dt;'migliori poemi e])ici rfiiiiaii/.csclii I' Orlando Iiinnmurato rifalto dal Be rill. raccolte per la prima vol la in iin solo volume ec. e stampatc net 1770. coll a (hi in d' Amsterdam e itn complesso d' crrori. xxn Noil (osl brevemente dir si ckc di Mirhel- agnolo Buonarroti il giovane celebro aulore della Tancia^ essendo qiiesta la prima volta che ci ac- cada parlarne ia tutla la serie della grande Gol- lezione degli Autori Classici Italiaiii. Anche la vita di questo colto Scrittore e slata dopo altri esatta- niente sciitta dal Conte Mazzuchclli, il quale ci rae- conta ch'egli fu nobile Fiorentino c nipote del gran Buonarroti, e elie nacque nel i5t)8., eome si afferma dal Salvini ne' Fasti Consolari tleiV yic- cademia Fiorentina. Fin dall' eta sua piu fresca es- scndosi egli applicato alio studio delle buone lette- re,esercit6 continuamente il suu nobile talento e in prosa e in verso , e riusci uno de' piii erudiii gcn- tiluomiui della sua patria. Credo inutile I'annove- rare qui i varii impieghi , ne' quali fu adope- rato da'suoi Sovrani , e le cariclie cbe sostenne in diverse Accademie della sua patria. Solo diro the nel i5q6. ogli fu Areiconsolo delTyVecademia della Cnisca in cui si chiam6 / Iinpastato , clie lavoto indefessamente alia prima edi/.ione del Vo- cabolaiio , e a quella del testo corretto di Dante , e moke volte si fece senlire nella medesima Ac- cademia eon singolare applauso, recitandovi orazioni, eiealate, lezioni, e vadi altri componiin»!uti di simil fatta. Ne vuolsi tacere che fu il Buonarroti uno splen- dido promotore delle Belle Arti, e de'buoni studj si col formare colla spesa di ventidue mila scudi nella propria rasa la maguifira galleria dedicata alle glorlc di Miclielagnolo Buonarroti il veceliio , come col- I'adunare in sua casa i piii dotti uomini cli'erano aliora xxiir in Firenze. Egli cesso dl vivere agli 1 1. di Gennajo del 1 64(3, dopo aver pubblkato diverse altre ope- rette, e scrilia iin'altra comniedia intitolata la Fiera divisa in cinque gioniate , e in alii venli- cinqne a solo oggetlo di jnaggiormcnie aceresccre il gran A'ocabolario della (aiisca. Colla TiiiK ia prro , in cui cgll vivamente seppe descrivere il linguaggio non meno die le maniere e i costumi de' contadini Fiorentini , si mostro iinitatore felicissimo di Terenzio e di Plau- lo. Qnesla fn stampala la prima volta in Firen- ze dai Giunli n( I i()ii>. in 4- senza nome del- I'autore: e (jiiivi pure nd i65iS. in lieata parimen- le in Firenze nel lyad. dai TariinI e Franehi nnitamente alia Fiera, e coUe annota/.ioni dell'A- bate Anronmaria Salvini. Abbenche gli editori(i) abbian dicliiaralo d' av<'r segnitata la prima edt- (1) Doinenico Maria Manni si presto alia piihblicaziojie di qiieste rommedic XXIV zione del Giunti, cio non ostante si sono discostati non poco, siccome rilevasi da alcune varianti poste qui sotto al solo oggeLto di far conoscere , chc quell' accidente die fece scorrere ncl prinio atto , come essi coiifessano, alcune lezloni del Laiidini, ne fece akresi sfiiggire nel rimanente della com- media. (i) Per la qual cosa io spero di avere non solo corretd niolti errori trascorsi nella sumnientova- ta edizione di Firenze , ma di averne altresi non poco niigliorata la lezione. Ho stimalo inollre cosa (l) GIUNTI TAUT. El RANG. u4ttO II. Sc. 2. T vo' contar Ti vo' cantar Atto III. Sc.c^. CJt' altvo di male intanto non le accada non gli accada Atto IV. Sc. I. Vn 'vestir signolire Vestir signorile lino smelardo Uno smeraldo, e si awerta Atto IV. Sc. 9. die vien tolta la rim a. Ma quellamalattia Ma questa malatlia Di die sorta era lafrcbhe Di clie sorta era la febbre, c toglie la rim a. Ch'io ho tardato troppo Ch'io t'lio tardato troppo Atto V. Sc. 3. L'un m'e scappato di era L' uno e scappato ec. il Cittadino E da lei scruso affatto era E da lei affatlo scruso ec. Ciapino XXV upportuna ndunein coinpendiu Ic copiobissime nole die animassu in pin di ciiiquanta pagine in foglio lerudilissimo Salvini, e tenendo una via di mezzo, togliere ([iiclla iioja che natiiralmente deriva dalla lettura di lungliissinii comenti , senza nulla omct:- tere die necessario fosse aU'lntelligenza di niol- te voci ignote generalniente , e di alcune altre cose non abbastanza conosciute da tutti gli Italiani. L'altra bellissima Rusticale clie viene in se- guito indtolata 1' Assetta attribuita ad un certo Hartoloniinco Mariscaico della Congrega de'Rozzi nel- la prima edii^ione che fu fatta in Parigi nel 1756(1), ed ora restituita al suo vcro autore Francesco Ma- riani Parroco a Marciantj , riene sicuramente il primo posto dopo la Tancia del Buonarroti. L' in- genuity de' caratteri al tivo espressa , 1' unit.\ scru- polusamente osservata , la leggiadria del verso, e la ( I ) Questa edizione fa fatta da Giovanni Cotiti sopra una copia cavata dal codicc com- perato in Siena daW eruditissimo Tonimaso Giu- seppe Farsetti V anno lySi., ch' egli credcva L'o- riginale per le correzioni die tratto tratto vi s" in- contrano. f^. Bibliotera Marioseiitta di T. G. Far- setti cc. Venezia 1771. Stainpcria Fcnzo in \%. Venne poi attribuita V Assetta a Bartolommeo Mariscaico perche suUa prima faccia del Codi- cc fu scritto , henclie can carattcre da quello della Commedia diverso , // nome suddetto. XXVI jiatuialezza dcUa lima con inimitabile elcganza ai pension accoppiate la rendano nna commodia noa inferiorc del certo a que' rinomati oiiginali , clic fanno universal men te la delizia e rornamento del nostro Teatro. Anzi io avrei non picciola lusinga , che questa commedia , ominesse o cangiate poche cose ( difetti piuttosto de' tempi che dell' autore) se fosse posta in iscena, potrebbe ottenere I'aggradi- mento degli ascoltatori , e dar loro non poco diletto il veder cambiare i gravi e nobili pastori coi sem- plici e naturali villanelli dell'Assetta. Oltrecio sono d'oplnione clie questo genere di rappresen- tazione possa meritare d' essere coluvato, vedendo che la varieta e I'anima dpi Teatro , e che oggi- inai tante Commedie , Tragedie e Drammi si sono "veduti e si vedono continuamente a replicare , che sarebbe di necessita , per terminarc una volta di nausearci , il dare finalmente agli stanchi spet- tatori qualche cosa di nuovo (i) ( 1 ) // sullodato coniico De Marini , die ha saputo SI bene e con tanto applauso rappresenta- rc in linqiia rustical Milanese i villani della Brianza , potrebbe impegnarsl con maggior pro- Jitto a porre sulle nostre scene que' della To- scana , ben sicuro di meritare non solo I' aggra- dimento de' dotti , via ben an che di quell i , che non ne conoscono gran fatto la lingna\ riuscen- do I' azione di grande ajuto per I' intelligenza delle parole. XXVIl Nou posso per6 iialasciare di avveriire con mio dispiacere che il difetto principalo, che si trova si neir Assetta del Maiiani che helle altro com- medie di simile maniera, e la copia degli equivoci al- lusivi ad osceiiili. In qualche parte potrebbero per altro venirno sciisaii gli autori dalla comuae li-« cenza di que' tempi , ne' (juali si avevaiio per gra- zie e per sali le maggiori laidezze , come si vede gencralmente in quasi tutti i componimenti poetici fatti puranco da persone costumate , e che al par di Francesco Mariani erano del carattere ecclesia- stico decorati. Leone X. cui gli eleganti e leggia- dri Poeti eran molto cari faceva ogni anno anda- re da Siena a Roma la Congrega ossia I'Accade- mia de' Rozzi , ciii decsi principalmente il vanto di aver promosso la comica teatral poesia, e nelle private sue stanze godeva di udire le scherzevoli loro farse , e talvolta essi ebbcio anclie I'onore di cssere con piacere ascoltati dall' Imperador Carlo V. Questa commedia , abbenche nc sia raccoman- data la lettura da ottimi Scritlori come utilissima alio studio della nostra lingua, non fu per6 com- presa nello spoglio fatto dai Com])ilatori del Vo- cabolario con non poco discapito della nostra fa- vella : quindi trovandosi in cssa un numero non piccolo di voci e di modi (i ) [)icni di vivacita c natu- ( I ) Eccone alcuni per esempio^ de quali se ne troi)erci la spiegazione al loro luogo : Prender la misura alia rimbusta — Le pota degli allri rom- XXVIII ralezza , non ho tralasclato fatica alcana per \ien corredarla di note e spiegazioni utilissime all' intel- ligenza non meno delle parole , che necessarie a ben gustare una si amena commedia Dopo Ic diligenze usate dall' erudilo Sig. Bi- bliotecario di Siena (i) afline di ritrovare esatte notizie dcllo Scrittore daW ^ssetta non v' ha piii dubbio che il vero Autore ne sia il Prete Fran- cesco Mariani , e non Bartolommeo Maiiscalco che non ha a che fare nemmeno col suo noine Acca- demico. Nel ruolo degli antichi Rozzi trovasi un Mariscalco di professione senza nome accademico che chiainavasi Mariano Manescalco autore di al- cune commedie rusticali riportate nella Storia del- pin le mie bracche -- Far la crocca al Fuso — La pietra e cascata nel burrone — E lu tiitta matlina gilleroni ~ Le cose sono ridotte a rasoi ec. ec. (i) Ut'io idle cure del Sig. Bihl. le segiienti notizie che brevenieiite riporto. Ecco che cosa egli scriK'e nel rimetterle alcohiss. Sig. Profcssore ftosi- ni di Pisa., die con tutta la so llecitudine me le pro- curb dal suddetto , ciii dicde I' incarico di rin- tracciarle: Ho fatto di tiillo, ma non sono total- mente contento di averle combinate , come avrei desiderato. Posso soltanto dirle, che sono estratte da vcridici fonti , onde poterne usare come le ag- grada. XXIX rAccadomia de' Piozzi (i), o nel nuovo Catalogo ragionato da me aggiunto a questa Raccolta , ma 6lie non dove confondersi rol nostro Autore. Na- cque Francesco il di 21. di Agosto ncl iSSy. da Giovan Battista Maiiani di S. Maria a Pilli poco distante da Siena , e da Maria Felice sua moglie. Nulla si sa della sua educazione , e si ritrova so- lamente nella Relazione Storica delV orisrine e progresso della festosa Congrcga de' Rozzi stampa- ta con la data di Parigi nel lySy. che era figliuo- lo di un falogname ivi chiamato per isbaglio Nic- colo Marlani. Si deve per6 prosumere , ch' e- gli facesse i suoi studj per lo stato ecclesiastico, dacche egli fu Parroco di S. Piotro a Marciano chiesa distante da Siena un miglio circa dalla par- te di ponente. Egli era ancora giovinetto allorch(i nel i6o5. i Sovrani Medici ricliiamarono 1' ordinc da loro gii emanate nel i568., in vigore del quale restarono proibitc tutte le adunanzc ed Accademie solite farsi nella cittk di Siena. AUora fii , che di nuovo , e con maggior vigore furono dai Rozzi , che al numero di otto erano rimasti , ripigliaii i primi esercizj , e di nuovo furono riiucsse in piedi le loro piacevoli adunanze e letterarie con- ferenze, le quali con molto credito andarono dap- ( I ) Opera dell' Ah. Fabiani stampata in Siena nel lyyS. in 8. ed inserita nel torn. 5. della N. Race, dell' Ah. Calogera. c XXX poi vieppiu crescendo, ed a renders! frequent! (i)- Fiorirono nel principio di questo secolo non po- chi , i quali con il loro sapere , e coll' opere clie pubblicjirono si resero assai celebri , e fra questi il nostro Mariani rhe fu ammesso nella detta Ac- cademia circa il i6a4- col nome accademico \J j4p- jiuntato ^ e si fu allora ch' egli scrisse Le Nozze di Maca (2), e Tegloga in terza rima intitolatall ( 1 ) V . La suddetta Storia dell' Accademia dc PmzzI. (2) Alciiniper errore leggono Masa , e si trova anche stnmpato nella cicota Pielazione Storica del- r origine ec. Ho creduto di fare cosa assai gradita agli amatori della P oesia Rusdcale puhhlicando per la prima volta in aggiuntaa qiiesta PtaccoltaXe Noz- ze di Maca che ottenni dalla gendlezza del Sig. Pro- fessore Massimiliano Ricca di Siena , che si e presa la hriga di furla copiare dal AISS. esi- stente in quella Biblioteca , e di collazionarla diligentemente col testo. Sc cib non ostante si tro- vano dei passi oscuri , di difjicile senso , e talora mancanza di discorso , ed alciini ^•'crsi (solid difetd dclle Rusdcali ) crescend o mancand di qnalche sill ah a , la colpa S tutta della pessinia scrittura del MSS. e degli errori di esso. Per riguardo poi al merito di questa commedia diro che sehbene sia inferiore all' Assetta per man' canza d' nnita , in si troi'ano pero dclle scene ininiitabili per la naturalezza e semplicita dei- XXXI Mercato delle Donne. Nel i633. era Rcttore di Marciano , ed una lapida sepolcrale che si trova nel mezzo della Chiesa di S. Pietro ce ne convin- ce. Eccone I'iscrizione e I'arme che mi fu trasmes- sa ^ e che ho fatto incidere in mancanza del soli- to ornamcnto del ritratto, che forse non gli e stato fatto giammai: Joannes Baprista Marianus Olim hujiis Ecclesiae Piector ot pene collapsae reparator -vivens sibi posuit monumentum Anno D. i633. die aS. Julii FRANCISCO MARIANO /RECTORE. Contadlni. Qiianto belli sono i caratteri di Bru- glia e Maca ? Leggasi fra le ahre la scena 3. dell' Atto V. Per cib che spetta all' ortogra- fla av^'crto di aver ommesse molte cose che ri- guardano piattosto la pronunzia che la lingua , e che avrehbero servito soltanto ad anno j are il lettore, come per esenipio moghie, tagghiato , pig- ghia , coital , amorevoil ec. per moglie , tagliato , piglia , coCnl , amorevole ec. XXXIl Sembra dal tenore di questa isciizlone che un suo consangiiinco fossevi gia stato Piettore , e ch' egli forse ne fosse il cess ion ario; ma. per quanta dili- genze si facessero dal Sig. Bibliotecario nella Gan- celleria Arcivescovile di Siena non gli fti possibile di ritrovare cosa alcuna di conseguenza spettante ad esso od al detto Giovan Battista Mariani. Pare sicuro dal frontespizio di un libro dell' ammini- strazione de' Sacramenti ivi esistente , e che ap- parteneva alia suddetta Panocchia , principiato nel iGSa., cK' egli vivesse ancora nel detto anno: ma siecome in un altro foglio , dopo un inventario delle cose di ragione della medesima Parrocchia leggesi un attestato di Francesco Mariani del mese di Luglio 1673. non si puo assicurare se questo sia il medesinio nostro yippuntato oppure il suo ni- pote, leggendosi nel Catalogo delle opere rusticali contenute nella sovraccitata Storia dell'Accademia, Francesco Mariani^ Parroco a ]\Iarciano il Se- niore. Se si potesse trovare la serie dei Parroclii di detto luogo svanirebbe questo dubbio, che nasce facilmente dal vedere scrivere un uomo nonagena- rio, e molto piu dalla parola aggiunta il Senioie (i). (i) La famigUa Mariani c oscura presen- temente in Siena, e non esistono di cssa che due Linajiioli. ISella Storia Pittorica conoscia- mo iin certo Cammillo Mariani nato in J^icen- za da Padre Sanese , e morto in Roma nel XXXIIt Oltre le sovraccennate opere compose il Ma- riani uii Dialogo di tre cont.adini die cercano il soniio , ed alciine stanze fatte in occasione di una ccna , opciette che coaservansi manosciitte fra la Raccoka delle poesie degli autichi Piozzi esistcnte nella puhblica Bihliotera di Siena. Al- cuni hanno male attribuito al noslro Francesco le due colonne Israelitiche rinnovate da Dio nel Crisdanesinio discorso sacro recitalo nella Melro- polilana di Siena, e stampalo in Roma nel 1094-, il quale siciuamcnte non e di Francesco Mariani detlo \ Appuntato ^ ma bensi del Canonioo Marsi • lie Mariani Accademico Intronato detto // Feriato. Mi si perdoneri se mi sono diffuse un po troppo nel riporlare le detto noii/.ie , essendo questa la prima \olta che si parla deir^Vutore A^W! Assetta. Fra le moke commedie die ci lasciarono i Rozzi scritte nel dialetto del loro contado , e che al riferire del Crescimbeni nella Sloria della Volgar Poesia ebljero in quel tempi un sommo grido , ne ho scelto due akre postc in seguito -jiW! Assetta , 161 1, di 46. anni. Ne tratta il Padre della Val- le nelle Lcttere Snnesi Tom. III. f. 7>cyi.. copian- do letteralmcnte il P. IJgurgieri nelle site Poni- pe. Non so se possa sospeUarsi che qitestl ap- partenesse alia faniiglia r/c7/'Appuntato , tna cer- Camenta non fii mai in Siena , schbenc tanti liio- ghi girasse dcW Italia. XXXIV perclie mi sono scniLrate delle migliori (i) tnnto per lo stile, che per la piu perfetta imitazione del costume de' contadini si negli amori , come nelle altre loro villesche faccende. La prima e il Capotondo di Silvestro Cartajo detto il Fitnioso che pubblico qiicsta commedia in Siena nel i55o. Egli e felicissimo nel porre in bocca a' suoi villani que' rozzi motti , e que' rustica- ni naturalissimi sen time nti che sono proprj del loro carattere; ma quanto piii e scherzevole nella con- dotta altret^anto e libero nel costume. Scipione Bargagli riporta alouni versi di un Capitolo del Cartajo nel suo Tu ranihio , o sia del Paiiare ^ ilello Scrh'er S anes e slam^Ato in Siena nel 1602.: dove asserisce, che sirnil sorta di composizioni rustical i , e di commediette alia villana crano non di rado mandate a chiedere a Siena da di- i>erse bande , non vedcndosi qiicsto mettere in iiso ed esercitarsi da quei delle altre citta di Toscana , che piii non pensavano a conservare le antiche maniere di parlare , cd iisate Jino dallo istesso Dante ec. Circa lo stesso tempo fiori anche I'Autore del- r altra connncdia intitolata il ColtelUiio (2). Nic- colo Campani uno de'celebri Rozzi detto \ (J morose t e non Strascino come forse per crrore nolA il so- ( 1 ) Migliori fra quelle che ho potuto leggere, essc/ido per la jTiasfgior parte divcnute di una gran- de rarita. (2) Stampata la prima uolta in Siena net 1 543. XXXV vracritato I. G. Farsctd nel sius Catalogo di Coni- ineclie Italiane (i). Egli fii nobile Sanese , cioe citraclino risedato ^ cognominato Nannino , ed il P. Ugiirgieri (2) il dice Poeta e Comico assai ac- concio , e clie tale si riconosce nella sua vaga cominc'dia detta il Coltcllijio. Questb celebce Ao- cadcmico compose , clue qiiesta che n' e la prin- cipale, altre Rusticali , nel qiial caratteie vien lo- dato assai dal Trissino nella sua Poetica, e di esso fa onorevole menzione il Crescimbeni ne' suoi Com- mentarj della volgar poesia , (5) ed anche I'Apostolo Zeno iielle annotazioni alia Biblioteca Italiana del Fontanini (4). Scrisse altresi il Campani altre opcre in terza rima , alcune delle quali si leggono nel libro sceondo del Bcrni. Non lio voluto tralasciare d' aggiugnervi per ultimo la bella Ruslicale intitolata Canzone per Maggio del celebre Baldovini , di ciii bastante- mente io dissi nell' altro volume delle Poesie Ru- sticali. Dessa e tratta da un raro libretto (5) clie mi venne gontilmente trasmesso dal molto illu- stre Sig. Giuseppe Pucci di Fircnze (6), in cui (1) Venezia ^ ^ll'^- Modesto Fenzo ^ in 12. (2) Opera sopraccitata Parte I. Tit. 18. (t) Lib. II. Centuria I. (4) Tom. I. j)ag. 096. (5) Rime facete per clii vuol divortirsi colla data di Gelopoli, 1784- in 12. (G) Io professo infinite ohhJigazioni alT eru- dicissimo Sig. Pucci per la somma prcinura 1 M. FHANCESCO BKKNI. f JV^Be'sl tu entri pur nel vitalbaio ; Lagal'h-, clie ti caschin' le cervella ^. lo ho di loro a fgVierrettar un pfiio , E cavar loro il ventre , e le budella , Se fussin bene un mezzo centinaio. Vedi cli' io porto scmpre la coltella , Ed ho 1 pef to , le rene , ed un lancione Appoi che voglion nieco far quistione. JV.Deh no. J5.Deh si.iV.Dehnon fare. B. II froNanni, Per quesfa rrore cK e pan benedetto. JV. Tu vai caiendo : B. E che? N. De' tuo' magli anni Tu sai se quel Meciiirrio '////• t//i4i /'4'/'//t4'<'t*t:' ^4'rrt* . /I//' n M. FnAMCESCO BEntil. 11 S C E N A II. Mecherino E DETTI. ^I. Ye.' (lie te codiai tanto ch' io te 'ntesi , Brutto , impiccato , ghiotto , ainmorbatello , I.adroncelluzzo , \'iso de moria : Che ciarU tu della Catrina mia ? i?. Al corpo a dieci clie gli « Mecherino ! Come fio io avale ? N. Oh fa con mano r Piaccomandati a Cristo e San Doanino , Ch' io per me la vo' dar quincentrO al piano. B- Dell , Nanni , stenta ancora an niicolino , Ch' e' non mi mandi in qualche baco straao. Ve' tu , ch' egli ha il pagaale e la sgaeiTuccia,' E vien boUendo , come ana bertaccia? ,A/. S'io te rigiungo ragazzaccio stiavo , Te vo' conciar , rhe tu non srai piu buono, E die non si smillanta e fassi bravo , Appuntamente r[uand' io non ce sono. B- Non t'accostar' in qua che tu srai siavo ; Se tu t'accosti io te daro '1 perdono. M. Io '1 vo' veder, B- Vien oltre , abbiti qaella. M. Io non vo' fare a dar nella scarsella. /?. Oh tc dia il canrro. M- Oh tu me stracci e' panai. B. Damme pii'i , damme piii. M. Or te dro io. B- Drh , viemmi atar an po', se tu vuoi,Naiini, Ch' io sono avvollo int' un gran pricoHo M- Non t'accostar in qaa per laa magli anni. JV. A'uol tu per6 ammai/.are ? M. la fe de Dio , Se tu t'accosti, e sai ch' io me ne scrapo , f ti parri d' aver gridalo al Lupo. la LA CATRINA iV. Vuo' Iru nieco cristion ? M. A'uola tu , tu ? Ve' Nanni , libramente , ch' io te dro. N. Qiiesta sia 1' arra , o sta a tiia posta su. M. Ohi , ohi. N. Oh te dia San Niccol6. iV. Cacciatel sotto. M. Non me date piu. N. Lagga star Beco. M. Io non lo lagghenV N. Tu ne toccrai. M. Lagga ch' io me riabbia. B. Oh te venga '1 gavocciolo, e la rabbia. M.Tn hai '1 tor to , Giovanni. N. Io 1' ho deritto. Dagli pur Beco. B. Io gli ho reciso il naso. N. Fruga 'ntu 'I ceffo. B. Oh te dia San Davitto : Ve' che ce strai : tu ce sei pur rimaso ! M. In fe de Dio , che se me levo ritto , Io te faro pentir de questo caso. N. Eh tu cacrai. M. Io non vo' far con dua : Che vuo' tu dir? N. Che la Catrina ^ sua. il/.Ell'e niia. B. EU' e mia. N. Dagli pur, Beco. B. Io lo trafiggo. N. O cosi , dagli forte. M. Guardami gli occhi , ch' io non resti cieco. B. Oh gaglioffaccio ! te venga la morte. M. Buon giuochi , Nanni S C E N A III. ViENE GlANNONE ReTTOR DEL POPOLO E DICE. G Oh ! venitcne meco. M. Ed ove ? G. Presto al Podesti , alia Corte : E tutt' a tre balzerete in pregione. N. Avviat' oltre innanzi un po' , Giannone. BT M. PRANCESCO BERNI. l5 G. Innanzi vi vo io , brulla genlaccia ; Che sempre s'ha a seiitir qualclie pazzia. B. Tu m' hai rotto le spalle. M. E tu le braccia. B. Or dirai tu che la Catrina e mia ? Tu vai cajendo. M. E che? diavol lo faccia. B- Tu ne vuoi anche ? M. El mal che DIo te dia. G. State chcii in malor , gentaccia grossa , Che ve venga il gavocciol' iutru 1' ossa. S C E N A IV. GlUNGONO AL PonESTA*, E GlANNONE DICE. G. Dio ve dia '1 giorno , ser lo Podesta. Egli e qua Nanni , Beco , e Mecherino Ch' hanno fatto rombazzo : andate \k. P. Che qucslioiie c la lor? Fia stato 'I vino: Ed io gli accordero : vcnite qua. M. To non intendo codesto latino ; Diie in volgar , cli' i' ho un po' 1 cervcllo grosso. p. Vi vo' far far la pace oggi , s'io posso. iV. Bcco, va oltrc , e di' la tua ragione. M- No , laga dir a mo , che son prim' io, B. E tu debbi voler rifar cristione : E rlie si , ch' io te man do al solatio ! M. E io diro. B. Tu non dirai , gliiargliione. M. E pcrche conto ? B- Perche vuole Dio. M. Ben lo vedn'i. B. Se tu non istai cheto , Te non dro una. M. Ed eve? B- Si dcrieto. l4 LA CATRINA P. Orsii, rlic la sarebbe una seccaggine ; \ Di' su Becuccio. B. Oh Dio ve faccia sano! Noi siamo innanzi alia magnificaggine Di Ser lo Podesta da San Gasciano , E ringraziata sia la dappocaggine , Egli ti per darci cio clie noi vogliano. il/. Tu sei un tristo. B. Deh lasciami dire , Ch' al sangue all' aria, i' te faro radre: lo son Beco. M. De chi ?. B. Tu me to 1 capo : Sta cheto , dico. AI. Ed io vo' favellare. B. Io son Beco de Meo , de Ton , de Lapo. M. Ser lo "\"icario , e' ve vuol ingannare. B. De Biagozzo , de Drea , de quel dal Rapo. M. To', s'cgli ha cominciato a cicalare! B. Ed abbiam tolto dua poderi unguanno : Siam tutti ricchi, ed abbiam del gran d'anno. M. Come me fa sudar questa giosdzia ! Lagatel dir , clie se muojon de fame. B. Noi raccogliiam piir quando gli e dovizia , E sin nel letto ci troviam lo strame , Ed ognuno e fornito a masserizia. P. Quanti siate voi in casa? M. Un bulicame. P. Avete voi la casa ? Sta un po' cheto : B. La casa , e '1 forno , e '1 sambuco derieto, E non e valicato incor dua mesi , Che Mecheria <|ia tolse la Gatrina, E vuolla com' un fante per le spesi , Oltr' alia dota , quella chiaccherina : Io non posso patir che mcl' addesi , Perche la gli e troppa bianca farina , Paffuta , tonda , grassa , e sofficioccia , Ed una sofficente bracciatoccia. DI M. FRANCESCO BERNI. 1 Cestui ha denti da mangiar le glaiande , E 'n quattro voire e'l'ara slaafanata; Ed io d'allotta in qua ch' io era grande, L'ho infmo a qiieslo punto gaveggiata, Prima ch' io me mettessi le mutande ; Pensate s'ell' e mia questa gambata. El Ser m' ha detto : Beco, ella te vuole, Ed hanne strascinato le parole. P. E' ei cosi ;' B. Per quesle Die g;iagnele Che Ton sue padre me 1' avea promessa. M. E qual Ton, bugiardaccio? B. Ton de Chele , Parti, ch' io sappia dirte, s'ell' e dessa? Ella diceva ben : Beco crudele , Quand' io guardavo le bestie con essa , L'anel se tu mel metti un tratto in dilo Annogni moilo io te vo' per marito. il/. E tu t'avvolli Beco che I'e mia , E per men un danajo non te la drei. B- Be' , se tu hai codesta fantasia , ' Andiamo un poco a domandarne lei. M. Codesto tempo sre gittato via ; Io non vo' che tu sappia e' fatti miei ; \a rerra tua ventura , io so' in tenuta. B. Tu vai caiendo ancor , che la te puta. Af. E che me puol lu lar? B. Tu Io vedrai : Io son venulo al Podest^ per6. P. Io per me nol saprei giudicar mai , L'anello haigliel tu dato ? M. Messer no. P. O Beco, aspetta , che tu te n'andrai Forse contento. M. A mentre ch' io ce stro , Io so che se potra devincolare , A un tratto il mio non glie vo' io lagare, l6 LA CATRINA J5. E'm'e venuto il piu bello appipito De darti , te so dire , un rugiolone. M. Fa con to , ch' io me srei tagliato il dito ; Tu vai cajendo d'andarne al cassone. P. Fate ch' un zitto non si sia sentito ; Cli' io intendo di cavarvi di quistione. Conosci tu questa Catrina , Nanni ? N. Ser si , derieto alia grandezza , e a' panni , Eir e , vedete , una Camarlingona D'assai, gagliarda , ardita , e recipiente, La pare un Assiuolo in su la nona , Ed ha dinanzi appunto meno un dente ; E delle due lucerne una n'ha buona , L' altra si potre' matter tra le spente : Tarchiata , stietta , soda e vendereccia , P. Dove sta ella a casa ? N. In Vacchereccia. P. Va metligli una boce. N. Aiii , Catrina. S C E N A V. La Catrina da lontano risponde : C. Che diavol hai? N. Stravalica il fossato. C. Ho io a venir ritt' alia collina ? N. Attraversa il ciglion dall' altro lato , Che noi veggiam codesta tua bocchina Che pare un maluscristo inzuccherato. P. Haigliel tu messo ? B. EccoU qua la ladra , Guardate un po' se questa cosa quadra ? ni M. FRANCESCO BERNI. IJ P. \'w.n qua , Cntrina. C. Dio ve clia '1 biion di , Che c'egli a dir 7 Voi m'avete sciopiata. P. Noi t'abbiain oggi fiitta venir qui , Che tu rispoiida , stu sei doniandata , C. lo ris[)Oiidr6 io. P. Tu vedi costi JNIechero , a chi tu eri maritala : Or tu hai a dire in coscienza tua Clii tu vorresii piii di questi dua. C.T)g qualiy Oh voi me fiete vergognare : Guarda se m'hanno mandat' oggi a spasso! P. Di' pure il tuoparer, non dul)itare, Che non ti parra aver perduto passo. Accostat' oltre ; di' quel clie ti pare ; Guardagli in viso. C. E io gli guardo basso : Dicol' io presto ? e quel che dico m' abbia ? P. Si. C. To vo' Beco. M. Oh diati aval la rabbia. B.^ a. te r acetone ; dissitel'io? Oh Dio te faccia , Catrina , del bene, il/. Io voglio andar a fame il roveaio Al parentorio , e a chlunche t'attiene. B. S'io posso risaperne un brullichio , Io te faro dua pezzi delle stiene. M. Vien qua, Catrina: rhe n' hai tu veduto Dc farmi qucsto? C. Percli' e' m'e piaciuto. Non vedi tu come Beco e biancoso , E grande, e g rosso , e alto, e rilevato ? E tu sei brutto , arabico , e sdegnoso , Affamatello , e sparuto , e sdentato. N. Or vanne IMccherin fatto a ritroso , E conlraffa' colui ch' ha perso 1 piato. B. Ser lo Vicario, andiamo intanto a here Per r allegrezza. P. E' mi parre' dovere. I f »9 ANNOTAZIONI SOPRA LA CATRINA DI M. FRANCESCO BERNI \ VARIE LEZIONI. Interlocutori. Cntrina da Caterina. Nanni da Giovanni. Bi^co da Domenico. Mecherino , o Mechero da Domenico , quasi Do- miniculus. Giannone accrescitivo di Gianni , di Giovanni. SCBNA I. P^. L. Tu sia il bel giunto. /^. L. Potta del ciel , o tu par de bucato. Accalappiato. Accalappiare , da illaquearc , rin- chiuder nel calajipio , allacciare : qui per meUif. Saresti inai ammogUatol ao ANNOT. SOPRA LA CATRINA /^'. L,. Diacin , ch' ei mi risponda , ei fa 1 musorno. Musorno , che musa ; stiipido , insensato. v. I J. Che vuo' che dira , clie sia nianganato? Manganato , per similit. vifranto , sjlagellato. V. L. Co miei pedocchi. Pedocchio vocabolo omesso dal Dizion. y. L. Oh io ci sono auch' io ec. Che la rabbia te spannocchi. Spaiinorcluare , tagliar la pannocchia Voc. Cr Murg. E spicca i capi , come una pannocchia di panico , o di miglio , o di saggiiia ; ancle semhra che qui vonlia dire Che la rabbia ti tolga il capo , che la rabbia t' ammazzi. // Dizion. e niancaiile delta spie- gazione rnetaf. di qiicsto vocahulo. Aghclti de seta , cordicelle di seta con puntale a guisa d' ago neW estremita per use d'ajjibbiar le vesti , e adattarle alia persona. Tocco colV o largo , sorta di berretta. T^. Li\ Che tu me tien de quesri decimoui ! Decimoni , vocabolo nniesso dal Dizion. Il Bocc. Lab. iisa deriino per isciocco , sciniiinito ; tjiii decimone semhra I' accrcscitivo di decimo , e mi pare nsato con egiial senso. Tu siei sempre a riddoni. Qui riddoue si pigUa per la Bidotto , ncl quale si fa la rid da , ballo di niohe persone faito in giro , accompagnato dal canto ; che anclie diccsi liigoletto , Ballo tondo , e Riddoue. V. L. Io te vidi ec. Tu parevi un Maggio delle sei , cioe tu eri nella maggior gala , aliiidcndosi forsc a qualche le- Dl JM. FRANCESCO BERNI. 21 stn di Mdgglo , iiella quale i contadinl nsas- scro comparire piu ben vestiti die in ognl altra. Giarghionaccio V. L. Ghiarghionaccio. Nel Dizion. non si trova ne I' iino ne I'ahro cli ijiiesti vo- caholi e neppiirc trovasi la voce ghiaighioiie , che vedrenio nella ScenA ly. Parini pero die qiicste parole sian tutte deri^'ote da clilaccliero- ne a ciarlone. No alle gungiiele. Guagnelo voce corroita da f^angelo , ed iisata a maniera di giuramcnbn da F^illano , e Contadlno ^ e dicesi alle gua- gnele per dire Per lo T^angelo. V. L. S'io le 'ntend' io, che te se secchi uii l)raccio. Quella tie Ton de Ghele , d' Antonio di Michele. Quinavalle , o Quiiidavalle , loggia basso , ma alquanto lontano. Atasti , ajuiasti. Batacchiare , Abbatacchiare , Aljljaccliiare , Bacchia- re , baltere con bacdiio , o pertica , e dicesi per lo pill dalle friitta col guscio quando son sail' albcro. Aval , avale , ora , teste , adesso. ■ J^. L. Che vug' til far de cotesta calogna? RapjiattLimare : Alin. Ann. al Malm, da la se- gnciite spiegazione a questo vcrbo : O viiiceie, o pattare , cioe parcggiaie , far pace ; e da questo credo venga Rappattumare. Bufonchielio , bro/icio , ma non s' usa die nel detto niodo ; e pigliare il bufonchielio signijl- ca : mostrare d' essere adirato , pigliar il bron- cio , mostrare d' essere permaloso. 22 ANNOT. SOPRA LA CATHINA V. L. A poi die voi pigliasli il bofoncliiello ■> A poiche voi piyliasti il ljonfoiiclm*llo ! V. L. A MeolierJn. Guarnello , per veste da donna , fatta di cotal jxiiiiti) , ed it usitato iimdo di favell are il chia- viar La veste per lo nutnc del juuino di die ella e fatta. V. L. E se io ine ne smanio , io nie rivilu'o. lo me rivilico : nella Crusca si le^ge soltanto il ierbo attiro Rlvilicare che signijica , ricercar con diligejiza e miiiutiiniente ; parnii che qui rivilicarsi sia preso nel significato di ricercare in se stesso , nieditare , logorarsi la mente per trovare qualche spedienle. T^. L. Oh lagal' ir nou mi far piii parole. Dappoiche t'e uscito addosso il grillo. Lagare , lasciare. W. L. Tal die me sento ec. Sgrc'tolare , tritarc , stritolarc ec. Assillo , insetto alato maggiore della inosca , // quale ii arniato di un forte e liiiigo jningiglio- iie , con ciii niolesta asprissiiuarnente gli arinenti a segno di rcndcrgU snianiosi , e talvulta in- fiiriati. T^. L. Che tu dcresii ec. Dorillamentc «o/j Ji legge nel la Crusca., ma bensi dirltlamente cJic in quesio luogo vale lo stesso die Per Vappunto , affatto. Fiolariso non si legge iiella Crusca , ma hensi Fioraliso die e iin Jiur campcstre , di color azztirro , tane e bianco , la piauta del quale e delta Battisegola. I iioralisi , perciocche avevano 1)1 >I. TRANCESCO BERNI. 2^ il gamho nn po' piu lungo , ec. fiirono cliiamati fioralisi , (juaM fiori da visi , o fiori atri all' ador- namento del viso. Fir. Dial. bell. donn. J/'ol. I. p. 78. Ediz. Class. Ital. "Vitalhaio , i>oce ornessa dalla Crusca. SeJnhra die qui voi^ia dire : tii t'esponi a siruro pericolo ec. cid che si pud dedurre dagli effctLi die produ- ce la T^italba , pianta le di cui f^gHe sono cost caustidie , die messe su la cute J anno lo- i. Gli e Nartlo , e Menichella , e ScoilLscione E Nenrio , e Mejo , e Dreja e Gliiadajone. Nardo da Lionardo. Meiiichello da Domcnichello. Nencio, Io stesso die Leitzo da Lorenzo. Meo dii Bartolommeo. Diea da Andrea. Sbonzoli. La Cmsca al verbo sbonzolare du la signijicazione altresl di esser pendente e come cascante per ahhondauza di wnore ; porta quin- di I'esempio del Salvini die dice ; di laLle colma a6 ANNOT. SOPUA LA CATRINA slwnzolanle poppa. Per approssimazinne al detto significato parnii die qui voglia dire : e perche sci si picun , si carico di roba '! TtTiacrepi, F'. L. terracriepi. Ne I' uno ne V altro di qucsti vocaboli si Icgge neLla Crusca , ma hensi Terracrepolo spezie di piccola cicerhita che nasce per le luitrajjlie antiche, e si inangia in insalata. Pappastrotizoli nou. si trova iiella Criisea : e lo stesso che Mangiastronzi ^ parola qui detta per ischerzo. Lattonzolo c T.atlonzo , hcsiia vaccina da un anno indietro. V. L. De' iniei lattonzoli. Che pare il mio jwglia'. Paglla', Pagliajo, massa grandc di paglia in coiwni , fatta a gnisa di cupola con uno stile nel mezzo che chiainasi stollo. Si dice a persona di statnra grande , e particclarnientc quando si vanta delta sua grandezzn. Quiiiamonte , la Crusca spiega : Lassit alto , ma alquanto lontano. V^. L. A mo' rh' un fungo. /^. L. Egli en no ceri. Ceri , certi legni , coloriti a cero , son portati , come a Jigura d' ojferta , su certe barelle dagli Ahhandonati , die son fanciulli resCati senza padre , cd alimentati in Fircnze in un Conser- valorio cosi nomiiiato. Salvini Annot. sopra la Fiera. Andie la nuova edizione del Vocah. delta I 'riisca pubblicata in J^erona d mancante delta suddetta spiegazione alia voce Cero. UI JI. UlANCESCO BEKNI. ZTJ Eiin' f i , soiio cssi. Mattacoiie , la Crusca MatLaccliione , voce dell'uso McUtcrello. T^. J,. Qiu'sio Iio pur io apparato in esta sera. T^. I J. Alle giiagiiel , die sono nil giaa besdame! 1^. Ij. Oil se nc fussi avendoce alia (lera. Che tr.iiri de litame , T^. L. Letame. Traino e (jncl peso che Liraiio in una volta gU aiiiiiiaU che trainaiio. v. Ij. Eimo buoni a giiastare. V. L. O vanno, Namii? N. Perche saiino a dare , Perche sanno andare. Oil vauio Nanni? Andiatno Nciiiiii. liitraversato 11 brulicliio. Inlraversare propriamente porre a traverso , qui e iisato JignraUiin. Bruli- cliio e bruUicliio e quel leggier riKniinento che J'aniio le cose quando coniinciano a coiiimo- versi ; c si dice cotnuneinente d itiui luoltitn- dine d' inset ii adiiiiatd iusicine. Per iiietaf. Ri- inescolamenlo , c inuviinciitu intcrno. Seinhra diinque che voglia dire : Mi si eccito gran vo- gfia d' averli. J^. L. A un rapeslro all' aria, e doudolava Clie Dio te sbruchi. Slirucare e lirurdw, lerar i'ia le /oglie a ratiii. Q;ii per siiiiHit. vorrd dire che Dio t,i levi da qiiesto viondo. V. I,. To te daio uu colpo in tul rervello. QuiiK'iokre, qui intorno. T^. L. Qtiiti' ollre. Masvrizia jier incrcauzia. Dificio , edijicio. Ed aveva uno slil de' quei dal bosco. Slile , dicesi anclie ulegno toiido , lunghissinio e diriuo,ina a8 - ANNOT. SOPUA LA CATRINA die noil ecceda una certa grossezza. P^oc. C. lo stile di cui qui si par/a deve esser questo , giaccJie portava la giiandola come dice in se- guito. Codiare , propriamentc andar dietro a una senza ch' e' se n accorga , spiondo con diligenza quel ch' e' fa , o dove e' va. Sembra pcro che il suo senso qui sia : non sapei'i tu osservarla tanCo da potcr distingitcre cid che era. Girandola , tonda macchinetta piena di trotnbe di fuoco , razzi ., ed altri fuochi lavorati , la quale girando schizza fuoco. Gran fuoclii la- vorati appesi a' cerchi che sostiene una pertica ch' ha in man quel moro , alia qual su su 'n vetta sta fitta una girandola. Buon. Fier. V. L. E dicevon , ch' egli era la girandola. T^. L. Do tu me frai venir la scouciatura , O Beco tu saresti spiritato , Se tu avesti \eduto una fegura. Sconcialura , propriamente Aborto ; per inetaf si dice di cosa imperfetta o mal fatia , onde sconciatura si dice anche aduom contraffatto ; mi sembra quindi che qui debba significare qualche jualanno. Trillare , per niuovere , dinienare con grandissima s'elocita. V. L. Er' ei de que' che fuggon dalla bore. De' que' marchiani. Marchiana , propriamente sorta di ciregia , die k molto grossa , onde essere o parer marchiana , dicesi di cosa , che eccede nel gcnere di die si favella , e si prende in Dl M. FRANCESCO BERNI. 2Q cattwo significato. Or questa si , clip sareljbe niarchiana ! Salv. T^. L. Uscito flol cirvello. V. L. Per tutti esti paesi. SCENA II. Codiai , qui e posto nel siio projirio sc/iso. F-^. sopra. V. L. Ve' che ti codiai tanto , the t'inCesi. Viio de moria , visa W appestato. Moria morbalith pestUenziale. V. L. Al corpo a dieci ch' egli e Mecariao. Come fro io aval. V. L. liaccomandati pure a San Donniiio. Ch'io per me la vo' dar qui n'entro al piano. Ch' io per me la vo' dar , cli io me no vogUo Quincen.tro , quaentro. J^. i Deput. Decani. 6'g. e 89. Quiceiitro. J-^. L. Deh , Nanni , stenta ancora un michinino. Stentare , ]>er aspetbare. Micolino , dim. di miccino die vale un pochin pochino. Ch' e' non mi m.indi i;i qualclie buco strano ; eqni- ■voco per avi'entiira sconcio , come noi dilem- ma , in f[uel paesf , abl in inalam oruccni. Sgucrruccia. La Crusca manca di questo x^ocaho- lo , it quale indica certo qualclie anna , forse una specie di scure. E vien boUendo. Bollire Jip. per rimhrottarc , hor- huUare. 11 marito solTeriva , c stava clieto , e 3o ANNOT. SOPRA LA CATRINA costei pur boUiva , e '1 marito le disse sta clieta > se non die tu potresti avere la mala ventura. Pecor. Vol. I. Giorn. V. Nov. II. pag. iiy. Ediz. Class. Ital. Come una bertuccia , hrontolare sotto oce , fa- ctndo con la hocca quel gesti che fa la sci- mia quando k in rahhia , che pare cli ella horbotti. V. L. E vien bollenclo, che non e bertuccia? V. L. S'io te rigiungo, ragazzuccio stiavo. Conciar , ironicamente per isconciare , gnastare , tratt.ar rnale , ridiirre in cattivo stato. T^. L. lo ti concrA clie non sarai piu buono. Smillantarsi , lo stesso die millantarsi. Che tu srai siavo, forse siavo vale stiavo o schia- vo , ma piu probahihnente vale savio cioe pru- dente , avvertendo , die la segiiente promessa ti dar6 il perdono d ironica. V. L. II vo' veder. B. Vien oltre , abbiate quella. Dar nella scarsella , cioe per quanto parmi battere sui panni senza offendere. V. L. O te dia Cristo. M. O te dia San Giovanni. V. L. In un gran pricolio. v. L. Non t' accrostar inqua pe' tuoi maglianni. V. L. Se tu t'accrosti. E sai cli' io me ne scrupo cioe forse e sai ch' io me ne offendo. Gridar al Lupo , prov. nsitatissimo , e vale dir piihhlicamente una cosa d'uno : E' non si grida mai al lupo , ch' ei non sia in paese , o ch' ei non sia lupo , o can bigio , 7ion si dice mai pubhlicamente una cosa d'uno, ch' ella non 1)1 M. pnANCESCO BEUXl. 3 1 sia o vera o presto die vera. Mi semhra perb die questo mudo ili dire qui sia preso in nii setiso pill letterale , cioe in qudio di abbajare inutilmenle , seuza far danno, come si fa gri- dando aL lupo senza itiscguirlo. J^. L. Vuoi tu nieco cristioiie' Grestion , qitestione , lite. V. L. Qi, Oi, B. O te dia Don Niccolo. Gavocciolo , enfiato cagionato per lo piii dalla peste , e dices i alle volte per tnanicra d iin- precazione. V^. L. lu fe de Dio , die s' io mi levo litta. ^. L. liuon giochi , Nanni. SCENA III. V. L. E tutt,' e tre balzerete in prigione. Tu vai cajendo , cercando. GU antidii cheendo , e caendo , dal Lat. Quterendo. T^. L. Che vi venga il gavocciolo intro I'ossa. SCENA. IV. F". Tj. E glic- qua Nanni, e Beco , e Mecatino. Rombazzo forse da Rombo , die proprianicnte sigiiifica quel romore e suono confuso , die fanno volando le vespe , pecdiie ec. e Jiguratant. per qtialsiv<}glia ronzio , o romore. ^. L.. Vovi far far la pace oggi s' io posso. Solatio , propriamente e quel luogo , die risguarda il niezzngiorno , qui e posto Jiguratamente , e mandar uno al solatio vorra forse dire man- 3a ANNOT. SOPR.V LA CATRIXA ilarlo all' aria aperta eel al sole, ciob al Campo Santo. Ghiarghione. T'edi Sceria I. pag. 20. y V. L. lo te df6 una. M. E ove si de dreto. / /^. L. Di San Casciano. Castiano , pacse a 7 migUa da Firenze sti la via che me?ia a Roma. Vogllano invecc di Vogliamo , per far la riina I'Edizionc del 1770. ha corretto malamente vogliamo. V. L. Che al sangne all' aria io te faro ratire. Ratire , tirar le recate , che sn^iono precedere la morte , cioe raced te di Jiato Lardo , sottile e lento ; morire di dolore. Lapo da Jacopo. T^. L. Di quei del Rapo. Unguanno , e Ugiianno , questo anno. Gran d'anno, cioe grano di iinanuo, cioe niolta scorta di viveri. V. L. Noi i-arcogliam pur ec. T^. L. Un brulicame. Bulicame e Brulicame , propriamente e il fionie , che si da ad alcnne vene d' acque , che sorgo- no bollendo nel piano di P'iterbo ; e pigliast eziandio per qiialunque sorgente di simili acque. Qui b posto per formicolajo che per siniilitudi- ne si dice in modo basso di gran quanLiia ili checchessia. La Criisca perb non da questo si~ gnificato alia suddctta voce. Quanli siale invece di quanti siete si trova usato anclie dal Cellini. E '1 sambuco derieto. O qui vuolsi indicare natU' DI M. rRANCESCO BERNI. 33 vahnentc una casa col /•uno , cd una qualche sieve dl sambuco , o fors' anco vuohi introdiir- re iiti equhoco nelle parole forno e sambuco deneto. Ciacoherina. Ciaccherino S dimiimtivo di Ciacco, Porcello. II Suhini alia jnirola Ci icro dice : credo die sia in canto da Jacopo. Del rcsto I'ale porco , dc- che in mangiundo^ e schiacciando la ghianda. Che me 1' addesi , yorye che nie la tolga. Paffuta , grassetta , carnacciuta. Sofficioccia , accrcscit. di soffice. I.a Cnisca non cita che quest' csewjno. Bracciatoccia atta ad abbracciare o ad essere ab- hracciata. Sfanfanare, struggere , disfare , consumare. Gambata. Aver la gambata , o la srincata , viodo basso esprimente I' Esclusione da matrimonio desiderata , die vien concluso con an altro ; e dicesi andie D.ir la gimbata, c/oe Prcnder per rnoglie , o per marito la dania , o il danio al- trai. Il Salvini ( Ann. sopra la Tancia ) da alia suddctta parula una spicgazione piu am- pia di qnesta riportata dull a Cnisca parlando della leggiadrissima, cornposizione intitolata La Gambata di Barinco , ore gli si dice : fasciati lo sliiiro. » Credo , die cio sia vcnuto {i:osl egli^ did t'oler rappre •cntcire an < ontraUeinpo , che quando uno corre a tutta carrirra verso un luogo ( poiche il dcsiderio portato dall' ali della spcranza , non ii altro die una cars i ) troika un inciampo tra via cade e batte lo sti/ico , o 3 d4 xnxot. sopra la. catrina la gaviha , e si riduce impotente a proseguire il cannnino. « Cosi ne vennero i nomi di stiii- cata , e gumbata , e semplicemente aver avuto uno sganiijetto , e fatto cadere. Ed haniie strascinato le parole , cioe ne ha tirato in lungo la promessa , non dandule tnai ejjetto. E tu t'avvoUi ec. Avvollire , voce contadinesca , volcre. A dini 1 ver tu se' uiia villana , e si t'avvoUi ; cioe E cosi tu il viioi. Buon. Tanc. T^. L. Andianmo un poco a domandarne lei. lo so' in tenuta. Dicesi in proverbio Chi e in te- nuta Dio I'ajuta per dinotare , che Chi e in possesso e di niigUor condizione. Che la te puta. Putire ad aicxino figuratam. vale Dispiaceigli. J>^. L. lo per me non saprei ec. J^. L. L'anello liagliel tu dato ec. T^. L. Un tratto il niio ec. Appipito , usasi scherzevolmcnte per appetito. Rugiolone , jnignn. V. L. Di darti , te so dire , un sorgognone. Questa parola sorgognone non trovasi nella Crusca , ma hensl sorgozzone , che vale anche per colpo dato nhriii verso il gozzo. Dandarne al cassone. Cassone vale anche Depo- sito , Sepolcro , sopra di cui e una lapida , e si dice ancora Area , per esscr fatto a questa foggia ; onde Andare al cassone , dicesi in mode basso , per Morire , c Mandare al cassone , per yiinniazzare. F'. L. Scr si , de rieto alia gonnella , ai panni. Camajlingona , accrescit. di Camarlinga , voce nl M. FRANCESCO Br.RNI. 35 nsata clagli autichi per Cameriera , o donzclla cli ilunna ili alto affure. Recipiente , per Orrevole e di laudahili tnaniere , Cotrvetievole , ConfaceiUe. In pnchi di le trov6 un niarito assai ben reripiente. Fir. Nov. Assiuolo , ucccllo notturno si/nde alia Cir^tta , se non die alberga per lo piu ne' mond , al contrario della Civetta , die ama le pianure , ed ha sul capo alcuiie peniie a foggia di cor- na , come I'Allocco e 'I Barbagianni. Capo d'As • siuolo dices i altrui per ingiuria , coine Capo di castrone , pecorone , ignoraute ec. T^. L. L'altra si porria ec. Tarchiata , ^^oce bassa. Di grosse membra ; Fcit- ticcia. La Beca mia e soda , e tarchiatella. Luig. Pule. Bee. Stietta , schietta. Vendereccia , o per donna agevole a trovare spac- cio , oppure per donna die si mitove per de- naro , o per nicrcede. MettegU una bore , la Crusca al §. Metier voce spiega Far correr fama. Ouesra bore fece met- tere, acciorche il Conte , ne altii si pensasse ec. Stor. Pist. Qui pero vale Chiamare : come dii dicesse » Dagli una boce. D;ue una voce signi- Iica Chiamare P'ardi. Ere. 86. SCENA. V. Stravalicare , valicare di siibito , trapassare con fretta. La Crusca cita quest' iinico csejnpia. 36 ANNOT. SOPRA LA CATRINA Ciglion , generalmente si prende per qunlunque rialto. Mnluscristo non si legge nella Crusca , ma ber/sl ]\lanuscristo, e Manicristo , sorta di confezione , la quale si adopera per le Pasticche. V. L. Hagliel tu mcsso? ec. Eccola qua la ladra. Ladro usasi anche fig. ed in forza d' aggianto , che talora esprime buona , e talora cattiva qualita ; e si dice tan to delle cose animate , die delle inanimate , onde Occhi ladri , vale niicidiali , che fcriscono colla loro bellezza , che ruhann i cuori. 7^. L. Che ciegli a dir? che m'avete scioperata. Scioprata. Sciopcrare , e scioprare , Levare chic- chessia dalle sue faccende , J'acendoH pcrder tempo. y. L. E io glie giiardo basso. ^. L. Dicol' io presio, e quel ch' io dico m' abbia. T^. L. O datti aval la rabbia. T^. L. Eh ha te 1' acetone. Acetone , specie di malattia , di ciii non ahhiamo altra contezza , che it nudo nome. Fu usato a modo d' imprecazionc , come Canchero , pe- ste , ynalanno venga ec. Rovenio non si legge nella Crusca ma hensi Ro- vinio che signijica Gran riimore. Pieni di de- siderio d'enlrar dentro Eicevaiio quel rovinio d'intorno alia porta. Fir. As. T^. L. E chiunque ec. Brulichio, V. sopra. Qui pero ha un significato un po' diverto , e vale , la piii piccola cosa. V. L. Io te far6 duo pezzi ec. ni M. TRANCESCO BERNI. 67 Che n'hai tu veduto ec. Questa maniera di dire non trovasi nella Crusca : mi pare che vo^ia dire : pen hS mat hai pensato , o ti h veimto in mente , o hai vnluto farmi quesio torto ? Bianroso , innlto bianco. Ri leva to , per hen allevato , cresciuto. Arabico , qui vale strann , harharo. Fatto a ritroso , futbo al cnntrario , a rovescio ; poiche prima aveva moglie , ed ora e senza. f^. L. Fatto al ritroso. I IL M O G L I A Z Z O FRAMMESSO M. FRANCESCO BERNI. i 4i INTERLOCUTORI. Nencione. Leprone. GlANNONB. Meja. 43 IL MOGLIAZZO. S C E N A I. Nencione e Lefhone. JV. v^nd' esci tu , Lepron , si spiicolato? L. Esco da quinavalle a seminare : Egli e uguanno tanto dirubbiato , Talche la lonza m' ho avuto a menare : E son , Nenrione , come un disperato , E temo il car no m' abbia a spricolare : Semino poco , non ricoggo granello, E per ristoro uguanno i' ho il bal^elIo. iV. AUe guagnel, Lepron, noi sianio un pajo ! r sono stato anch' io de' balzellati , E vanne tutto T olio , e '1 mio danajo , E ci6 , ch' ho guadagnato in su' mercati. E' ciltadin ci mandano al beccajo , E com' asini ci hanno scorticali: Ma s' i' potessi , ve', colle mie mani Gli scannere' , e poi gli dare' a' cani. 44 IL MOGLIAZZO Z/. Noi facciam de parole un semenzajo, Noi pur beliamo , e lor pongon la soma ; E s' hott' a dir , ch' e' ci colman lo stajo , Perche ci lianno le mani intru la chioma , E si ci avvoUan com' un arrolajo. E non val far cattiva la ciloma , Perche siam tristi , e 1' un I'altro accusiamo. A questo modo tutti spricoliamo. Laghiamo andar : che va' tu ratolando ? JV. E che so io ? tornavo dal mercato : r mi parti', venni qua valicando, Perch' i' fu' oggi de piatto chiamato Da un , ch' andava de moglie buzzicando ; Vengo a saper se se' deliberato A maritar quella tua fanciullaccia : Che vuo' tu fame ? 1' e piu de tre braccia. Z.Tu mi fara', Nencione, un gran piacere , A farmela logare a un saccente. Ma prima ch' i' lo faccia , il vo' vedere , E 'ntender ben come gli e sofiicente. Alle guagnel , ch' egli e giusto e dovere. JV. Io te giuro , ch' egli e recipiente : Egli e un garzonaccio spricolato , E sempre fa cristione in sul mercato. Egli ^ Giannon de Meo del Cernecchione , Ed enno una brigata de fratelli : Gli e Bero , Tonio , Tejo , e Fracassone , Che pajon ghiandajon proprio a vedelli: E sempre lian delle busse alle quistione , E porton cinti al cul tutt' e' coltelli : E son gagllardi, e son di que' del Ruota ; E dan pel fan go , come nella mota. t)T M. FHAVCESCO BERNI. 45 Lj. Com' enno ricclii codesri garzoni ? N- Non dimandar: gli lian tutti del gran d'anno, E vigae , e campi poco , e processioni : La roba in casa da lor poco afTaiino. L. Laghiamo andare ; usriam fuor di tenzoni ; Che vuol de dota ? questo el me' malanno. N. E che so io? vorrk venzei iiorini. L. Non lo vo' fare ; i' me n'andre' a' confini. N- Raltienti un poco : egli e de' priiicipali , Egli e un disrobbiato lagorante , E buon liifolco , e veggone i segnali , Gli spricola il poder fino alle piante : Gli ha sforacchiato in fin dentro a' casali ; E non ti diro un grosso mercatante : E suona lo sveglion , quand' egli e in bilico , ' E favvi su ; cJii semina il ha <:Uico. Vo', che tu gnene dia a ogni modo, E laga fare a me : ve' , della dota , DaragU un buco al campo allato al sodo. L. Io nul vo' fare. TV. Io non vo' che te squota : Non duhitare, io vo' che tu sria sodo; Per queste non ti fia la borsa vota. L. Io son contento far come te pare. N. Fatti con Dio : il vo' ire a trovare. 4& IL MOGLIAZZO S G E N A IL Si parte UN POCO, e comincia a chiamar GlANNONE GRIDANDO: O Giannone , o Giannon ; diavol ch' egli oda ! G. Chi e Ik ? chi e la? iV. Vien qua , che si' 'mpiccato. G. Alle guagnel , che gli e Nencion del Poda. Che diavol hai? tu mi pari accanato. N. lo vo' , Giannon , tu stenti oggi , o tu goda. G. Che c'e, che c'e? deh valica il fossato. iV. Deguazzati , e 'ndovina quel che sia , Demena tanto, che tu te n'addia. G.lo credo averla quasi masticata : Vorrestu mai , Nencion mio , darmi moglie ? iV. Alle guagnel, che tu 1' ha 'ndovina ta ! lo vo' , Giannon mio , darti pene e doglie. E dotti una manzotta adoperata , Che sar^ '1 primo , sebben te ne incoglie. Eir e una bellezza quant' un Papa , E tonda e bianca , che pare una rapa. Eir ha dua occhi in testa stralucenti , Da cavar fuor del mur tutt' e' mattoni , E '1 naso a tromba , e bianca iniino a' denti , Con quel pettoccio fresco , e que' poccioni , Che pajon duo ceston propio altrimenti ; E sempre ha dreto un branco de garzoni. Ed e boccata bene , ed c barbuta , E '1 capo ha grosso , ed anche e ben cauuta. ni M. rnANCESco berni. 47 Ne mai vedesd la piu dassajaccia : Non sa cucir , ne tesser , no filare , La iileri 'ii trul mese uu fuso d'acciaj Poiila pur la, e lagavela stare. Ma ve' , qaando la vuole , ella se caccia , E par ch' ella si voglia spricolare. Eir e chiesastra , e de far bene ha sete , E sempre mai la troverai col prete. L'e la Meja , figliiiola de Leprone ; E lianne un branco , e veston di colore , Gli e Beco , Tonio , Tejo , e Gernecchioiie , E '1 lor maggior si c dreto al minore : Gente propio da basse, e da crisiione , E fanno un gran fracasso e gran rumore , Son com' e' ghiri un branco de fratelli, E vanno in frotta come gli stornclli. O placet' ella ancor , ch' io ho da dire ? G. Ella .me place ; ma che di de dota ? N. Venticinquc fiorin. Non te fuggire. G. lo nol vo' fare. N. Io non vo' che te squota. G. Io vo', come Beccaccio, cento lire. N. Tu gli spali tra '1 fango , e tralla mota : Sono un nionzicchio de moneta appunto , Che non gli salteresti ma' a pit^ giunto. E per mcglioramento ti vuol dare De giunla ancora un pa' de bucellacci , Che ve possiate andare a strainare. G. Non lo vo' far , non vo' che te ne 'mpacci. IV. Dell laga fare a me , non dubitare. G. Guata , che in qualche buco tu mi cacci. Io so' content© , fa con descrizione. N. Fatti con Dio , i' vo' a trovar Leprone. 48 IL MOGLIAZZO S C E N A III. Or va a chiamar Leprone. JSf. O Leprone , o Lepron , che si' bruciato , Aval aval son stato con Giannone , E hottel un gran pezzo deguazzato ; E holla acconcia , se vorrai , Leprone: Ma fa die non mi guasti po' 1 niercato. L. Com' ha' tu fatto ? trami del burrone. iV. Venticinque florin, no far parola. L. Oh tu me 'mpicchi propio per la gola. lo nol vo' far , tu se' un pazzerone. JV. Lasciat' un po' , Leprone , strascinare. L. Nol far6. N. Si farai. Z. Tu vuo' quistione : _ . ... ... •' Tu mi conquidi, e vuomi spricolare. iVl O ponla su , mozzala , merdellone. Se' tu contento ? Z/. Si , postu crepare. iV. lo vo' trovar Giannon , ch' i' 1' ho accordata , E tutti andreno a ber poi de brigata. Or ponla su , Giannon, ch'i't'ho ammogliato : Leprone ebbi un gran pezzo a strascinare. Pur tanto ch' i' te Tebbi arrovesciato , E ci6 ch' i' dissi in doia ti vuol dare. G. lo so' contento , e sonne consolato ; E vo', che noi I'andiamo a trovare : Parmi mill' anni toccargU la mano. iV. Raticon poco andiamo oltre piaa piano. »I M. TRANCESCO BERXl. /() Or ponia su , Leprone , e tienla stietta. Ve\ ch'i'v'ho giunti insieme ingraliccliiati : Daglien , Lepron , segnata e benedettn. lo te la 'mpalmo , senza che la guati , E doitela per sana , e per perfotla, ]V. Or siete voi parenti ringraziali. G. Ed io la toggo , purche la me piaccia. L. Io so' con ten lo. N. Orsu , buou pro vi faccia. S C E N A IV. Leproxe ciiiama la Meja. Z-.Meja. M. Messer. L. Vien qua , qnesto e Giannone : E hottel dato , e vo' sia tuo niarilo. G. lo no la vo', ch'rlla va zoppioone. JV. Perclu': la cadde jeri, sc.emunito , E si si roppe di"eto il rodrione , Gli e suo nial vecchio , e lia tosto guarito. ilf. Ditcgli ancor , cli' io son buona lattaja, E rengo meno. Propriamente Trar(darc vuol dire languire , relassar'si ^ e quasi Kenir mcno per soverchia fatica , o caldo. Cliolo e Cliello , da Rusticello , e piit, verisimilmenta da Michele , a Michaello , oiidc corrotLarnente Michelle. « v/ - .,„, inci'' 'l^O/^l<7/mO(f- %T/ /Ol'a/2€^ LA TANCIA COMMEDIA RUSTICALE DI MTCHELAGNGLO BUONARROTI NELL ACCADEMIA. BELLA CRUSCA D E T T O V I M P A S T A T O. ^ DEDICATORIE DELLE EDIXIO I DE' GIUNTI E DE' LAN DINT. ^ 65 COSIMO GIUNTI X LETTORI. j_jA. Tancia , che 1' anno passato comparl addo1)bata di quelli ornamenri , de' quali si degnarosio quesri Serenissimi Principi onor.uia , ritorna di nuovo a Citt^ , e vuole lasciarvisi ne'siioi somplici e rustici panni pur rivedere ; siccome quella , che allora non rimase si abliagliata da' favori de' gran PersonaggI , clie ella si sia dimenticata della sua nafiiral condi- zione. E non avendo punto il grande nel rapo , ne r iimor di gcntildonna , non isdegna di farvisi cono- scere all'abito e alle parole per quel cli'ell'e: spe- rando non dovervi in questa maniera men piacere , di quel che ella altrimcnti vestita s' era piaciura. Se voi ora le farete di nuovo carezze accoeliendola nelle \ostre case ; sappiate che ella altrettante carezze fari 5 66 a vol , se mai avverrk che voi capitiate nel sao' paese , e nel suo tugurio. II quale quanto piu voi vedrete povero di seta e d' oro , tanto forse giudi- cherete piii ricco di allegrezza e di contentezza. Gradite pertuiito la Tancia tutta gia vostra : e vivete felici. 67 SERENISSIMA. GRANDUCHESSA jf o pntrei creder che la Toncia , semplice e ru- sLica dotizella , usasse molto di temerica in ardire di comparir al cospetto di y. A. S. se piii anni sono ella non fusse stata inanimata , e protebta talmcnte dalle Serenissimc Gran Duchesse Cristina , e Maria Maddalena Arciduchessa , che non isde- gnaron farla veder in TeaCrn pnhblico : e se eziandio non si potesse spcrarc , che siccome la singidar hontd e umanita di /^. A. costuma di gradire e di accorre con particolar cortesia quelle donzelle , che o fiori , ovvero primizie le recano y cosl non fosse per isdegnare la festa e 'I riso , che questa incolta villarmlla par chg n apporti nel suo inartijicioso 68 parlare. Non sard ne in ancora peravventura ac- cusato di teinerita , inentre io ( che per opera delle stamne , e di ijuesta niia dedicazioiie , La ronduco alia Real presenza di V. A. ) iengo ad cspriiner quella divozione , che a natural senitoie , quan- tunque inutile , si richiede ; eccitando intanto nella maguanirna rnente di V. A. occasion di esercitar la sua injlnita benignita. Ma perche io so , che nell' introdurre al cospetLo de' Principi alcana per- sona , conviene per molti ris petti esprinierne i nomi e le condizioni ad essa attenenti ; quello che si- nora , tutte quelle z^olte die la Conimedia della Tancia fii data alia stampa , si tralascib , si j>ro- duce al presente ; cioe il nojue dell' Autore , che fu Michelagnolo Buonarroti : il quale , mentre vive , non par che a me sia Iccito iniaginare e descrivcr qui alleqoria alcuna intorno a niuna scena di una tal Favola ; avvengache non di rado sotto V ima- gine di un suggetto uniile si racchiudano sentenziosi sentimenti , siccome par cosa manifesta della Bzi- colica di Virgilio , e d' altre. Ed a V. A. S. umi- lissiinamente inchinandomi , prcgo a quella da Dio ogni mnggior Jelicita. In Firenze U i6. Agosto i658. DI V. A. S. Uniilissimn Sen'O Gio. Baltista Lanclini. 09 PERSONE BELLA FAVOLA. Fesola Prologo. Cecco [ Villani. CiAPi: i Vil [NO j PiETRO Cittadino. La. Tancia Villanelle. La Cosj! NCIA -J ;a J Antonia -j INA 3 MoNA Antonia Villane. La Til Fa BIO Cittadino. GiANNiNO Villanelle. Il Berna I Villani vecchi. Giovanni It Pancia Servidore del Zio di Pietro. t 7» FESOLA PROLOGO. )^e 1 crin di stelle inghirlandato , e '1 manto Sparso di lune , se la verga aurata Oggi non mi palesa , e percln'- tanto Vissuta sono agli occhi altrui celata. Ma chiara esser vi dee la fama e 1 vanto Del mio nome : io pur son Fesola fata : Quella da cui Fiesole ancor si dice Quest' alma villa , gia cink Felice. Cosi la disse il mio gran padre Atlante , Atlante che col dorso il mondo estolle, AlloicW d'alte niura , e loggi sante Ulustre rese il fortunate colle ; Perche sendol' io cara sovra quante Aveva figlie', me fra tutie ei voile Altamente onorar di questa gloria , Eternando cosi la mia memoria. Regnai beata entro la nobil terra , Nido de' Tosrlii ancor si gloriosi , Finche de' Fiorentin 1' invida guerra Con lei distrusse i figli snoi fimosi. Allor con I'altre fate anch'io sotterra Entro I'oscnra buca mi nascosi , Per pianger quivi il mio scempio fatale, N^ piu veder I'inreparabil male. ya rESOLA prologo. Pensato avea di rnai non uscir fuora , Per non veder delle niie spoglie altera Laggiii suir Arno iiisuperbirsi Flora , E lieta festeggiarne ogni riviera ; Ma perchii fata io son , vidi pur ora Nel benigno rotar d' arnica sfera , Che sotto i rai delle Medicee stelle Dovean le rive mie rifarsi belle. E presaga die questa piaggia amena Oggi vostro splendor dovea far cliiara , O miei gran duci , Cosmo e Maddai.ena , O coppia di valore inclita e rara ; Son venuta alia dolce aura serena Di quel favor ch' ogn' aninio rischiara , Per inchinare e riverire umile L'alta mia Donna, e '1 mio Signor gentile. E ]ierche la virtu clie cio mi mostra , Egualmente mi fa veder ch' Amore , Per far dell' arte sua piacevol mostra , A voi ch' amate di si degno ardore , Per questa di bei colli ombrosa chiostra Ferira dolcemente piu d'un cuore ; Vengo a gioir con voi delle parole , E de'sospir di chi d'Amor si duole. D'una favola nuova il nuovo gioco Ascoltar vi sara soave e grato. Dian I'auree scene, dia '1 coturno loco Ad umil selva , a rustico apparato. Quel magnanimo cuor s'inchini un poco , Dair ali del desio di gloria alzato : E i profondi pensier de' vo^tri petli Giovi rasserenar con tai diletti. ihfa/ti ^ &«--; t y^^ /.,^!^Wn. 73 A T T O P R I ]M O. SCENA PRIMA, CeCCO , E ClAPINO. Cecc. Ascoltami , Ciapino : a dirti 1 vero , Til fresti 1 meglio a non tie ne 'mpacciare. Fa a mo' d'un pazzo : levane '1 pensiero , E attend! 'I podere a lagorare. Tu hai gia spcso un anno intero intcro Per voltr questa rapa confeltare : E ti becchi il cervello : e dico , e sollo , Che costei ti fari rompere 1 collo. Non vedi tu , rem' ell' e stiticuzza , Fantastica , irichgriata , e permalosa ? Ciiip. E quando rappetico a un s'aguzza , Nun val a dir che la carne e tigliosa. Cecco,'l morbo d'Amor tanto ni'appuzza, Che '1 guarune sare' dlfficil cosa. Cecco, i' mi muojo, e vonne a maravallc; r ho '1 nodo al coUo , e '1 Boja sulle sp^dle. ) j4 l-A TANCIA. Cecc. Stu dicessi davver , tu lasceresti , N^ le staresti a fiutar piu dattorno. Ciapin , se questa via troppo calpesti Tu non ti rinverrai a suon di corno. Chi 'n sul pero d'Amor vuol far de' nesti , Vede le frutte via di giorno in giorno ; Ma s'oggi son bugiarde e zuccherine , Saran doman cotognole e sorl)ine. Ciap. lo son troppo rinvolto nel paniaccio , Ne mi so cosi presto sviluppare. Cecc. Che ti venga '1 parletico 'n un braccio ; Cavatela del cuor col non I'amare. Cinp. S'io sapessi far testo , fuor d'impaccio Sarei , ne tu m'aresti a rampognare. Cecc. Se no'l sai, va lo 'mpara. Ciop. Chi lo 'nscgna ? Cecc. E' si suole insegnare a suon di legna. Ciap. A suon di legna? Che, con le tabelle? Foise in qualche mo' Amor s'usa incantajlo? Cecc. Col darii del bastone in su la pelle Mi dare' '1 cuor d'addossoti cavarlo. lo farei nn sonar di manganelle , Cir e' n'liscire' se tu v'aA'essi'l larlo. Ciap. Hai tu niiglior ricetta d'un' altr' erba? Cecc. Non io. Ciap. Cotesta a te si te la serba. Ma tu se' sempremai su le billere , E i' mi sento sfanfanar d' aniore. Tu ti pigli la berta per piacere , E piu ribobol hai ch' un ciurmadore. Non mi star piu su per le tantafere , Ajuta trarmi 1 diascolo del cuore : E fammi , se tu puoi , qualche servizio , Nanzi che '1 prete m'abbia a dir I'ufizio. ATTO PRIMO. ijS Cecc. O die vuo' tu da me ? clie poss' io farti ? C'uip. Tu lui puo'atar, se tu vuo', con cosLei. Cecc. Quand' io potessi in ogni modo atarti; Infine, infine che vuoi tu da lei? Ciap. Che tu le dica ch' io souo iii duo parti Doviso , su dal capo insino a' piei : E ch' io son mezzo suo , e mezzo mio ; Ma quel pezzo,ov'e'l cuore, a lei mand' io. Cecc. Vuo' ch' ella faccia di te del prosciutto ? II porco si sal6 , gia e iin pezzo. Ciop. Si vede ben , che tu se' uu Margutto. Rimano 'n ogni mo' cosi d'un pezzo: E bench' io sia dovisu , i' saiu tatto : E' mi par che co' dami non sii avvezzo. Non sai ch'Amor quand' entra 'n un cervello, Iiisogna sempre qual cosa di bello ? Cecc. Be' si, tu sa' di lettera, Ciapino : Tu ne sa' piu. che 1 notajo del vicario : E' par che tu sia ualo ciltadino , E 'nlcnda le leggende e '1 caleudario. Peusa che cosa e saper di latino , E saper dicifrar bene il lunario , E 'ntendere del messo le richieste , E far coir oste il conto delle preste' Ciitp. Las(;iamo andar or quesii gliiribizzi : Rl'iinporta piu la Tancia cli'ogni cosa. Cecc. Che diavul hai? E' par clie tu t'aggrizzi; Tu ha' latt' una faccia pricolosa. Cu/f?. E' par 'n un certo mo' che '1 cuor mi sfrizzi, Come clii mangia cipoUu acetosa. Deh pensa a farmi presto qualche bene , Cecco , i colpi d'Amor son male peue. 7() LA TANCIA Tu die se' suo vicino , e 'nsieme seco Bazzichi spesso , e se' del parentado ; Che la Bita tua zia , nioglie e di Beco Suo ciigin , che si chiama Gaporado ; Dell cosi di soppiatto a teco meco Dille ch' io son caduto in un mal guado: E che se presto ella non mi ripesca , Non fia posslbol mai che vivo io n'esca. Cecc. Oh tu mi fresti fare un lagorio , Ti so dir io , da non se ne 'mpacciare. Ciap. Perche no'l vuoi tu fare? Cecc. Addio, addio , Ch' oggi teco i' non vo' mal capita re. Ciap. Mai no. Ce. Mai si. CI. Deh vien qua , Cecco mio. Cecc. No , no , che tu mi fresti mazzicare. Ciap. O perche? I'e fanciulla, e' i' ho a tor moglie. Cecc. Ciapin , tu rlmarrai fuor delle soglie. Ciap. Perche mi ti fai tu si scorrubbioso ? Cecc. Quest' orzo non e fatto pe' tuo' denti : Eir ha un altro di te piu bel moroso , E sai , ch' e' la cavri forse di stenti ? Ciap. Oh ecc' egli uom si poco rispettoso , Clie me la voglia tor? Cecc. Non so , tu .senti. Ciap. Chi diacin e costui , che me la 'mbola? Cecc. Un che ti fra venir la cacajuola. Ciap. Dimmel se vuoi, deh non mi dar piu fune : Tu mi stravolgi '1 cuor com' un balestro. Cecc. Tanto dir6 , che tu dirai , non piune, E d'erba aniara t'empiero '1 canestro. Ciap. Dillo , che tu arrabbi. Cecc. II dico , orsune : Gli e un che va vestito di cilestro. Ciap. Oh tu mi fai venire il batticuore. Cecc- A dirti '1 vero , egli e Pietro Belfiore. ATTO PRIMO. 77 Ciap. L'oste di Ton di Drea ? Cecc. Cotesto si, Ciap. Oh sgraziato Ciapin ! che mi di' tu ? Cecc. Dissit' io , che t' aresti oggi tin mal di ? Ciap. INIi veggo rovinar giii colaggiu. Un cittadin la Tancia ? ola , toll ! Cecc. Non bisogna pensaroi troppo su. Ciap. E che viio' tu ch' io faccia? egli e 'mpossibole, Che di tal basronata io non mi tribole. Cecc. Per6 lasciala andar al brulicame , Ne volerti intrigar la fantasia. Ciap. Einie, Gecco , il fatto delle dame Chi non Io prova , il creile una bugia. Cecc. Basta , che se di questa tu hai fame , Tu ti morrai digiuno , sal mi sia. Ciap. Con questa nuova tua tu m' hai diserto. Ma dimmel , Cecco , sallo tu di certo? Cecc. Eir e piuvica infamia : e io Io seppi , Ore' ch' e' sia gii un mese a man a mano; Gh' i' er' andato a portar certi ceppi Un di di sciopro al Sere a Settignano : Io giunsi giii da Mensola in que' greppi Due che ne cicalavan di soppiano : E i' m'accostai lor cosi di dreto , E 'ntesi allotta dir questo segreto. Ciap. O come puo egli esser che fin ora Io non abbia saputo nulla mai? Cecc. Se tu se' siaio duo mesi di fuora , Che miracol e e' se tu nol sai ? Ciap. Fu' comandato a Livorno in malora Per venti di ; ma mi tenner piii assai. Cecc. Ombo , nel tempo che tu vi se' stato , Ci s' itu allorclTe' viene '1 temporale , 11 fare '1 fatto suo non e mai male. Pen') io che non vo' la sorta mia , Mentre ch' io I'aggavigno, lasciar ire, Ho deliberato, seguane clie sia , A qualche patto con coslei venire. Qiu'Slo temj)0 non e da gettar via. Che sari mai? non mi vo' sbigottire. Adoprati per me , Cosa garbata , Ch' anch' io li fn') del Ijene alia giornata. 8 Il4 I'A TANCIA Cojrt. Non mi s'addice entrare in simil cosa. Cecc. E' non c' e mal nessun : la vo' per dama , E poi , s' io posso , la vo' per isposa. Cosa. Chi da per se risponde , non si chiama. Cecc. Che vuo' tu dir? Cosa. Ch'io non la cre'ritrosa; Ch'e'si va bucinando ch' ella t'ama, Sebben del mio Ciapino ebbi paura. Cecc. Ciapin non ama no, stanne sicura. Cosa.Ma tu da quand' in qua le vuo' tu bene? Tu eri gia tenuto un dileggino. Cecc. Amor non vien altrui da uom dabbene : E par ch'egli entri per un bucolino, Quand' un nol vede. Cosa. Chi '1 sa me' di mene? So com' ella m' and6 col mio Ciapino. Cecc. Amor di sotto accenna , e da di sopra. Duo paroluzze m'han messo soz^opra. Duo paroluzze , ch' una donna dia , Un saluto, un inchino , o un sol guato Posson piu altrui svoltar la fantasia , Che quanti buoi si siano a un mercato. Cosa. Non ti so or negar cosa che sia , Tanto ben parli , e tanto se' garbato. Cecc. E s' io non sono , e' ti potre' parere ; Pure he tu facci a me qualche piacere. Cosa.Che vuo' tu con la Taucia io faccia o dica? r le dir6 di te del ben buondalo ; Ma i' non vorre' la mi fusse nemica: Tu sai ch' ell' ha 1 capricrio arrovellato. Cecc. E' basta : e d'altro non mi euro mica: E s' eir i capiicciosa , i' so' arrabbiato. Ma per quel ch' io sentii , i' ho speranza Non r abbia a tUspiacer d' esser mia amanza ATTO TERZO. Il5 E io come m'ho io per te a oprare ? Cosa. Non Io vo' dir da me, i' non m'ardiscio. Ceco. Orsii , buon buono , i' so quel eh' i' ho a fare : Ve' com' ella ha mandato fuora '1 liscio ! EU'e arrossita: non ti dubitare, Ch' e' non infragne d'Amor Io scudiscio. SCENA TERZA. GlANXlNO, CoSA E CeCCO. Giann. OCosa, vienne. Cnsa. 0'\m^ ch'io son rhiamata. Giaiin. Vienne , mia ma' la micca ha scodellata. Cecc. Debb' esser ora d' asciolver : va via. Cosa. I' vengo, i' vengo. G/V7««. Orsii , vienne, su alto, Vienne , ch' io non arei la parte mia : Gli e un cavolon , rhe fummica tant'alto. Cosa. Addio Cecco. Cecc. Addio Cosa, pro vi fia. Giann. Io vo' far or per allegrezza un salto. Cecc. Evvi cipolla ? Giann. Si, fa tu , tamanta , L' ho 'nsalata , condita, e holla infranta. IlD LA TANCIA. SCENA QUART A. Cecco solo. Cecc.l\ veder che costei ami Giapino, Se la Tancia nol vuole , utol fia niio : Che s'egli ha altrove d'attaccar roucino, II lasciar questa gli parri men rio. E i' mi potro sooprir per damerino , E farmi intanto innani^i , e chiederl' io. E forse s' a lui dico , com' e vero , ^ Gh' ella nol vuol , ne lever^ '1 pensiero. > Be' si , i' ho tanti affaii per le mani , Ch' io n'esco a ben, se gnuii me ne riesce ; Ma s' io dibarbo questi pastricciani , i Se queste noci non mi son niak^sce , « E se la Tancia acchiappano i mie cani , ' D' averci dato d' opra non ni' incresce , Che s'i' ho di Giapin rimordimento , E piu pel cittadino io mi sgoraento: {' Qualche eosa sari , in Ik s ha a ire. SCENA QUINT A. Fabio, e Cecco. Fabio. Che si fa, uom dabben ? ch' hai tu costi? Cecc. Ecco qua un che mi vien a impedire. Vossignoria , Dio vi dia '1 buondi ; ATTO TERZa. II7 Ho qui certe rigagUe. Fuli. Come dire? Cecc. Un panierin di ciliege , buondi , De la insalata , e un mazzuol di spaglieri , E un pa' di poUastdn magheii magheri. S' e' ve ne piace , e' son vostri , messere. Fah. Tu se' un galantuom : dove gli porti? Cecc. A un cittadin ch' i' ho cliiesto uu podere , Del casato di que' che fan pe' gli orti. Fab. Di quale ? Cecc. Del Belfiore. Fab. Sta a vedere, Per voler ir pe' tragetti piu corti , Non ritrovo 'I suo luogo ; ch' io non I'erri; Vien mero. Cecc. Andate su tra questi cerri; Per ch' io aspetto qui un mio compare , Non vorre' per disgrazia mi scappasse. Fab. Io ri ringrazio. SCENA SESTA. Cecco solo. Cecc Lasciamlo un po' andare : Sagga da se quell' erta s' e' crepasse ; Ch' i' non vo' per costui hadaloccare , Che se la Tancia oltre qui capitasse , S' io fussi colassu , non la vedrei : Vada da se ; ch' io faro i fatti miei. Il8 LA TANCIA O guarda un po' s' e' me 1' aveva fitta ! Ercola, ch' a lavar la va 1 bucato. SGENA SETTIMA. La Tancia , E Cecco. Tanc. Vo' posar il vassojo qiiiciritta : Non posso piu. Cecc. Che ha ella ? ch' e stato ? Tanc. O Cecco, ascolta. Cecc. Tu se' si affriua? Tu piagni? che ha' tue? chi t'ha rlato? Se' tu cascata? T. Ho dato un gran cimbottolo , E ho battuto del capo in un ciottolo. Cecc. Che vuo' tu dir? tu parli per gramata. Tanc. Tu non m'ara'a parlar piii di Ciapino. Cecc. Perche? di. T. Mi vergogno. C. Ella non llata: Dillo , boccuccia mia di sermollino. Tanc. Si dice che mio pa'm'ha maritata. Cecc. A chi? non piagner, dillo. Tunc Al cittadino. Cecc. Pro ti faccia. Ciapin questo ti costa: Ne accorre i' ti faccia altra risposta. . E i' appunto ho avuto 1 mio dovere : Che 'n su '1 bel del venirmi una gran sete, Mentre ch' io mescio , s' e rotto '1 bicchiere. O innamorati , sicche voi vedete. Di '1 ver, mi cominciavi a ben volere? Tanc. E di che sorta ! e' n' lian piati le prete. Mala cosa e 'i cervel volger 'n un la to, E a forza altrui seniirlo in \k tiraio. ATTO TERZO. I IQ Cecc.O Tancia , appunto mi yrillava'l cuore, Sendomi avvisto di parerri bello : E m' era messo gia su 1 fil d'Amore , Pensando un tratto di darti I'anello. Tanc. Oime! mi svengo; tu mi dai dolore. Cecc. Sfd^hiati 1 sen. T. C'el nodo. C. To' 1 coltello. Piglialo , taglla , appoggiad al vassojo. Tanc. Cecco, i' mi svengo: Gecco mio, mi muojo. Cecc. Oime , la se ne va , oime la passa ! Che r ho io fatto , cW ella se ne muoja ? r.lla si strugge in un tratto, e s'appassa. Povera Tancia , ella tira le quoja. Oh , oh , ella straluna , e gli occhi abbassa : To' ve', ch' ella intirizza , oh cocoja ! SCENA OTTAVA. PiETRo, Cecco, e la. Tancia. Piet. O ribaldarcio , che fai tu costl ? Briccon , ghiottone , levati di li. Cecc. La vostra Signoria , state ascoltare. Piet. Che ha costei? su, dill' a un tratto. Cecc. V vel di . . . . vo' mi fate spiritare. 1' vel dir6 , 1' e svenuta di fatto : r era qui per volerla ajutare , E non I'ho fatto gnun mal , non I'ho fatto. Piet. Eri tu seco , o se' venuto poi? Cecc. r era quel che vo' volete voi. I 1 20 LA TANCIl. SCENA NONA. PlETRO , E LA TaNCIA. Piet. Tu ti scosti , tu fuggi , torna, ascolta : Tu fuggi, ribaldon? qualcosa e stata j Ma io ti giugnero un' altra volta : Noil la vo' lasciar qui abbandonata. Che hai tu , Taticia? rispondimi , volta "? In qua la faccia : halt' egli svergognata In quale he modo , si che per dolore Ti sia mancato in tal maniera '1 cuore? O Tancia mia , che ti seuti tu ? parla , Risvegliati , appoggiamiti al seno. Io vo' provar un poco a soUevarla. Eir e venuta interamente meno. Avess' io qualch' odor da confortarla , O fusse qui dell' acqua fresca almeno! Non la posso ajutar con cosa alcuna : O mia disgrazia ! o mia trista fortuna ! Che ^o ? che poss' io fare ? ola , ola. Deh se costa passa nessun per via, Venga a far I'opra della carit^. Ma i' non so quel che fra' pie mi si dia : Gli e un coltello : oime , che sara ? Certo ch'e'l'ara fatta villania. Domin ch' e' le volesse tor la vita! Ma io vo' pur veder s'e'l'ha ferita. ATTO TERZO. 121 S'e'lha ferita , e' la ferita sotto ; Che fuor noii se le vede nessun male. Forse , da qualche bruita voglia iiulotto, L'ha voluto far forza I'liom bestiale. OI^ , ola : ancor nessun fa motto : Nessun risponde. Or se 1 chiamar non vale lo voglio andar per quella contadina , Senza piii indugio , die sta qua vicina. Ma io non la vorrei per6 lasciare Qui sola mezza morta nellastrada: Pur a volerla finahnente ajutare , Per qualche donna egU e pur ben ch' io vada. Torner6 presto presto : i' vo' sperare , Ch' altro di male intanto non le accada. Forse , poiche qui 'ntorno nessun sente , Toin*J>"o innanzi ch' e' ci passi gente. Non ere' che Cecco sia si poco accorto , Ch' e' ci torni, s'egli ha cara la vita. Che s' io ce '1 trovo , e' pu6 darsi per morto, S'io posso addosso attaccargli le dita. SCENA DECIMA. La. Tancia sola. Tanc. Cecco, o Cecco, deh va fin uel mio orto , Co'mi una ciocca di salvia iiorita. 'Pu non odi eh ? va col^ , e nel vin pretto Tullala , e me la spruzza poi sul petto. 122 LA TANCIA Oime ! ecco un akro sfinlmento. Ajuto, Cecco. SCENA UNDEGIMA. Cecco, e la Tancia. Cecc lo vo' di qua tornare Per veder se colei usci di stento ; Ma i' vo' pian piano un po' ben ben guatare, S' io veggo oltre qui Pietio , o s' io lo sento. Cancherusse ! e' mi fu per ingojare. Non era tempo da piantar la 'nvilia. Diaschigni ! ho digiunata la vigilia. O vacci sralzo ! so ch' e' m' are' roncio. So' stato ascosto in una querela vota : Mi sarei fitto certo anche nel concio, E sto per dir 'n un destro , nella mota. Non ch' altro a veder fargli sol quel broncio, Par che tutto pe '1 dosso mi riscuota. Gli e delle mani, ch' e' par uno Sguizzero , UnTrucco,unlanzo,unbirro,unGiovannizzero. Oh, oh, che diavol fia ? che ti diss' io ? L' e la distesa , e ciondola le mani: L' e morta certo : oime ! che lagorio E stato questo a un trattoVo San Brandani. Vi debb' essere '1 morbo in quel bacio; E' sark ben lasciar questi pantani. E' c' e qualche serpente avvelenato , Ch' ammazza forse le genti col fiato. ATTO TERZO. 125 Tanc.O poverin a me! Cecc. Sta sta, cli' e' pare, Ch'ella rinvenga; la parla. T««c. Deh atami. Cecc. La si comincia un poco a rulicare. Tancia , i' ci son , non ti duhitar , guatami. Tanc. O Cecco tiemmi , r.h' io mi vo' rizzare. Cecc. Appoggiati. Trtnc. Oime clie 1 ruore sfiatami. Cecc. Sta un po' salda. Tanc Io sto. Clie guardi tu? Cecc. Guardo se Preto intorno fa cu cu. Che per chiapparmi al valico a un tratto , Cre' ch' e' ti sia qui presso a far la scorta. Tanc. Qualche mal m'ara fatto di soppiatto , S'e'c'e venuto quand" i' era morta. Cecc. r mi fuggii, ch' e' ne veniva ratto , E tu hasivi , e non te ne se' accorta. Poi ritornando t' ho vista sdrajone ; E e' qui 'ntorno dee fare il gattone. Pero e' sara ben dar de' pie 'n terra ; Che se cestui ci fusse , per mia fe , Noi iremmo, ti so dir, la brutta guerra. Ti vo' lasfiar , addio , riman da te. Tanc. Sta un porhino. (^ecc. E se Preto m'afferra, Non gli esco piu di man : tu sai chi egli e. Se tu se' sua , bisogna ch'io lingozzi, £'1 raio amor vadia altrove a accaiiar tozzi. Ma clie diascol d'infrusso ho io addosso, Ch' e' mi convlen fuggir a ogni poco? r arei tolto a rodere un mal osso , Se con un cittadin volessi 1 giuoco. Contender seco , a lungo andar , non posso ; E del poder sari ben fame fuoco. Tanc. Non ti partir ancora. Cecc. S'io Io so. Tanc. Sta un po' di grazia , Cecco. Cecc. No no no. 124 ^'^ TANCIA^ TancDeh sta un po'; che'l cuoie ancor mi duole: Mi senio addosso un gran formicolio. Cecc. Orsu io sto su. Tanc. Parami un po"l sole. SCENA DODIGESIMA. PlETRO, CeCCO , LA TaNCIA , MONA AntONIA. , E LA Tina. Piet. Su donne camminate , ch' io m' avvio. Cecc. Senti ch' e' ciarla , io non vo' sue parole. Non piu amor, no, no, addio, addio : E 1 ben che per due ore io t' ho volute Rannunzio a lui , e per me Io rifiuto. TVz72c.Orsu, i' verr6 anch'io, dammi la mana , Gh'io non mi reggo. Cecc. Velio, di dov'esco? Tanc. Va via si, fuggi pur verso la piana; Che s' e' ti giugne , Gecro , tu stai fresco. Piet. fuori. Ogni paura sark stata vana , II viso r e tomato bello e fresco: Ella s'e sollevata , non vedete? Tina. E' non occorre donche andar pe '1 prete. Ant. Farle qualcosa in ogni modo e bene : Veggo ben io ch' ell' ha le labbra smorte. Piet. Che si puo far? Ant. Grattarle un po' le rene: Spruzzarle '1 viso coll' aceto forte. Tina. Ma la ricasca 'n giu , la non s'attiene: E' fu '1 miglioramento della morte. Piet. Eh mon'Antonia, non I'abbandonate ; Ajutatela pur , non dubitate. ATTO TERZO. 125 Ant. GuarcUue qua , i' ere' ch' ella sia morta. Tina. V ('. viva: ve',ch'e'par ch' ella s'allunghi. Ant. O ve' com' ella fa la bocca toita ! Tina. Ch' ella noa al)bia mangiali de' funghi. Ant. Se le dara quel benedetto a sorta : Bisognera die con qualcosa io V unghi. Piet. Mettetele un po' 'n seno, nion' ^ntoaia, Questa barba ch' io porto di peonia ; Che qiies^a e buona per il mal caduco. Ant. II mal cadulo e e' quel benedetto? Piet. Si, V. Ant. Cogliam duo foglie di samljuco, Stropicciamle ben ben con esse '1 petto, Tanto ch'e'n'esca affatt' affatto 1 siico; Poi piglieremla , e metteremla a lelto, E I'ugnerem con 1' olio di lucenia Da capo a' [)ic , clie ogni male spegna. Piet. E va per rima : oli pazze medicine! Guardate a non le dar iroppo tormento. Ant. Pensate che noi nou siam cittadine, D'aver qualch' alberel di buon unguento. Tina. Fareste 1 meglio a levarvi de quine, E lasciar far a noi ; che gia io sento , Ch' eir e 'n su "1 riaversi ; e se si rizza , A veder voi n'ara vergogna e stiz^a. Che sebben ell' ha esser vostra moglie , Abbiate pacienza per adesso , Non ne sta ben , che mentre le si scioglie II gammurrino, voi le stiate appresso. Piet. Oli e ver ; ma fate pian con quelle foglie. Ant. E non ci state a veder per un fesso : Andate via. Piet. Ma dove la merrete? Ant. Oh, a casa 6uo Padre: che credete? 126 LA TANOIA Piet. Abbiatene di grazia buona cura : E fare 'ntanto , che gtiun le s'accosti. Tina. Andate via , non aVjbiate paura. Ant. Ye' com' ella ci ha addosso gli occhi posti! Tina. L'ara qualche malia per isciagura, Piet. Ma a que' villani i' vo' ior ch' ella costi. Con Cecco forse Giapin , ch' e un tristo, Ci sara stato , e i' non I'ari visto. L'aver qui Cecco da costei trovato In quello stato , noii mi par buon atto. Temere , e non poter parlar m' ha dato Da dubitar di lui qualche malfatto. Poi quand'e's'e con parole aggirato , Fuggir di colta m'ha chiarito affatto. E sai, s'e'non m'avea chiesto il podere II furbo ? ma i' vo' fargli il suo dovere : SCENA TREDICESIMA. MONA AnTONIA , LA TiNA , E LA TaNCIA. Ant. Frega , frega , stropiccia , e ristropiccia , Par ch' ella un po' rinvenga , e poi cUa 'n giii. Tina. Ve', com' addosso ella ci s'aggraticcia: Eir axk forse i bachi : che di' tu ? Ant. Chi sa ch' e' non sia '1 mal di mona Riccia, La moglie di Fruson da Miransii. Tina. Sai tu parole da inrantar gnun male? Ant. Per chi ha mangiato funghi. Tina. Dille avale. ATTO TERZO. I 27 Ant. Dimmi tu dreto. Tina. Si. Ant. Fungo di pino. Che ridi? di su via. Tina. Fungo di pino. Ant. Fungo di pino , che nato jarsera. Tina. Fungo di pino , che nato jarsera. Ant. Che nato jaisera a quell' acquitrino. Tina. Che nato jarsera a quell' acquilrino. Ant. Cresfi bel fungo , cresci sin a sera. Tina. Cresci bel fungo , cresci sin a sera. Ant. E sin a sera , e sin a mattutino. Tina. E sin a sera , e sin a mattutino. Ant. Fatti '1 cappello , mettiii la ghera. Tina. Fatti 1 cappello , niettili la ghera. Ant. E cresci tanto , e tanto innanzi al sole. Tina. E cresci tanto , e tanto innanzi al sole. Ant. Che guarisca costei dove le duole. Tina. Che guarisca costei dove le duole. Questa non veggo che le giovi punto. S' e' se le desse per sorta quel male , Sacci tu nulla? Ant. lo soglio tor dell' unto A cotesto , e vi spargo su del sale. Piglio un fuscel di sanguine, e I'appunto, E poi v'infilzo un formicon con 1' ale : Tuffol nel lardo cinque volte almeno, Poi metto altrui quel formicone in seno. Ma qui lardo non c' e , non si pu6 fare. Tina. Questa dehhe altrui far gran giovagione. Ant. Dico ch' eir e la man del Ciel , comare. Tina. Ma che vi di' tu su ? Ant. Parole buone , Che pensi .1* Tina, ^on sarebbe ben provare A dirle senza stecco , o formicone? Ant. V vo' prima veder s' i' ho qui 'n tasca A sorta quale he chiave. Tina. E che accasca? laS LA TANCIA Ant. Ma io non 1' ho. Perche 'n tal male altrui Si mette addosso una chiave : di cheto , Ch' egli noa seiita , e non veggn colui , Ciie glie la mette. Tina. Oli s'e' ci fusse Preto, N'are' fors' una da metterle lui. Ant. Non doveva saper qiiesto sagreto, Ch' e' re lare'lasciata , e I'ugna ancora , Gh'eglihadelUgranbesLia. T.Ordi 'ubuonora. Ant. Benedelto , maladetto , Che trovasti apcrto 1 tetto , E srendesti al biijo al letto , E entra-sti in questo petto ; Vienne fuor , non ci star piii. Odi tu ? semi tu ? ^'^ien tu su ? odi tu ? Vienne via : dmnmi la mano; Vienne via pian pian pian piano : E s' esser non vuoi sentito Piglia 'n bocca questo dito. Mettile , Tina, in bocca un dito, e senti Se 1 nial le vien su alto per la canna. Tina. Non lo vo' far, la diruggina i denti : Ella digrigna : guata un po' che zanna. Ant. Egli e ch' ella rinvien : non ti spaventi. Tina. L'ha una bocca, ch' c larg.i una spanna. Ant. Mettivel piano, ait. lo ci so questa bi'lla diceria. Mi succionno gli oni i sorci , Mi becconno i poUi i pc^rri , Mi mangionno gli agli i porci : lo gridava corri corri , E' sorci , e' polli, e' porci fuggir via. Malia malia Succinti i sorci , Becchinli i polli , Mangiiil.i i porci , Com' e' succionno , Com' e' becconno , Com' c' mangionno Gli orci , e' porri , e gli agli mia. L'ha altro mal , la si sta giix , e chiosa , E queste medicine non appre2za. Vo' che no' andiamo a Rule quella cosa? Tina. Che cosa? Ant. Un argomento con piestezza. Tina. Cotesta i'l'ho per troppo pricolosa. Ant. Ma s'ella ha 'n corpo qiialclic ripienezza, Bisogna pur ajutar la natura : E tu di pian , non le mettcr [)aura. La si sbigottirebbe. Tina. In (|uaiii.o a quesio L'are' ragione: o va un po' te'l fa. Ant. Tu tcl fresti , e rifresti presto presto : Iddio ti guardi dalle nicisLa. Tina. Gli e un lagoro molto disonesto. Ant. Non ha tante vergogne, chi'l iikiI Iia. Tina. Chi gliel far^? sapra' gliel tu i'ar lu .' Ant. Buouo , io n'ho fatti da cinquanta 'n su. J.30 LA TANCIA. Meniamla \Ia, non e piu da indugiare: lo la reggo di qua , va tu di lae. Tina. Oh Te gravaccia ! la mi fa crepare. Tunc. Dove sou io ? meschin' a me , chi m' hae Portato qui ? clie vuoi , clie vuo' tu fare ? E tu perche mi strigui? Ant. Sta su, e vae. Tina. Oh, lasimuov'un poco. Tanc. Cecco mio^ Dove se' tu ? le mi menan con Dio. Ant. Quest' or crescer , e or scemar affanno Mi fa pensar ch' ella sia spiritata. Tina. Oime ! no di grazia. Ant. Perch' unguanno C e spiritata di molta brigata. Tina. E' sare' propio un peccato , e un danno : Non ce n'e un' altra come lei garbata. L' e lo spasso e '1 trastuUo di suo padre : L' era '1 iico dell' orto di sua madre. 1 1 fine del terzo Atto. lol IntERMEDIO De' PeSCATORI , E DELLE PeSCATRICI , CANTATO E BALLATO. Clii 'mpar6 I'arte d'Amore Sa far anche '1 pescatore. Preso cuore , Cuor die ami Sa die cosa sono gli ami. Con ami, reii, mazzacdiere , e esca Fa andi'Amore de'cuoii la pesca. Diinque noi d'Amor compagni Per li ratti , e per li stagni Ove bagni II JNIugnone Seguiiiam la pescagione. Getrisi I'amo , la reie si teiida, La zucca si porga , '1 pesce si prenda. Vedi qua com' egli sguizzano , E la coda in alto drizzano , E s'aizzatio , E 'n quel tonfano Laggiu godono , e trionfano! Tu fruca, tu fruca L\ 'n quella buca : Tu fruca , tu fruca , tu fruca fruca. Ma se 1 liume si fa grosso , S' e' ci vien la pieaa addosso , Qualclie fosso Ci sari ; E se quel ci mancheri , Almen fuor dell'acqua per piagge e ville Al fin pigUercmo di quest' anguille. (5a ATTO QUARTO. S C E N A PRIMA. ClAPINO , E CeCCO. Ciap. 1\| on ti fular , ml diceva niio padre , Non ti fidar di gniin , ma fa da te : Non ti fidar s'ella fusse tua madre , Che sai pur quaiito dabben donna ell' e. Corpo del ciel ! le son pur cose ladre , Che tu abbia tradito cosi me , Che iidato t' arei quanto tu vuoi , La casa , il pane e '1 vin , la stalla e' buoi. Tu m' hai trattato in mo' ch' io non credetti : Tu se'venuto a mieter nel mio campo, E 'n sul tuo hai porta ti i cavalletti ; Tu m'hai 'ngannato, e sine meni 1 vampo. Cecc. Vorrei che noi venissimo a gli affetti , Che nel mio favellar tu dai d'inciampo. Non tel voleva dire , e tu volesti : E ti son or tropp' agri quest' agresti. * ,*t/A*/// /'///• jutz-ffff mat J^ui , tiUfti^n, •■^an c. t "fffv Il':Sn,fe.m i ATTO QUARTO. l33 Ciap. Tu per questo la Cosa mi lodavi , Ch' eir era si grandona e rigogliosa , E per questo oggi tii mi stoiisigllavi A cercar piii la Tancia per mia sposa ; E iiigojartela tu te la pensavi Con questa bella canL^ pelosa. Cecc. Non ci aveva'l cervel, poi ce 1' ho messo, Perch' ella nou vuol te : m'iutendi adesso? OVz/J. Pensa , che s'io guardassi al brulichio , Ch' io mi sento di dreuto pel rovello, Ti mostrerei, che tu se' stato rio , E se' un mal bigatto , un trafurollo. Cecc. Slravolgi un po' gU orecchi , Ciapiu mio : Ti vo' 'nsegnar un assempro , ch' e belle. E se questo non t'entra per I'umore, Allor di che'l tuo Cecco e traditore. Fa conto cli' a Firenze tu andassi In beccheria per Mercato veccliio : E d'un pezzo di bestia domandassi, E '1 beccajo non volesse darti orecchio ; Perche quivi scevrata la serbassi Per un amico , o un bottega' vecchio ; Non potresti dolerti di cestui , Se '1 beccajo V ha serbata apposta a lui. Cosi la Tancia e di came un bel pezzo , E Amore appuntameute n'e'l beccajo: S'Amor non ti vuol darla a nessun prezzo , E vuol donarla a me sanza un danajo ; S'io gnene so '1 buon grado, e s'io I'apprezzo , Non dei metterti 'n capo I'arcolajo : Tu non dei imbizzanir : vuo' tu a'cani Darla, perch« nou 1' abbiano i cristiani? l54 ^-^ T.VNCIA. Ciapino , intend! ben. Ciap. Tu hai raglone : L'e la sorta ch' ha tolto a forbottarmi. Cecc. Non si vorre' si presto far cristione , E venir , come fan gli sgherri , all' armi. Ciap. Lasciar Ciapino , o Tancia , per Ceccone 7 Fortunella d'Amor , che puoi tu farmi? Lasciar Ciapino, o Tancia, ch'altro bene Non ebbe al mondo , o altro cuor cbe tene? Ciapin , che sempre da sera , e niattino , Vuo' di di festa , o di di lagorare , Ti venia dreto com' un cagnolino, Che lo potevi a tuo mo' far saltare j Ciapino , Tancia cruda , quel Ciapino , Che per tuo amor non s' e volso ammogliare : E ha lasciato andar tutte le dame , Perche tu pigli un viso di tegame? Cecc. Ola Ciapino. Ciap. Chetati di grazia , Perche tu pigli Cecco , e lasci lui Per di manco valuta ch' una crazia? Orsu va via , godiii costui : Piglialo , portal teco : se' tu sazia ? Cecc. Ciapino, non I'ara gnun ch noi dui: Eime ! ch'io non t'ho detto '1 resto ancora: La non e tua ne mia questa signora. Ciap. O dalle del signora per la lesta. O di chi e ella? dillo. Cecc. Ho detto '1 dritto A dir signora : il cittadin 1' ha chiesta , E I'ara poi , ch' e peggio ; ch' e' v'e fitto , E vuoUa al certo , e ella si tempesta ; E cadden' or pe '1 duolo a capofitto. Ciap. Oh che di' tu ? Cecc. lo non vo' piu pensarci : Non vo' die Pietro in duo pezzi mi squarci. i ATTO QUARTO. l55 OV?^. Donrhe bisognera ch' io mi disperi? Cecc. Fa '1 conto tu : disperati a tua posta. Ciap. Mi ^eggo a pricission pe' cimiteri Per entro un catafalco andare in glosta. Cecc. E io, che era degli amanti veii , So dir che questa stincata mi cosla. Cinp. Le pillore d'Amor son molto amnrc : r vo' 'mpiccarmi , i' mi vo' strangolare. Cecc. Io sto per disperarmi teco aiich' io ; Ch' io I'avea posto amor dirottamenle: E l vederia svenir per amor mio Mi cavo 1 cuor del corpo veramenle. Ahnanco almanco i' mi voglio ir con Dio. Cinp. Non val fuggirlo chi dreto se'l sente L'Amore. Ce.Eche s'ha a for? O'. Creparafiiitio. Cecc. Io non so se s'eben. Ciaj). Provi.imlo un Iratto. Io per me vo' morir , nessun mi lenga. Se tu se' disperato , fa 1 simile. Cecc. Io son contento, su , la morie venga; Levami 'n spalla a uso d'un barile. Ciap. Entrimi 'n corpo 'I fuoco , e non si spenga: Struggami fin ch' io sia sottil sotlile. Poi r ossa abbruci fin ch' e' ve n' e lisca : E I'Amore e la rabbia , e me finisca. Se tu I'avessi avuta tu a sposare"', Del mal del mal Tare' vista tal volta. Tu m'aresii un di fat to tuo compare , Chi sa? Cecc. Ben sai. Ciap. Ma or s'ella c'e tolta, L'andrk a Firenze , e non vorra degnare , Neir ormusin da capo a pie rinvolta. Porlera al coUo una gran gran gorgiera , E un baver alto com' una spallicra. I 1 36 L-V TANCIA Cecc.V ark a schifo la grascia , e 1 camojardo ; Portera 'ndosso un vestir signolire : Pietro dralle un diamante , uno smelardo ; Pill su di questo non si puo salire : E' suo' CLigini Jacopo , e Ghelardo , Quel picchinin , clie par alto un balire , Presenteranle qualche bel lagoro , Qualche dificio , o d'ariento o d'oro. L'andra'n carrozza gonfia pari pari: Si far^ vento con la rosta 'n mano. S' ella sedri , parra '1 Re di danari : Se mangera , mastichera pian piano. Tiitt' i bocconi le pananno amari : Le \etrk annoja '1 vino , e '1 pan di grano. E quesd giuochi sol far^ per boria : Pensa tu se di noi Vark mimoria. Ciap. Cosi gettato ho via cii ch' io fei mai Per lei, e doni e feste e serenate. Invano al raaggio i' 1' ho attaccati i mai j E air Impruneta fatte 1' incannate. Cecc. E io appena me ne innamorai , Ch' i' ho dato cosi nelle scartate. Amore in campanil portommi alt' alto Per farmi or flire a rompicollo un sallo. Ciap. r ho versato la farina e '1 grano , Pe' pellicini m' e rimasto '1 sacco : Sol m' e reslato qui 1 tegame in mano, E dato ho per la via la volta al macco. Io sono andato a caccia per un piano , E tracciando la lepre, ho perso il bracco. Per la ragnaja i' ho bussalo a voto : E 'ndarno or senza frutle un pero sciioto. ATTO QUARTO. iSy Cecc. A me la secchia e balzata nel pozzo , E della fune sol mi resta un pezzo. Credetti a unpippioneempiere'lgozzo, (gliezzo. E'n quel cambio ho imbeccato un nibbio , o un Spcrai di farmi bello, e mi fo sozzo : lo volli essere '1 primo , e resio 1 sezzo : Pensai far fuoco , e ho perduta I'esca : Pensai pescare , e' pesci fuggir I'esca. Cicip. Or venga di baleni un centinajo , Si spampanlno i tuoni a dieci a dieci : E tu versa gragnuola collo stajo , O cielo , e a piu non posso pioggia reci. Vada 'n malora 1' orto , e 1 pisellajo , E' baccegli , e' carciofaui co' ceci; E vadia invisibilio ogni ricolta , Poiche la dama mia m'e stata lolta. Cecc. Si strasformlno in vespe e 'n calabroni Tuttc le peccbie niie, el mele in pegola , E I'olio in morcbia , e 'n zuccbe i miei poponi , E 1 grano in fieno , e 'n lappole la segola, E le faine ammazzinnii i pippioni , E del tetto mi rompano ogni tegola: , E del mio forno il ciel crepi , e la bocca , Poiche la dama mia a me non tocca. C/«/?. Meschi n a me! ch'io son pur disgraziato : Ogni cosa fra man mi piglia vento ; Par cb'alla sorte abbia '1 padre ammazzato , E voglia vendlcarsi a tradimento. vS'io bigoro col bomber rappuntato , 111 quanti sassi e al mondo i' urio drento; Tl liiglio il fango in' e sin a' ginocchi : M'entra'l genua jo la polvere negli occhi. l58 tA TANCIA €ecc. S' a me vien sete , si secca ogai fiume : S' e' mi vien fame , fermansi i mulini ; S'io vo di notte , mi si spegne'l liime: S' io vo 'n viaggio , do ne' malandriui : S'io dormo, tolte m'en sotto le piume : Se spender voglio, i' ho persi i quattrini; S'io vo a Firenze , e piscio per le mura , Gli Otto vi proibisrou far bruttura. Ciap. Orsu gli e tempo d' ir a far quel giuoco , E veder , s' e' si pu6 , d'uscir di stento. Cecc. Eh di grazia , Ciapino , aspetta un poco; Ch' a veriir poi al fatto io mi sgomento. Ciap. Vo' , per ispegner d'Amor il gran fuoco , Col sofiion della morte farmi vento. Cecc. Cre' che sia meglio il brucior dell' Amore , Che quel freddo ch'aggrezza un che si muore. Ciap. L' e ostinata , io voglio ir a morire. Cecc. Yuo' tu per6 morir cosi digiuno? Ciap. In sul pero del Bema io vo' salire : Satollarmi , e poi dire addio a ognuno. Cecc. Stenta anche me, ch'io sto anch'io per venire. Per un compagno s'impicc6 un tratt'uno. Ciap. Andianne via ; ma bel sare' Io scherzo , S' e' ci venisse il cittadin per terzo. Vien pur A'ia , Cecco. Cecc. Va pur la , ch'io vengo. Cestui mi par del morir troppo ingordo. Sangue di me! se compngnia li tengo, Ognun dira ch' io sia stato un balordo. Ch' ho io a far di me? a che m'attengo? Muojo, o non muojo ? i' vorre' fame accordo; Perche di questo voler ammazzarsi , Par che di meno anche potesse farsi. ATTO QUARTO. l39 SCENA SECOND A. Giovanni , e la T.vncia. G/oc. Mocciosa , sciocclierella ihe tu se': Ti bisognera far quel ch' i' voglio xo. Tu lo torrai , e dirai gran merce. Tanc. r non lo vo', perch' e' non e par mio, Giov. Pill gill sta mona luna , altro c'e. Ma se d' averli egli ha tanto disio , Se noi non siam suo' par , gli e e' che erra : Gli e cittadino , e noi zappiam la terra. Tanc.So ben io poi quel che m' intrawerrebbe , Quand' io a noja gli fussi venuta. Giov. Che cosa? di. Tanc. Ch' e' mi bastonerebbe , Com' intravvenne alia Bruna ricciuta , Ch' anch' ella un cittadin per marit' ebbe. Giov. Perch' ell' era caparbia e maliziula , E stava con lui sempre a tu per tu , Appunlo come fai or meco tu. Tu potresti esser tu la sorta mia: E cerchi d' esser pur la mia rovina. Chi '1 tien ch' a forza e' non ti meni via , E tu diventi un di sua concubrina ? Non piagnere : che pensi tu che sia? Oramai tu non se' una bambina. I cittadin non mordon ve': che credi? E' son di came , e han le mani e' pi«?di , Ic|0 LA TANCIA E tutti gli altri membri come noi. Accordati ormai, Tancia , e abbi a mente , Ch' io son tuo padre: e considera poi , Che doventando di Preto parente , Mi potre' tor da lavorar co' buoi , E menarmi a Firenze tra la gente ; Si ch' un tratto in niercato bello e intero Comparirei vestito anch' io di nero. Degli altri piu d'un pajo io n'ho veduti Doventar cittadin col lucco addosso , Ch' i' aveva da prima conosciuti Vesliti d' un bigel , come '1 mio grosso. Se tu Io togli, stu non Io rifiuti, Nanzi ch' e' sian quattr' anni creder posse Col sajon di damasco ( chi Io sa ? ) Di venir anch' io a Fiesol Podesti. Ti so dir io , che se questo accadessi , Vorre' veder se certi gliiottoncegli Qui del paese gastigar sapessi , Che mi toggon le mandorle e' baccegli. Dov' al contradio , se tu nol togliessi , Noi ci strem sempre cosi poveregli: Ma se or tu vorrai esser sua sposa , Vo arristio anch' io di doventar qualcosa. Piglialo , Tancia , piglial con le buone , E lascia andar se tu hai altri dami. Vo' che tu '1 pigli : non c' e paragone Tra lui e gli altri, se nessun tu n'ami. Non vedi tu ch'egli e un bel garzone Da ir a posta a pigliallo co' lami ? Tanc. Mi dice ognun che rovinat' egli e. Giov. E chi e rovinato piii di me ? ATTO QUARTO. ifx Ti vuole gnuda , li vuol sanza dota ; Ma s' io ti do per moglie a quel Ci'apino Mi lasrerai tutia la casa vola. Sebben ti suona 'ntorno'l cliilarrino , -CK e non voglia danari , ell' e carota ; Cl\' ormai apcrto ha gli occhi ogni mucino : Ne si vergognan qiiesd sciagurati Voler di dota i be' cento ducati. Ma gli e ben ver cli' egli ban qualche ragione, Perche voi fate troppa spampanata : Tale un penzol d'argento in sen si pone, Clie non ba pan da far una stiacciata. Cbi non lia al lelto , sto per dir , saccone, Vuol la gammurra tutta lagorata ; Lagor dinanzi , e lagori di dreto , E 'n capo '1 ciuffo , e 1 pennaccbin di vreto: Cbe le padrone per nulla non sonci , Cbe fanno pur tanti sbracii e sfoggi, ( E Dio sa poi come rimangan conci I cittadin cb' io s(^mo del di d'oggi ) Bisogna ch' a tor Preto tu t'acconci, E non volere or piii moine o stoggi. Tanc. E s'io Io toggo , i' non gli vorro bene. Giov. Tu mi par matta : dimmi un po'percbene? Tanc.\o ve I' bo deiro; ma se voi volete, nisognera cb' io abl)ia ]>acienza. Giov. O scioccbe tutle quante cbe voi sete , Cb' al l)en dal mal non fale disferenza. E se pigliate '1 ben, voi v'abbatlete, Non gik cbe voi n'abbiate conoscenzi: Tua Ma' cb' aveva del ccrvel buondato, Un ciLladin non arc' riilutalo. I/ja LA TANCIA O Lisa mia , quand' io ti ricordo , Ancor [iev casa mi ti par vedere, E starti meco a im dischettin d'accordo, E 'n santa pace manicar e here. S' ancor col pane una cipolla mordo, Par che tu la tua parte n' abbia a avere : Par che tu dica ancora a ogni po' : I\Iangia , Giovanni , mangia col buonpro. Tunc. Voi mi fate morir di passione , Vedervi a un tratto cosi tribolato. Giov. E per6 mi dei dar consolazione , E non volermi veder adirato. Tanc. Orsii, se quel che voi volete io fone , Or non ve ne vogliate piii dar piato ; Che se di buone gambe io non poss' irci , Debbo per ubbidirvi alfin venirci. Gioi>. O rosi fanno le buone figliuole. r t'iinprometto che tu t'avvedrai , Non c' e un mese , di chi ben ti vuole : E lodera' mi , e mi ricorderai , Ringraziandomi , un di queste parole, E mille volte mi benedirai. Oggi un fa quello a forza , che domani, Ch' e' nol fe' prima si morde le mani. Ma , sta sta , ch' e' mi par tra gti apricessi , Veder la Preto che vien verso noi. E' sara ben che prima io me gli aj^presii , Per fargli liverenza : e tu qui puoi Aspettare , e poi udir quel ch' e' dicessi , O volessi ordinar de' fatti tuoi. Tanc. Ombe, andate , io aspetto. ATTO QUARTO. 1 43 SCENA TERZA. Tancia sola. Tanc Ove se' tu ? O Cecco mio , io non H veflro piu. Ma i' vo' piuttosto tone '1 cittadino , E non .saper dov' e' mi meni via , Che vedermi d' attorno quel Ciapino , Clie piu a noja i' ho d'una malia. Se' non m'e date Cecco a mio dimino , Ne ch' io 1 chiegga da me par che ben stia. Accomodarmi bisogna , o crepare , E questa acerba nespola ingojare. Eccolo la; a vedello non ch' altro Con quel pugnale, mi mette pensiero. Gli vorr6 ben , per non poter far altro , Ma non gi^ cli' io gli voglia ben davvero. Mio Pa' poteva pur darnii a quell' altro , E levarmi dinanzi queslo cero. Dicon ch' i' acconcio '1 fornajo cosi : Non mangio piu che quattro volte '1 di. Mi diron ch' egli e nobol , ch' egli e bello, Ma questa nobolta che se ne fae ? Quanto a bellezza , Cecco e un giojello, Che val piu che non val una citlae. Oil poverin a me ! eccolo , vello : (^'.he far6 io? che dir6 io? gli e quae. Par (;h' e' mi venga la mala ventura; S' e' fusse Cecco i' non are' paura. I.fj LA TAXCIA. SGENA QUART A. Giovanni, Pietro, e la Tancia. Gioi^. Ecco qua cli' ella aspetta , messer Preto ; Qiianto a per nie fll' e al placer vostro ; Ne ere' clV anch' ella si ritiri addreto ; Ch' al fm pur di volervi in' ha dimostro. Richiedetela or voi , ch' io staro cheto : Poi qua de' frati no' andrem nello 'nrhiostro : Ne chiamereni qualcun del refrettorio , Che faccia il distendio del parentorio. E dica che e come io v' imprometto Davi la Tancia, col nome d' Iddio , Figliuola della Lisa gik di Betto , E di Giovanni Bruchi , che son io : E scriva ch' io noii ho casa ne tetto Da darvi per sua dota che sia mio : E che voi consumiate il patrimonio A luogo e tempo. Piet. No no , il matrimonio ; Che '1 patrimonio io '1 consumai e un pezzo. Giov. Tant' e , io non intendo di latino. Piet. Ma della scritta parlerem da sczzo. Lasciate un po' faniiele piii vicino ; Intanto io m'avvedr6 , s'io I'accarezzo, S'ella mi sta ritrosa. Gioi\ Fa' Io 'mliino, Piglialo pella man , fagli sant,^ : Noil vedi lu ch' egli la sua ti da ? ATTO QUARTO. 1^5 Piet. Tantia , lo mi rallegro , cli' ogglmai , Til hai pure 1 tuo meglio ronosciuto , Tiio puiire dic'e , oh' or tu mi torrai , Se prima tii noa mi avevi voluto. Ma s'egli e ver tu stessa mel dirai: Vuomi tu ? dillo. Gior>. Poiila in su'lliuto: Pena un bel pezzo : la vi vuol al certo. Leva la man , tieni 1 viso scoperto. La v'ha data la man, I'e obbrigata : No:i ci bisogna sii ne sal ne olio. Tanc. Yoi mel diceste voi , s'io gliea'ho data. Giov. lo tel dissi, el confermo , e me ne giolio. L' e sempiciaccia ; abbiatela scnsata : L'e pura piu che non e un avolio: La piglierk ben animo : cli' io muoja , Se per troppo ciailar non vieiivi a noja. Piet. Le daru anim' io quanl' ella vuole : Gratlero tanto 1 corpo alia cicala , Che senza esser di state , o clT e' sia sole , E' ri parrk ch' ella canti di gala. E s'or la non s'ardisce a far parole, (>onosco cio non esser cosa mala ; Che queslo vien ch' ell' (i savia e modesta, Giov. Sersi, la lii un po' la mon'Onesta. Piet. Ma percli' e' mi convien in qiiesio fatto , Certe faccende andar a ordinare ; Io vo' di qui partirmi ratio ratto , E tu iiiOinto va a far quel clu; tu ha'a fare. !Ma sai quel ch'io t'ho a dir? con questo patto, Che tu non abbia parenti a chiamare. Fa' ch' io non trovi la la casa plena : Yerri stasera , e mandero da cena. IO 1^5 LA. TANCIA. Giov. Voi slate troppo amorevol , signore , Vo' siate certo : vostra signoria , Vo' ci volete far troppo favore : Venite col buon an che Die vi dia: Di nostri par noi -vi farem' onore. Grazia d' Iddio , la tavola e mia : Ne ho accattar la pentola al presente. Piet. Orsu , buon giorno : Tancia , allegramente. Gioi>. Andate , che san Pier vi benedica. SCENA QUINT A. Giovanni , e la Tancia. Giov. Clai e ritratto ne fa dimostrazione : In fatti non occorre ch' io lo dica , Questo Pietro fu sempre uora di ragione ; Ma ta , rubida assai piu dell' ortica , Gli se stata d'attorno a far musone. Taiic. Che avev' i' a far ? non son piu sposa stata. Giov. Parlargli , non istar sempre intronfiata. Non vedi tu com' egli e amorevole ? Ci vuol mandar da cena : e quel ch' i' ho caro > Com' io t' ho detto , e che c'e piu giovevole , Ti vuole gnuda , e' non e ptinto avaro. Non gli dar nulla , mi par disdicevole Da un canto ; che clii vende un somaro Suol pur dar anche'l basto. Ta. Ho io andarne A casa sua col mostrar le carne ? I ATTO QUARTS. l47 GiVn.Tu se' pur goFfa ! gnuda , non vuol dire, Che tu non aljbia la camicia indosso : Gnuda, s'intende, ch' e' vuol infruire, Cli' e' non vuol dota: tu hail cervel grosso. Tanc. Piti-mi un po', non m'ho io a vestire Delia rohetta , e del gimmurrin rosso ? Giov. Quel che tu hai sotto e sopra gnun tel toe. Tanc. E 1 mio corredo , che ? lo lasceroe ? La mia gammurra co' nastrin di stame , E la becca ch' i' ho di taffetta, II vezzo di coralli , e 1 mio carcame , S' io nol porto , a chi domin rimarra ? E quel bell' orciolin nuovo di rame , Le mie stoviglie bianche chi 1' ari ? E' miei sei sciugntoi col puntiscritto , E' duo' lenzuol cucid a sopra ggil to ? Giov. Non manchera chi gli torra , sciocchina ; Ma egli che fare' de' nostri cenci? E' ti rivestira da cittadina : E sentirai stasera com' e' vienci , Ch' e' vorri ch' e' ci vengan domattina Sarti e merciai , e tutto giorrfo stienci : E anche mandera pe '1 calzolajo , Ch' abbia scarpe e pianelle piu d'un pajo. Tanc.\o non mi vi sapr6 su attenere ; Quelle pianelle sono un precipizio. Giov. To n'ho ben visle piii d'una cadere. (Cosi non fuss' e' vero in lor servizio. ) Ma cadendo le gravide , valere Si soglion della scusa , ch' egli e vl/.io. Ma '1 me' che puoi vi t'accomoderai : E intanto quel che vuol , quel tu farai. l48 LA TANCIA Ch' e' mi par un bel che , poiche gU basta , Non voler nulla , e massime quest' anno , Che cli vino una botte ci s' e guasta , E la tempesta ci fe' tanto danno , E riscaldata nell' area e la pasta , (Volsi dir la farina) e' topi m'hanno Quella coltrice rosa , che impegnare Soglio , quand' ho fanciulle a maritare. Ma , lodato sia Dio , via Ik , cammina A spazzare , e levare i ragnateli Per casa qua e la ; cli' una dozzina Ve n' e almanco , grandi come veli Da porre in capo a ogni cittadina : E s'hai pel dosso bruscoluzzi o peli , O pillapchere , o altro , tu li netti , Acciocche in ordin ben lo sposo aspetli. INIa corpo .... non vo' dir : ch' ho io fatto / Di far la scritta uscito emmi di mente : Quest' allegrezza fuor di me mi ha tratio : Io non son piu quel Giovanni valente ; Son cominciato a esser mentrecatto. Orsii fremla domani , e chiaramente Diremo'l come, e'l quando, e'l giorno, el mese Io te gli detti , perch' e' mi ti chiese. Tanc.Yoi me I'avete fatta , messersi. Vo' avete voluto , ch' io lo toglia , Slcch' a forza i' ho avuto a dir di si , Per andar poi a rislio e' non mi voglia. «t Dissi ben io : pensa ch' ognindi M'aspettero che '1 parentor si scioglia ; Seblien da un inlato.... Giov. Che borbotti Dappocucciaccia ? e pcrchii ti sbigotii? ATTO QUARTO. 1^9 La paura t'entia ora troppo presto ; E' si va adagio a far di quesli scherzi ; Che 1 Podesta , e 1 Vicario sta lesto , E c' entrerrebbon di mezzo per terzi : E non vo' anche , che noi crediam questo ; Ch' e' par che troppo forte Amor lo sferzi: E ere' ch' egli abbia paur piii di te , Che tu nol voglia. Tanc. S'egli stesse a me! SCENA SESTA. FaBIO , E PlETRO. Fab. Forbice, in somma. Piet. Tu sai, ch'io tel dissi Di posta ; non ci occorre pensar sopra. Fab. O buono ! io veggo ch' e' son umor fissi : E invano ogni discorso ci si adopra. Piet. Si ve' : fa conio , che se tu venissi Con tutti quanti gli argani dell' Opra , Da smovermene un pelo e' non c' e verso , Non c' e rimedio alcuno , io ne son perso. Fab. Tli non se' in te. Pi. Face' egli. Fab. Eime, fratello! Tu li sotterri. Pict. Io non lo stimo u.n zero. Fab. Quando di te si diri vello vello, Tu dirai : Fabio mi di(;eva '1 vero.. L' onor tuo sta teste su '1 tavolello ; E giuoca teco a petto il vitupero : Se tu ti lasci vineer , 1' e finita : Io vorrei perdere innanzi la vita. l5o LA TANCIA Piet. L' onor io sdmo al par d' ogni persona , Ne mai me 1 tolse gnuno , e tu lo sai. S'io piglio una fanciulla onesta e buona, Non so perched tu disonor il fai. Fab. Perch' elF e contadina , e mal consuona Al grade tuo , die tu la sposi mai. S'ella ti place tu puoi vagheggiarla, Seguirla , e sol per tuo trastullo amarla. Piet. Allor si mi potresti biasimare , S'a lei togliessi in questo mo' la fama; Ch' un nobil troppo nuoce a lungo andare , Quando da men di se fanciulla egli ama : Come quando un signor piglia ad amare Qualche par nostra , die 'n duo di I'infama Sol col guardarla , e senza mal nessuno Ne dice presto presto male ognuno. Fab. Dunque il miglior partito e lasciarl'ire, Per salvar 1' onor tuo , e 1' onor della Fanciulla insieme. P/e^. Cio sarebbe un dire, Ch' io m'andassi a rinchiuder 'n una cella : Ne spero , die '1 mio onore sminuire S' abbia per questo. Fab. Pigliane una bella , Pigliane una tua pari ; e troverai , Forse piu die non credi , dote assai. Che 'n su 1' assegnamento del tuo zio , E della reditu die ti perviene, Forse ch'e'c'e piu d'uno, al creder mio, Che gli parreblie d'allogarla bene. E volentieri mi mettere' io Per amor tuo , con 1' arco de le stiene , Tra di qua e di la co' miei parent! , Perch(i tu dessi in cosa da' tuoi denti. * ATTO QCARTO. l5l Piet. Clii vuo' tu che mi dia nulla cli buono ? In die cosa poss' io mai dar di rozzo ? Vo' dire '1 vero , io non me la perdoiio; Clii me la desse •, non arebbe pozzo. Fab. Per ognuno i partiri scarsi sono : Non c' e piu citiadin che abbia nn tozzo: Birogna in qn;d. Doh ! gli aveva ben tenero '1 budello ! Bern.Ta gli aresti veduti vol tola rsi , Come chi 'n corpo abljia la medicina : E pe '1 capo , e pe 1 viso piigna darsi , E la Tancia chiamar ladra assassina : Abbrnciar si volevano , o 'mpiccarsi, O pricolarsi gin da una rovina : E dicevan di le tal vitupero, Che Una TarJa. Gioi'. E egli vevo? Bern. Vero. ATTO quahto. i5g G/oc. Doh, sciagurati! ch' ho io fatlo loro? Di che SI pusson e' doler di me 7 Bern. Isra p ir a seiitir che bel la goto. Giov. Fa conto ch' e' debb' esser bel per te ; Che'n quanto a me, per dhlela , costoro Vanno cercando , al corpo di mia fe . . . . Bern. Nou tallerar, noii t'alterar, Giannone. Giov. Elle son pazze cose. Bern. Discrezione. Anche noi , fra' dicioito , e fra' vent' anni L'Amor ci fava far delle pazzie: Ma sta pur a sentir , caro Giovanni , Com' io t' ho detto , i' m'accostai lor lie, E dissi lor: dilenii un po', ch' affanni Son quesii vostri .' O Berna , tu se'quie? Disse Ciapino : ascoltaci di grazia : E mi conlaron questa lor disgrazia ; E ch' eran risoluti , e dllibrati Di non voler in nessiin mo' campare : E che per6 gli avessi consigliaii, Qual morte era piii age vol' a pigliare; E ch' a un bisogMO gli avessi ajulati, S'e'non sapean linirsi d'ammazzare. Id che stava per rider tratto traiio , Qui mi lasciai scappar le risa alTatto. E a sganasciar incominciai si forte , Ch' io credo , che , s' ell' era ivi vicina , Voglia di rider venisse alia Morte. 'I\i2zatevi , diss' io , gente tapina , Mattacci da logar con le ritorte : Non si desta a sua posta la mattina Chi con la Morte va la sera a letlo : Muoja la Tancia pure , e chi I'e stretto. l6o LA TANCIA G/ot'. Berna, a salvare. ^e/vz. lo iion volli clirquesto» Ch' io mil volessi a nessun di vol dui. Ciov. Bene sta. Bern. Cecco si levo sii presto , Che inoriva per far servizio altrui. Ciapin , che volentier Eicea del resto , Gli parve i' gli giiastassi i fatli sui ; Ma il presi per un braccio , e su '1 rizzai : E lui e Cecco nieco iie menai. Giov.O\\, mi sa mal die tu gli scomodassi : Le sono scortesie. Bern. Si eli , compare? Giov. S'un vuol del suo un capriccio cavassi, L'e villania non lo lasciar fare. Bern. Vogliam noi dir , clie se tu t' impiccassi , Tu avessi caro alia fin di scampare ? Giov. Berna , i' non farei mai questa pazzia. Ma dove gli menasti ? Bern. A casa mia ; Che mi avea dati duo' fiaschi di vino Jeri I'ostessa della Torre a Scossi : Perch' io son ito per lei a mulino Pill volte, e un quattrin mai non risoossi: E mi avea con que' dato un tacconcino Di carnesecca , ch' a costor la cossi. Fe' vi sn quattro fette di pan santo , Che fu un rimedio a stagnar loro il pianto. O r odor fosse della carbonata , Condiia ben con dell' aceto forte : O clie la rarne del porro appropiata , Abbia quiilclie vertu contro alia morte ; Appena innanzi a costor fu portata, Ch' e' parve allotta ch' e' mutasser sorte : Se gli rallegro lor la vista e '1 cuore , E '1 Also a un tratto miglioro colore. ATTO QUARTO. l6l A quel piattello si messero attorno , Ch' e' parevan usciti fli piigione : Tornava appunto mogliama dal forno. Giov. Oh Beriia, tu di' '1 ver , cli' io riderone. Bern. Tornava appunto mogliama dal forno , E aveva in grembo quattro stiacciatone : Giov. Sta aveder,st:aa veder! Bern. Gome nabissi Glie racchiapparon tutte. Giov. Che ti dissi? Bern.JL fecero in quel via zuppon tant'ald, Per discacciar Tumor maninconoso ; Sirch' e' si fer ben ben ciuscheri ed aiti ; Cli' egli era , vedi , di quel grolioso : E gi;'i pe 'I capo lor facea ta' salti , Che 1 parlar lor si fece brobljioso , E sporco. Giov. Oh la Cosa eravi allora? Bern. No : diavol alia faccia : ell' era fuora. Giov.lo muOjO delle risa : oh I'e garbata ! Bern. Mogliama , ch' avea al naso il mosclierino , Perch' io fei loro quella carbonata , Ne a lei serbato aveva un po' di vino , Di queste lor sporcizie scorrubbiata , Si vollo dreto a Cecco e a Ci;ipiuo ; E chiappata la pala da infornare , Dattorno a lor la 'ncomincio arrostare , E dava lor di l)uonc ramatate , Sio non er'io, da spirmar lor le spalle. Giov. Pensa se tu ridevi. Bern. Le brigate V eran gia corse sin di quinavalle. Fuggiron come golpe spaventate, Quand' ogni vicin grida : dalle dalle. Gioi\ E dove andonno e' poi ? /?cr/«. Io gli scampai Dalle pcrcosse , e [loi ir gli lasciai , II l6a LA. TANGIA E dov' andasser , non and.i' a vedello ; Ma mi messi po' a fare i fatti miei. E la mia donna ch' a questo e a quelle Ebbe voglia di darne piu di sei , Postasi po' a seder in su 1 pratello , La se ne messe a ridere anche lei ; Che passata che 1' e quella furiaccia , L' e tutta dolce , e e piacevolaccia. Gioi'.Tu mi fai ricordar or della mia, Delia mia Lisa , quell' agnol biato ; Che quando anch' ella entrava in bizzarria , Voltati 'n la , 1' era un crespel melato. Bern. Tu la lasciasti, Giovanni, andar via, Quaud' un non se '1 sarebbe mai pensato. Gioi\ Poi 'n qua ch'eir ebbe quel mal si spiacevole, Ella fu sempre bolsa e canagevole. Poi le venne una sera un occidente , E un giel per le gambe e per le rene , Che la scuoteva si dirottamente , Ch' e' non 1' aren fermata le catene. Bern. Che le facesti tu ? Giov. Subilamente La uiesbi a lerto , e la copersi bene. Bern. Facestile tu altro? Givv. II tutto feci j Ma fu un cuocer senza ranno i ceci. Un buon sacco di cener calda calda Le posi in su le rene , e non giovolle : La legai sur un' asse ferma e salda , Messila in forno , e vennonle assai bolle. Ma quella malattia fu si ribalda, Ch' uscirle mai d'addosso non le voile. Bern. Non chiamasti tu '1 medico? Giov. lo '1 chiamai, Bern. E che le fece? Giov. De gli impiastri assai. ATTO QUARTO. l65 Le tasto 1 folso , e brancicoUe 1 petto , Per veder di che sorta era la frebbe : Finalmente per ultimo riretto , Una presa di cassa a pigliar ebbe. Fu per ischizzar gli occbi a sue dispetto : E ingojolla , crepando , col giulebbe : E quand' egli ebbe varie rose fatte , Le ravo sangue poi con le pignatte. L' unse poi '1 corpo con di molti iingueiili , Poicbe le catapecchie usciron fuore. Le fece piu cerottoli e formenti Al capo , alle ginocchia , al petto , al cuore ; Ch' ella stette tre di sempre in istenti : Clie soorre piii? I'ando poi via in tre ore. Pensa , se duro ogni di piu mi paja , Ch' era '1 puntello della mia vecchiaja. J5en2.0rsu, almen tu liai questo contento, D'aver fatta oggimai la Tancia sposa. Giov. lo non tel nicgo , io n' ho gran piacimento. Bern. Cosi facess' io presto della Cosa. Giov. Fuss' io buon io. Bern. Dacche noi ci siam drento, Ti vo' dir il pensier della mia Rosa ; Che, sebben dian/.i fe' seco cristione , A Ciapin sempre lia avuta incrina^ione. E insino a ora entrati non ci siamo , Per non te ne volor far dispiacere ; Perchc Ciapin della Tancia era damo ; Ma oramai ch' ella no'l puo piu avere, Egli e ben, che per noi no' ce n'atiamo, Dappoi che gnun non se ne puo dolere. Giov. Drestigliela ? Bern. Se noi fussim d'accordo. Giov. Io non vo' che tu I'abbia detto a sordo. l64 LA TANCIA Or da' mi tu licenza ch' io trameni Questa faccenda , quando sia- a proposito ? Bern. Io te la do. Giov. Non t' importi ch' io peni ; Ma credi pur , ch' io ci fari 1' opposllo. Lasciati riveder tal volta , e vieni Da me , ch' io non vo' far qualche sproposito , Che tu no '1 sappia. Bern. Io te ne fr6 onore : Mi fido piu di te , che d' un dottore. E perch' io vo' stasera valicare Sin di la d'Arno per flnir quel muro , (Quel mur' a secco , che tu sai , compare) Abbimi intanto a mente. Giov. Sta sicuro ; Pero tu dei la lanterna portare? Bern. La notte pe' bisogui io mi percuro. Giov. Quanto vi strai? 5e. Duo' di. Gi. Orsu , addio ; Non indugiar. Bern. Tu sai '1 bisogno mio. Giov. S' e' viene il taglio , io ci faro buon' opra. Valii con Dio , ch' i' ho tardato troppo. SCENA DECIMA. Giovanni solo. Quand io son'n un servigio, ognun mi sciopra. Ti sa ch' e , ti sa ch' e , do 'n qualclie intoppo. La casa mia andrebbe sottosopra , Se prima Pietro vi giugnesse , e i' dopo : Forse s' io stessi qui molto a piuolo , GIJ 'mpalmere' la Tancia a solo a solo. ATTO QUARTO. l65 SCENA UNDECIMA. La CoSA , E GlANNINO. Cosa.Va. t'innamora va , va t'innamora; Tu m'hai ficcati cento aghi nel cuore.' O fortunaccia trista traditora , O sventurat' a me ! Giaii. Noa far romore : Che vug' tu far, s' e' son morti, in buon' era ? Cosa. Non ti par e' cli' io n'abliia a aver dolore? Ma ricontami un po' com' ell' e ita : Tu m'hai messo un gran tribol per la vita. Gian. Per ricontarti la loro sciagura , Dico , ch' essendo entrato \h pe '1 mezzo Del bosco a far le legne con la scura Pe '1 padron , ni'era posto un poco al rezzo: E vidi due fuggir con gran paura , ( Oime , ch' a ricordarmel n' ho ribrezzo ! ) E correvan si forte per que' sassi , Ch' e' pareva , che 'I diavol gli portassi. Quando mi furo acoosti , io gli aocchiai , E riconol)bi allor Ciapino e Cecco : E disbi air uno e all' altro : dove vai ? E dove vai? mi rispondeva I'ecco : Io gli chiamava , e' non fiataron mai , Ed attesero a darla per quel secco : Giunsero a una cava dirupata , E giu capolevaro alia spacriata. l66 LA TANCIA lo ere' per me , ch' e' non 1' avesser vista ; Cli' al certo e' si sarebber fatti indreto. Cosa. Oh Cosa sventurata , oh Cosa trista ! Eravi gnun , che corresse lor dreto? Gian. Non mi pass6 guun altro per la vista ; Ma i' sentl' tra le frasche un roviglieto , Uii certo dimenio : i malandriiii , Chi sa? forse scacciaro i poverini. Coj^. Corresti tu a vedergli laggiu basso? Gian. Non io : ebbi timor de' fatti miei ; Ma me n'andai catellon , passo passo , Temendo di non dare ancli' io ne' rei. Io gli sentii gridar giii da quel masso , Che due e tre volte dissero : oimei ! Poi giunti colaggiu sii 1 lastricato, Secondo me , non raccolser piu '1 fiato. Cosa. Va t' innamora va , va t' innamora ; O che sara di me senza Ciapino ? Vieni morte , deh vieni oggi , in malora , E pigliami pe '1 collo , e a capochino Gettami in qualche borro , o in qualche gora, E fammi macinar a un niulino : O tu mi ficca , se tu hai fornace , Drentovi , e fa delF ossa mie la brace. Gian.\]h, quel che tu di', Cosa! Cosa. lo vogHo ir via; Non vo' che piii mi vegga mai persona. Gian. O vo' ti tu morire, Cosa mia? Cosa. Forse che si. Gian. Oh Prete , a morto suona. Cosa. Addio Giannino , addio mamma , addio zia. Gian. Ve' , come coUe mani ella si sprona ! Par ch' ella vadia a morir dietamente. Oh Cosa, aspetta un poco : ella non sente, 1 1 fine del quarto Atto. Intermedio de' Segatori del grano , CANTATO E BALLATd. Per tutti i campi intorno Gia son maturi i grani : Lodato 1 cielo , un giorno Noi farem , come balle , grandi i pani. Meniam le mani ; Su via seghiamo : Doman battiamo : L'altro al mulin : poi 1 pan facciamo , Poi lo 'nforniam , poi eel godiamo. Deh , che bella sementa Fa fatta in questi colli ! Non so , s' e' vi rammenta De' tempi , com' andaro uniidi e molli ; Ora satoUi N' andrem di giu , N'andrem di su ; SatoUi pur sarem mai piu , E satoir io , satollo tu. Quest' anno il gran s' aspetta Per tutto a buon mercato : E par che eel prometta Cosmo pio , Cosmo giusto e fortunate. Torniamo al pralo Per riposare. Che piu segare , S'e' s' ha a mangiare , s'e' s'ha a sguazzare , Senza penar , senza sudare ? i68 II primo di cli festa Andrenne in Pratolino , E farenvi una festa ; Chi sa cli' e' non vi venga il Principino? E pan, e vino Daracci , e cena : Vita Serena Ci fara far di gioja plena , Cristiana , E Cosmo, e Maddalexa, I / 4*/ ///vv///////' .' /v/v/* e i/fif//^, 169 ATTO QUINT O. S C E N A PRIMA. Fabio solo. -'•■'••'a Fab. X suoi parent! questo disonore ■ -- Non hail voluto alia fm com[1ortafe ; Ma di tal cosa sempre ebbi timore , Ch' io conosceva con chi egti aveva a fare. Pero quando de' birri udii '1 romore , Io dissi a Pietro : va via , non badare ; Come s'io fussi indovino di questo : Ma e' non gli riusci d'esser si lesto. Color ch' avevan ben gli occhi alle starne , Ecco ch' in un iastante I'accerchiaro ; Che tempo non vi fu da scapolarne : Messergli I'ugna addosso , e Io legaro; TalclK- per forza gli bisogn6 andarne. Io voUi oppormi , ed e' mi minacciaro , Rivoltandonii al petto roncbe e stioppi : E d'uopo e or rhc questa boccia scoppi. 170 LA TANCIA. J Perche , se 1 diavol fa , siccom' io 'ntendo Da un ragazzo , che qua 1 raccontava , Che quel Ciapino , e quel Gecco fuggendo Dal Busca , sian caduti in una cava , (Cosa ch' io credo A^era , gia sapendo, Che 1 Busca con gran fretta gli cercava Per bastonarli ) forse essendo stato Costui veduto , Pietro e rovinato. Se cosi sta , ch' e' sian mal capita ri , Ne sari tosto nota la cagione: E cosi Pietro , che gli ha bastonati , A questo mo' trovandosi in prigione, Pagherebb' or la pena de' peccati Da lui comniessi senza sua intenzione. Vo' saper certo , s'egli ban rotto '1 coUo: S' egli e ver , quanto posso , ajuterollo. E mostrer6 , come '1 suo error sia poco , Se solo ha fatto dar quattro percosse A questi duo' villan , quasi per gioco , E ch' anche senza cagion non si mosse ; Ch' ognun I'arebbe tenuto un dappoco , Se fino allor , ch' egli era in su le mosse Di tor costei, costor I'eran d'attorno A vagheggiarla , non senza suo scorno. ATTO QUINTO. I71 SCENA SECOND A. La Cosa , E LA Tancia. Cosa. A te ti sta '1 dover , che maritata T'eri a un altro , e ti si pu6 ben dire , Che da per te tu te la sia cercata : Ma Ciapin mio er' andato a morire Senza mia culpa. Taiic. Se mio pa' m'ha data Al cittadin , no '1 debh' io uhbidire ? Cosa. No' abbiam ragion tutt' a due : e sol Preto Ne fu cagion , col far correr lor dreto. Ta//c.Preto ne fu cagione , e '1 suo servento. Cosa. Ma Preto ne fara la penitenza. Tana. Forse d'avermi amata ora si pente. Cosa. Ma tu , che or ne se' rimasa senza? Tanc. Cavocciol aldjia dove me' si sente : So ch'e'l'han tolto via con diligenza. Cosa. Tu se' senza marito. Tan.E senza damo, Ch'e peggio. t'o.Ediduo'pesci haipersoillamo. Tanc.Oh. Cecco Cecco! Cosa. Oh Ciapino Ciapino! Tanc. Se' tu finito? Cosa. Se' tu morto affatto? 'Tanc. Perch' andasti tu giu a capochino ? Cosa. Che non saltastu giu 'n pie com' un gatto? Tanc. Chi domin t'ha ricolto , poverinv> ? Cosa. Dove t' hann' e' riposto di soppiatto ? Tanc. Domin s'e' t'han portato ancora al Santo? Cusa. Chi ti far^ 1' essecole col pianto 7 172 LA TANCIA lo senza 'nclugio , Ciapin , ti vo' fare , E piagnendo e gridando , lo scorrotto : Vo' p(4armi , e mi vo' tulta graffiare , E aadar qua e Ik col viso rotto. Tanc. Tu , Cecco mio , mio Cecco , vatti a stare Con la buon' ora al bujo in terra sotto : E 'n pace toi questo mio piagnisteo; Poiclie la sorte si t'ha detto reo. lo vo' venirti a accender le candele : Ti vo' sparger i fior per me' 1' avello : 10 ti vo' tutto imbalsimar di mele , Che non si smunga mai viso si bello: E a dispetto di niorte crudele , Che t'ha condotto a si strano macello , Ti vo' far un pitaffio generale, Come qualmente capitasti male. Cosa.lo vo' baciar la bara e 'I monimento, E voglio aprird , e serrart'io'l chiusino: 11 vo' da imo a sommo spazzar drento , Poiche tu v'hai a dormir tu , '1 mioCiapino; E vi vo' por , perch' e' non vi puo '1 vento , Per tua consolazione un lumicino : Vovi piantar intorno un sorbo , o un noce , Per memoria del tuo caso feroce. TancVoicK io ho perso te , piu di mariti di dami non sia chi mi ragioni ; 1 cape' non vo' piu portar fioriti , Ne a balli non voglio ir , ne a pricissioni : E s'avvien ch' alle feste gnun m'inviti, Mi scusero d' aver i pedignoni : Per me ogni festa ha spenti i candellieri , E son condotti al verde tutti i ceri. ATTO QUINTO. lyS Cosa.Ta, Ciapin , ti sotterri in sepoltura : Ed io nel petlo mio sotteno Amore. Dappoicli' i' ho perduta la ventura , Caschi pur per me mono ogni amadore. E s' io divenio in faccia niagra e scura , Non vo' portar piu liscio ne colore : E '1 viso mi si faccia nero e cres[)0 , E cascliinmi i capegli a cespo a cespo. Tanc.O Cecco mio, quel bel viso amoroso, O Cecco mio , debb' esser fragellato : O Cecco mio , quel parlar gralzioso , O Cecco mio , non debbe aver piu fiato : O Cecco mio , se t' eri mio sposo , O Cecco mio , ti sarei stata allato : O Cecco mio , e se pur tu cascavi , O Cecco mio , a me tu t'attaccavi. Cosa. Oiine , Ciapin , tu non tornerai piu : Oimc , Ciapin, tu del)b' esser freddo ora : Oime , Ciapin, tu strai chiuso laggiii ; Oimii , Ciapin , ed io rimarr6 fuora. Oime , Ciapin , va po' iidatl tu : Oime , Ciapin , o va po' ti ristora. Oime, Ciapin, poich' al Ciel cosi piace , Oime , Ciapin , requiescatt' in pace. Trt/7c.Che debb' io far di me , chi me Io dice ? S'io vo a casa , mi par d'ire in prigione : E r andar per le vie non mi s'addice : Mai, se qui sto ; peggio , s'altrove vone. Cosa. Io die faro , pover' a me sfelice ? Io mi vo' dileguar dalle persone. Tanc. O , ecco qua mio pa' , pien di scorruccio : Tiriamci tramendue 'n questo cantuccio. 174 I-A TANCIA. SCENA TERZA. Giovanni, la Tangia e la Cosa. Giov. Oh povero Ciapin , Gecco sgraziato ! E qiiant' e egli ch' io vi favellai ? E che no' andammo a Scarperia al mercato, E ch' io bevvi con voi , e merendai? Oh servidor di Pietro sciagurato, Che 'n malora cosi tu niandat' hai Duo giovanoni, ch' era una bellezza! Che tu possa sLrappare una cavezza. Le disgrazie son sempre apparecchiate ; Ma troppo e strana quelhi del morire. Quant' isra megllo a quelle bastonate Chinar le spalle , che darsi a fuggire! Che per cento, ch'e'lor n'avesse date, Ch' er' egli mai? Ma ch'occor piu dire? A' fatti lor piu rimedio non e : E' non mi manca da roder per me. Quella fraschetta della Tancia mia , Quel cervelluzzo della mia figliuola , S' e sempremai recata in fantasia , Non voler di Ciapino udir parola : Perche poi Io sconsenso a Pietro dia , S'ha avuto a strascinarla per la gola ; Or questo a un tratto in prigione e andato, L'altro da un masso e giu capolevato. i ATTO QUINTO. IjS S' al cittadino il bentipiaci dava Un po' pill presto, e'noa ne segiila danno. Gnun de' parent! suoi se ne impacciava , Ne avean tempo d' ordir questo panno. S' a farle dar 1' anel poi s' avacciava , Potean aver a lor posta 1 malanno ; Che non val poi volerla arrosto o a lesso , Qiiando in presenza al Ser I'anel s'e messo. Son gia pill di , ch' io m' era inline accorto, Che Pietro la voleva daddovero ; Ch' a Ser Marchionne di non farmi torto , Giur6 sul muricciuol del cimitero : E ch' e' voleva prima rader morto , Che d'ingannarmi avesse mai pensiero; Talche dargliela m'era risoluto : E lei capona mai non I'ha voluto, Se non oggi ; che poi ch' e' me la chiese , E ch' io glie ne promessi apertamcnte : Dacch' io fui stato con lei alle prese , Per farla dir di si ; pur flnalmenie Ci s'era svolta : ed or le rati tese Stendero , senza aver preso niente. E' bisogna altre frasche , altro piiiolo Or cercarle, o impaniarle altro querciuolo. Queste figliuole son mala cementa , Ed erba son da non volcr {)er 1' orto. II Eitto della mia si mi sgomenta , Ch' io non so s' io son vivo, o s'io son morto ; Ma e' mi par pur , ch' anch' ella se ne senta , Ch' ella ne va ratia senza conforto : E se per Pietro non si straccia gli occhi , Par che di Cecco il mai tutto a lei tocclii. 176 LA TANCIA ]Mi son stati gli orecchi stuzzicati, Ch' eir era bruciolata un po' di lui : Tutti i partiti mi son or niancati, Che con Giapin rotto 1 collo ha cestui. S' e' fasse vivo , a fe , se Dio mi guati , A lui la drei ; perche degli altri dui , L' un m' e scappato , ch' era il cittadino , E da lei scruso affatto era Ciapino. Ma pacienza : io vo' cercar di lei , Ch' ella non sdrucolasse in qualche male. O Tancia malandata , dove sei ? Dove se' tu ? rispondi , e vieni avale. Tanc. Eh non gridate , in malorcia. Giov. Oimei ! Tunc. Vo' fate una bociaccia si bestiale , Che'nquant'a mene.... G/. Orsu,chefai tu qui? Hass' egli a ir meriggion tutto '1 di? Passa un po' qua , ch' azzoppi da un fiance , E da queir altro poi , s' e' non bast' uno. Toll, c'e la Cosa seco ! e di lei anco M'e stato detto , ch' ell' ha a portar bruno. Le si sono accoppiate fuor del branco, E vanno via raminghe senza gnuno. Bella coppia di pecore smarrite , Venite meco , or ascoltate , udite. Tanc. \ a. innanzi, Cosa. Cosa. Ya tu , che se'sua. Tone. Non vorre' ci cogliesser le sue grida. Giov. Ascoltatemi insieme tramendua. Tanc. Deh , Cosa , in cortesia fammi la guida. Cosa. Va tu , ch' e' fia maggior la parte tua. Tanc. Oime! ch'e' par che '1 cuor mi si dovida. Giov. Tancia , Tancia, s'io piglio in man qualcosa , E t'esco dreto... Ta/ic. Andiam la 'nsieme, Cosa. ATTO QUINTO. I77 Gioi'.Che fate voi costi? di che cercate? Non gia de' funglii , ch' e' non vi pu6 1 sole. Ditemi , civettuzze , che voi siate , Parv' e' ch' egli stia bene andar si sole ? Che fate ? che pensate ? dov' andate ? Che avete ? che piagnete ? che vi duole ? Til dispettosa , e' si vorre' strozzarti , Che fusti si caparbia ii marilarti. Poi , quando tu avevj I'acqua atlinta , Venne la sorta dreto, e dalla spoiida Alia mezzina t' ha data la pinta : O va , racrola tu , or ch' ell' affonda. Tanto indugiasti a voler esser viiita , Ch'e't'e cascata questa pera monda ; O va or tu , e leccati le dita , Sgraziata , mona merda , srimunita. Fatevi innanzi , andate qua 1)estiuole, Ch' a casa sanza indugio io vi rimeni. Cosa , a te non faro troppe parole ; Tu la farai con que' die tu t' attieni. Sii camminate , ch' e' va sotto il sole. Or qui dallato , Tancia , tu mi vieni ; Vien qua tu , Cosa , pigliala per mano ; E camminate , e non vi paja strano. 12 ICS LA TAXCIA. SCENA QUART A. GlANNIXO , LA COSA , LA TaNCIA , E Giovanni. Gi'an. Aspetta , aspetta , Cosa. Cosa. Chi m'e dreto? Gian. Ciapino e vivo , e va via co' suoi piedi : Cosa. Cosi stestu. Gian. Mai si. Cosa. Deh statti cheto. Gian. Gliever. C. Tu se'unbugiardo. G.Tunolcredi. E' son qui egli e Cecco appie 1 Cerreto. Tanc. Cecco dov'e? Gian. Di qui tu non lo vedi: Gli e vivo anch' egli. Giov. Andate via, cicale. Gian. Spettate un po' .G/ow. Spettiam, die fia di male? T«"c. Ha"l tu veduto tu? Gian. Si, ho. Tanc. E dove? Cosa. E Ciapiii anche? G/fl«.E lui: e' sono in coppia Giu dalla doccia, dove Tacqua piove. Giov. Di'l vero. G. lo'l dico. T. Oime che 1 cuor mi Giov. S' e son risuscitati, oh buone nuove, (scoppia! S'elle son vera! e I'allegrezza e doppia. Gian. E' son per certo. Gioi>. Hai tu lor favellato ? Gian. Ser no. Giov. Doh , che ti possa uscir il fiato! O, che sai ch' e' sian dessi? Gian. Diacinfallo, Ch' a la lucheria lor non gli ravvisi! Cecco avea , com' e' suole , il cintol giallo , E Ciapino all' orecchio i fioralisi. Gior>. Perche non t' accrostasti a salutallo , O I'uno o I'altro? Gian. lo voUi dar gli avvisi, E venni in fretta con questa faccenda. Giov. Orsu ch' e' sara stata la tragenda , ATTO QUINTO. I^O Ovver le fate della bura uscite. Gian. Non mel ciedete, no. Cosu.'E.r&n e' 'nfranti? Gian. E' si divincolavano. Tanc. Udite Mio pa'. Gian. E' son per certo i vostri amanti, Tanc. E' denno aver le gote scolorite. Cosa. E le mani sbucciatc. Giov. Orsu , via avanti : Aiidate 1;\ ; eh' e' sono indozzameiui : Cestui ha mangiate cicerchie , e non lenti. Gian. La sta appunto cosi , com' io v' ho detto. Ma che scade piu dir ? mi par vedegli. Ginv. E dove? mostra un poro. Gian. Su quel netto. Giov. Non gli scorgo. X'^. Ne io. Co. Ne io , neegli, S'e'dira'l ver. Gian. Mi pajono in effetto. Ci bisognerebb' un di que' bordegli , Ch' avea I'altrieri il padron del mio zio, Che mai non \idi il piu bel lagorio. Giov. Perche ne far? ch'er' egli? Gian. Perche tosto Noi vedessim' s' e' son. Gli era un cotale , Che fa veder le cose da discosto. Giov. Comesichiarna? G/«//. Ilchiainanounocchiale, Che quand' un per me' gli occhi se '1 ha posto , Gli fa veder cio ch' e sin quinavale. Giov. Non ci arrivan gli occhiali a mille miglia Di qui a color, fi/a//. Gli e una maraviglia. Gli e lungo , e par degli organi un rannoae: Ha duo'vreti, un da capo, e un da piede : Si chiude un occhio, e all'altro si pone, Sotto si guarda , e di sopra si vede. Fa crescer si le cose e le persone , Che chi mira un pulcino , un' oca il crede : La luna un fondo di tin mi pareva, E drento monte e pian vi si vedeva. l8o LA TANCIA Giov. Oh tu di' le gran cose , scioccherello ! Gian. Se drento anche voi gli occhi \i mettessi, Non direste cosi : ite a vedello. Poll , e' non e cristian die lo credessi ! Giovanni, Cosa, Tancia , oh gli era bello! Tanc. Che importa questo a me ? fusser egli essi. Cosa. Oh se Ciapin tornassi. Tanc. Oh s' e' tornassi 11 mio Cecco. Giov. Via la , movete i passi. G/Vz«. Fermatevi, fermatevi , lornate : Eccogli qua , ch' e' vengon di buon passo. Tanc. Oime, mio pa', guatategli , guatate! Giov. lo non gli "veggo ; fate un gran fracasso. Cosa. Mai si , mai si e' son , non dubitate. Giov. Com' esser pui , che nel cader dal masso , E' non si siano uno stinco o un fiance , O qualche braccio rotto, o guasto almanco? Gw/2. No'l so: gli han tutt' a dne le mani in mano, Ne veggo die gniin zoppidii o s'appoggi; Segno , eh' ognun di lor debb' esser sano. Giov. O quest' e ben un gran miracol oggi ! In sur un letto sprimacciato e piano , Non 'n una cava giu di questi poggi , Par che caduti sian. SCENA QUINT A. Cecco, Ciapino, Giovanni, la Tancia, LA Cosa e Giannino. Cecc Ciapin , Ciapino , '\'^e' la la Cosa , e Giovanni , e Giannino , li ATTO QUINTO. l8l E la Taiiria , ch' e piii. Citip. A me rumoie De' fatti suoi e sfiatato a ritrosa. Cecc. Vuo' ch' io ti dica? per guarir d'amore, Cader da una cava e buona cosa. Gian. Ma non da farla da un tratto infuore ; Ch'ella m'e rlusrita faticosa. Mi par averne avuto molio buono Questa volta. Cecc. No'abbiam la vita in dono. E avemm' oggi ben del mocxicone , Quando no' andammo apposta per morlre. Ciap. Parve clie noi facessimo ragione , Ch' e' fusse appunto com' ir a dormire : Ma tocco de la morte ora '1 coltrone , Per me non me ne vo' piii ricoprire : Miioja I'Amore e la dama , e ogn'altro; Cli'io morro allor,cli'io non potru far altro. Gf'o^'. Siate vo' voi? Cecc. No'siam noi daddovero. Giov. Chi v' ha portali qui ? Cecc. Le nostre zanclie. Giov. Ogaun di voi e egli tulto intero? Ciap. No' abbiamo il capo, el corpo , e'l di dreto anche. Giov. Io vi pensai segnar sul cimltero. Cecc. E le spalle e' ginocchi , e' pie e le branche. Giov. Non cadeste voi giu con le persone ? Cecc. Cademmo al cerLo. Gioi'. Chi vi liberone? Cecc. Ciapin di '1 tu , che saltasti piii forte. Ciap. lo'l diro , ch' io non 1' ho sdimenticato, Tanc. Gli ban fatto visi che pajon la morte. Cosa. Uh, I'lin e I'altro mi par disformato! Giov. Come scampaste voi la mala sorte , Dopo che quel , da orso immascherato E sconosciuto, v' ebbe bastonati , E che vo' andaste giu capolevati? iSa LA TANCIJL Ciap. Ve n'er' un ben da orso travestito , Tra color, che ci vennero a affrontare; E' mi parv' anche piu degli altri ardito ; Id non mi potei mai da lui campare. Giov. E'non fa se non uno. Ciap. lo I'ho sentito Me' di voi , quanti e'funno: e vo' giucare , S' il potessi saper , ch' e' fur piii d'otto : Cecco , non e e' ver? Cecc. Piii di diciotto. Giov. E' fu quel solo con quella pelliccia D'orso. Ciap. Per un, mel sare'messo a'piedi. Cecc. N'are'voluto al certo far salsiccia. Ciap. Vo'che'l diciate a me. Giov. Ciapino, vedi, Si sa per tutto : domandane 1 Ciccia Tuo zio : te'l diri e', s' a me no '1 credi. Ciap. O questa mi parrebbe stralagante ! Come poteva un sol darcene tante? Giov. Tm odi, I'e cosi, io non ti mento. Cecc. Oh noi saremmo stati i bei poltroni ! Ciap. In quant' a me io ere' che fusser cento ; L' aria pareva piena di bastoni. Cecc. E' I'ari fatto per incantamento , Per farci rimaner due gran minchioni , Facendoci un uom solo parer tanti. Ciap. Le mie percosse non funno gii incanti. Ma s'io credeva ch' e' fuss' uno appunto , Dove ch' addreto io non mi volsi mai , Fatto arei fuggir lui, e 1' arei giunto. Venga la rabbia , ch' io non ci pensai. Cecc. Ma e'c'era forse un altro piu bel punto , Ch' era il fermarsi , e lasciarlo far, sai ? Perch' e' s'avesse ben ben a straccare*, Poi '1 baston torli , e lui ribasionare. ATTO QUINTO. I 85 Oh I'era bella! Ciap. Ma chi fu cestui? Giov. E' fu 1 fante di Pietro del Bt'lfiore. Cecc. Non ti diss' io ,^ch' io temeva di lui? Giov. Cosi si dice: e ch' a porvi in timore Pietro , e a bastonarvi tramendui , Mandate avea questo siio servidore ; Che tor la Tan(;ia gii sendo rimaso , Voile levarsi i moscheria d.il naso. Cinp. Toll , toll ! Cecc. Ve' bella invenia die e questa! Ciap. Sebben gli e cittadin , chi sa ch' un tratto E a lui e al fame i' non faccia la festa ? Apponia a me, s'io non me ne ricatto. Giov. Gli e stato tratto il ruzzo doUa testa. Taiic. Mio pa' , lasciate seguitargli 1 fatto. Giov. Orsii, contalo, su. Ciap. Dilc vo' voi , Che ha avuto Pietro : e poi diro di noi. Gioi'. Pietro e ito in prigion sanza rimedio , Ch'e'l'han fatto pigliare i suoi parenti : I birri or or senza tenerlo a tedio , N' han fatto un fascio , come di sermenti. Ciap. Ve' che non ci potri piii por 1' assedio. Cecc. Che lo sbranino i cani a duo' palmenli. Giov. Dagli pur, cli'e' non sente ; oh che tagliata Si fa , quand' una querce e rovinata ! Ciap. Mai' abbia e egli , e tutti de' suo' pari. Giov. Sta che to : e' ci potrebbe un di tornare. Cinp. S'e'ci ritorna quand' io poli o ari , Ho delibrato volermi scioprare : E s'e' buoi n'andassero, e'somari, Fo boto di volermi vendicare. Giov. Ciapin , manco parole. Ciap. Io '1 fr6 davvero. Giov. Orsu , vuo' tu contani ancor I'inlcro? l84 I'A^ T\NCIA Ciap.Si voglio; ma la sdzza si risente. Dico , die clisperati , e in faria messi , Perche la Tancia vostra qui presente , Non potevam patir ch' un altro avessi , C'eramo risoluti finalmente , ( Vadane quel cli' andar se ne volessi ) Non ci voler piu star , voler crepare ; Cioe , no' ci volevani' ammazzare. Cosa.Vensa tu com' io sto! Ciap. Ma gli e ben vero ^ Clie Cecco non moiiva volentieri, Come me a un pezzo. Cecc. Io per me v'ero, Come disse colui. Ciap. So die tu v'eri, Piuttosto per salire in su quel pero , Che aliro. Stando noi 'n questi pensieri , Eccoti '1 Berna , e veggendoci affritti, Giu stramazzati , ci i'e star su ritti. E con belle parole , e con pietae A confortarci comincio 'n un tratto : E che '1 morire era bestialitae , Che non si potea far se non un tratto : E ch' era una vergogna , die I'uom fae Per una donna , piii pazzie ch' un matte; E ch' era me' cento dame giucarsi , Che di sua man per una giustiziarsi. Cojrt. Pensa tu , poverini! Tafic. Pensa in quanto, Povero Cecco! Ciap. E con questo bel dire, A casa sua ci ebbe menati intanto ; E quivi cominciocci a rinvenire Con buon vin,con prosciutto, e con pan santo; E perch' a un tratto io ve la vo' finire , Ci rallegro di modo , e in tal maniera , Che '1 desio del morire usciio c'era. ATTO QUINTO. l85 Qaeir era un vin , ch' a noii vi dir novelle Se ne sarebber bevute duo' botti. Cecc. Carlo , gli sgangherava le mascelle. Ciap. Noi ci partimmo di li meazi cotti. Giov. Di mona Rosa tu noii di'covelle? Ciap. Che voil sapete eh? Gio<,'. Ciapin dirotti , E' me lo disse "1 Berna. Ciap. Mona Rosa M' e riuscita troj^po srrupolosa. Gian.C\\e ara ella lor fatto in malora ? Tanc. L e bizzarra eh tua madre? G/a. Qualche scorno. Cecc. Non si poteva dir una palora , Ch'ella non fesse tanto di musorno. Giov. Ma dappoich' ella v' ebbe splnti fuora Con quella, o fusse pala o spazzaforno, Dove n'andaste voi? die fin qui 1 seppi. Ciap. Cl mettemmo a dormir su certi greppi. Quel vin ci aveva di niodo alloppiati , Che tener non potevam gli occhi aperti. Noi non ci eiamo appcua addormentati , Che soguando ci parve sentir certi Bastonarci ben ben da tutti i lati ; Talche noi eram gia tutti diserti , Nanzi ch' e' ci paresse d'esser desti. Cecc. A fe , diss' io , c^he sogni non son questi. Ciap.S\.ov(\\l\ ci rizzanimo , e barcolloni , Chiamando ajuto , e non sentiva gnuno : E atlendca pure a trionfar bastoni. Noi correvarao stretti a uno a uno, Perchc n'eramo li fra due ciglioni. Cecc. Ma io rimasi addreto per un pruno , Che m' intrattenne , e n' eb])i piii di te. Ciap. Mi doggon quelle , che tocconno a me. l86 LA T.VNCIA. Cosa. L' e stata bene una gran villania. Tanc. S'io n'avessi a dar loro il gastigo io ... Ciap. Fuggi fuggi, e pur dreto tuttavia : Talche giugnemmo al nostro pricolio : Perchti dove fa capo quella via 'N un certo pratellin die sta peudio , E una certa macchia alta assai bene , Cbe quasi sol su le barbe s'attiene : Quivi giugnemmo correndo a gran passo E Cecco e io , che mai non ci spardmmo : Ed in un tratto rovinar al basso, Con delle piote sotro ci sentimmo ; E ci rovin6 dreto piu d'un sasso. Cecc. Credete a me che noi ci sbigottimmo. Giov. Colui come non cadd' egli con voi? Cecc. E' gli basto che no' cadessim noi. Giov. O che liadavi voi , dismemorati ? S'e' fusse stato di notte alio scuro, Gli era un place r , v'arei per iscusati. Ciap. No' aremmo percosso anche 'n un muro , Di modo ci avea '1 vino abbarbngliati. Gian. E' vi valeva avere il capo duro. Giov. Un' altra volta bisogna annacquarlo. Cecc. Quand'egli e buono , egli e un giustiziarlo. Gian.Ve ne sare' 'ncresciuto certamente. Ciap. Noi sfondolammo con si gran fracasso , E andainmo giii si rovinevolmente , Ch' io credett' ire 'n bocca a Satanasso , E la.sciar tralle prete piu d'un dente , E piu d'un braccio: i'pensa'andare inchiasso. Cecco , per aria ti ricord' egli ora , Ch'io dissi un tratto, no' andiam in malora? ATTO QUlNtO. 187 Cecc. lo mi ricordo , die tutri i capegli Mi s' arriccionno , come que'd'un verro. Cosa. Ocli tu, Tancia? Tanc. Si. Cosa. Oh poveregli! Giov. State an po' chete , cli' e' pigliera erro. Ciap. Veddi lucciole grandi com' uccegli. E mentre a capo iiinanzi giu m' atterro , Credei del ventre sfondare '1 liuto : E fui in quel tralto in aria rattenulo. Sur una tenda duo matarassate Demmo a un tratto , ch' era in aria appesa ; E s'attenea con duo funi , legate A certi sterpi , spianata e distesa : (Ihe per far rezzo giu , certe brigate Di scarpellini ve 1' avevan tesa : Che merendando allegri a gran soUazzo, Si scompiglionno tutti a quel rombazzo. Pensonno , che da gli alberi , o d'allocchi Fusse caduto un nidio , o d'altri uccelli. Corser chi qua , chi la ; po' alzando gli occlii , Vedder per aria questi duo fastelli: S'arrampiconno su , e noi balocchi Trovonno sbatacchiati e cattivelli , Neir altro mondo certo piu che in questo , E a rinvenirci ci sceser giu presto. Perche con esso lor dandoci here , Mentre noi gli contammo lo sciopino, Da morte a vita ci fe' riavere Un grande insalatone , e un po' di vino. 1 nostri intanto vennerci a vedere , Insino a la sua Sandra , e 'I mio Bechino ; E non visto gnun male, andaron via: E noi pigliammo verso qui la via. l88 LA TANCIA G/ot'. "\^o'avete pur la sorta avuta a vento. Po far la nostra! chi 1' are' pensato ? Cecc. Se voi con noi vi rovinavi drento , A fe che '1 panno si sare' sfondato. Cmp. E' pesa delle libbre ben trecento : Certo non ere' ch' e' sia porco al mercato , Che sia di maggior peso di Giovanni. Giov. Eh fanciullacci , e' mi pesano gli anni. Cecc. Eri voi 'ncornato per 1' assedio ? Giov. Innanzi ch' io nascessi , io non ci fui : E venni al mondo per istarci a tedio. Ciap. Chi ha piii tempo? voi, o Nencio Bui? Giov. La vecchiaja e un mal sanza rimedio: Non vo' gliiriljizzarla con 1' altrui ; Ma la vecchiaja non mi sare' nulla , S'io avessi acconcia questa mia fanciulla. Cecc. Oh. Ciapin ! Ciap. Tu li gratti? Cecc. Per la vita Mi sento rinnovar un po '1 bruciore. Ciap. Che vuo'tu dir? Cecc. La Tancia e sipulita, Che mi rinvien la cenere d'Amore. Ciap. Ella non fredda mai : ma io I'ho finita : Non vo' piii suo' bordegli intorno al cuore. Cecc. Tu della Tancia piu non senti '1 fuoco? Ciap. E s' io '1 seiitissi , mi giovere' poco. Tante zizzanie, e tanti scompigliumi, L'essermi addato ch' ella non mi vuole, Fanno che dell' Amore esca de' flumi , E vadia un tratto a rasciugarmi al sole. Cosa. Oil Tancia mia , e' par ch' io mi consumi A sentirgli ora dir queste parole. Tanc. Forse le non saran per te cattive , Se di quel ch' io non mangio, il tuo cuor vive. ATTO QUINTO. I (S() Cecc. Coslei, or che voi siate in queste peste , Da poi che Preto e andato a Patrasse , Ditemi 1 ver , la rialloghereste ? Giov. Si, s'io credessi , ch' e' non ci tornasse. Cecc. E' c't- rhi la torre', se glie ne deste, Un ch' ha del pan ne V area , o almen I'asse : Gli e un ch' ha della roba in casa e fuora , E dl e notte adoprasi e lagora. Giov. Buono : ma io non posso delibrarmi : Che vuo' ch'io faccia? Cecc. Hagli e'dato I'anello? Giov. Non egli. Cecc. E e'detto'n Chiesa? G/ov. No. Cecc. A me parmi, Che '1 fatto ancor non abbia il suo suggello. Giov. Non vorre' aver po' a venir all' armi In Vescovado con lo scartabello. Cecc. Oh voi fareste il degno parentorio ! Giov. Non vorre' ir a ristio d'un mortorio. Cecc. Chi e la? Cosa. Gli e '1 servidor del zio di Preto. Giov. Che fa egli a quest' otta qui stasera ? Citij). E' ne vien via correndo tutto lielo. Gian. E' non are' gia a far si allegra cera , Se Preto e andato 'n prigione. Giov. Sta cheto: Stiam un poco a vedere. S C E N A S E S T A. Il PanCIA, SERVinOR DEL ZIO DI PlETRO, Giovanni , Cecco , la Tancta , LA Cosa, Ciapino e Giannino. Pane Buona sera. Giov. Baona sera, e buon anno. Pane. To sono stracro: Vo' un po' sedere. Ce. Egli ansa com' uu bracco. igo LA TANCIA Veder qui or costui , mi fa pensare , (".he Preto a' birri abbia data la mancia , E r abbian lasciat' ire : e ch' e' pigliare Voglia per moglie ancor ancor la Tancia: E che vel mandi, per costui avvisare. Tunc. Oh messersi. G. Com' ha e' nome? Ce.Il Pancia. Giov. E' se gli pare. Dicci un po', che fai Tu quassu , Paucia? e che nuove ci dai? Che fu di Pietro? c egli vivo o niorto? Hanne 1 messo 'n prigione coLiggivie? Pane. Egli e vivo, e to' moglie. Cecc. E' mi fa torto. GioiK Vuol pur la mia figliuola , e\il Pane. Pensal tue. Tane. Oh , lodato sia Dio , mi riconforto. Ciap. Quant' a me sto a sentire , e cuoco bue. Giov. E chi piglia e' per moglie.' Pa. E' gli ban proposta Una fanciulla , per lui fatta apposta. Giunto ch' e' fu laggiu , non fu coadotto Nelle bujose , no ; ma a casa '1 zio , Dove di suoi parenti era un raddotto , Che fecer seco un gran rammarichio ; Sgridandol , ch' a pigliar si fusse indotto Una villana. Giov. E che colpa ci ho io? Pane. E minacciatol prima , e poi pregato , A torne un' altra 1' ebbero sforzato. Per6 vengo a menarne la casiera , Che venga a far laggiu certe faccende , Che s'hanno a far nanzi domandassera. Giov. E egli fatta la scritta ? Pane. S'intende. Giov. Se della mia innamorato egli ei'a , ! Com' ha e' fatto? Pane. Ognun po' poi s'arrende Al manco mal , che s'e'ci s'ostinava, Ne la tua , ne quell' altra gli toccava. A.TTO QUINTO. I^l Gli han mostro , che quest' e la sua ventura, E che di niolta roba e' fia padrone : E 1 danno della sua scapigliatura , S' ha a ristorar or con un buon dotone : E s' e' negava , gli mettean paura Di volerlo cacciar 'n una prigione ; Dond' e' sarebbe uscito , Dio 1 sa quando : E gli fu giuoco audarvisi accordando. Giov. Cosi douche per forza 1' ebbe a torre ? Pane. Si ; ch' egli e me' tor moglie a suo dispetto , Che '1 volersi far chiuder 'ii una torre ? Sebben la cosa e simile in effetto. Ma inquanto al fallo tuo piii non occorre, Che la iigliuola tua raetla in assetto: E procicciati pur d'altro partito , Che quel dl Pietro tu lo puoi far ito. Giov. Non mi mancan le chiesle : faccia Dio : Mi basta d'appoggiarla a un cristiano. Pane. lo voglio ir per costei : restate , addio. SCENA SETTIMA. Cecco , Giovanni, Ciapino , la Tancia LA CoSA E GlANNINO. Cecc. Va pur, che Dio t'ajuti. Oh forse in vano lo non aro cercato il fatto mio ! Giovanni , date un po' qui su la mano ; Volele darla a me ? nol dite a stento : Un bel si , un bel no , mi fa contento. iga LA TANCIA Gioi'. Al sangue di mio pa' , clie sempremal Co' cittadin se ne va a capo rotto : A daria a Pietro indugiai , indugiai : Or ch' io ci aveva ranimo, di botto Mi scappa delle mani ; ed oramai , Poich' e' non c' e rimedio , a starci sotto Bisogna ch' io m'acconci. Ch' ho io a fare ? Costui la vuole, e io gliela vo' dare. Ho delibrato voler contentarla : S'ella ti vuol , la sia tua in biion'ora: Vuo' tu lui , o Ciapin ? chi vuo' tu ? parla. Ciap. Io ient' anch' io , che '1 cuor mi salta fuora : Mi ritorna anche a me dlsio d'amarla: Ma i' non ci vo' pensar , vadia in malora. Giov. O parla , bnfonchiella , chi vuo' tue ? Rispondi, chi vuo' tu di questi due? Tu se' pur parlantina e linguaccluta. Ciap. Parli o non parli, ho poco che sperare. Cecc. Ve' , non ci ho fallo , s'ella ti rifiuta. Ciap. Oh maladetto chi m'insegn6 amare! Altro ci vuol che matricale o ruta A un ammorbato d'Amor medicare; Che quando io mi pensai d'esser sanato, Nanzi a costei son ricapoficcato. Gior. Chi vuo' tu? ch'io non m'abbia a azzuffar teco. Tanc. La zia non vuol , ch' io risponda alia prima , Quand'i'ho a aver marito. GioK'. Ma or meco Tu non dovresti stare in su la scrima. Cecc. Ve', come sotto ella mi guata bieco. Tanc. Io torro Cecco. Ciap. Oh Ciapin , lima lima. Tanc. Se dar voi mel volete. Ciap. O vatti appicca: Tu fmti , e un altro manica la micca. ATTO QUINTO. IQO Cos! 'ntrawiene a clii la dice biiono ; La t' ha voluto ben , buon pro ti faccia. Cecc. Oh Tancia, or si ch'affatto il ciior ti done; E son tuo con le gambe, e con le braccia. Giov. Ciapia, non disperarti; ch' io qui sono Per far qaalch' altra cosa che ti piaccia. Se tu volcvi lei dimenticarti , Che non ti vuol , perche lorni a infrascarti? Or tempo e piu che mai di lasciarl' ire ; Che '1 cuor delle persone e un uccello , Che s'al voler altrui non vuol venire, Non val pania adoprar , fistio o zimbello. Ve' qui la Cosa ; e sai , ch' io ti so dire , Ch' a suo pa"l Berna tu vai pel cervello: E piacer gli fluei , poh , infinito , S'a lei io t'accattassi per marito. Vollati 'n qua , Giannin , non credi tu , Che tuo pa' se nc sia per rallegrare? Giaii. Non ebbe un tal contento a' suo' di piii: Mona Rosa niia ma' s' ha a scompisciare. Giov. Quanto al partito domandaiie altru'; Di quia Mont' Asinaja non c'e un suo pare. Ciap. Egli e per vostra grazia. Gian. Fatel pure , S' egli vuol lei. Cecc. Le son cose sicure. Giov.'E tu'l vuoi, Cosa? Cecc. La se ne conrenta, La ride, io'lso. Co.j^. Nonne scorre uccellarmi. Cecc. Cosa, vuo' '1 tu? non so s'e'ti rammenta Quel che tu oggi mi Cosa. E piir straziarmi. Giov. E' mi par , che la Cosa ci acconsenta , Seljben la fa un po '1 vise dell' armi ; Ma eh Ciapin , che me ne di' tu? vuo' la? Cecc. Non ci pensar piu sopra , Ciapin: to'la. iy4 LA. TANCIA. "W,re bella anche lei: guarda musino ! Giov. Non ti cansar : fatti un po'piu'n qua, Cosa. Ciaj?. Te '1 vo' clir pian : tu hai bevuto '1 vino , E a me vuoi dar de 1' acquerello a josa. Cecc. Par con gli anici e '1 mele un zuccherino. Guatala in viso com' ell' e frescosa. Giov. Ve' come ne gli occhiuzzi ella par vispa. Cecc. Forse che 'ntorno v' e bruscol di cispa ! G/oi'. Fa' a mio mo', to' la. Ciap. lo la torro, vedete ; Che s'alla fonte non aniva'l nano , Drento un rigagnol si cavi la sete. GioiK Venite qua , dalevi su la mano. Ciap. Stara' a veder che voi mi ci correte. Gior. E tu Cosa , poffar san Balarano , Porgigliela : e tu , Tancia , al tuo Ceccone , E a tutti a quattro facciavi'l buou prone. Ciap. Sendo che '1 Berna , come s' e da dire , Oggi mi dette here, e mostra amarmi ; Gii e dover ch' io mi deliba seco dire , E con le carni sue debba impacciarmi. Ma dite un po', statem' un po' a sentire , Quant' alia dota? Giov. No, no , non parlarmi Di questo ; ma i' vo' che la rimetti (chetti. N 'un valeut' uomo. 67. In chi? Gio. In Chel Bra- Ciap. Gli e uom da fatti piu che da parole : E rimetterla in lui io son contento. Giov. Tanto mi vo' far io , se Cecco vuole. Cecc. Io vo' far sempre il vostro piacimento. Ci6 che fa Chel Brachetti , fiu: ben suole : Io per me non ci ho nulla che dir drento. Giov. Ognun si fida in lui, ognun s'acconcia A quel ch' e' fa , senza levarae un' oncia. ATTO QUIK-TO. 1()5 Cecc.Tohl forse che la Cosa 1' ha pensaia. Giov. Cosi si fa , noa tante sicumere : Quaucio altrui casra in Ijocca la imbeccara , Ij'e dappocaggin non la ritenere. Cosa. Perclie vo' elite avermi maritata A uno, che mio pa' n'ara piacere. Giov. Ne tu r arai per male. Ce. Orbe , Giovanni , Buon pro ci faccia. G/ot'. Econ renlo biion anni. Giannin va per tuo pa'. Gian. O e' non c'e egli: Gli e valico Arno , per istar duo di A Hir un niur' a secco a Tan Eircegli. Giov. lo lo so ben , ma gli e ben die sin U « Tu vadia in , o un de' tno' frategli Quanto prima per lui. Gian. Messersi. Gli e sera , io indngero a domattina. Giov. Orsu , che via farai ? Gian. La piu vicina. G/ot'. Vorrei che tu passassi dal Barl^igio ; Sai tu, Giannin? che 'n tan to tu farai Per mio amor, duo viaggi, e un servigio. Gian. Ch' ho io a far? Giov. Di a Renzo Gennai , Che mi renda oramai 'I mio mantel bigio. Gian. Io gliel diro. G/oi'. E poi di dov' andrai? Gian. Dall'Arcolajo a Gignoro , e Yarlungo ; Poi 'n verso Rovezzano andr6 a dilungo : Passer6 Arno , e per fuggire '1 caldo , Sarr6 su su per quella strada stretta : E lascerommi , andando dal Giraldo , Giron di dreto , e la nave a 1' Anchetta : Giov. Ve' se tu la sai ben , vedi ribaldo ! Gian. E ber6 al Camicia una mezzetta : Poi \h. mio pa' trovert) sul lagoro , E gli diro dl questo parenloro. If)6 LA TANCIA Gio^•. Di clie gli sposi ne son gia contend , Ne ci rest' altri che egli a risolvere : PerO) rassetti tutti i ferramenti , E venga domattina innanzi asciolvere. Gicin. lo dirt) che gli sposi son parent! , E ch' egli sol domattina s' ha assolvere De' ferramenti per asciolver tolii. Giov. O buono , non occorre ch' io t'ascolti. Brigate , dile un po' , non s' e e' fatto Delle faccende assai in poca dutta? Cascata e 'n piti la Cosa com' un gatto , E a Cecco e piovuta la ricotta. Clapino e ver ch' egli ha scambiato piattoj Ma la basoffia sua non e men cotta : E la Pasqua in domenica ha la mia. Cecc. E Pietro abbia '1 malan , che Dio gli dia. G/or. In buona fe gli e vero quel dettato , Ch' un parentado in Cielo e stabilito ; Vedete voi? chi are' mai pensato Delia Tancia Ceccon fusse marito , E Ciapiu di costei , che disperato Si voleva impiccare , e far romito ? Ognun s'avvolle, e nel pensier s'aggira; E si coe rado ove si pon la mira. Partiamci un po' di qui , ch' io voglio ir ratio Da mona Rosa a renderle ragione, Quanto per cssa , e per la Cosa ho fatto. Cecc. Non vogliam no' un po' qui far colizione ? Giov. Farenda a casa. Ci. Almen balliamo un tratlo , Per I'allegrezza. Giov. B.illa tu Ceccone , E tu Tancia per me ; ch' io str6 a vedere. Ciap. Deh balliam tutti , egli c piii bel piacere. ATTO QUINTO. IQ7 Giov. Che sari poi ? lo vo' ballar , su via : Per le nozze ogni vecchio si liseiite : lo ballai e cantai la parte mia , Quand' io presi la Lisa : e ho a mente , Ch' un cittadin , che passu per la via , Disse , ch' io era un ballerin valente. Cecc. Orsu , balliam , cantando alia spartiia, E ognun di noi ne faccia una stampita : E seguitate me , ch' io vi vo' imporre Una canzona a ballo a gran dilotto. Giov. Seguitiam lui , ch' e' non se gli pud) torre, Ch' e' non sia certo un canterin perfetto. Cosa. Ma non si potrebb' egli anche intraporre Tra la canzona qualche bel rispetto ? Ciap. O buono ! o questa vale ogni danajo ! Tanc. E cantianne per uno almaaco un pajo. Canzone a kallo. Tiitti insieme ballando , e pigliando le parole clella canzone da Cecco. Da piani e da valli , Monti e colline , Belle vicine , Venite a' balli. Liete e fesiose Spargete rose , Cinte intorno d'lin guarncllo Di bucato bianco e bello. jys LA TANCIA E voi da Careggi Sin a Trespiano , Da Setrignano A Montereggi , Con le scarpette Gessate e nette , Col grembiule e verde e giallo , Deh venite al nostro ballo. Cecco cantando solo. S' io ti conduco viva a casa mia , lo t'imprometto , Tancia mia galante, Porti la casa intera in tua balia , Con le sue masserizie tutte quante. Come tu giugni , per galante ria Vo' darti un pa' di scarpe nuove e spant6 , E con le nappe un bel pa' di pianelle , E un fazzoletto con le recitelle. C'uipino cantando solo. r ho una covata d'anitroccoli , Che stanno a diguazzarsi in un pantano , Cosi piacevolin , che quando io toccoli , Mi beccan la lattuga in su la mano : Te gli vo'dare, e 'nsieme un pa'di zoccoH, Ch' hanno le guigge rosse , e son d'ontano : E un cappel co '1 vel co' dinderlini , E sei cappi di seta incarnatini. ATTO QUINTO. igtj Tnttt insieme come sopra. E voi vangatori , Voi che sarchiate , Voi che potate Lavoratori , Lasciate i'opre, Ognun si sciopre , Lasci '1 campo , lasci i buoi , Per ballar con esso noi. La Cosa oggi danza , La Tancia scherza , Amor le sferza Con beir usanza. Ciapin si scuote , E fa le ruote : Su '1 terren Cecco si sbalza , E' pie batte , e' fianchi innalza. La Tancia cancando sola. Proverbio egli e , ch' una buona fanciulla , Non debba aver orecchi , occhi , ne bocca ; Ma in bocca chiiisa non entro mai nulla , E a chi non chiede 1 ben , non gliene tocca ; Che , poiche '1 lin d'Amor nella maciuUa S' e gramolato , dee filarsi a rocca ; S' io non spiegava del cuor le matasse , Non era mai , che Cecco a me toccasse. 200 LA TANCIA La Cosa cantando sola. lo ti ringrazio , Amor, con boce chlara , Che 'n sul bisogno m' hai manclato ajuto E te ringrazio ancor , Tancia mia cara , Che Ciapin per marito t' e spiaciuto. Questa insalata , che a te parve amara, M' ha '1 cuore e '1 petto tutto rinvenuto : Se con Ciapino tu volevi '1 giuoco , La Cosa assiderava all' altrui fuoco. TiMi insieme come sopra. Noi siam sempre a tempo A affaticarci : Per ristorarci , Diamci or bel tempo. Temp' e di noja , Temp' e di gioja : Chi s' affanna , e pena ogn' ora , Sollazzar si dee talora. Balliam pur cantando , Balliam contenti , Tutti gli stent! Dimenticando. Sfumi dal petto Nostro diletlo : L' allegrezza non si celi , II piacer dal cuor trapeli. ATTO QUINTO. 201 Giovanni cantando solo. Carico i' era da duo' lati dianzi : Or pur comincio a riavere il fiato ; Che , poich' io m' ho costei tolta dinanzi , Da una spalla mi souo sgravato. Sol degli anni il fastel par che m'avanzi ; Ma r alle'grezza oggi me I'ha scemato ; L' allegrczza anche smiuuisce gli anni, Come chi per la state scema panni. Giannino cantando solo. La Cosa e maritata , or non ci resta Piu in casa nostra di fanciulle il morbo ; Quest' era del nostr' orio la tempesta , Che ci guastava il melo , il noce , e '1 sorbo. A me torchera ora a far la festa , Se mai del mal d'Amor anch' io m' ammorbo; Comunque io sia piii alto una mezzetta, Vo' far anch' io d'Amor a la civetta. Tutti insieme come sopra. Se 1 nostro bel canto Place a chi ascolta , Un' altra volta Cantiamo intanto ; 202 LA TANCIA. Ricominciamci , Rirallegriamci ; Si ricanti e si riballi, E 1 terren tremi e traballi. Ballate e cantate , Spose novelle , E alle stelle Le voci alzate ; Cantin gli sposi Loro amorosi : E si lodi ognun d'Amore , Che ci inzuccher' oggi 1 cuore. Cecco cantando solo. Sono i capelli della Tancia mia Morbidi com' un lino scotolato : E 1 suo viso pulito par che sia Di rose spicciolate pieno un prate; II suo petto e di marmo una macia , Dov'Amor s' accovaccia , e sta appiattato: Sue parole garbate mi sollucherano , Gli occhi suoi mi succhiellano , e mi bucherano. C/rt/?. Cosa,tu m'hai gia messo un fuoco addosso, Ch' e' par ch' i' abbia bevuto vin pretto : Mi sento abbruciar tutto insino all'osso; Gh'i'cre', s'i' v'entro, ch'i' ardert) 1 letto : Che nc' 1 fossato tuo quand' e' vien grosso , Ne potrebbe Arno rinfrescarmi 1 petto : Piu fuoco ho in seno, ch'al cul cento lucciole : Mi struggo , e me ne yo 'n broda di succiole. ATTO QUINTO. 203 Tutti iiisieme come sopra, Ciapino la Cosa , La Tancia Cecco , Guarda sotte<;co Alia ritrosa : Fanno 1 crudele , Ma poi col mele D' uu bel gajo e lieto riso AddoUiscon gli occhi e '1 viso. Ch' aspetli tu , Tancia ? Cosa , ch' aspetri ? Or duo rispetti Per gioco e ciancia. Vedete di qua Vedete di \k , Ch' e' cristian sono inflniti , Gik comparsi a' nostri invitl. La Tanoia cantando sola. Oh Cecco mio , tu se' un bel fiore : Che fior son io ? tu mi risponderai : Fior che fa 1 frutto senz' egli uscir fuore , E non si vedc , e non si fiuta mai. Innanzi che tu m' abbia avuto amore , A un tratto damo e sposo mi ti fai. Par ch' io t' abbia rubato a un vicino , Per-traspiantarti nel mio onicino. ao4 LA TANCIA La Cosa cantando sola. Anche tu un bel fior se', 1 mio Ciapino, Un fior da porti in fresco in un vasello , O porti in vetta d' un bel mazzolino , Cli' i' abbia in seno il di ch' io ho \ anello. Tu se' un altro fiore , un fior vernino Rosso , frescoso , lodoroso e bello , Quand' io men 1' aspettai , su su spuntato Tra 1 diaccio e la brinata del mio prato. Tutti insieme come sopra. Ecco qua la Mea , Ecco la la Lena , Che seco mena La sua Mattea : Ecco la Tina , E la Tonina : Ecco qua tutti i lor dami, Beco , Fello , e Nardo Strami. E Pin da Montui Fa capolino : Dreto e '1 Bernino , E Mon con lui : V e Ik 1 Ramata Di Camerata : Col Bruschin da San Cerbagio , V'e Taddeo, v'(i Ton, v'e Biagio. ATTO QUINTO. Giov. Tancia , io ti do la mia benedizione Da capo a pie , da tutli quanti i latl : E benedico il tuo sposo Ceccone , Che Dio vi tenga sempremai legati i II Ciel vi dia tanta generazione , Che vo' abbiate a rifar tatti i passari ; Ma quando Cecco lia rifatto sue padre , Rifa' la Lisa mia , che fu tua madre. G/Vj/z.Cosa, cola per qiiella vicinan/a, Dove tu torni a star col tuo Ciapino , Se tu saprai buscarmi qiialche amanza , Spesso a vederti verra il tuo Giannino : E se nella tua madia sara usanza Di star del pane , e nella Ijotte vino , Un fratellin tanto benigno arai , Che non vedrai , ch' e' t' abbaadoni mai. Tutti insieme come sopra. Il ballo s'intrecci Braccia con braccia : Menir' un s'allaccia L'altro si strecci: Qualch' un si scoppi , Chi si raddoppi : Poi ciascun pigli pfr mano La sua dama , e andiam pian piano. Andiam di brigata Intanto a here , E a goflere Una 'nsalata : 2o6 LA TANCIA. E doman cialde Faremo a falde , Berlingozzi e bastoncelli Per le nozze di duo' anelli. Cecco licenziando senza cantare. Ma perche noi siam troppi a si poca erba , E scarso e 'i nostro sale , e' condimenti , Ispettator , clie ci asroltaste attenti , Un' altra volta a 'nvitar voi si serba. Povera e nostra rena , e al gusto vostro Al pizzicor de' buoii sapori avvezzo, , Una cipolla , e di pan nero un pezzo , Non farebbe quel pro come fa al nostro. E mentre a casa vostra poste a fuoco Debbon esser ormai le gran pignatte , Sarebbe strazio lasciarle alle gatte , O clie la fante le godesse , o '1 cuoco. Per6 fia ben , se vo' avete appetiro , Che di qui vi partiate or s' e' non piove : E a vostra posta andiate a cena al trove; Che 1 nostro passatempo ^ gia foraito. E voi SIgnor , che quando vi sposasti, Sguazzar facesti allegramente ognuno , Sarebbe farvi fare un gran digiuno, Chi v'invitasse a' nostri niagri pasti. Fu ben disagio assai sur una sedia Star a seder tre ore intere intere , Senza per si gran caldo un tratto bere, Per udir di Villani una Commedia. IL F I N£. 207 ANNOTAZIONI SOPRA LA TANGIA VARIE LEZIONI. V— v^-~^ Persone della Favola. Cecco , nojyte rustico cU Francesco. Ciapino elimi/iutivo di Ciapo , cioe Jacopo detLo anche Lapo. Tanria , Co stanza. Cosa , nome forse tronco da Niccolosa. Tina , Caterina , che il Berni disse Cutrina como sopra. Bema , ^ accorciato da Bernardo , siccome Bene da Benedetto. fio8 ANNOT. SOPRA LA TANCIA Prologo. E 'I manto sparse di lune. La mezza Luna e in- segna della Citta lU Flesole. lo pSr son Fesola fata. A Flesole, dice il basso j)Of)olo , ci e la Cava delle Fabe , cioe delle Parche. Quella da cui Fiesole si dice. L'Etimologia di Gio. J^illani e : Fiesola , cioe Fiti sola. Ma il PoUziano la piglia da At(rv2j7i , jffisyla , una delle Plejadi , figliuole d'Atlante , coLV aggiunta in yrincijiio del digainma Eolico. Menzionata e questa da Esiodo. Allorclie d' alte mura , e leggi sanle. Fiesole , co- me citta priiicipale d'Etriiria , attendcr>a in antico alle cose delta religioiie , la quale i Ro- maiii apparavano dagli Etruschi. F~. L. Cosi la disse ec. Cosl nomolla ec. Delle Medicee stelle. Note sono le piccole Lune intorno al Pianeta di Gioie scoperte dall' im- mortale Galileo , e cosi chianiate : al quale fu scritto , die se troi^aia nuove stelle , le inti- tolasse Borbonie ; in una lettera di Parigi re- gnando Arrigo IT^. DI MICHELAGNOLO BUONARRUOTr. 209 A T T O P R I M O. SCENA PRIMA. Fresti per fares ti. Per voler questa rapa confettare, cioe candire : inzuccherare una cosa iiisipicla. Che costei ec. ; ti manderd in precipiLio , ti rovi- nera i fatti tuoi. Slificuzza dices i di persona ritrosa per traslato dal sapore stitico , brusco , aiistero , astritigcnte. Incagnata ; irosa , a maniera dei cani, die nio- strano i denti , e riguano. E permalosa , die ha ogni cosa per male. Che la cariie e tigliosa. Tiglioso dal tiglio albero die e fihroso. A Maravalle : Maravalle , storpiato contadinesca- mente da Dies magna et amara valde , lo die si canta nell' assoluzion del morto , detto ru- sticaniente il Lazzerone. V. Tj. E 1 boja sulle spalle. In sii le spallc. Rinvolto nel paniaccio. Paniaccio , pclle contencnte la pania , nella quale si tengono le paniuzze. Ariosto : Chi mette il piii sull' amorosa pania Cerchi litrarlo , e non v'iiiveschi Tale. i4 2IO ANNOT. SOPRA. LA TANCIA S'io sapessi far testo. Forse (ar testa ,cioe opporsi, resistere. Nel Dlzion. delta Crusca tion si trova testo per testa. Billera /' istesso che burla. Sfanfanar d' amore , clivampare. Tu ti pigU la Berta per piacere ; tu be la pigU in berta , in bnrla. Ciurmadore , inago. Tantafere , ciancie. Atare , ajutare. V. L. Doviso , dtviso. Margutto , cioe un Mtirgite , uno stolido. Be' si tu sa' di lettera, ben si tu sei letterato. T'nggrizzi , t' iutirizzi. Pricolosa , pericoLosa. A teco meco , a solo a solo , a quattr occhi. Scorrubbioso : Salvini pauroso , dolente: il T^ocab. Adiroso , cruccioso. Quest' orzo non e fatto pe' tuoi denti. Allude al proverb lo : 1' orzo non e fatto per gli asini; e cost gli da d' asino in complunento. Moroso , amoroso , amante. Deh non mi dar piu fune ; non mi tormentare coir indugiare la risposta. Tu mi stravolgi 1 cuor com' un balestro. p^uolci gran forza , e grande scontorcitnento a tendere un balestro. E d' erba amara ec. , ti sapra d'amaro cio che vuoi , ch' io ti dica. Ton di Drea , cioe Antonio d' Andrea. Brulicame lo stesso che Ijulicame. Dante disse , I DI MICHELAGNOLO BUONARRRUOTI. 211 bulirame di Viteibo , dal hoUire dell' acqiia naturahneiite calda. Sal mi sia , (jiuisi salvo mi sia. Lat. absit invidia verbo, o cosa simile. Piuvica , pubblica. Cre'cb'e'sia gi;\ un mese amman ammano , cio^ credo die sia gia vicino a comjnr.si un mese. Un di di sciopro , cioe di scioperio , un giorno non di lavoro. Giu da Mensola , liingo il Jiumicello Mensola. Di soppiano , piano , sotto voce. Dreto , dictro. Segreto. Nell' edizione del Landini si legge sagreto , ed e pill da contadini. E'l fosso vota. Fossa da Pisa a Livorno. Lagora , lavora. Cli' ella non e carota , cioe hugla , falsita. Sommommo , o sommommolo , colpo dato sotto al mento. Che mi rattarpa ; cioe mi rattrnppa ; mi rattrap- pisce , mi fa restare stiipido , e immobile mi fa rim an ere. Ciarpa , roba , mercanzia. Gaveggiare , vagheggiare. Scapponata , in contado e ordinariamente il ban- chetto nella nascita d' un flgliuolo , cosi detla dai capponi , che in quella solennita si soglion mangiare. E perchc in siiuili conviti si fa un grande romore , si dice fare uno scapponeo a uno , qnand' nltri gli fa roinore sopra l capO riprendendolo strepitusamente. 21i'. ANNOT. SOPRA LA TANCIA ■ In Pianmugnone , il vidi stralunare. In Plan di Mugnone storcere gU occhi , lo die fanno gV innamorati , i quali balora cuoprono le loro luci , come i gatti , vagheggiaiulo con devozione le loro donne. Basalistio , hasilisco. Ella par propio un iistio. Si dice ancora pare un campanello , quasi abhia voce , come si dice , arge.ntina. Percurar, cioe proccurare , sborpiato alia maniera de' fillani. F'. L. Allor con I'altre ec. AUor tra V altre ec. T^. L. Ch' aljbia i colte' ec. Ch' ahhia il coltel ec. lo temo non entrar 'n una maciulla ec. , ciod ho paiirn di non entrare in una maciulla ( stru- mento da maciullare il lino ) ove io sia ma- ciullato con troppo acuta ed afjllato colteUo d' un infelice amorazzo. Di darti ajuto a ogni stretto ; a ogni tua angustia, die da la stretta al cuore. Tu le darai '1 perdono. Tratta V ironia da quando net dl della perdonanza , uno s' accosta all' al- tare , e c/ lascia sopra una piccola moneta d' un quattrino , o simile. Dicesi d' un mazzo- liuo di Jlori , die vale un quattrino , e pure non ista bene in mano a tutti. Sicche dice I' amico Cecco all' innamorato Ciapino : con dare alia dama tua tlue roselline , tu le farai un regalo d'un quattrino : viiol esser altro. Uno scheggiale , cintola , credo io , di cuojo , quasi scoreggiale; siccome scoreggiato, o coreggiato , ttrumeiUo da battere il grano disteso suW aja. DI MICHELAGNOLO BUONARRUOTI. 21 3 Chiavacuore , im cuore trafiUo o passato da stra' le , simbolo degli amanti. Vezzo , Lat. monile. Sarebbe '1 falto , sarebbe cosa uti/e , cosa a pro- posilo. IMandallo, maiiilailo. Sarebbe un INIoscongreco , un Agliocriso , cioe Musro greco, Elicriso. 7^. L. ToUipane , TolUpane , Tulipano. Vinciglio, dal Lat. vincire ; legare. Questi nomi a gettargli a un can nel viso ec. Nonii da fare spiritare i caiii. Li/>pi Mal- tnantUe. Majano , luogo presso a Fiesole , ov' e la scena. lo non ho queste cose ora di punta , cloc in punto. Lo spillo e d'oro. Lo strale aurato e quell o die fa innamorare ; e le quadrella impionibate , disamorare. Un parentorio , cioe un perentorio , contadinesca- mente detto per termine ultimo. Qui forse e preso abusivainente per parentado. V. L. Perch' altrimenti non fre' ec. non sare' . Non mi far ora il ripitio , non me lo ripetere importunamente. V me la coggo , cioi: colgo la strada. Scena IT. Slbillare , cioS inspirare. V non are' piu '1 ranto. Avere il rantolo , cioi un certo difficnhoso respiro , e un roco ringurgi~ 2l4 ANNOT. SOPRA LA TANCIA tare di fiato , die patiscono i moribondi , cioe non sarel viciao a morire. SCENA III. V. L. Di quelle , di che gla non fasti parca , di cui gia ec. Dopo I'oste a' Marmi ec. Doj)0 essere stato alia vicina osteria detta del Porco , cantare all' iin- vrovviso , come gia solea farsi , a' Marmi , ciod alle scalee del Duomo , antico seggio d'allegra gente. J^. L. Resto a' lacci d'Amor colto , o/" d' Amor ec. E giocando, fatto 1 coUo, come si fa a polasbrotti: e si dice un giocatore , qiiando gli sono vinti Lutti i danari , essere freddato , come sono i cadaveri. Si, ch' io n'anda' al rezzo , cioe, come si dice, a gambe levate. Vadia mal la mia grillaja. Grillaja si dice una possessione jnagra , teniie , quasi ahitazione di grii'li. E i vermigli ballerini ec. Non so se voglia dire i denti nelle loro vermigUc sballette. Stare a niartello ; cine reggere , e resistere alia popolar censura. Gli e un voler notar'n una ritrosa , ciohd'acqua, Lat. in vortice , dove V acqua rigira , e rivolgesi. DI MICIIELAGNOLO BUONAURUOTI. 2l5 SCENA IV. Per mene, per me. A gnuti , cine a niuno ; vo' prometter la mia fe- ne , fede. Questi interniedj , e queste lor corcliiate. Cocchiata , seven ata , cioe cantata fatta cli notte co ' inusi- ci , che vanno att.orno sul cocchio. Mi pajon orsate , cioe cantate da or si. Gli e mnnsovieto , cioe mansueto. Binigno , benigno. Non e come qaalrun bizzoco e arcigno. Dal Fran- cese bigot, quasi bigotto ; dal colore del panno nacque bizzoco ; onde pinzocliero ; cioe torvo , severo. Arcigno , agro , acerbo , quasi da agri- gno. Ma que'rispetti ec. Piispetli sono Ottave rusticali, cost dette , cred' io dal rispctto , e dalla rive- renza , e doll' onore , die si fa cantando , al- V oggetto onestamente aniato : o pure rispetti , quasi canti reciprocJii , e scambievoli. Per di buono , bonaniente , veratnente. A questo mo' I'arebhe paglia in becco , a^'er fine e disegno particolarc , e nascoso , mediants quatche promessa ; o essersi gia foruito , e provvisto ; non potendo in chi ha paglia in bec- co , capirvi altra roba. E i' murerei la mia fabbrica a secco , cioe senza presa , o siabdita. Muro a secco , sono sassi 2lG ANNOT. SOPRA LA TANCIA Ttiessi ittsieme senza calcina. Murare a secco si siiol dire per ischerzo a chi mangia senza here. II mio sprendore , splendore. Dare una giomella , che si dice anche giumella , viene a dire una Tnisura coiitenuta in tutCe e due le mani unite insieme , quasi gemella , a geminis manibus. Uh r ha pure il buon olore. Uh , interjezione che pud rappresentare il tirar su pel naso V alito per sentire , e attrarre V odore , olore. Delia borrana ec. Dioscoride nel lib. ^. dice che questa pianta messa nel vino rallegra il cuore. O Sabatino, o Mone , nome proprj di contadini. Sabatino nato in giorno di Sabato , Mone ac- corciato da Simone. Quella kichera , cioe quell' aria di viso , quel- r aspetto. Se neir amarla son fermo dl testa ^francese entete , impegnato. Pigliar sosta , quiete , riposo. E sempre t' odo proverblarmi , mettermi in canzo- na , e come i Greci dicevano mettermi in corn- media , commediarmi , ^o(iodeiv. Eh i' non son la sninfia. IVoii accetta ella il bibolo di Ninfa , ma se ne burla , trasfigurandolo in sninfia. Dio vi dia 'I giorno. EUsse contadinesca , in cam- bio di dire Dio vi dia il buon giorno. ftl MICHELAGNOLO BUONARRUOTI. 21' SCENA. v. Un bel fagiuolo , lo stesso die minchione. Insino a ora i'n'ho gettati i xx\o\x\ \ gettate le pa- role al vento. Gli han fatto il sordo. EgU hanno fatto orecchie di mercante , die dove non e loro vaiitaggio , non ci sentoiio da qitella orecdtia. E sono stati chiotli, dieti , senza far motto. I' vo' venir a' ferri , a lama aorta. Un tratto io vo' godere , in tutto e per tutto. Ramatando , colle ramate battendo. AT TO SECOND O. SCENA I. E si t' awoUi , t' avvolgi , t' avviluppi, t' imhrogli. Una fanfana , dioe una vana , die anfani per poco. La loja , // sndiclume. Tu vai brucando , friigando , cercando. E t'appicclii su'l muso questa gioja, gli acccnna di dargli un buon garontolo , un pugno. Tu va' cajendo , cercando. 2l8 ANNOT. SOPRX LA TANCIA SCENA II. E' sari ben ch' io faccia quell' affetto , cioe quel- r effetto , cioe quella parte , quell a mia incum- benza di parlare alia Tancia. Al contrario i contadlni dicnno : vi porto grande efietto , per affetto. E sono imbufonchiate , sono odirate. Ch' avete voi c1o\'iso , cioe divisato , a pure , die avete avuto tra voi da dovidere ? cioe da par- tire. Scasione , causa , occasione. V. I J. r vo' contar ec. Ti vo' cantar. O bello 'ntriso , ititrigo. Ch' e un bel piato, una bella lite. Le vostre fatitasie , hizzarrie , cnpricci. Saran forse pe' dami una triocca , cioe un tirocco , un trattenimento di conversazione. Vuo' tu giucar ? scommettere. Orsii , per non accender piii la brace , per non attizzarvi. Ma la mi vaole a suo mo' stramenare , Lat. ve- xare. Duo fregagloni con quattro parole. U ira e un male , che va incantato colle parole dolci. Qui fra noi tre si venga a sconfermare. Tutto al contrario per voler dire coafermare. Ala qui 6 una energia di lingua villereccia , volendo si- gnificare confermare quel piii. DI MICHELAGNOLO BUONARnUOTI. 21(1 Clie s' io sto troppo fuor , mia mad re bolle , tem- pesta, e mette a fuoco e fianmia la casa. Lat. aestuat ira. SCENA III. I' t'ho sempre ma' avuia in prodizione , protezione. A tuo utole , e tuo prone , utile e pro , projitto. Olor di quel fine , perfetto. Ch' e' possa dilefiare , stri/ggersl ; onde la voce di- leguarsi. Qiieslo non mi par tempo da 'mpaniare , da ten- dere all' uccelliera , o alia Jraschetta. Non son ora per colpire. Ve' ch' io la pigio. Pigiare dal Lat. subigo , calco. Crudela per crudele. Miociohino , micolino , un briciolo , un minuzzolo. Til mi ries'i una ru])ida tela , ruvida. V vo' la hurla , non far case delle mie parole che son debte per hurla. Ch' abbia a farti il capo chino , che t abhia a fare Dergo^nare. Fa conto, che una ghiotta sia 'I tuo petto. Ghiotta, vaso di terra da citcina , basso e largo , nelle estremita tondo ; detto cost dal ricevere in se ghiotte cose , e Icccarde. V. L. mettere in filza , inettere in infdza. A fir le lustre dal bianco pe '1 nero. Far le viste. Tu 'ntentU , capresta , cio^ degna di capresto. Cosi forca , degno di forca. Una richiesta ? domanda , precctto. 220 ANNOT. SOPRA LA TANCIA Tancia , tu se' salvatica e m-Aea. , /lera , selv^ffgia : mak'a , quasi nialata, die ha patito , malvagia, cattWa. Perchene , perch e. Si mondera gli stinchi con un segolo. Si shuccera , si scortichcra. Gli stinclii , stiene , segolo , pic- cola sega. Fari su la sua pelle, fard per se ; egli ci ha a pensare. Deh dimmi : ecci cavelle ? ci e egli cosa alcunal avete voi bisogno di niente ? Quasimente , per quasi. SCENA IV, p^. L. Ella se n'e andata ec. Ella la se n e an- clata ec. Ella se n' e andata gruUa grulla , cioe assotti- gliata a modo di grue ; o^vero come una gal- Una hagnata. Attronitp , attonito. So cli' egli ha avuta la pesca nel muso , tumore , enfiagione grossa come una pesca; il qual tu- more proviene da pugno dato. Lam' ha messo sozzopra (^sotto sopra^\& budella , m' ha turhaio il ventre per la paura. Scompensando , pensando qua e la. Strogalando , strolagando. Aoccliiar , ravvisare , riconoscere. DI MICHELAGNOLO BUONA.RRUOTI. 221 I' vo' gliiribizzarlo. Ghiribizzo noine , e una matta fantasia : e cli qui il verba ghiribizzare , aggi~ rarsi faiitasiosamente per ritrovare una cosa : e I' esser preso in sigjiijicazione attiva , di ri- cercare , studiare , indagare , rinvenire , usando diligenza , un tal offare , apporta per la novi- ta , amniirazione insicme e diletto. L' e una badalona rigogliosa. Badalona , cioe ba- cUalona. Badiale vale grande , ampio. E mi s'adrebbe , mi s' addurehbe , mi s' affarebbe, m andrebbe a genio. Gicherosa , quasi dica , rugiadosa. Gichero , ori- chicco, gxchavoso pieno di gicheri, per metafura lo stesso che rigogliosa. Boccuzza rubinosa. L'epiteto e nuovo e vago. Il Bocc. disse arrubinare. Appipito per appebito. Se , poiche seco ella non vuole 1 bacco , cioe in- tabaccarsi. Concrusion , conclusione. SCENA Y. 10 non islimo mille srudi un bezzo , cioe un quatirino. E dopo una gian ressa , rissa. Canchitra , cioe canchita , capperi. 11 Sere , // Prete. Son ito invisibilio , in estasi. Museca , musica. 222 ANNOT. SOPRX LA TANCIA Quella ribeca , chitarra. Presso al cesale , forse ha da clir casale , che i casa antica. Ala se pure ha da dir cesale , in~ doviiierei che potesse esser la siepe tenuta ta- gliata ; siccome cesoje son dette did Lat. caedere , tagUare. T' son qui ritto. Credo che ahbla a leggersi qui- ritta , voce usata da contadini , cioe qui alia inia dirittura , quiciritta. I temporal! vanno strani , le stagioni. Vi capitre' male , vi capiterebbe. Carnesciale, carnovale. Leggete vol come sta la campagna. Leggete, rico- noscetelo nella vista della campagna. Per ingenico , ]>er ingenere , generalmente. Ma '1 fattojo iie guadagna , Lat. factorium , a fa- ciendo oleo. Baccello , stolido. Cillmonie , cirimonie. Tea di Ton , Dorotea o Mattea d' Antonio. Bargianni , casato fatto da Bartolommeo di Gio- vanni. Una sirocchia da darle 1 cristiano , cioe una so- rella da niarito. T^. L. Vol siete certo ec. P'oi siate ec. Siavo , savio. Lagoratia, lavorativa , arahile. Sfingardagginc , iiifinnardaggine. Caso a di questo. Quello a ridonda , ed e detto alia rustica. Opera di questa cos a y hujus rei caussa. DI MICHELA.GNOLO BUONARRUOTI. 223 SCENA VI. Un agnellino ? Chi lo sa ? Parla interrotto clalla passione : un agnello , sup/ilisci ho perso. Clii lo sa? cine ritrovare, o pure, chi 1' ha visto? Dov' e e' ? Dove a egli '! Voi siate (^siete^ d' un castron piu grande assai. Un castronaccio , cioe stoUdo , scimunito. SCENA VII. Se sai favellare. / suonl son fatbi per imitar la favella ; e si dice chi suona bene uiio strumen- to : E' lo fa parlare. yl Lale perfezione giunsero a nostri tempi Paisiello , Citnarosa , Zingarel- li , Ilaideii , Veighl , ed altri. Mentre ch' i' ti strimpello , ti gratto , ti pizzico. Vo'rifarti il ponticello al quale son congiunCe e attaccate le corde. Ch' ogni sempre m' e dreto , sempremai , sempre sempre m' ii dietro. Eh bada a me, vorrehhe ch' ella V amasse. I bisrheri , e la rosa , chiamasi rosa qiieW apertura tonda che si I'ede negli strumenti di corde per cui il suona sotto spandeudosi piu spicca e rimhomba. Sent' un che canta che pare una troja. Svilisce il canto del suo concorrente in amorc. V. L. In quesio stretlo , a questo stretto. 224 ANNOT. SOPRA LA TANGIA S' e' vien di netto , pulitamente , acldirittiira. Per uii traglietto , per una via travei'sa e stretta, Tancia , accorda tra lor questo sgomiiio , sgoniinio, scombiissolamento. Pongli tu d' accordo. Con un occhio storto , fuith'aniente. SCENA VIII. Santambarco , ahito rustico. Tu villan gatto , astuto , tristo. Sonar a rAccohn, simi/itudine tratta dalla milizia, e vale battere solennemente. Dio vi dia Dio , quasi vi dia addio ; viiol dire i' vi saluto. SCENA X. Voi civette , s'e'vi giova , cioe se vi piace , se vi par huono. Forasiepi , sorta di piccolo uccelletto , dal becco aguzzo coil detto , e dallo stare iielle siepi. ATTO TERZO. ScENA I. Fra due asse mi trovo stretto. Altrimenti si dice fra r uscio e '1 muro : qui fra I' amicizia e I' a- more. DT MICHELAGNOLO BUOXARRVOTt. 225 lo lo rovino di strafineFatto. Strafine signijica tra- perfetto di la da perfetto. Di strafiiiefauo d'una inaniera perfettissima , finitissiina. Assendo , essendo. Mi scropo , scopro. lo resto 'n horca ec. , fara di we alia palla. Ch' e'mi darebbe '1 poder a Legnaja. Legnaja horgo presso Firenze , famoso per li hiioni poponi , e per la copia de' cavoli ; donde il proverhio : portare i cavoli a Legnaja. Qui dare un podere a Legnaja signijica dare delle legnate o hasto- nabe a uno. Oh s' ha pur tanto a voltolar siiU' aja. Gli anbichi quando aveano qualclic dolore o lutto , si vol- tolavano per le terre , e di polvere s' osper- gevano. E ha pur a ratire , tirare i tratii , morire di do- lore ; tirare le recate , le qnali sogliono prece- dere la morte ; cioe raccolto di jiato , che vien tarda e sottile. r vo' addopparmi qui, cioe ritirarmi qua di die- tro , dopo lei. E orlgliando , stando in orccchi , ascoltando. Far6 tra questi rami baco baco, cost serpendo come i haclii , e i i,'crmi fanno. ScENA n. Bobi , Zanobi. Ma or , lalde d' Iddio , cioe sia data lode a Dio , Dio laudato. 236 ANNOT. SOPaA LA TANCIA In un gran pensatojo , quasi in wi luogo ahitato da pensieri. E a lui render la mestola , e '1 ballo. Rendere il ballo , due far ritornare in hallo chl ha inci- tato. Allude al hallo rusticale , detto ballo della mestola , dove il cenno dello invito , e il tocco della tnestola , a la consegiia di quella. Ignun rimprotto mal per medicina , cioe niun rim- proi>ero o riufacciamento per riniedio o sfogo di passione. Anima nata , uomo die sia al viondo. Tu se' scovata , tratta fuori del covo , diiappata. Viso di stecco , visa magro , odioso , ristecchito. S' io avessi '1 cervello a for del male , cioe accon- do , intenzionato. Sagreti , segreti. Facimale , malfattore. Vo' che no' ci prestlam I'un raltro '1 sale , che noi facciamo da huoni amid. Temporale , il tempo , V occasione. Ho delibrato , deliberato. Bucinando , susurrando , dicendo per piazza pub- hlicamente. Dileggino , dileggiatorino , die dileggia , cioe un suggettino che si piglia gusto di fare V iiinamo- rato , e non e. Amor non vien altrui da uoin dabbene : viene da ladro , entra per le finestre , cioe per gli occhi. Amor di socio accenna , e da di sopra. Aniore e traditore. Del l>t;n buondato , doe in buon dato , in una huona data , in huona dose. 1)1 MICHELA.GNOLO BUONARRUOTI. 227 Ve' com' ella ha mandato fuora '1 liscio , cioe il color rosso: ella e arrossita. ScENA in. Mia ma' la micca lia scodellata. Mia madre ha scodellata , cioe versata dalla pentola nella scodella la minestra , dal Lat. mica , minuzzolo (li pane. Debb' esser ora d'asciolver , cioe solvere il digiuno, di far colazione . T^. L. lo vo' far or ec. lo vo' or far. Evvi oipolla ? La cipolla da buon here. Si , fa tu , cioe immaginatelo tu. Tamanta , tanta facta : tanto manta , cioe niolta. SCENA IV. J^. L. Se la Tancia nol vuole , se la Tancia non vuol. D'attaccar I'oncino, ciob da attaccarsi , da ap- plicare. Ma s' io dibarbo questi pastricciani , s' io spicco ^ lies to negozio , s' io stacco questo affare , s' io lo spunto. Pastricciano , lo stesso die pasticcia- no : pastinaca salvatica , radice die si mangia cotta. E pastricciano si dice noma semplice e grossolano. 228 ANNOT. SOPRA LA TANCIA Se queste noci non mi son malesce. Questo e un epiteto die si da propriamente alle noci di cat- tivo sopore , ciob nialefiche. SCENA V. Che si fa uom dabbene? come se dicesse o ga- lantuomo. Ho qui certe rigaglie , cioe piccole robe. Ciliege buondi , sorta di ciliege. Magberi , magri. ScENA VI. Sagga , saiga. Badaloccare , stare a bada , trattenersi. Oltre qui capitasse , qui oltre , intorno a qui, in questi luoghi. ScENA VII. Vo' posare il vassojo , la tavoletta de' panni da lavare. Vassojo quasi ricettacolo di <,asi , si dice la bavoletta che porta Ic chicchere delta cioc- colata , e del caffe. Ho dato uu gran cimbottolo , un grande stramaz- zone. Cimbottolo , hotta , colpo , dalla cascata. Tu parli per gramata , per grammatica. DI MICHELAGNOLO BUONARRUOTI. 22Q Dillo . boccuccia mia di sermollino , hocchin vilo saporito. Lat. serpylliim , e un ei'buccio ocloro- so , di sapore aciito , die prima chiamavasi serpollo , poi sermollo , e i?i Jine sermollino , detto cosi dal serpeggiare per terra. Questo ti costa , t' e palese. N('' accorre , cioe occorre. Grillava il cuore , cominciava a hnllire. E m'era messo gia su 1 ill d'amore, sidla dirit- tura , sul cammino. Oime la passa , la miiore. Oh cocoja , da oh oh , detto con forza. SCENA VIII. Ghiottone , vale sciaurato d' ogiii sorta di rihal- deria. r vel di . . . vo' mi fate spiritare dalla paura , co- viinciando a dire , i' vel diro , resta a mezzo , dicendo : I' vel di . . . . e non finisce il verso. SCENA IX. P". L. Ch' altro di male intanto non le accada , non gli accada. ScENA X. Co' mi una ciocca ec. Coglimi , ciocca ran\o tron- cato. 23o ANNOT. SOPRA LA. TANCIA SCENA XI. I Cancherusse e un imprecazione -per accatUir fede al sua detto , quasi dica : mi venga il canche- ro , se cosi non e la verita. Non era tempo da piantare 'nvilia , da stare a hada , da stare a piuolo. La 'nvilia , cioe la 'n- vidia , cioe la endivia. Diaschigni lo stesso cJie diascane , e didcine. O vacci scalzo , inodo di dire basso , quasi dica tu ti pugnerai , ovvero sarai morso. Quel broncio, quel tuuso tanto lungo. Gli e delle mani , metterehhe su presto le mani , e manesco. Ch' e' par uno Sguizzero , Svizzero. Un Trucco , un Turco. Un Lanzo , Lanzighinetto, vale fante di lancia. Un Giovannizzero , Gian- nizzero. Lagorio , lavorlo : che opra , che roba ! Ruticare , muoversi , rivoltarsi. Oime ! che '1 cuore sfiiatami. Sfiatare propriamenie si dice delle ferite , che pass ano da banda a ban- da, onde entrandovi I'aria, fanno un certo ribol- lio , per awentiira simile al rantolo de' mori- boudi : e la Tancia era trafitta d' artiore. Guardo se Preto intorno fa cu cu , verso delta civetta. A far la scorta , la sentinella , la ronda. E tu basivJ, passavi , morivi. m michelagnolo btjovarruoti. aSi Arcattar tozzi , accattar moglie. E del poder sara bea fame fuoco , cioe non ne parlar pit'i , del poclere die io voleva chiedere al cittadino. Di uno , che per suoi mali porta- menti non c piii ammesso in una casa , dove soleva andare , si dice aver bruciato 1' allog- gianiento. OrsLi io sto su , cioe via su, io sto qui per con- tentarti. SCENA. XII. Rannunzio , rinunzio. Grattarle un po' le rene. Qui forse vale fare le freghe .• o pure grattarle le reni , perche ella si risenta , venendo il sangiie in pelle , onde il proverbio di chi alle riprensioni , e alle minac- ce non si risvegUa , diciatno : iion teme grat- ia ticci. Se le dari quel benedetto ec. mal caduco. Questa barba ch' io porto di peonia. Medicine di donne. Dice Dioscoride , che questa barba di Peonia , cioe melagrana dolce , si da alle don- ne , che dopo il parto non rianno ; e secondo lui ha molce medicinali virtu. II mal caduto per caduco. E e', e egli ? Che ogni male spegna. Ottava chiusa con asso- nanti , e non con consonanti ; Io che segue sovente negV improvvisanti di contado. Che mentre le si scioglie il gammiurino ; ella si sfibbia la gonnella , per dare adito al circolare del sangue. aSa ANNOT. SOPRA LA TANCIA. E fate 'ntanto,che gnun le s'accosti. Qui vuol dire, che sia guardata interamente la sua onesta da ogni miniina onibra di sospetto ; perche egU vuole che la sua sposa gli si serbi intatta. Fuggir di colta , di suhibo ; come la pallottula , o boccia , die non si gira per terra , ma si fa viaggiar per aria , per corre e trucciare la ne- mica pallottola. SCENA XIII. La moglle di Fruson. Nome tratto da iin uccello di becco grosso , die leva il pezzo. Da Miransu. Patria del sopraddetto Frusone. Ghera , gliiera , quel giro di metallo in fondo d' una mazza. Quel male , quel benedetto come ha detto poco addietro. E che accasca ? che accade , che occorre ? V. L. Guata un po' die zanna. Nell' edizione del Landini si legge stanna. Voglio il' a rilente, andar adagio , lentamente. To ci so qiiesta bella diceria , incantesimo. Mi succionno , da succiorono , succiorno , succion- no. // buono e succiarono. La si sta giu , e chiosa. Di questa sorta di chio- sare // P'ocabolario non insegna nulla. Forse chi chiosa , sta disapplicato da ogni altro pen- siero per attendere a quello. La si sta giii , e chiosa , forse cliioccia , sta male , o fa la voc» della chioccia. DI MICHELAGNOLO BUONARRUOTI. 235 T^. L. E' sare' propio , e' sare propria ec. Mazzaccliero da mazza , strunie/ito da jiigUare anguitle , o ranocchl al boccoiie. Per li ratti ec. Ratto quella parte del letto del fiume , dov' e pochissima acqiia , e nio/ta cor- rente : ratto cioe rapido. ATTO QUARTO. SCENA I. E 'n Sill tuo hai portati i ravalletli ; ciok masse di spifflie prima d' ahharcarle. Cavalletto dal~ V accavallare un covone sopra V altro. E se' un mal bigatto , un trafurello. Bigatto , ani- viahizzo , come il tonchio al grano , detto cost dal tondarlo. Trafurello dal Lat. trifur. V. L. Sanza un danajo , senza un danajo. Non del iiietterii 'n capo 1' arcolajo ; non dee cib farti girare il capo , tu non ci dei girar sopra. Arcolajo , strmnento da dipanare , detto anche biaJolo e guindolo. Un viso di tegame. Un die ha fisonomia di tC' game: vase rozzo , basso , di cucina. V. L. E cadden' or pel duol ec. E caddene pel duo I ec. Andare in giostra , dall' andare uno presso 1' altro. Stincata , colpo ricevuto nello stinco : e si dice anche gambata ; V esclusione dal matrimonio dcsiderato , il quale vietie conduso con i:n altro. 254 ANNOT. SOPRA LA tANCIA Ch' io r avea posto amor dirottamente , cioe a precipizio. Neir ormusin , ne/l' ermisino. Gorgiera , o grancliglia , bavero alto. T^. L. Un veslir signolire , un vestir signorile. T^. L. Uno smelardo , uno smeralclo. Si tleve av- vertire che il Salvitti con le dette varianci non si cwo delle rime. Camojardo , sorta di panno di pelo , furse dalle camozze , capre salvatiche. Ghelardo , cioe Gherardo. Invano al maggio i' I'ho attaccati i mai. Un al~ hero .^ o niajo , detto dal maggio, pieno d' or- pelli , e di nastri , abtaccato daW omante vicino all' uscio della dama per segno d' augiirio feiice di ricca ahhondanza. E air ImpiLineta fatte I'incannate. Vocah. Tncan- nata , sust. Iiitrecciatiira di ciriegie fatta in una canna rifessa in quattro. Bronzino , Stanze alia contadina. Quel di , clie tu donasti all' Impruneta Alia tua Beca si bella incannata. Alcuni riportano dalla Fiera dell' Impruneta certe sportelUne , proprie di quel luogo , fatte di poglia , qnadre e tonde , con nappine I'osse suite spalle , infilzote in una canna , che per awentiira si potrebbero anch' esse chiatnare incannate. Ch' i' ho date cosi nelle scartate : sono state scor- tato , rihuttato. DI MICHELAGNOLO BUONARRUOTI. 12.55 Pe' pelliccini m' e rimasto 1 saoco. // sacco , qua?ido si vuol votare si pig/ia pe' pelliccini, quasi pe- ^icim ^ picciuoli , cocche , estrcmita. Sol m' h restate qui 1 teganie in mano ; il tegame delta fava ; poiche segue : E dato ho per la via la volta al macco. Macco, fava pesta, ani- maccala. Per la ragnaja i' ho bussato a voto. Ragnaja , bosco , o luogo salvadco , dove si tendono le ragne , o red da tordi , e uccelletu. Ho bussa- to , cioe scacciaLo , die questo e il termine usato dagli uccellntori , i quali gettano terra e sassi sopra la ragnaja , per discacciare , e man- dare a appannare nelle tese red gU impaurid uccelii che vi soggiornano. Un ghezzo , sara sorta d' uccelln nero ; poichb Ghezzo , vale Moro , quasi Egizio. Sperai di farmi bello. Farsi hello d' una cosa , e acquistare onore , farsi onore , riuscire a bene d' un negozio. E mi fo sozzo , cioe bruLLo. Pioggia reci; vomita , rihutta , Lat. rejce , in questo significato : sanguinem rejcere : fare un getto di sangue. E vadia invisibilio ec. ciob facciasi invisihile , sparisca , svanisca. Cost Jianno le edizioni di Fircnze Giunti 1612 e Tartini e Franchi 1726 ec. La Crusca ha andare in visibilio, e soggiunge dovrebbesi dire andare in invisibilio cioci tanto lontano che nan si possa piii vederc , e nnn porta alcun esempio , incntre avrebbe dovuto citare questo del Buonarruoti e scrivcre pur 236 ANNOT. SOPRA LA TANCIA wiitamente I' in\is\hi\io , poiclie l'altro\n si deve sottintendere , siccome ne ahhiamo varj eseinpi ill ottinii scrittori , e pardcolarnienbe nelle ope- re di Fr. Doinenico Cavalca « Se V iionio ajuta chi non lo diserve , grande nilsericordia e ; ma chi ajuta chi inal li vuole , e diservelo con- timiarneiite e infinito niaggiore. « // Redi net Ditir. dice : E fatto estatico vo in visibillo per andar in estasi. V. sopra Atto II. Sc. 5. Segola cioe segala. V. L. Poiche la dama mia ec. Poiche la donna ec. Ogni cosa fra man mi piglia vento : non corre , non camniina prosperamente. Bombero , vomere : rappuntato , aguzzato , raffi- lato , fattogU la punta. II Luglio il fango m' e sin a' ginocchi ec. ec. TuUe cose a rovescio. L' e ostinata •, cioe la cosa k gia destinata. Stenta anche me ; cioe senti anche me , oppiire aspetta anche me. V. L. Par che di meno, par che di dimeno ec. SCENA II. Piu giu sta mona luna. Bisogna profondarsi piu nel giudizio , e guardare a piii cose , prima di decidere , e dar sentenza. Caparbia, testarda , ostinata. Maliiiiuta, maliziosa , con desinenza di dispregio. Di michelagnolo buonarruoti. 237 Stare a tu per tu, discendere a darsi del tu. ^che e un segiia/e di nessti/i rispetto. Gincubrina , Concuhina. Sicch' un tratto in mercato ec. /' antico ahito ne- ro , simhoLo di fratellevolc cUtadinanza d di- smesso. Vesrici d'un bigel , cornel mio grosso. Eigello , paniio bigeUo da contadbii. V. L. Gastigar sapessi , Gastigar potessi. Contradio , iiivece di contrario. Vo arristio , vo a riscliio. A pigliallo co' lami , a pigl'.arlo con gli ami. V. L. Mi lascierai, Tu mi lascerai. Tale un penzol d'argento ec. , un picchiapetto. Che Cinno pur tanti sbracii , cioe sbraciamenti , shraciale ; tante pompose mostre , e apparenze. Sfoggi , ijuasi fogge , e fazioni straordiuaric. E non volere or piu moine, /ezz/. Stoggi, da sto- gliersi d' una cosa , mustrare di non la voler fare , e farsi pregare. E se pigliale '1 ben voi v'abbattete; e un caso , e per disgrazia. Conoscenza , voce elegante per cognizione , notizia. Apricessi , storpiato da arcipressi. Cere , uomo lungo , di rado savio , come si dice , die va pari pari , ritto ritto. Dicon cb' io accoiicio '1 fornajo cosl. Accomodare il fornajo , si dice proverhialmente di aversi procacciato il pane per sempre. Nobol , nnbile. Velio , cioe vedilo. 238 ANNOT. SOPRA LA. TANCIA SCENA IV. Poi qua' de' frati no' andrem nell' inchiostro. Curiosa sborpiatura lU voce , per dire chiostro. Refrettorio, refettorio. Nell' ecliz. .SflA//// Refettorio. II distendio del parentorio , cioe il disteso del parentado. Giovanni Bruchi. Forse questo casato , come molti altri , c vemito da un soprannome ; pcrche Bruco diciamo a uno sparuto , inal in arnese , peloso , inatfatto. E che voi consumiate il patrimonio. Bello scam- bio ! I,a formola di consumare il matriinonio si poneva in tiitte le scriUe , come rituale e soleiine. Fagli santa , cioe sanita , salute , con insieme giugnere le mani , in atto di pregarc per la sua salute. Non vedi tu ch' egli la soja ti da ? ti fa le ca- rezze. Dar la soja , si dice ancora per piaggia- re , adulare , lisciare una persona. Ponla in su '1 liuto , mettila in mitsica ; che la vnisica allnnga. Il Musico fa certi preamholi , e preparativi , innanzi di venire al punto. V. L. Non ci bisogna , non vi bisogna. L' e pura piii che non e un avolio. Pura , inno- cente , semplice. Avolio , avorio. E' ti parri ch' ella canti di gala , cioe festosamente. DI MICHELAGNOLO BUON.VRRUOTI. 2.5^ SCENA. V. Chi e litratto ne fa dimostrazione , cioe tratto da suoi maggiori : chi e di casa iiobile, fa ritratto de snoi antenad. Ch' e' vuol infruire , infcrire. E la becca ec. 11 becchetto parte dell' antico cap- puccio. Becca // Vocah. cintolo di taffetta , per lo pin da Icgar le calze. E '1 mio carcame. Ornamento d' oro e di gioje , die le donne portano in vece di ghirlanda , quasi caricame , carico. E' miei sei sciugatoi col puntiscritto. // Vocah, Punto , quel brevissimo spazio , che occupa il cucito , che fa il sarto in una tirata d'ago. Non so se possa dire col puntiscritto , cioe col punto in scritto ; col segno di chi li possiede , fatto con lettera d' alfabeto. E' duo' lenzuol cuciti a sopraggitto. // T^ocab.So- praggitto , soita di lavoro , che si fa coll' ago , o per fortezza , o per ornamento. Credo io , che sia dal soprnggittare del Jilo sopra la cosa cu- cita , in maiiiera che quello si veggia , come si scorge ne' guanti , che si dicono cuciti a so- praggitto , a differenza di quelli altri piii nobili , ove il refe e nascoso. Pillacchere , schizzi di fango attaccatisi a' panni. Mcntrecatto , mentecatto. Sehben da un inlato , -vuol dire da u)i lalo , cioe da una parte. Z^O ANNOT. SOPRA LA TANCIA SCENA VI. Con tutti quanti gli argani dell' Opera ; cioe del- r Opera di SaJita Maria del Fiore ; i quali , avendosi sempre a fare qualche lavoro , e con- servare quel magnifico edificio , son sempre all' or dine , e apparecchiati , e mettonsi in opera. Face' egli , faccia Iddio. Tu ti sotterri ; cioe Cu ti mandi male , e in ro- vina. Clii me la desse, non arebbe pozzo, I' affogherebbe a darla a me. Cosi si dice dclle mnhnaritate. Che abljia un tozzo , cioe di pane. Ne fa provanze. Cosi si addimandano le prove , che si fanno per farsi Cavaliere. O legge Piioristi. Sono i Fasti , ove sono notati quelli , che pe' tempi hanno seduto Priori o Qonfalonieri. Qui diace Nocco , proverhio plebeo , alludente alia deposizione , o traslazione di Enoch. Ma i' ho avuto sempre un po' di sLocco. L' intero b un po' di stocco di riputazione y un poco di onore in testa. Stocco ^ una voce Tedesca , che vale legiio , siccome bran do vale tizzone. Or pcrche a principio , che non si era lavorato ilferro , combattevano co'bastoni, s'introdussero questi nomi , i quali poi mutati i generi del- DI MICItELXGNOLO BUO?f ARRUOTI. Z:^t I' armi , si manteiinero. Or da poi che surse la cai^alleria , e I' iisanza de ditelli ; stonro di ripubazione comincio a dirsi quasi spada d'ono- re , e molto a farsi conto dell' onnr propria , z'enendo spesso at citnento deW armi , e auti- ponendolo alia vita medesima. E'l'ha tolta il guklone ; il gidtto , il baronc. Gin- do, e anticameiite Guittone, e da Saa Vito propriamente in nome propria , ma in appel- lativo significa cib che ho detto ; e l medesimo Guittone , scrivendo a Messcr Oncsto da Bo- logna , fa vedere la signijicanza del propria name poco onesta. Tolga una della costola.d'Adamo; cAe .?/« antica, e nohile al pari d' Eva. , Che tra richieste , bullettini , e torclii. Rirliiesre , domande , citazinni. Bullettini, ccrte polizze in Javore del debitore , die I' assicurana , e lo difendono , Jinche quel bullettino da altro su- perior bullettino sia rotto. Tocchi: innanzi che una sia preso per debito , si usa la cirimonia di to cc aria. Alia fin nelle stinche ec. Stinche cosi dettc , pcr- che i prinii prigioni , che vi furon niessi , J'u- rono uomini diui castello de' Cavalcanti , detto le Stinche. P'i si cacciano i prigioni per debito. Di que' giule e('. Giule giiioca usaLa a que' tem- pi , forse dal mettcr giuli nel piattino in mezzo. E la mia non arebbe il cintol rosso. In prosa , avere il cinturin rosso , j)er csser diverso e di- stinto dagU aliri. Questa manicra proverbialc a^a ANNOT. SOPRA LA TANCIA e nata da qualche segno pariicolare di distin- zione e d' onore in antico. Che ti spignessi , in vece di spignesse. E un tor I'orso a Modana a menare. // Segni 6 di parere c/ie Ovso qui significhi , non I'animale cosi detto , ma uno strwnento di stiifajuoli , col quale ripuUscono il sudicio pavimento. E per- che Modana sia nelle stradc nan cosl pulita Citta , e il nettarle sia cusa difjicile ; iie sia nato questo proverb io. 1 1 Salvini crede die sia detto dalV animale , die si troika ne" nionti delta Garfugiiana , e die per ucdderlo e por- tarlo a Modana , vi fosse preniio : e die que- sta impresa di uccidei'e un orso , die faccia male al paese , non sia cosa facile. Queste gretole tue non ti varranno ; queste souse affettate ; questi rifugi , sutteifugi. Il Vocab. Gretola : Ciascuno di que' vimini , di clie son compos te le gabbie degli uccelli. Non la correr per la posta : non esser corrivo ; trovpo corrente a pigliare impegno. Digrumarla, cioe la cosa , la hisogua , la faccenda. Ruminare , dissero gli antichi ragumare : poi da diruminare , ragumare si fecc digrumare : e vale digerire un iiegozio, SCEXA VII. Amor pare uno scherzo alle persone , quando non vi s' e dentro : Petrarca E cio che in me non era Mi paieva un miracolo iu altrui. nl MICHELAGNOLO BL'OX AR RUOTI. 2 j5 '\^inciglio , vincolo , lepame. Abbacchiato , da hacchio , Lat. baculus. Abhat- tuto , dimesso , umiliato , costernato. Qiiando uno si sente debole , e stracco , suol dire : pajo bastonato. 11 Busca mio ec. , appropiato nomc a uno die fa i servizj , e qitando bisogni pe 'I padrone , b huono ancora a fare il mandatario. Perch' e' ne desse loro un rivellinn , cioe una buona qiiantita. Rivellino e una fortificazione esterio- re , staccata. Ala nel nostro significato nel Vocabolario e rapporiato un esempio dello AUegri nolle Rime : Gli accadea riportarne un rivellino. Moi diciamo : Gli feci un rivellino di que' buo- ni , cioe un amtnonimento , un rumore sopra capo , quale giusto fanno i rivellini , quando difendono le parte attaccate. SCENA VIII. Sono stato un gran pezzo in su le stiene : sopra di me. Conti paladini , cioe Conti Palatini di Palazzo. E paladino chiamasi per ischerzo quel contadiiicl- lo , die raccngUe nellc strade il concio colla pala e ne carica I' asino. ^ii ANNOT. SOPUA LA TANCXA SCENA IX. Doll , che ti mangi il verbo ! Saluti da villano. Dice il verbo , per non dire il vermo per ver- me. Vermo infermita cutanea del cavallo. Geinitio ; cioe hiogo gemitivo , doi'e I' acqua geme. U acqua che pullula sbille , si dice gemere , a similitudine delle lagrime. Fa' un poco il Serfedocco ; lo gnorri , il nescio. Fa tu, Giovanni .- yiz^^/ conto , immdginati. E' face van al tocco ; a chi V aveva d' avere. Fare al tocco , fare alia mora , Lac. micare digitis. Per la dolcezza se le lascio ire ; le acconseriti. Aveva "t^nero '1 budello , era tenero di lei. Come chi 'n corpo abbia la mediciua ; co77ie <7//e//<, c!:' hanno preso il lavativo , che si voltolano sul letto perclie s' insinui per tutbo. Che fina 1' aria. Modo proverhiale ; fnrse che finisce I'aria ^ la rifma , la rifiuisce ; cosi %'asta com' el I a e; aereni conficit ; Jz//^e/v2 la quantita dell' aria. Anche noi , fra' diciotto ec. , la costruzione porte- rehhe il dire anche a noi ; ma lo sprezzarla , dice il Sah'ini , e non \h stare cosi tenaccmente attaccatn , ha piii del naturale. Di questa sorte di costruzione injiniti esempli sono in EUano nella varia Istoria. r m'accostai lor He, cioe 11. Dilibrati , diliberati. DI MICIIELAGXOLO BUOXAnRtOTI. 2^5 Berna a salvare ; cioe plan piano : guarda quel che tu di'. Formola tratta dal gioco. Cavassi per cavarsi. Come nabissi. Perche in ahisso v' e confusione , nabissi si chimnano i giovani insolenti , e die guastano e chiappano. Di quel grolioso , rnno nobilc , gsneroso. Brobbioso , da opprobrium , hrohhio. No , diavol alia faccia : ell' era fuora. Per dire qual cosa , Diavol alia faccia , /' ho per una imprecazione villana ; e die vnglia dire : Diavolo la faccia ; siippUsci , scoppiare ; e sia venuto detto : Diavolo rdla faccia. Di quinavalle ; cioa di qui a \,'aUe , di qui di sotto ; siccome a monte volea dire di sopra. Biato per beato. L'era un crespel melato. Crespello , sorta di pasta , cosi detta per essere increspata , la quale per certo giorno dell' anno s' iiitigne nel mele. Tu la lasciasti , Giovanni, andar via , /7zo/7/e^ /;«/•- tire da questa i'ita. Canagevole , storpiato da cagionevole. Occidente in vece di dire accidente. Area per arien. Le tasto '1 folso , il polso. E brancicolle '1 petto. Brancicare , TjUt. attrectare , coUe mani , quasi hrandie , per i^edere se le viscere erano dure. Per ultimo ricetto , doii ricetta. Cassa , cassia. Pignatte , mignatie. Catapecchie , petecdiie. 246 ANNOT. SOPRA LA TAXCIA Cerottoli , cerotd. Che scorre piu , che occorre piu dire ? Incrinazione , inclinazione. Ch' io ci far6 1' opposite ; cioe lo 'mpossivole , ciok it posiibiie. SCENA X. Ognun mi sciopra , ciae sciopera , mi da da fare, mi trattieiie. Ti sa ch' e , ti sa ch' e , lo stesso di ch* e , ch' e , dal vedere al non vedere : a ogni passo. Forse s' io stessi qui fermo a piuolo ; a hada. Forse dal mettere in terra ii piuolu , per far la biica , e poi piantare cavoli ec. perche un vi si tral- tiene li ritto. ScENA XI. Scuia , scure. Al rezzo , quasi al nieriggio , all' omhra. Ma i' senti' tra le frasche un roviglieto ; quasi un romore tra' rovi , nella macchia: un fascheg- gio. Catelloii catelloue . Posto avverhialmente r^ale quatto quatto , detto dal cane , che quando ha veduto qualclie animal e , se nc K'ien pian piano per non lo levare. Franc. Sacch. Catellou ca- tellone se ne va , e torna al piovano. V. Tom. II. pag. 162. Ediz. Class. Ital. Dietamente , di^'iato , di fdo , addirittura. ni ;rtICHELA.GNOL0 BUOTfARRUOTI. 2 f 7 Cristiana e Cosmo e Maddalena. Cristlana di Lore- na , Cosiino Secondo , e Maria Moddalena d' Austria sua Consorie. AT TO QUINT O. SCENA II. Se' tu finito , cioe morto. Domin s'e't'han portato ancora al Santo. Alia Chiesa , al luogo santo. Le donrte quaudo vanno alia Chiesa dopo il parto a purijicarsi , si dicono andare in santo. Lo scorrotto , cioe to scorruccio , detto da cruccio , dolore , e questo dalla croce ; il duolo , lutto. T' ha detto reo ; t' ha detto cattivo. Pedignoni , pustule venute pel freddo a' piedi. Fragellato , sfrageUato , pesto , infranto. Gralzioso , quella I inframmessa nella parola gra- zioso , ha non so qual grazia iillesca , e un intoppo di lingua quasi sciUnguante , ameno. Sfelice , infelice. Diliguar , dileguare. ScENA III. Che tu possa strappare una cavezza , che tu possa ess ere impiccato . 2 jS ANNOT. SOPUA. LA TANCIA Sconsenso, consenso. Stracinaria , strascinarla. II bentipiari , // heneplacito. Ser Marchionne , da Melchiovre. V. L. Dacch' io fui stato , ilaccli io son stato. O impaniarle altro querciuolo : su' querciuoli fan- nosi le fraschette. C\\ ella lie va ratia , ratto , col capo dimesso , senza guardare alciino in iiso. V. L. Per Pietro , di Pietro. Ch' ella era bruciolata , bacata , cioe innamorata , dal baco , o bruco , verme che rode. Bruciolate si domandono le fiiitta , che hanno il bruco dentro. Scruso , escluso. Sdrucolasse , sdrucciolasse. Oh Tancia malandata. Malandato si dice propria- mente quello , che per qunlche malattia ha perduto il colore , e ha ditto come si dice , nelle vecchie. Ma qui vale malcapitata , disgra- ziata. In malorria , per non dire a suo padre in mal'ora. Hass' egli a ir meriggion er. , passore il mezzo giorno al fresco , all' ombra , la quale percib si dice meriggio. Con que' che tu t' atrieni , co' tuoi propinqui , cojigiunti e parenti. DI MICHELAGNOLO BUONARRUOTI. 249 ScENA ly. Lucheria , lo stesso che luchera , semhianza , cera , aspetto. Tragenda , Tregenda , una pricissionc limga , forse clal numero latino trecenta. Indozzamenti. // Boccaccio dice : Fece a' suoi fra- telli e alle sirocchie, e ad ogni altra persona credere , che per indozzamenti di demon j questo fosse arsenuto , forse ijuasi inducimenti , ingaii- ni , Lab. inducere iiigannare , Indozzamenti, malic , falture. V. Tom. III. Gioni. 8. Nov. 7. pag. 299. Edit. Class. Ital. Costui lia mangiate cicerchie, e non lenti. Stimasi che questa civaja faccia vedere V uno due. E non lenti ; in grazia della rima. V. Tj. Costui ha mangiate , costui ha niangiabo. Di que' bordegli , accenna gli struinenti per la vista. Gli era nn cotalc ; sjipplisci , negozio : un coso , quando non sappianio che dire ; cioe una tal cosa. Qui pero si vede che vuol dire un canoc- chiale , che scuopre le genti da lontano. J^. I J. Si cliiude un ocrhio , ed altro si pone , si chiude un occhio , e I' altro vi si pone. ScENA V. Le nostre zanche , zampe. Stralagante , stravagante. 25o ANNOT. SOPRA LA TANCIA Ve' bella invenia. Qui pare che voglia dire , in- veiizione. I' lion faccia la festa , perclie quando si fa giusti- zia , e come si facesse la festa , e 'I popol vie- ne come a una solennita ; e di qui fur la festa a vino. II ruzzo , la passions , la vnglia , la fantasia. Clie lo sbranino i cani a duo' palmenti. Mangiare e niacinare a due palmenti , si dice , quando in mangiando s' empiono tutt' e due le ganasce i da' palmenti del mulino. Oh che tagliata si fa , quand' una querce e rovi- nata ; cioe quand' uno e caduto in disgrazia , ogniin dice , dngli dagli. Fare una tagliata , ta- gliare il giuhhone , tagliare i panni addosso. Boto , voto. Bestialitae. Questo e alia Veneziana , da be- stialitate. Cacio, cappita , capperi. Taiito di musoino, taiito di inuso. AUoppiati , addormemati forte , dall' oppio che si da per sonnifero. E attendea pure a trionfar bastoni , dalla carta di hastoni nel giuoco di carte , forse quello che si diceva Trionfetti. Ciglioni , rialti: andari lunghi ed alti ; dalle ciglia. Noi sfondolammo , andammo glk al fondo , pre- cipitammo. Credei del ventre sfoudare '1 liuto , la cassa , la cavitci. DT MICIIELAGNOLO BUONARRUOTI. 2.Sl Sur una tenda duo materassate , come clue cascate sopr una jnaterassa. Lo sciopino, lo sciopinio , sciupare dal Lit. dissi- pare. Vo' aveie pur la sorla avuta a vento , prospcra , favoreKole : avete avuto il venLo in poppa. Po far la nostra! Po far la Dea ; forse s' iiiLende la Dea Fortuna. Eri voi 'ncornato per ancor nato. S'io avessi acconcia ec. allogata , maritata. Bruciore , pizzicore. Che mi rinvien , mi si ristuzzica. Ella non fredda mai. // fuocn della Tancia non ^ spento , ma io V ho finita. Snoi bordegli , le sue fianjme. Suggello. Cost cliceano gli antichi , c 'I dicono oggi i contadini , die molbe voci antiche , e huone conservano ; cioe sigillo. Ir a ristio , a rischio. SCENA VI. Pensal tue , cioe appunto. E cuoco hue , ciob non intcndo niente di quel che si dice. Baddotro , ridotto , adunanza. S'iniende, cioe sicuro , sicurament.e. Mi basta d'appoggiarla a un Cristiano. In contado la moglie si dice la mia Cristiana , il niarito il Cristiano. aSa ANNOT. SOPRA LA TANCIA SCBNA A^II. O parla bufonchiella , forse dal Lah. bufo , che vale hotta , rospo , che iion dice nulla , e gofifia. Ammorbato , malatu , appestato. Ricapoficcato , ricaditto , rifitbo di nuovo. In sulla scrima , in sulla scherma , in su quesle stoccatelle. Lima lima, cib si dice fie^ando V indice della destra sid dito indice della sinistrci , quasi stropicciando una lima ; volendo dire hurlando; ella non t' e tocca. Tu fiuti , e un altro manica la micca. Si mangia ahri la mines tra , e a te resta V odore. S' a lei io t' accattassi per marito. // tale m accatto jnnglie , cioe me la troid. Mona Rosa mia ma's' ha a scompisciare, ano nel criniinale agli scliiavi. E un covone di paglia accesa si caccia alle natiche di cavallo restlo ; onde il sopraddetto modo proverbiale. Me ne vo 'n Ijroda di succiole. Succiole , sono le calde a lesso , cioe castagne ; cost dctte in piorentino idionia dal succiarsi , siccotne Ic calde anosto, bruciate dal bruciarsi la buccia lore. V. L. Or duo rispetri, su duo ec. Frescoso , lodoroso , frescoccio , olorosn , odoroso. Fra 1 diaccio e la biinata del mio prato , quando egli non m' amava , tna amava la Tancia. Mea , Bartolommea , Lena , Maddalena. Cerhagio , Gervasio. Rifar tutti i passati, mettere a presenti , e resti- tuire i loro nonii. II ballo s'intrecci ec. Ballo dctla Catena. 256 ANNOT. SOPRA LA TANCIA Qualcun si scoppi , levisi dt coppia. Cialde , dalla voce calde. Cialda composizione di fior di farina , la cui pasta fatba quasi liquida , si strigne in forme di fcrro , e cuocesi sidla fiamma. Beiiingozzi e bastoncelli. Berlin gozzo , ciho di fa- rina intrisa coll' nova , jatto in forma ritonda a spicchi. Bastoncello e certa pasta con zuc- chero e anici , cotta nelle forme , e a conciavi entro a guisa di bastoncelli ingralicolati. Che di qui \i partiate or s' e' non piove. Solea dire un vecchio , die all' ora di tavola liccn- ziava la hrigata: e I'ora, e non piove. •tlUJ/IIMII J|i' -n O SOV^ .>;lOSAHCflfx> "^Aa^AiNnwv^ ^OfCAllFOff^^ ^OFCAIIFO/?^ v.^ ^^WE■UNIVER5/^ ^lOSANCflfj-jj ^' '^iOJllVDJO'* ^^^tllBRARYOc;^ ^:^l•llBRAI; ^OFCAIIFO/?^ '^OAUvaaii-i'^ ^(JOJIW ^OFCAllFi ^OAavaai iimii ^;^lOS•ANCElfJ> ^;^lllBRARYQ^ o o o ?3 ■^/ia3AlNn-3WV^ ^lOSANCElfj-^ ^.JOJllVJ-JO"^ ^OFCAIIFO% ^^ ^OFCAllFOff^ . \\U UMVERJ/A < CO ■ ' _ ■ d ^yE■llNlVER% o %a3AiNn]K^l .VlOSA-'JCEEtrJ o i G ■OR,y, ^-^OFTAIIFO^ ^^,\^MiNIVfR% ^vjslOSAMrftfJv ^^OffAllFOp^. -^si. >. .^oF-rAi \mi^ ■^ox&nmi'^ ^Jil 'OUdi]vj-ivi ■ ■■aujiivjjxj ■ •jjuj^viur' % •JiUJM'-: % JO ^>r> 0% ^OFCA11FOP^> Vi\^ ,^Mf■l'f^lVfR5■//, 'aUJIIVJiU' UVJiU' 'JiU'JNVSOl-^^ '\ i\^' IINIVERJ/^ '^ ■JO^ -"^ '^AOJIlVJj , \\\fDNIVr sAlllBRARYQ^, . Inrrl & ^ .-;;OFCAIIFO% ,^\\t■UNIVFP<:/-■ >- oo .vlfTIASr.FIfr;. ■, o.r r ^ .^ CO >&aiiv}i!)n "^JunMv.^im^J^ "^/CMJMwn mV^ 1] !