| | o SAG ( I ) GASTON E D | M RA FIORE CON PREFAZIONE DI ORAZIO BACCI - FIRENZE, TIPOGRAFIA DI G BARBERA. 1898. - - $£§!!!$$$$$$$$ DANTE GEORGICO. DANTE GEORGICO SAGGIO DI GASTONE DI MIRAFIORE CON PREFAZIONE DI ORAZIO BACCI. FIRENZE, TIPOGRAFIA DI G. BARBERA. 1898, Proprietà letteraria. ALLA TUA MEMORIA O MIO AMATO FRATELLO VITTORIO CONSACRO QUESTO LIBRO CHE MI FU CONFORTO o GEMENDO IL FIOR DE' TUOI GENTILI ANNI CADUTO. IN DICE. PARTE PRIMA. COGNIZIONI E OPINIONI SCIENTIFICHE DI DANTE CHE SI RIFERISCONO ALL' AGRARIA. Proemio. – Scopo della prima Parte di questo lavoro. – Valore da attribuirsi alle cognizioni scientifiche di Dante. – Specialmente di Botanica. – Fonti delle cogni- zioni dantesche. – Dante osservatore e Dante scienziato....................... Capitolo Primo. – I TERRENI E ACCENNI ALLA METEOROLOGIA AGRARIA. S 1. Il terreno. – S 2. L'irrigazione. – S 3. Fenomeni meteorologici......... Capitolo Secondo. – LA BoTANICA. S 1. Disegno del Capitolo. – S 2. La gemma o il bottone. – S 3. I rami e le foglie. – S 4. Il fiore e il frutto. – S 5. Il seme. – S 6. Fenomeni vari: a) Respi- razione; b) Circolazione; c) Fecondazione. – S 7. Le piante in generale........ Capitolo Terzo. – LA PRATICA AGRARIA. S 1. Viticoltura. – S 2. Pastorizia. – S 3. Apicoltura. – S 4. Caccia e Aucupio. Capitolo Quarto. – GLI ANIMALI. S 1. Benemeriti della Zoologia dantesca. – S 2. Nelle rappresentazioni d'ani- mali si rileva una singolare potenza di osservazione. – S 3. Pregiudizi e super- stizioni medievali. – S 4. Simpatia e antipatia per certi animali. - La distribuzione degli animali nella Divina Commedia. – S 5. Nell'Inferno. – S 6. Nel Purgatorio. – S 7. Nel Paradiso. – S 8. Osservazioni sugli animali nelle altre opere dante- sche. – S 9. Animali agrari. – S 10. Speciali cognizioni e osservazioni dantesche. III VII 15 27 41 49 VI - INDICE, APPENDICE ALLA PARTE PRIMA. I VEGETALI E GLI ANIMALI NELLE OPERE DI DANTE (Tavole sinottiche). Avvertenza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 65 Tavola dei vegetali ricordati nelle opere di Dante................................. 67 Tavola degli animali ricordati nelle opere di Dante .............................. 77 Tavola riassuntiva degli animali ricordati nelle opere di Dante ................... 101 PARTE SECONDA. L'ARTE NELLA GEORGICA DANTESCA. Proemio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Capitolo Primo. – LA VITA DI CAMPAGNA. S 1. L'aurora e il mattino. – S 2. Il contadino. – S 3. Gli animali sull'aia e nel cortile. – S 4. Quadretti di animali campestri. – S 5. Terreni brulli, palustri e piante selvatiche. – S 6. Terreni fertili ed irrigati. – Vegetazione rigogliosa. – S 7. Lavori ed occupazioni del contadino. – S 8. Le api. – S 9. La pastorizia. – S 10. L'imbrunire e la notte in campagna. - Il riposo del contadino............ 109 Capitolo Secondo. – FoRME PRovERBIALI E MODI DI DIRE GEORGICI. S 1. Valore di queste espressioni. – S2. Piante, sementa, fiore, frutto. – S 3. Dalla vita campagnola. - S 4. Animali............................................. 145 Capitolo Terzo. – DESCRIZIONI DI FENOMENI METEoRoLoGICI. S 1. Carattere di queste descrizioni. – S 2. L'aria ed i venti. – S 3. La ru- giada. – La nebbia. – S 4. La neve. – S 5. Il gelo. – S 6. La pioggia e intemperie diverse. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 Capitolo Quarto. – LA CACCIA. S 1. La caccia col falcone. – S 2. Tese ed altre cacce agli uccelli. – S 3. Cacce ad altri animali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 167 Indice delle citazioni dantesche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . ............................... 171 PREFAZIONE. Frutto dell'assiduo studio di Dante che, da quasi due anni, va facendo con me, alunno ed amico egregio, il conte Gastone di Mirafiore, il quale agli agi della vita dà bell'orna- mento di intellettuale lavoro, è questo libro; e mi è caris- simo di presentarlo ai lettori. - Dirò in breve come ne nacque l'idea, e con che fine e disegno fu scritto. Una lunga conversazione facemmo, una tal sera, sul ben noto passo: Guarda il calor del sol che si fa vino, Giunto all'umor che dalla vite cola; e, di discorso in discorso; parlando di quelli che avevan trat- tato delle conoscenze georgiche e naturali di Dante, e delle inutili esagerazioni ammirative anche di studiosi ben seri; di discorso in discorso, rimanemmo d'accordo d'attendere, ormai, all'interpretazione della Divina Commedia, specialmente col fine di rilevarne e illustrarne i luoghi che meglio indicas- sero, quali cognizioni Dante avesse intorno all'agricoltura, e intorno a quelle discipline scientifiche, oggi scienze ben de- finite e classificate, che hanno più stretta relazione colla col- tivazione del campi. Insomma, cominciammo così a disegnare º VIII PREFAZIONE. la figura d'un Dante georgico. E comprendemmo subito (chi può dimenticare che Dante è poeta?), che era indispensabile far seguire a quella, che sarebbe stata la prima Parte del lavoro, una seconda, la quale pigliasse in esame il valore artistico delle immagini e delle ispirazioni che il Poeta ha saputo derivare da cose attinenti all'agricoltura; e riuscisse a determinare quanto fosse in lui il sentimento della natura o della campagna; che studiasse, in sostanza, avvicinando i dispersi esempi, il poeta georgico. Quanti avevano esami- nato o questo o quel gruppo di cognizioni scientifiche dan- tesche, specie di Botanica e Zoologia, furono con ogni cura ricercati e consultati dall'autore, che si confermò nella per- suasione dell'importanza del suo lavoro considerando come nei Profeti, in Omero, in Virgilio, nel Petrarca si fosse trovato già argomento a simili ricerche. E molti aiuti e incoraggia- menti a procedere per la sua via ebbe in particolar modo dagli eleganti e dotti scritti di FRANCESCO MARCONI, al cui Dizionario d'agricoltura egli confessa d'aver più d'un obbligo, per quel che riguarda la sicurezza del linguaggio tecnico. Quanto alla georgica dantesca, del resto, nessuno dei non pochi predecessori potrebbe essere giudicato o compiuto, o preciso. Quindi la necessità di nuovi spogli, e metodici e più larghi e più esatti: nel che fare, il solerte autore procedè con molta e lodevole prudenza (che non parrà eccessiva, se non agli improvvisatori), collazionando le molte schede, che venne raccogliendo dalla lettura diretta del testo, coi voca- bolari danteschi del BLANC, del PolETTO, e col buon Indice del MooRE. - Questo quanto alla Divina Commedia, che sola (ch'io sap- pia) aveva sin qui attirata, sotto il rispetto georgico, l' atten- zione degli studiosi. PREFAZIONE. IX L'autore volle per primo estendere la ricerca anche alle Opere minori: con savio proposito. Esse infatti fornirono assai copiosi e assai notevoli passi da mettere a profitto, come opportuno confronto e compimento a quelli del Poema. Sicchè dovrà dirsi che il pensiero e l'arte georgica di Dante non s'erano mai sinora investigati con uguale larghezza e con pari minuta diligenza. Ben si potrà dare il caso che qualcuno legga, e dica al diligentissimo raccoglitore: avete tralasciato que- sto esempio. Egli si dorrebbe certo dell'omissione involontaria e con gratitudine noterebbe, per un'altra edizione, l'esempio tralasciato. Ma, se un meno cortese critico chiedesse: perchè avete tralasciato quest'esempio?, chi ha sicura coscienza di avere speso molto tempo e molta fatica intorno a un non fa- cile lavoro, potrebbe anche avere il diritto di rispondere alla domanda con un'altra domanda: e perchè non vi provate voi a far quello che ho fatto io? Il lavoro fu contenuto, vincendo la forza della tentazione che dà il Poeta di speculare o sognare dietro a lui che tante cose vide e immaginò e rappresentò, entro i segnati confini. Pur da quelle pagine veniva l'ammonimento: Tornate a riveder li vostri liti: Non vi mettete in pelago; chè forse, Perdendo me, rimarreste Smarriti ! Per quel che riguarda la prima Parte, furono deliberata- mente omessi tutti quei luoghi, sebben notevolissimi, che piut- tosto dovrebbe trascegliere e illustrare chi si proponesse uno studio sulle cognizioni naturali nelle opere di Dante. Se no, l'Agraria o la georgica sarebbe divenuta la Scienza naturale, la Meteorologia agraria la Fisica, e la campagna la terra. Uguale norma fu perciò osservata nella seconda Parte, che X PREFAZIONE. si riavvicina e collega strettamente alla prima. Le Tavole, peraltro, di animali e vegetali non saran considerate un di più, o un fuor d'opera, spero : sibbene un appendice indispen- sabile. E a proposito d'esse, basterà, credo, confrontarle colle fugaci menzioni o cogli incompiuti ed errati elenchi, che s'avevano, per apprezzar il miglior criterio e la singolare ac- curatezza dell'autore, il quale, pur nella compilazione, e nella revisione delle bozze, ebbe a vincere tutti gli ostacoli che frapponevano le esigenze tipografiche, e, anche e più, il con- gegno alfabetico e i richiami numerici, bellissime cose sì, ma a spoglio completo. Nell'analisi artistica poi, ossia nella seconda Parte del libro, non sarebbe stato conveniente fermarsi ad ogni più lieve concetto e ad ogni fuggevole immagine che il Poeta desunse dal mondo georgico. Questo sarebbe diventato, più che altro, uno studio stilistico e forse lessicale. Nè metteva conto, dopo fatte agli opportuni luoghi le opportune avvertenze, seguir Dante passo per passo nella formazione e nello sviluppo delle speciali allegorie, maggiori e minori e minime, che son deri- vate da cose campestri. Ma l'autore non tralasciò, scegliendo e trascegliendo, di considerare tutti quegli esempi ai quali l'osservazione felice e il sentimento vivo della natura, la frase colorita assicurassero valore d'arte. Forse il lavoro potrà sembrare a qualcuno qua e là troppo semplice, anzi spiccio, senza troppi confronti o richiami. La- sciamo da parte, che semplicità è chiarezza; ma l'autore (che è giovane, e che è al suo primo libro) come invidia la si- cura dottrina dei provetti, così rifugge, e fa bene, dalla facile erudizione degli acciarpatori di libri. Come altro è dire, altro è fare; così altro è raccogliere, altro disporre e dividere. Non era la cosa più facile (si pensi) PREFAZIONE. - XI trovare il modo migliore – e qualche volta un modo – per l'ordinamento d'un copiosissimo materiale che si presentava sotto aspetti tanto svariati, pur rimanendo nell'ambito della vera georgica. Il pensiero di Dante, che è sempre così complesso, correva rischio (il rischio veramente era dell'autore!) o di non esser tutto compreso, o di venir travisato sotto monche clas- sificazioni. Le divisioni principali nelle due Parti, scientifica e artistica, si presentavan da sè: non così le suddivisioni, nelle quali era grande il pericolo di scambiare l'arbitrario e arti- ficioso col proprio e conveniente. Aggiungi poi la difficoltà di evitare le ripetizioni e, tra molte possibili, di determinare per qualche esempio la più adatta categoria. E tralascio la difficoltà non piccola pur delle espressioni, che volevano esser precise, ma non monotone; tecniche, ma non aride. Il lettore vedrà la disposizione che parve preferibile; e giudicherà. Ma una cosa voglio dir io, e, se m'è lecito, giudicare. Era facilissimo, chi specialmente avesse seguite l'orme di quasi tutti i precedenti studiosi, travisare il carattere delle co- gnizioni dantesche e illudersi (tanto può anche l'affetto ad un proprio argomento) fino a vedere teorie dove non sono che nozioni, fino a celebrare scoperte dove non sono che osser- vazioni singolari sì, ma fugaci. Ben poteva esser contagioso anche l'esempio di un qualche brav'uomo! Ora l'autore non volle, per fare il contrario degli altri, negare sempre dove affermavano, dubitare dove ammiravano; volle, possibilmente, riconoscere la verità, mettendosi, come soglion dire, da un punto di vista che gli permettesse di considerare oggettiva- mente e, quando occorreva, storicamente, le cognizioni scienti- fiche di Dante. Il quale, se, perciò, veniva a parere più vero, non riusciva a parere meno grande. L'altezza dell'intelletto non attestano solo ipotetiche divinazioni; ma più e meglio XII PREFAZIONE. le cognizioni precise e felici che rimangon sempre così co- piose, così singolari, così artisticamente inquadrate, specie nel Poema, da confermarci in una non meno fervida ammirazione verso quella mente, quella fantasia, quella parola. Anche sotto un altro rispetto questo Dante georgico s'av- vantaggia, mi sembra, sugli sparsi consimili lavori: cioè quanto alla precisione delle definizioni e classificazioni scien- tifiche, per le quali non mancò il dotto consiglio di cortesi ed esperti. Nella Parte artistica mi sembra poi molto appropriata l'idea (che è tutta dell'autore) di raggruppare secondo quadretti – quasi la giornata agricola – i principali esempi presi in esame. Questo ordinamento, oltre a riuscire molto organico, porta come a ricostruire, o, almeno, a intuire la successione reale di certi fantasimi che aleggiarono, lieti o consolatori, in- torno alla fronte del Poeta, o nelle gaie primavere fiorentine, o nelle tristi giornate dell'esilio. L'indice accurato e minuto delle citazioni dantesche ren- derà certo, più d'un utile servigio: seguendo l'ordine delle Cantiche e, rispettivamente, seguendo le varie divisioni delle Opere minori, registra tutti i passi che hanno trovato illustra- zione o ricordo nel volume, - º º º Il Carducci in uno dei suoi più splendidi discorsi, Per la inaugurazione d'un monumento a Virgilio (Op., I, 193), scrisse: « Io toglierò il poeta dalle scuole degli eruditi, dalle acca- demie dei letterati, dalle aule dei potenti, e lo restituirò a te, o popolo di agricoltori e di lavoratori, o popolo vero d'Italia. Egli è sangue vostro e vostra anima: egli è un antico fra- PREFAZIONE. XIII tello, un paesano, un agricoltore, un lavoratore italico, che dalle rive del Mincio salì al Campidoglio e dal Campidoglio all'Olimpo ». Dante non ha scritto le Georgiche, e sebbene, come forse nessuno poi, ei sentisse la grandezza dell'arte del suo maestro e autore, cui, « non appena lo scorge sul limite della selva selvaggia, tende le braccia e si prostra », non è poeta georgico vero e proprio. Nè tale vuol farlo diventare questo libro, che si propone solo di fornire, più ordinati e meglio giudicati, i non pochi elementi che inducono a dare a lui, poeta medievale, pur la lode di conoscitore della campagna; e a' suoi versi pure il vanto di felici rappresentazioni della natura e vita cam- pestre, quali ebbero gli antichi, riebbe il Rinascimento. Nè il libro può parere inutile, se si confronti con simili saggi, e si rifletta come i moderni studi danteschi hanno fatto e fanno appunto una specie di revisione critica delle affermazioni e conclusioni troppo facili, che (con anche molto di buono) ereditammo dalle generazioni passate. Uno studio pur su Dante georgico sembrerà, anzi, necessario, non a dilet- tanti di letteratura e di scienza, ma a chi intenda il danno di trascurare non fosse che un solo aspetto della figura d'un pen- satore e poeta, che lo scibile del tempo suo riuscì a possedere, a dominare, e ad avvivare poi maravigliosamente: artista, che ben pochi ha rivali, forse qualcuno che lo pareggi, ma che lo superi nessuno. Firenze, 31 marzo '98. ORAZIO BACCI. PARTE PRIMA. - COGNIZIONI IE OPINIONI SCIENTIFICHE DI DANTE CHE SI RIFERISCONO ALL' AGRARIA. PR O EMIO . Scopo della prima Parte di questo lavoro. – Valore da attribuirsi alle cognizioni scientifiche di Dante. – Specialmente di Botanica. – Fonti delle cognizioni dantesche. – Dante osservatore e Dante scienziato. Il marchese Cosimo Ridolfi scriveva nelle sue ottime lezioni di Agraria: « Come avea la musica tanto contribuito all'umano incivi- » limento dando, per così dire, un irresistibil potere alla poesia, così » la georgica parea suggerire alle rime un argomento che le rendeva » magicamente gentili » º Dante, sebbene, a buon diritto, non si possa chiamare un poeta georgico, pure dovette ben conoscere ed amare la campagna ; ed anzi, appartiene a quella schiera di poeti che hanno meglio descritto le bellezze della natura. Abbiamo appunto creduto ef- ficacissimo principio le parole del ricordato scrittore, poichè il nostro Poeta, colle similitudini tolte dalla natura, ingentili talmente molti dei suoi versi, da renderli senza dubbio tra i più coloriti e più vivi di tutto il Poema. Questo, però, si riferisce, più che altro, al valore artistico del- l' opera dantesca, la quale non s'intenderebbe a pieno, se non si con- siderasse in essa anche quanto vi sia, astrazion fatta dalla bellezza formale, di bene osservato e rappresentato sotto l'aspetto scientifico. In una tale ricerca si devono raccogliere non tanto le notizie scien- tifiche o i germi di moderne teorie, quanto le descrizioni esatte, pur senza accenno a spiegazioni, perchè queste dimostrano singolarmente (!) Lezioni orali di agraria del march. Cosi Mo RIDOLFI, pubblicate ad utilità dei cam- pagnoli italiani, Firenze, M. Cellini e C., alla Galileiana, 1869, pag. 10, vol. I. 4 PROEMIO. la potenza d' osservazione di Dante. Nella prima Parte del nostro lavoro ci siamo proposti di raccogliere e illustrare, perciò, i passi danteschi che contengono osservazioni notevoli attinenti alle scienze, o, a meglio dire, a quei fenomeni scientifici che hanno coll'Agraria più o meno stretta relazione. Vogliamo cercare, insomma, quello che Dante conobbe o ritrovò di osservabile per rispetto a questa scienza, o arte agricola: il che importa valutare il pregio scientifico di lui quale conoscitore di cose georgiche, pregio che altri ha valutato per rispetto alle sue cognizioni astronomiche, teologiche, filosofiche, e via dicendo. A tal proposito, ricorderemo che Dante è, anche dai più moderni studiosi, riconosciuto scienziato vero, cioè osserva- tore e sperimentatore, specie nella parte che concerne l'astronomia". Vedremo poi, nella seconda Parte del lavoro, com' egli abbia saputo abbellire di forma potentemente artistica questo complesso di fatti e di osservazioni, che da prima esaminiamo soltanto secondo il loro va- lore scientifico. Con molta opportunità rileva il Cipolla º : « che quando Dante » pone sott'occhio il reale, quale veramente fu od è, con intenzione » cioè, di riprodurre, non d'immaginare, tu senti, che lui stesso » l' ha visto coi propri occhi: l' ha osservato diligentemente, scru- » polosamente. C'è nelle sue descrizioni un'evidenza, un'esattezza che » di ciò fanno non dubbia testimonianza ». Le cognizioni e opinioni Scientifiche di Dante raggruppiamo sotto questi titoli: Il terreno, L'irrigazione, La meteorologia agraria, La Bo- tanica, La pratica agraria, Gli animali. - Il nostro esame si è rivolto più specialmente alla Divina Commedia, la quale offre, a preferenza d'ogni altra opera dantesca, materiale co- pioso anche ad uno studio su Dante uomo di scienza; ma non abbiamo trascurato di considerare, così sotto il rispetto scientifico, come sotto (º FILIPPO ANGELITTI fa notevoli considerazioni sul valore di Dante in fatto di astro- nomia nel lavoro Sulla data del viaggio dantesco desunta dai dati cronologici e confer- mata dalle osservazioni astronomiche riportate nella Commedia (Negli Atti dell'Accademia Pontaniana, vol. XXVII, 1897). Il BURCKHARDT (trad. VALBUSA), La Civiltà del secolo del Rinascimento, Firenze, Sansoni, vol. I, pag. 145, rileva con belle parole il grande valore di certe osservazioni di Dante. (*) F. CIPOLLA, Dante osservatore, negli Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Serie 7º, tomo VII. PROEMIO. 5 l'artistico, pur le opere minori italiane e latine", tralasciando, peral- tro, perchè incliniamo a ritenerla apocrifa, la Quaestio de aqua et terra”. Anticipando le conclusioni della nostra analisi, crediamo bene di avvertire, sin d'ora, che da essa non caveremo fuori vere e proprie teorie scientifiche, nè strabilianti novità. Non abbiamo voluto seguire il non lodevole esempio di alcuni scrittori i quali, per un falso e malin- teso culto di Dante, vollero esagerarne le cognizioni, riconnettendole fantasticamente a teorie e scoperte posteriori, anzi modernissime. Il signor PIETRO BosANO-YoLY (per citarne uno) nelle Divinazioni del Poema Dantesco º vede, nell' imbiancare dei fioretti (Inf., II, 127), un'an- ticipazione delle teorie di Newton sulla luce, e della legge dell'at- trazione universale a proposito della macchina del Poema; inoltre, nei nidi, ricordati nel Par., XVIII, 110, scopre il germe della scienza embriologica, e sostiene che il viaggio d'Ulisse (Inf., XXVI, 90) cor- risponde a quello di Cristoforo Colombo. Dichiariamo apertamente di non consentire per nulla colle sue Divinazioni Dantesche. Tra quelli che s'affrettarono un po' troppo, secondo noi, per questa via, dev'essere annoverato anche l'illustre ANTONIO STOPPANI, che, pur essendo intelletto ben alto e savio, credè di poter considerare come meriti insigni del Poeta le nove immaginarie scoperte che gli attribuisce nella Lettera al prof. G. B. Giuliani intorno alla Quaestio de aqua et terra º, trattatello ora, come notammo, dai più ritenuto apocrifo. Non vogliamo, con questo, per contraria esagerazione, negare certe felici intuizioni scientifiche nelle opere di Dante: per esempio, alcuni rilievi, che non si esagera a chiamare veramente scientifici, si troveranno disseminati nei luoghi che si riferiscono più partico- larmente alla neve, al disgelo, alla pioggia, al vento. (º). Citiamo le opere minori, secondo l'edizione MooBE (Oxford, 1894), tranne per il De vulgari eloquentia, che, fortunata fra le altre, si legge nell'ottima edizione di PIO RAJNA: ne citiamo l'edizione minore (Firenze, Succ. Le Monnier, 1897). º Rimandiamo al lavoro più notevole sulla importante questione: LUZIO-RENIER, Il probabile falsificatore della « Quaestio de aqua et terra, º nel Giornale storico della Let- teratura Italiana, XX, 125 e segg. Si annunziò sull'argomento un lavoro del citato AN- GELITTI, il quale propende a credere all'autenticità dell'operetta dantesca. º Lecce, tipografia cooperativa, 1897. Cfr. Rassegna Bibliografica della Letteratura Italiana, V, pag. 233-4. º Opere latine di D. ALIGHIERI, reintegrate ec. da G. B. GIULIANI, vol. II, pag. 451 e seg., Firenze, Le Monnier, 1882. «r - 6 PROEMIo. Qualche parola di più crediamo utile di premettere anche intorno a quello che raccogliemmo riguardo alla Botanica, poichè su di essa le osservazioni dell'Alighieri sono più copiose e non meno felici. Scrive ROBERTO DE VISIANI": « la mirabile varietà e vaghezza degli esseri ve- » getabili, mercè di cui si abbelliscono e si differenziano, nonchè i » varii climi, perfino le varie parti del clima stesso e dello stesso » paese, fornì sempre ai poeti larga messe d'immagini, or gentili, » or affettuose, or robuste, con che dipingere più vivamente all'animo » e quasi ai sensi del leggitore i concetti che voglionsi rappresentare ». Queste parole avranno commento, speriamo opportuno, nella seconda Parte. Qui ci preme solo di fare osservare, che le citazioni dantesche dovranno essere interpretate come accenni a cose di Botanica (nel suo senso più largo) e non come reali e precise definizioni o teorie riguar- danti la Scienza delle piante. È appena necessario avvertire del resto, che, data l'indole dei tempi in cui visse l'Alighieri, non avrebbero potuto sussistere nemmeno certe definizioni e teorie. E abbiamo detto accenni, poichè in quel tempo lo studio della natura vegetale era assai lontano dal possedere quel fondamento, che modernamente l'ha reso una delle scienze più nobili ed utili. D'altra parte, anche se Dante avesse avute le moderne cogni- zioni di Botanica, i suoi versi sarebbero stati ben poco differenti; giacchè non dobbiamo dimenticare, che egli, prima e più che essere botanico, era poeta, e non ricorreva ad immagini di cose naturali, (2) se non per dare nuova grazia al suo canto immortale”. Perciò, rac- cogliendo le osservazioni e dichiarazioni intorno ai passi della Divina Commedia che risguardano la Botanica, si è voluto far conoscere: « che il Poeta mostrò anche in questa parte quella molteplicità di » dottrina, che lo pose a capo dei più saputi uomini del suo tempo; » e ciò che è più ancora, ch'ei seppe usarne con quella sobrietà, con - quella avvedutezza e con quella inimitabile proprietà di linguag- » gio, che nei poeti è sì rara allorchè abbattonsi a parlare di argo- º Accenni alle Scienze Botaniche nella Divina Commedia, Discorso di RoEERTo DE VISIANI nel volume: Dante e il suo secolo, XIV maggio MDCCCLXV, Firenze, M. Cel- lini e C. nella Galileiana, 1865, pag. 519. º Questo avverte anche L. OsoAR KUHNs, The treatment of nature in Dante's « Divina Commedia», London and New-York, Arnold, 1897. PROEMIO. 7 » menti scientifici » ". E appunto la proprietà di linguaggio è da notarsi soprattutto in quella che si può chiamare Botanica dantesca. Esaminando questa serie di passi, ci accorgeremo che il Poeta non volle fare soltanto uno studio quasi scientifico delle piante e dei fiori, ma seppe ritrarne copia inesauribile d'immagini e di pensieri alta- mente filosofici e morali: e, ripetiamolo, ne derivò soprattutto quella vaghezza di colorito e quella soavità di profumi, che si diffusero così dolcemente per tutto il Poema. MASSIMILIANO ANGELELLI espone º, riguardo al Loto di Omero, alcuni pensieri i quali illustrano opportunamente quanto abbiamo detto circa i colori poetici di che Dante, con incomparabile maestria, rivestì le sue cognizioni scientifiche: « Essendo l'antica poesia e par- » ticolarmente la poesia d'Omero, come dice Strabone, un raccolto » e una esposizione di filosofica sapienza, talvolta secondo diritta ra- 2 » gione di scienza e talvolta sotto velame di allegoria, uopo è che il lettore sappia bene discernere l'un modo dall'altro, affine di non » accagionare, a torto, di errore il Poeta, ovvero, impiegare inutil- mente il tempo per tirare ad esattezza di scienza i concetti suoi: » i quali hanno sì bene fondamento nel vero, ma sono ornati dei co- » lori di poesia ». 2» 2, Molti vogliono trovare in Dante e, in particolar modo, nei passi che si riferiscono al regno vegetale e animale un'imitazione d'idee tolte assai fedelmente da scritti di antichi o di contemporanei. F. A. PoUCHET nella sua Histoire des Sciences Naturelles au Moyen-Age º scrive: « La » poésie, avide des images qu'elle emprunte aux magnificences de » la création, avait elle-même profité des conquêtes des Botanistes. » Dante qui, comme le dit M. Libri (LIBRI, Histoire des Sciences ma- » thématiques en Italie depuis la Renaissance des lettres, jusqu'à la fin du » XVII° siècle, Paris, 1838), observait la nature en véritable philo- » sophe, en avait deviné bien des mystères qu'ont élaborés ceux qui » le suivirent. Ainsi, il parle déjà du sommeil des plantes dans quel- (*) R. DE VISIANI, op. cit., pag. 520. - º) Del Loto di Omero, Discorso letto all'Accademia delle Scienze nell'Istituto di Bo- logna (1848): cfr. L' agraria nelle lettere di FRANCESCo MARCoNI, Genova, Fratelli Pa- gano, 1889, pag. 34-35. (º) Paris, B. Baillière, 1853. 8 PROEMIO. º ques-unes de ses immortelles stances. Dans d'autres il s'occupe de º l'action de la lumière sur les végétaux, et parait mème avoir quel- º ques notions sur la circulation de ceux-ci. Mais nous ne nous appe- º Santirons pas sur ce sujet, car le poète Florentin a pu puiser ses » idées dans les travaux d'Albert le Grand qui eurent tant de reten- » tissement de son temps ». Come si scorge, lo scrittore francese, dopo aver tributate grandi lodi a Dante, vorrebbe far credere che questi abbia derivate le sue idee botaniche specialmente dal libro di ALBERTO MAGNO De vegetabilibus et plantisº. Sta bene che Dante abbia attinto anche da Alberto Ma- gno, ma pure ci sembra ragionevole credere che egli abbia deri- vato notizie, p. es., altresì dal Tresor di Brunetto Latini, il quale, oltre ad essere stato, come è ben noto, in relazioni di dotta amicizia con Dante, fu scrittore enciclopedico, e versato pure in cose naturali, per quanto comportavano i tempi in cui visse. Era inevitabile poi, da parte di Dante, seguire più o meno le idee che sulla scienza dei ve- getali avevano espresse i dotti del tempo suo. Scrive il SUNDBY º : Nel XIII sec. non si può aspettarsi di trovare alcuna scienza della <& » natura, che muova da osservazioni individuali. Se anche qualche » singolo uomo, come Ruggero Bacone o Alberto Magno, in un caso o nell'altro, fece eccezione a questa regola, vediamo tuttavia che la 2» » maggior parte dei dotti di quel tempo si limitarono a raccogliere » quello che trovavano negli scrittori antichi e dell'epoca ». Nè si può negare che l'essersi assimilate idee credute buone e degnamente averle esposte, è pur cosa che onora l'intelletto del dotto Poeta. Il KUHNsº avverte che il concetto filosofico della natura di Dante non diversifica da quello degli scolastici quando il Poeta non osserva di suo, ma si vale d'immagini convenzionali o della materia poetica che era alla portata d' ognuno nel tempo suo. - La fonte principale per il meraviglioso concepimento del Poema, (*) Alberto Magno è ricordato da Dante: Par., X, 98. – Conv., III, 5, 7; IV, 23. Cfr. PAGET-ToyNBEE, Some acknowledgment obligations of Dante to Albertus Magnus in IRomania, XXIV, 399. - (*) THOR SUNDBY, Della vita e delle opere di Brunetto Latini (Trad. di Rodolfo Renier), Firenze, Le Monnier, 1884, pag. 119. (º) Op. cit., cap. II (Dante's Conventional Treatment of Nature). PROEMIO. 9 e per molte delle idee espresse o rappresentate nelle opere minori, Dante la trovò certamente nell'alta sua intelligenza e fantasia ; senza esclu- dere che gli giovasse la grande cultura ch' egli possedeva : infatti si può assicurare che dovette conoscere, studioso come fu, quasi tutte le più importanti opere dottrinali del tempo suo. Basti qualche cenno. Il PoLETTo º scrive che Dante « era avido di sapere e non s'acque- » tava mai nel dubbio, nè s'appagava di scienza superficiale » ; e soggiunge: « studiò tutto lo scibile, e lo abbracciò in sintesi meravi- » gliosa, inserendo alla pianta della vera religione i rampolli del- » l' antico sapere », poichè « era profondissimo di Teologia e Filosofia, » e sapeva di Fisica, Geologia, Matematica, Medicina, Geografia, Astro- » nomia, Cosmografia, Chimica, Botanica, Fisiologia ». E cita come fonti del sapere di Dante: La Bibbia, Aristotele, S. Tommaso, Platone, S. Agostino, Stazio, S. Gregorio, Ovidio, S. Ambrogio, Dionigi Areopagita, Lucano, Orazio, S. Bonaventura, Boezio, Pier Lombardo º. Lo SCARTAZZINI, enumerando pure alcune di queste fonti º , scrive che: « una fonte certa delle conoscenze naturali, Dante la ritrasse » certamente dall'opera di Aristotele che Dante chiama la sua fisica, » essendosela appropriata collo studio suo indefesso, e considerandola » egli, con tutti i suoi contemporanei, come il codice consacrato » delle scienze naturali » º. º Dizionario Dantesco, Siena, Stab, tip. all'insegna di San Bernardino, 1885, pagg. 25, 35, 36. (º) Ibid., pag. 35. º Enciclopedia Dantesca, vol. I, A-L, Milano, Hoepli, 1896, pag. 806. Da chi desi- derasse conoscere maggiormente le fonti del sapere di Dante, è da cercarsi A. F. OzANAM, Dante et la philosophie catholique au treizième siècle, suivie de recherches nouvelles sur les Sources poétiques de la Divine Comédie, Louvain, C. F. Fonteyn, 1847. Vedi ora special- mente il volume del MooBE, Studies in Dante – First series – Scripture and classical authors in Dante, Oxford, 1896. Notevoli sono molti scritti del citato PAGET ToyNBEE (Ro- mania, XXIV, 377-432; XXVI, 537). º Aristotele è citato da Dante con diversa forma e con vari appellativi: Aristotile, Conv., I, 9; II, 3°, 4, 5°, 9°, 10, 14°, 15°; III, 2, 5, 7, 9, 11°, 14, 15; IV, 2º, 6°, 7°, 8°, 11, 13, 15”, 17”, 20, 21°, 22, 23, 25, 27º, 28. – Purg., III, 43. Aristoteles, De Vulg. Eloq., II, 6. – De Monarch., I, 1, 1º. Filosofo, V. Nuova, S 25, 42. – Conv., I, 1, 12º; II, 1, 3, 5, 10, 14, 15, 16; III, 1, 2°, 3, 4, 5, 6, 8”, 9, 10, 11, 14, 15; IV, 3, 4°, 8°, 10°, 12, 15°, 16°, 17°, 19, 20, 22, 27. Philosophus, De Monarch., I, 3, 5”, 10, 11°, 12°, 13°, 14, 15°; II, 2, 3º, 6, 7°, 8°, 12; III, 1, 4°, 10, 16. – Epistolae, VIII, 5; X, 5, 16, 18, 27. Maestro, Inf., IV, 131. – Par., VIII, 120, – Conv., I, 9; IV, 2, 6, 8, 23. Magister, De Vulg. Eloq., II, 10. Praeceptor, De Monarch., III, 1. – Epist., VIII, 5. – Purg., XXV, 63. – Par., XXVI, 38. (Dall'Indice del Moor E.) 2 10 PROEMIO. E a proposito di Brunetto Latini, A. F. OzANAM scrive che: « il lui » enseigna les premiers éléments des sciences diverses que lui-même » avait réunies dans son Trésor » º. Noi non ammettiamo, così pre- cisamente, un'influenza diretta e sicura di Brunetto Latini sulla cultura scientifica dell'Alighieri, poichè come ben notò il GASPARyº: « il sapere non rimase per lui un possesso morto, non un semplice » cumulo di particolarità erudite, come in Brunetto Latini, ma si » cambiò in una coscienza viva. Dappertutto s'immischia la sua po- » tente individualità ». PIETRO FRATICELLI º scrive con felice immagine, a proposito del Convivio, che Dante « era un fiume, che non potea tenersi ristretto » fra brevi argini e si distendeva per valli e pianure, e discendeva » per canali e rivoletti a fecondar le campagne ». È da notarsi poi, che Dante avrebbe molto probabilmente assommato nel Con- vivio tutta la sua scienza e tutto lo scibile del tempo suo ; e quello che è più importante è che quest'opera fu scritta in volgare, col proposito di gittare in essa, le fondamenta della lingua scientifica italiana º. Il SUNDBy º, nel citato lavoro, enumera alcune fonti medievali a cui attinse probabilmente pure Dante, compendiando, da questi trattati, quanto esisteva di meglio in quell'epoca. Cita, dunque: l' Heaaemeron di Eustachio d'Antiochia, di Basilio da Cesarea, di Ambrogio da Milano, e d'altri; il Physiologus, fonte principale per tutti i libri medievali intorno agli animali (BESTIARII); il Bestiarius di Filippo di Thaun ed il Bestiaire Divin di Guglielmo il Normanno º. (*) Op. cit., pag. 43. (º) Storia della Letteratura Italiana (traduzione italiana), I, pag. 213. (º) Il Convito di DANTE ALIGHIERI, Firenze, Barbèra, 1893, pag. 43. Delle cognizioni di Dante fa una concisa rassegna, dando assai utili e copiose notizie bibliografiche, F. X. KRAUs nel recente volume Dante Sein Leben und sein Verk, sein Verhaltniss eur Kunst und Politik, Berlin, Grote, 1897, pag. 31 e seg. Importanti osservazioni al proposito nostro si trovano altresì nel dotto libro di M. SCHERILLo, Alcuni capitoli della biografia di Dante (Torino, Loescher, 1896) nel capitolo XII I primi studi, sul quale specialmente è da vedere la recensione di ORAZIO BACCI nel Giornale dantesco (1897). Cfr. KUHNS, op. cit., cap. II, pag. 37 e seg. (*) Buone osservazioni intorno ai concetti filosofici di Dante fa il GASPARY, I, op. cit., pag. 209 e seg. (º) Op. cit., pag. 113. (º Gli studi del Sundby rimasero per questa parte molto nell'indeterminato. Si po- PROEMIo. 11 Come egli bene osserva, vi era la possibilità di servirsi di non poche fonti, poichè, limitandosi al sec. XIII, « in questo si presenta » anche un altro genere di opere di Storia Naturale, che utilizzano > » il Physiologus e una quantità di dottori della Chiesa, come: Basilio, » Ambrogio, Agostino, Isidoro, Anselmo ecc. ma che attingono nello > º stesso tempo ad autori profani greci, latini, arabi, Ippocrate, Ari- X> stotele, Plinio, Solino, Isacco, Averroè, ecc. » ". Tra quelle che più ha adoperate Brunetto Latini, si citano: lo Speculum Naturale di Vincenzo de Beauvais, il De natura rerum di Tommaso Cantimpratense, il De ma- turis rerum di Alessandro Neckan, il De proprietatibus rerum di Bar- tolomeo Anglico, il De re rustica di Palladio e la Collectanea di Solino. Le opere scientifiche medievali che siam venuti enumerando (nè era il caso di farne elenco sistematico) forse poterono essere studiate e meditate da Dante; ma tutti intendono che è molto difficile (pur nella ricostruzione fatta dai moderni studi del mondo medievale) di ritrovare con precisione le fonti di questa o quella cognizione che qualche scrit- tore ci offra. Alcune di queste sono andate certo perdute, o son rimaste ignote, o si sono trasformate”. Ognun vede quindi come il rintracciare ad una ad una le fonti delle cognizioni scientifiche di Dante sia opera, che non solo trascende il disegno di questo lavoro, ma, nello stato pre- sente degli studi, quasi impossibile a tentarsi. Tutti i giorni (e tra più benemeriti è p. es. il dotto dantista PAGET ToyNBEE) si vedono rilevate nuove, per dirlo all'inglese, references di Dante con questo o quello degli scrittori antichi medievali e a lui più vicini. Affrettando col desiderio un lavoro che, dopo le pazienti analisi, riassuma quanto si potrà sapere di più esatto sulle opinioni scientifiche di Dante e sulle loro fonti, crediamo sufficiente il cenno datone e doveroso attendere (prima di troppo con- .cludere) i fondamenti che ora mancano a più largo e sicuro discorso. Nelle pagine che seguono faremo la disamina di quello che teorica- mente il Poeta su terreni, piante ed animali asserisce ed osserva. Nell'Ap- trebbe con paziente analisi rilevare che egli citò come fonti alcune opere che Dante forse non vide mai; e ne omise altre che ben dovette conoscere. Molto diverse si annunciano già le conclusioni delle più recenti indagini. (*) Op. cit., pag. 191. º º Tentativo di lavoro sintetico vorrebbe essere il saggio di L. M. CAPELLI, Primi studi sulle enciclopedie medioevali: 1. Le fonti delle enciclopedie latine del XII sec., Modena, Namias, 1897. Cfr. Giorn. stor. della lett. ital., fasc. 91, pag. 152. 12 - PROEMIO. pendice a questa prima Parte daremo l'elenco sistematico delle piante e degli animali ricordati da Dante. Meno teoriche, e quindi meno scientifiche, sono le osservazioni sulla Pratica agraria, che rivelano, del resto, l'esperienza e la conoscenza sicura che ne ha il Poeta. Crediamo inutile dimostrare poi l'opportunità di tali ricerche in un libro che s'intitola Dante georgico. Lo studio delle varie cono- scenze scientifiche di Dante è aiuto utilissimo, anzi direi quasi indi- spensabile, a quello dell'arte sua. Inoltre, il conoscere quanto il Poeta osservò acutamente intorno alle discipline che si riferiscono a cose agrarie potrà riuscire grato a quanti si occupano non aridamente della scienza dei campi. Questo complesso poi di osservazioni ci troviamo necessariamente a dovere esaminare secondo il loro valore storico, cioè come concetti medievali, e secondo il loro valore scientifico, cioè, in attinenza ai moderni studi. Esposte così le ragioni e i modi di questa prima Parte del la- voro, crediamo bene, riassumendo, ripetere che è certo stato note- volissimo il valore di Dante come osservatore se non come scienziato, ma che dobbiamo, al tempo stesso, persuaderci, che, se quella sua po- tenza di osservazione e copia di cognizioni gli ha giovato largamente al concepimento e al disegno del Poema, la materia scientifica è rimasta subordinata sempre allo scopo artistico. Nella esecuzione artistica poi il Poeta (come vedremo nella Parte seconda) riceve gran potenza di ispirazioni, appunto da quel materiale di cui si è voluto riconoscere il carattere scientifico ". t- Ci sembrano molto efficaci queste parole dell' Ozanamº: « C'est sans doute un beau spectacle que celui des savantes écoles de l'Asie, X), > de la Grèce et de l'Europe occidentale, environnant le poète italien sa » de leurs souvenirs et de leur autorité, pareilles à ces ombres illu- X » stres avec lesquelles, dès les premiers pas de sa visite aux enfers, il » se représente échangeant de mystérieux discours... Il est comme un » de ces voyants que le ciel suscitait autrefois, dépositaires des tra- (*) Il LEYNARDI, La Psicologia dell'arte nella D. C., Torino, Loescher, 1894, pag. 197, rileva, con qualche esagerazione, la originalità delle similitudini dantesche, (º) Op. cit., pag. 117. PROEMIO. 13 » ditions et des prophéties, pour lier les àges finis et ceux qui al- » laient commencer ». Possa il mirabile verso del nostro massimo Poeta, meditato e ri- sentito anche come scienza e arte georgica, far rifiorire gli entusiasmi per quell'Agricoltura, che fu già una delle più grandi e legittime glorie italiane! Questo è il nostro augurio. CAPITo Lo PRIMo. I TERRENI E ACCENNI ALLA METEOROLOGIA AGRARIA. S 1. Il terreno. – S 2. L'irrigazione. – S 3. Fenomeni meteorologici. S 1. IL TERRENO. Rileveremo nella seconda Parte i meriti artistici di Dante nel rappresentare diverse maniere di terreni e di paesi. Ma qui non possiamo passarci di avvertire la precisione quasi tecnica del linguaggio, che ha la sua origine nella esattezza delle osserva- zioni: e tutti sanno che l'esattezza nell'osservare è uno dei caratteri distintivi dello scienziato. Ciò appare dai seguenti esempi: º terreno scosceso : Su per lo scoglio prendemmo la via, Ch'era ronchioso, stretto e malagevole, Ed erto più assai che quel di pria; (Inf., XXIV, 61-63) º terreno sterile: A ben manifestar le cose nuove, Dico che arrivammo ad una landa Che dal suo letto ogni pianta rimove. (Inf., XIV, 7-9) Rimove, cioè non lascia crescere alcuna pianta, è espressione molto esatta, poichè gli agronomi, per avere un criterio sulla fertilità di un terreno, si servono praticamente della vegetazione che esso nutre", º Vedi, p. es., il Corso d'agraria, del prof. AUGUSTo JEMINA, Torino, L. Roux, 1892, pag. 81. 16 CAPITOLO PRIMO. sebbene qualche volta una terra possa contenere tutti gli elementi utili, ma in tale stato di combinazione da non poter essere assimi- labili alle piante. Si noti poi l'uso della parola landa, che, pure oggi- giorno, significa una pianura arida formata da un fondo argilloso, ricoperto spesse volte di sabbia. * Nel seguente esempio è degna d'osservazione la proprietà della parola sollo, che è rimasta pur sempre in uso, nel linguaggio dei cam- pagnuoli toscani, e che non potrebbe essere più precisa per indicare il terreno cedevole, friabile, come la landa piena di sabbia: “E se miseria d'esto loco sollo Rende in dispetto noi e nostri preghi, Cominciò l'uno, “e il tinto aspetto e brollo. (Inf., XVI, 28-30) * Un'osservazione che, se non può chiamarsi veramente scientifica, pur frutto della conoscenza di certe regole risguardanti il terreno, quella che Dante fa nella terzina: Ma tanto più maligno e più silvestro Si fa il terren col mal seme e non colto, Quantº egli ha più del buon vigor terrestro. (Purg., XXX, 118-120) Lasciando stare il mal seme, di che diremo a suo luogo, rileviamo qui come sia vero che ci sono dei terreni i quali diventano tanto più maligni e più silvestri (se non coltivati), quanto più sono vigorosi. Cioè a dire: le piante buone ed utili, come pure le cattive e le sel- vatiche, hanno bisogno di nutrimento; con la differenza, che le prime producono frutti, mentre le seconde (avendo profittato largamente della fertilità naturale del terreno) crescono in gran copia, senza però apportare alcun vantaggio, anzi intristendo quella terra che ben coltivata avrebbe potuto produrre molto migliori risultati. Tutti sanno che nei terreni si possono distinguere due sterilità, cioè l'as- soluta, che è propria dei terreni interamente disadatti alla vita delle piante; e la relativa, la quale può essere considerata anche come temporanea, quando la terra sia impedita di divenir fertile da qualche ostacolo che si possa più o men presto rimuovere. Ora la similitudine dantesca tratta appunto della sterilità relativa di un terreno, che dall'arte agricola può essere ricondotto alla primiera fertilità, ove I TERRENI E ACCENNI ALLA METEOROLOGIA AGRARIA. 17 se ne sradichi la cattiva vegetazione, e si tragga buon profitto dai principii nutritivi in esso naturalmente contenuti. Perciò quando in campagna vediamo (come accade spesso) un terreno incolto, ma rico- perto di una vegetazione inutile o dannosa, dobbiamo qualche volta" incolparne non la natura, ma la trascuranza dell'uomo, poichè questo terreno, per negligenza appunto del lavoratore, in poco tempo è im- poverito, cioè divenuto mancante di taluna di quelle sostanze o con- dizioni che son necessarie alla nutrizione e alla vita dei vegetali. E l'aver negletto la sua prima fecondità sarà stata la causa del renderlo improduttivo. * Simile accenno a terreni intristiti è altresì nei versi: Quel che rimase, come di gramigna Vivace terra, . . . . . . . . . . . . . . . e e o s e e e s e s e e e e s s e s e s e s s e (Purg., XXXII, 136-137 e 139) dove si osserva la facilità che ha la terra fertile (ben chiamata vivace, con parola che ricorda il vigoroso di sopra) di coprirsi di gramigna. * A questo proposito, non è da omettere quello che dice Dante nel Convivio (Tratt. IV, cap. 7): che così come l'erba multiplica nel campo non cultivato, e sormonta e cuopre la spiga del formento, sicchè, disparte agguardando, il formento non pare; e perdesi il frutto finalmente. L'osservazione è fatta in forma di similitudine; non perciò meno efficace e precisa. º Pure nel Convivio (Tratt. IV, cap. 2), ci si offre un'altra esatta co- gnizione che concerne l'importanza della climatologia sui terreni, poichè il Poeta scrive: chè altrimenti è disposta la terra nel principio della primavera a ricevere in sè la infor- mazione dell'erbe e dei fiori, e altrimenti lo verno. A proposito dei diversi climi, o stagioni, che diversamente operano sulla cultura del terreno, il Poeta osserva più specialmente come av- viene l'informazione: la qual parola sta a significare il prendere forma, la germinazione, cioè, e quanto succede nelle piante appunto in Prima- (º Abbiamo voluto dire qualche volta, poichè le condizioni sovraccennate possono essere pure prodotte da difettosa giacitura del suolo, o da speciali cause fisiche, delle quali non è da incolpare menomamente l'opera dell'agricoltore. 18 CAPITOLO PRIMO. vera, quando, per causa di quella che si chiama in Agraria somma termica, la terra è altrimenti disposta che in Inverno, nella quale sta- gione manca il necessario calore. * Non asseriremo ingenuamente che si trovi un vero accenno scien- tifico al rimboschimento nei versi: s e e o e o e - e se e esce della trista selva; Lasciala tal, che di qui a mill'anni Nello stato primaio non si rinselva. (Purg., XIV, 64-66) Ma ci sarà pur lecito notare anche qui l'esattezza del linguaggio che rivela, di per sè sola, la conoscenza e l'osservazione del fatto: cioè la grande difficoltà del rimboschire, quale è anche riconosciuta dai periti. S 2. IRRIGAZIONE. Come complemento alle osservazioni fatte da Dante sulla natura dei terreni, raccogliamo pure gli accenni che egli fa all'irrigazione del suolo, che è parte così importante dell'agricoltura. L'acqua, utilissima, anzi indispensabile, fra gli elementi nutritivi della vegetazione, compie nel terreno importanti uffici: principalissimo quello di essere il veicolo per il quale arrivano i costituenti minerali dal terreno alle piante; e quello secondario, altresì, del compensarne l'evaporazione nel periodo della vegetazione. È anche da notarsi che la natura del terreno richiede maggiore o minore copia d'irrigazione. Dante, a vero dire, non offre gran quantità di citazioni che si riferi- scano a questo mezzo, che serve a preparare fisicamente il terreno. Degli esempi raccolti ci riserviamo di notare più tardi la bellezza artistica, mentre qui li citiamo come semplici prove d'una precisione quasi scientifica di linguaggio. - * A proposito del Benaco (Lago di Garda) il Poeta rileva con molta verità quello che accade quando l'acqua di esso viene a for- mare il corso del fiume Mincio, che, attraversando i verdi paschi del Veronese, va poi, presso Governolo, a sboccare nel Po: Ivi convien che tutto quanto caschi Ciò che in grembo a Benaco star non può, E fassi fiume giù per verdi paschi. Tosto che l'acqua a correr mette co, Non più Benaco, ma Mencio si chiama Fino a Governo, dove cade in Po. (Inf., XX, 73-78) I TERRENI E ACCENNI ALLA METEOROLOGIA AGRARIA. 19 * Invece, nel passo: L'acqua che vedi non surge di vena Che ristori vapor che giel converta, Come fiume ch'acquista e perde lena; Ma esce di fontana salda e certa, Che tanto dal voler di Dio riprende, Quant'ella versa da due parti aperta, (Purg., XXVIII, 121-126) abbiamo, nei primi versi, l'accenno alla sorgente naturale a irregolare deflusso; e negli altri l'immagine (volta, sotto velame di metafora, a significato tutto spirituale) di uno di quei corsi d'acqua, così utili e preziosi per la coltura dei campi, i quali scaturiscono da fontana salda e certa, cioè perenne, e non da una polla, alimentata dal vapore convertito in pioggia per condensazione della temperatura, e che forma uno di quei corsi (fiumi), i quali si gonfiano e si disseccano, secondo che le loro sorgenti sono, più o meno, alimentate dalla pioggia. * All'importanza che ha l' irrigazione per l'orticoltura, e specie per la coltura delle piante, si allude nella bella metafora dei versi: Di lui si fecer poi diversi rivi, Onde l'orto cattolico si riga, Sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. (Par., XII, 103-105) Stan più vivi è frase non solo immaginosa, ma esatta, per dinotare che l'acqua, producendo un certo ed indispensabile grado di umi- dità nel terreno, rende più attiva l'opera delle radici, le quali, bene alimentate, assorbono più facilmente gli elementi nutritivi del terreno, sciogliendone i sali e assimilandoli a vantaggio dell'intiera pianta. * I versi poi: - Udir mi parve un mormorar di fiume, - Che scende chiaro giù di pietra in pietra, Mostrando l'ubertà del suo cacume, (Par., XX, 19-21) sono stupendi, artisticamente parlando; ma qui non accade di rile- varne altro che l'osservazione contenuta nel verso Mostrando l'ubertà del suo cacume, col quale si dice che la forza e la limpidezza del- 20 - CAPITOLO PRIMO. l'acqua corrente a valle lascia indovinare l'abbondanza della sor- gente che si trova in cima al monte. Si descrive l'amenità d'un luogo di pascolo, circondato da un fiumicello nei versi: Circuit haec humilis, et tectus fronde saligna Perpetuis undis a summo margine ripas Rorans alveolus: qui quas mons desuper edit Sponte viam, qua mitis eat, defecit aquarum. (Ecl., I, 14-17) S 3. METEOROLOGIA AGRARIA. La pianta, per vivere, oltrechè del sole, vera forza animatrice, ha bisogno del terreno e dell'aria; ed altresì lo sviluppo della pianta dipende principalmente dalla nutrizione e dalla respirazione, condizioni che le vengono fornite da questi due elementi. Abbiamo riportato quanto è stato detto da Dante intorno al terreno: ed ora ci occuperemo di quegli esempi che si riferiscono ai fenomeni che succedono nell'atmosfera. Non ci si può aspettare ragionevolmente che Dante ci dia una vera e completa meteorologia agraria. Quindi dagli esempi, accuratamente spigolati, si rivelerà più che altro la potenza dell' Osservare e l'abitudine del riflettere. Del resto, tutte queste cognizioni hanno la loro vera e più felice espres- sione quando sono presentate, come vedremo, artisticamente; nè la scienza del tempo avrebbe saputo, neppure per questa parte, offrire a Dante una serie di teorie ben dimostrate (nè lo potrebbe nemmeno la Meteorologia moderna, la quale non è ancora la più sicura delle scienze); mentre che anche l'arte antica offriva al Poeta esempi in- signi, a cui ispirarsi nelle rappresentazioni di questi fenomeni. * Il passo molto controverso: Vapori accesi non vid'io sì tosto Di prima notte mai fender sereno, Nè, sol calando, nuvole d'agosto, (Purg., V, 37-39) non contiene nessun dato scientifico, ma presenta l'osservazione di fenomeni assai comuni, cioè dei lampeggiamenti di prima notte e dei raggi solari fendenti in estate le nubi". (1) Intorno alla interpretazione di questi versi, ci sono ormai scritti quasi innumerevoli. Citiamo l'ultimo che ci è capitato sott'occhio, ed è una breve comunicazione intitolata: Le nuvole d'agosto di R. TRUFFI, nel Giornale Storico della Letteratura Italiana, fasc. 90, pag. 510-11. I TERRENI E ACCENNI ALLA METEOROLOGIA AGRARIA. 21 * Un gruppo di osservazioni notevoli ci è offerto intorno alla neve, così importante in agricoltura, poichè, attenuando il raffredda- mento dei terreni contro l'incrudimento della temperatura esterna, provvidamente li difende, e favorisce lo sviluppo delle radici. * Prima di tutto, nei versi: Sì come di vapor gelati fiocca In giuso l'aer nostro, quando il corno Della Capra del ciel col sol si tocca; (Par., XXVII, 67-69) è notato astronomicamente come la neve si abbia, quando il sole appare nella costellazione della Capra; e intanto è detto anche che l'aer nostro fiocca in giuso di vapor gelati, accennandosi in certo modo al fenomeno di formazione della neve, coll'affermare che essa non è che vapore acqueo stretto in cristalli diacciati. * Al disgelo si accenna nel verso: Così la neve al sol si disigilla, (Par., XXXIII, 64) nel quale il verbo disigilla, che significa perde la sua forma, cioè quasi l'impronta che aveva dato e ricevuto, attesta una cognizione note- vole sulla conformazione della neve. Non indichiamo poi il molto ovvio rilievo, che vi è fatto sul calore solare. * Più sviluppata è la medesima osservazione nei versi seguenti che contengono, al solito, un paragone: Or come ai colpi delli caldi rai Della neve riman nudo il suggetto E dal colore e dal freddo primai. (Par., II, 106-108) * Ma la rappresentazione è più piena nei famosi versi: Sì come neve tra le vive travi Per lo dosso d'Italia si congela, Soffiata e stretta dagli venti schiavi, Poi liquefatta in sè stessa trapela, Pur che la terra che perde ombra spiri, Sì che par foco fonder la candela. (Purg., XXX, 85-90) 22 CAPITOLO PRIMO. In essi è detto, con tutta chiarezza, come la neve si congela nei boschi dell'Appennino, non solo, ma è data la ragione del congelarsi (Soffiata e stretta dagli venti schiavi); e si aggiunge poi come la neve liquefatta in sè stessa trapela; cioè, gocciola l'acqua dagli strati supe- riori della neve agli inferiori, producendosi il benefico effetto dell'in- filtrazione nel terreno a una notevole profondità: fatto importante ed efficacissimo contro la conseguente arsura estiva. Questa è un'os- servazione degna proprio di uno scienziato: via via che la neve si scioglie, penetra la soluzione nevosa più calda nello strato più freddo; e quindi essa stessa, un po' per volta, quasi per virtù propria, si scioglie. Onde è stupendo il tratto finale che aggiunge il Poeta, e che è un confronto dentro il confronto: Sì che par fuoco fonder la candela. Non basta: perchè Dante non ha trascurato di mettere in evidenza quale è la condizione necessaria perchè il fenomeno del liquefarsi o fondersi dello strato superiore della neve avvenga. Dice, infatti, Pur che la terra che perde ombra spiri, cioè (se pur v'è bisogno di spiegarlo) se mandi vento l'Affrica, la terra nella quale i corpi talora non proiettano ombra sul suolo, perchè il sole è su di essi perpendicolare. E qui notiamo, strada facendo, che Dante designa perifrasticamente l'Affrica, servendosi di una certo non volgare cogni- zione geografica. * Intorno alla pioggia, la quale fra tutte le meteore acquee è quella che tiene il primo posto riguardo all'agricoltura, abbiamo un solo esempio da recare nei versi": Ben sai come nell'aere si raccoglie Quell'umido vapor che in acqua riede, Tosto che sale dove il freddo il coglie. (Purg., V, 109-111) I quali versi vengono a dire, come la pioggia dipenda, prima, da un'accumulazione di vapori acquei nell'atmosfera, indi dal contatto (*) In questo passo è anche un ricordo dei versi: Saepe etiam immensum coelo venit agmen aquarum, Et foedam glomerant tempestatem imbribus atris Conlectae ea alto nubes . . . . . . . . . . . . . . . (VIRGILIO, Georg., I, 322.) I TERRENI E ACCENNI ALLA METEOROLOGIA AGRARIA. 23 di questa massa colla temperatura fredda superiore. Nei versi se- guenti 115-120 : Indi la valle, come il dì fu spento, Da Pratomagno al gran giogo coperse Di nebbia, e il ciel di sopra fece intento Sì, che il pregno aere in acqua si converse: La pioggia cadde, ed ai fossati venne Di lei ciò che la terra non sofferse: è dato felicemente uno dei segni precursori dello scrosciare della pioggia in una vallata (Indi la valle.... Da Pratomagno al gran giogo coperse Di nebbia). Si allude di nuovo ad una delle cagioni imme- diate della pioggia colla frase pregno aere, e si aggiunge un accenno di qualche importanza sul fatto che la terra può imbeversi fino ad un certo punto della pioggia che cade, e il di più, vale a dire quello che la terra non sofferse, contribuisce a formare la piena che dai fossati va ai rivi grandi (ossia nei molti torrenti del Casentino) e poi nel fiume reale. “Un fatto assai comune e semplice, ma non trascurabile in questa Parte, è quello che il Poeta rileva, a proposito della resistenza della rugiada in luoghi ombrosi, la quale è benefica ai vegetali (special- mente in Estate), perchè apporta umidità alle piante ed al terreno, ma può essere anche nociva favorendo lo sviluppo di parassiti: Quando noi fummo dove la rugiada Pugna col sole, e per essere in parte Dove adorezza, poco si dirada. (Purg., I, 121-123) º Della nebbia abbiamo menzione nei versi: Come, quando la nebbia si dissipa, Lo sguardo a poco a poco raffigura Ciò che cela il vapor che l'aere stipa. (Inf., XXXI, 34-36) Essa, pur avendo il merito, per l'agricoltura, di moderare opportu- namente i grandi freddi, ha però il demerito di apportare non pochi danni alla fecondazione dei fiori e di sviluppare le malattie crittogame". (º Vedi più avanti al Cap. II il S 4: Il fiore e il frutto. 24 º CAPITOLO PRIMO. º Del vento si parla in due luoghi. Nel primo: Non altrimenti fatto che d'un vento Impetuoso per gli avversi ardori, (Inf., IX, 67-68) si ha l'esempio del vento forte dannoso alla vegetazione, e si dice come il vento divenga impetuoso per gli avversi ardori, cioè per i calori di paese opposto. Anche qui è evidente il ricordo dei versi di Virgilio (AEn., II, 416-417), ma è certo notevole l'osservazione, ripetuta e mi- gliorata, intorno alle cagioni dell'impeto dei venti (differenze di pres- sione e disquilibrio di temperatura). Noi la registriamo, senza però partecipare all'entusiasmo di chi, ingrandendo non criticamente il valore delle cognizioni dantesche, scrisse a proposito di questi versiº: « Le moderne osservazioni di » Franklin, del Dove e del Kaemts, che servono ad edificare la bel- » lissima teoria dei venti, appunto adottate in meteorologia, rinven- » gonsi miniate in quelle parole ». * Invece, nel passo: E quale, annunziatrice degli albori, L'aura di maggio movesi ed olezza: Tutta impregnata dall'erba e dai fiori; (Purg., XXIV, 145-147) si ha l'immagine del vento moderato, il quale è utilissimo, perchè facilita la fecondazione e promuove le funzioni delle parti aeree della pianta. * In quanto alla direzione del vento e dei diversi nomi che esso prende, appunto a seconda di queste direzioni, è da ricordare la terzina nella quale Dante paragona il mondano romore allo spirare del vento: Non è il mondan romore altro che un fiato Di vento, che or vien quinci ed or vien quindi, E muta nome, perchè muta lato. (Purg. XI, 100-102) * Nel De vulgari eloquentia (Liber primus, cap. IV, 5), il Poeta rias- sume in un periodo gran parte dei turbamenti atmosferici così: (*) I. FERRAZZI, Manuale dantesco, Bassano, 1877, vol. II, Parte I, pag. 241. I TERRENI E ACCENNI ALLA METEOROLOGIA AGRARIA. 25 Igitur, cum ad tantas alterationes moveatur aer imperio natura inferioris, que ministra et factura Dei est, ut tonitrua personet, ignem fulgoret, aquam gemat, spargat nivem, grandines lancinet, . . . Notisi qui soltanto la precisione del linguaggio per quello che ri- sguarda i singoli fenomeni accennati. * Chiudiamo questo capitolo, riferendo (per chi desideri maggior mèsse di citazioni a proposito della meteorologia dantesca) qualche passo anche dal Canzoniere (Canzone XV, nella quale si descrivono efficacemente i fenomeni della stagione invernale): Io son venuto al punto della rota, Che l'orizzonte, quando il Sol si corca, Ci parturisce il geminato cielo, E la stella d'amor ci sta rimota Per lo raggio lucente, che la 'nforca Sì di traverso, che le si fa velo : E quel pianeta, che conforta il gelo, Si mostra tutto a noi per lo grand'arco, Nel qual ciascun de sette fa poca ombra: e e s - e o o o e o s a - e e s e s e s e a o s e o e e e e e e s e º e e s e s e s e e e e s e e se e e s e Levasi della rena d'Etiopia Un vento pellegrin, che l'aer turba, Per la spera del Sol, ch'or la riscalda; E passa il mare, onde n'adduce copia Di nebbia tal, che s'altro non la sturba, Questo emispero chiude tutto, e salda: E poi si solve, e cade in bianca falda Di fredda neve, ed in noiosa pioggia; Onde l'aere s'attrista tutto, e piagne: e e s - e se a a - e se - e s s e e e s e e - e - - e , e a s - e a se e s e a e s e e o º s a e - a se s e º e -, Fuggito è ogni augel, che 'l caldo segue, Dal paese d'Europa, che non perde Le sette stelle gelide unquemai: E gli altri han posto alle lor voci triegue Per non sonarle infino al tempo verde, Se ciò non fosse per cagion di guai; E tutti gli animali, che son gai Di lor natura, son d'amor disciolti, Perocchè il freddo lor spirito ammorta. a e o e e s e e e s e e o a e e s e e e s e a o e º e Passato hanno lor termine le fronde, Che trasse fuor la virtù d'Ariete, Per adornare il mondo, e morta è l'erba: Ed ogni ramo verde a noi s'asconde, Se non se in pino, lauro od abete, Od in alcun che sua verdura serba: E tanto è la stagion forte ed acerba, 26 CAPITOLO PRIMO. – I TERRENI E ACCENNI ALLA METEOROLOGIA AGRARIA. Ch'ammorta gli fioretti per le piaggie, Gli quai non posson tollerar la brina: La terra fa un suol che par di smalto, E l'acqua morta si converte in vetro Per la freddura, che di fuor la serra. e s e o o s e o o e s e o o s e e o o e e o o o o me o e º CAPITOLO SECONDO. L A B OT A N I C A. S 1. Disegno del Capitolo. – S 2. La gemma o il bottone – S 3. I rami e le foglie. – S 4. Il fiore e il frutto. – S 5. Il seme. – S 6. Fenomeni vari : a) Respirazione; b) Circolazione; c) Fecondazione. – S 7. Le piante in generale. S 1. DISEGNO DEL CAPITOLO. Tra gli studiosi della Botanica nella Divina Commedia il primo posto spetta meritamente ad OTTAVIANO TAR- cIONI-TozzETTI" , il quale dimostra che: «il nostro Divino Poeta merita » di essere letto, ammirato, e meditato anche dai Botanici, come da » tutti gli uomini di scienze, quale uomo enciclopedico dei suoi tempi, » e qual maestro di color che sanno ». ROBERTO DE VISIANI ha pure sul medesimo soggetto un eruditissimo discorso intitolato: Accenni alle Scienze botaniche nella Divina Commedia º. Abbiamo voluto citare, in principio del paragrafo, i nomi di questi due scrittori, i quali con encomiabile diligenza studiarono Dante se- condo il suo valore di botanico, pur limitandosi alla Divina Commedia; se però Botanica si può chiamare, riferendosi al Trecento, la disciplina risguardante la natura e la coltura delle piante, imbevuta anch'essa di superstizioni più o meno volgari. Essendo molte ed importanti le cita- zioni dantesche riflettenti questa parte speciale delle scienze naturali, abbiamo creduto opportuno di radunarle nei sei distinti gruppi che º Delle cognizioni botaniche di Dante espresse nella D. C., negli Atti della Imp. e R. Acc. della Crusca, tomo secondo, pag. 362. º Nel volume Dante e il suo secolo, Firenze, M. Cellini e C., 1865, pag. 519. 28 CAPITOLO SECONDO. seguono, affinchè riesca più chiaro ed agevole lo studio delle varie vi- cende che si riscontrano nella vita d'una pianta, e secondo i concetti medievali e in rapporto colle cognizioni scientifiche più moderne. Da questo ordinamento ritraggonsi parecchi e non lievi vantaggi: prin- cipalissimo quello di riunire in un complesso molto organico i vari passi, che, per necessità della versificazione e secondo l'ordine e il dise- gno dei diversi canti, sono disseminati un po' da per tutto per l'intiero Poema e anche nelle altre opere. Sembra a noi che meglio si ottenga così un'idea, esatta e compiuta, di quanto si pensava generalmente in fatto di Botanica all' epoca di Dante. S 2. LA GEMMA O IL BOTTONE. La gemma o il bottone in Botanica, come tutti sanno, non è altro che il rudimento di un nuovo ramo, e consta di un breve asse, coperto, generalmente, da speciali inviluppi, aventi ufficio protettivo, e di piccole foglie destinate poi a svolgersi nella stagione opportuna. Dante, nei seguenti versi, unisce la descrizione di questo fenomeno vitale e fisiologico delle piante colla precisione di os- servazioni astronomiche rispetto alla stagione nella quale esso succede: Come le nostre piante, quando casca Giù la gran luce mischiata con quella Che raggia retro alla celeste lasca, Turgide fansi, e poi si rinnovella Di suo color ciascuna, pria che il sole Giunga li suoi corsier sott'altra stella; Men che di rose, e più che di viole, Colore aprendo, s'innovò la pianta, Che prima avea le ramora sì sole. (Purg., XXXII, 52-60) Dice il Poeta: le nostre piante (cioè quelle di questa terra) si fanno turgide e rigonfiano le loro gemme quando il sole è nella costella- zione dell'Ariete che tien dietro a quella dei Pesci; cioè in Prima- vera. I succhi assorbiti dal terreno producono questo rigonfiamento, e ciascuna di esse si riveste di propri colori, verdeggia e fiorisce prima che il sole Giunga li suoi corsier sott'altra stella, ossia, soprav- venga l'Autunno. Alcuni commentatori, fra i quali il DE VISIANI, vedono espresso in questi versi il concetto della costante tendenza dei rami verso il cielo in opposizione a quella delle radici. Noi dichia- riamo di non accettare questa interpretazione. Infatti, questo effetto LA BOTANICA. 29 prodotto dall'irradiazione della luce solare ha le sue eccezioni, poichè la direzione dei rami dipende pure dall'ascensione della linfa, diversa secondo le piante; come per esempio nel salice, il quale piega invece i suoi rami verso terra. Dante non poteva, in relazione con le co- gnizioni del suo tempo, determinare nei suoi versi una legge scien- tifica: egli ha voluto solamente descrivere, con una precisa similitudine, gli effetti del tepore primaverile sulle piante. Nondimeno, conosceva forse il potere dell'irradiazione solare come (in forma di semplice accenno) si scorge dai versi: quando casca Giù la gran luce, ec. Questa asserzione è maggiormente convalidata dal fatto che, ancora oggidì, è incognita la ragione delle forme specifiche dei vegetali. * La gemmazione delle piante prodotta, secondo un'immagine cara ai poeti, dallo zeffiro (vento caldo primaverile annunziatore della Primavera in Europa e proveniente dall'Affrica) è ricordata nei versi: - In quella parte ove surge ad aprire Zeffiro dolce le novelle fronde, Di che si vede Europa rivestire. (Par., XII, 46-48) Molti poeti attribuivano appunto allo Zeffiro o Favonio pro- prietà fecondanti; e così mostrò di credere Dante; ma, nel fatto, tali proprietà non dipendono altro che dal calore di questo vento, il quale fa schiudere, al tepido suo bacio, le tenere gemme delle novelle fronde. S 3. I RAMI E LE FOGLIE. Le fronde sui rami spesso cadono, mentre altre germogliano; e troviamo accenno a questo effetto nei versi: Che l'uso de mortali è come fronda In ramo, che sen va ed altra viene. (Par., XXVI, 137-138) * Le foglie nell'Autunno cadono quasi senza interruzione (l'una appresso dell'altra) dal ramo che le portava. Non diremo però come il DE VISIANIº, che non intese a dovere il passo di Dante, che esse se ne (!) Op. cit., pag. 520. 30 CAPITOLO SECONDO. spiccano presso a poco collo stesso ordine con cui vi erano prima nate e disposte !... Nei versi: Come d'autunno si levan le foglie L'una appresso dell'altra, infin che il ramo Rende alla terra tutte le sue spoglie, (Inf., III, 112-114) è notevole l'esatta osservazione del fatto. Nell'espressione Rende alla terra tutte le sue spoglie, si potrebbe da qualcuno veder significata pure la legge del ricambio materiale, ma questa è una legge del tutto moderna. Infatti, noi teniamo oggi che nulla vada perduto in na- tura: le piante assorbono minerali dal terreno e trasformano l'ani- dride carbonica e l'acqua in sostanza organica; rendendo poi quanto hanno tolto al terreno ed all'aria quando le foglie cadono, o quando marciscono, o son bruciate o trasformate in altra maniera. Non cre- diamo di poter menomamente affermare che il Poeta conoscesse o intuisse questa legge scrivendo i citati versi, poichè essa (lo ripetiamo) è affatto moderna; e molti anzi non hanno voluto accogliere la le zione rende alla terra, sostituendola col vede alla terra, forma forse più chiara, ma molto meno poetica, e, se dobbiamo dir la parola, più gros- solana, mentre è altresì metafora alquanto audace. Ad ogni modo, sia pure senza la detta precisa cognizione scientifica, Dante ha forse fugacemente concepito una grande verità della fisiologia vegetale, che c'insegna ora come il vegetale medesimo renda al terreno le spoglie che il terreno gli aveva nutrite. * Nei versi del Canzoniere (Canzone XV): Passato hanno lor termine le fronde, Che trasse fuor la virtù d'Ariete, Per adornare il mondo, e morta è l'erba: Ed ogni ramo verde a noi s'asconde, Se no se in pino, lauro od abete, Od in alcun che sua verdura serba e e - e a se e s e o s e s e e e o s e s e o º e il Poeta descrive lo spogliarsi dei rami e la perdita che molti di essi fanno, del color verde, acquistato e prodotto durante il periodo che il sole percorre il primo dei dodici segni dell'eclittica, che è appunto quello dell'Ariete e che dura dal 20 di Marzo al 20 di Aprile, tempo LA BOTANICA. 31 singolarmente propizio a trar fuori (come dice Dante) le fronde. No- tisi poi il preciso accenno alle piante sempre verdi, tali come il pino, il lauro e l'abete, che si distinguono anche per la persistenza del fogliame. * Nell'Epistola VII è scritto: Non etenim ad arbores extirpandas valet ipsa ramorum incisio, quin iterum multipli- cius virulenter ramificent, quousque radices incolumes fuerint, ut praebeant alimentum. Da questo apparisce chiaro come Dante non solo attribuisse giu- stamente alle radici una grande importanza, quali organi princi- palissimi ed indispensabili della nutrizione, ritenendo inutile, ad estirpare la cattiva pianta, il tagliamento dei rami; ma lo ricono- scesse (come incidentalmente avverte) atto a far vigoreggiare di più i rami (virulenter, multiplicius): il che avviene specie nelle piante fore- stali ed in quelle da fronda per mezzo del taglio, e per mezzo della potatura nelle piante fruttifere, operazioni che promuovono ed assi- curano la maggior produttività della pianta. S 4. IL FIORE E IL FRUTTO. Il fiore, organo principale della feconda- zione nelle piante, è stato ricordato da Dante in non pochi passi; ma qui noi citiamo solo quelli nei quali si possa trovare un riferi- mento notevole alla Botanica. Dalla conosciutissima e famosa terzina: Quali i fioretti dal notturno gelo Chinati e chiusi, poi che il sol gl'imbianca, Si drizzan tutti aperti in loro stelo; (Inf., II, 127-129) possiamo rilevare che il Poeta conoscesse gli effetti della luce e del ca- lore solare sopra i vegetali. È un fatto che, dopo il gelo della notte, il sole benefico agisce in tre diversi modi sopra i vegetali: cioè col farli rialzare sul loro stelo, coll'aprire i loro petali e col ravvivare il loro colore. Il sole, facendo poi discoprire gli stami ed i pistilli, è elemento attivissimo di fecondazione, poichè, come scrisse OTTAVIANO TAR- GIONI-TozzETTI " : « i fiori celebrano così le loro nozze, fecondando i » germi contenuti negli ovari o pistilli ». º Op. cit., pag. 356. 32 CAPITOLO SECONDO. * Il calore ha pure la virtù di fare schiudere i fiori. Nei versi: Così m'ha dilatata mia fidanza, Come il sol fa la rosa, quando aperta Tanto divien quant'ell'ha di possanza, (Par., XXII, 55-57) si dice che il sole fa dilatare la rosa, la quale si apre tanto quanto vuole la forza naturale (Tanto divien quant ell ha di possanza). Il precitato º trova in questi versi un'anticipazione di quanto disse TARGIONI-TozzETTI Linneo, quattro secoli appresso, sul sistema da lui chiamato sessuale, nella dissertazione Sponsalia Plantarum. A noi pare che in questo passo si abbia specialmente una bella e semplice pittura raffigurante la mas- sima dilatazione delle foglie di una rosa, prodotta dal calore solare che agisce direttamente sopra i succhi vitali della pianta. Un accenno che si potrebbe dire scientifico, cioè sul grado di dilatazione o espansione delle foglie (grado che non può andare oltre un certo limite), è nel ri- cordato verso 57. Del resto, si errerebbe affermando che l'osservazione dantesca sia più scientifica che artistica in questo caso, come pure nel Convivio (Tratt. IV, cap. 27 [37-40]), dove è detto a proposito della terza età: . . . . e conviensi aprire l'uomo quasi come una rosa che più chiusa stare non può, e l'odore ch'è dentro generato spandere . . . . * Spesso avviene che due alberi della medesima specie dieno frutto diverso, cioè che la stessa qualità di piante produca frutti buoni o cattivi, secondo le diverse condizioni in cui esse vivono. Questo fatto è notato da Dante: Ond'egli avvien ch'un medesimo legno, Secondo specie, meglio e peggio frutta. (Par., XIII, 70-71) Medesimo significa non individualmente la stessa pianta, ma afferma solo la somiglianza della specie. r * Abbiamo un accenno alle difficoltà che impediscono di ottenere il frutto delle piante, nell'esempio della quercia: Che giù non basta buon cominciamento Dal nascer della quercia al far la ghianda. (Par., XXII, 86-87) (!) Op. cit., pag. 356. LA BOTANICA. 33 Dal momento in cui la quercia nasce a quello in cui essa è ca- pace di produrre la ghianda, vi è per lo più lo spazio di vent'anni; perciò ha ragione il Poeta nell'affermare che in questo lungo lasso di tempo la pianta germogliata può inaridire, o andar soggetta a gravi danni, prima di maturar frutti. Egli mostra buon giudizio anche nello scegliere l'esempio della quercia, rivelando altresì una precisa cognizione sul periodo di fruttificazione di essa. * Il cielo sereno, la poca umidità, sono utilissimi coefficienti perchè in una pianta avvenga la fioritura e la perfetta maturazione dei frutti. Dante sapeva che l'aria umida, la nebbia e la pioggia soverchia sono dannosissime per la frutticoltura; perciò c'insegna che Ben fiorisce negli uomini il volere; Ma la pioggia continua converte In bozzacchioni le susine vere. (Par., XXVII, 124-126) Bozzacchione, o b022acchio, significa susina che, sull'allegare (cioè quando il fiore casca, lasciando il germe del frutto), è guastata da un fungo parassita, l'Eaouscus Pruni, che la deforma e la ingrossa fuori del consueto, rendendola vana od inutile. In questo caso però s'in- tende che la soverchia e continua umidità è cagione del danno. * Dal seguente verso, che si potrebbe chiamare una vera e pro- pria sentenza: E vero frutto verrà dopo il fiore, - (Par., XXVII, 148) appare chiaramente che il Poeta aveva l'idea che il fiore precede il frutto ed il seme, dal quale nasce poi novella pianta. Linneo svolse su questo fatto la sua teoria, nel 1735, nell'opera Systema Naturae. Nonpertanto è da notarsi che Dante dice vero frutto, per significare, non come poco innanzi nello stesso Canto i bozzacchioni, ma un frutto che susseguirà, buono e sano, ad una normale fioritura. S 5. IL SEME. I versi seguenti: - Se non mi credi, pon mente alla spiga, Ch'ogni erba si conosce per lo seme, (Purg., XVI, 113-114) 5 34 CAPITOLO SECONDO. non vanno interpretati fuori del loro contesto. Dante volle dire che dell'esser giunta la spada Col pastorale si hanno cattivi frutti, e av- verte: pon mente alla Spiga, cioè: vedi che spiga abbiamo, e cono- scerai che erba sono (questi due poteri), perchè la spiga (cioè il seme) rivela se la pianta è buona o no. Questa retta interpretazione, che è, del resto, adottata comunemente, impedisce che si possano accettare le considerazioni che fa il TARGIONI-TozzETTI º quando rileva che Dante non seguì le oscure e volgari opinioni del suo secolo º, nè la grande superstizione che regnava allora specialmente per riguardo a quei misteriosi vegetali che, cominciando da Linneo (il quale diede loro il nome di Cryptogama) fino ai nostri giorni, furono oggetto co- stante di studi meravigliosi. Il TARGIONI-TozzETTI staccò troppo re- cisamente dal termine di confronto i versi citati, e, pur esponendo osservazioni giuste sul progresso fatto dalla scienza, per rispetto alle piante a generazione nascosta (come le felci, i muschi, le alghe, i licheni, i miceti, ecc.), non intese a dovere le parole del Poeta, al quale attribuisce cognizioni scientifiche troppo precoci. * Ma quello che è stato appunto ampiamente trovato e dimo- strato da una illustre schiera di scienziati, e primo e più antico fra tutti l'immortale Linneo, fu già considerato empiricamente anche da Dante, la cui conoscenza delle crittogame ci rivela la seguente terzina: Non parrebbe di là poi maraviglia, Udito questo, quando alcuna pianta Senza seme palese vi s'appiglia. (Purg., XXVIII, 115-117) Peraltro, come avvertiremo a proposito della Fecondazione (S 6,-c), il rilievo del fatto è giusto, ma Dante, ben lungi dal darne una spie- gazione scientifica, lo riconnette fantasticamente con uno stato di cose da lui immaginato per certi fenomeni fisici e fisiologici (vento, seme, acqua), propri del Paradiso terrestre º. * Il più comune dei mezzi, per i quali avviene la fioritura e la relativa fecondazione, è l'aria mossa come leggero vento, che tra- (*) Op. cit., pag. 353. º Anche il DE VISIANI fa, press'a poco, le stesse osservazioni del TARGIoNI-TozzETTI. (º) E. CoLI, Il Paradiso terrestre dantesco, Firenze, Carnesecchi, 1897: specialmente il cap. VII. LA BOTANICA. - 35 sporta da un luogo all'altro il polline dei fiori. Or bene: il TARGIONI- TozzETTI crede di trovare accennato ciò nei versi: E quale, annunziatrice degli albori, L'aura di maggio movesi ed olezza: Tutta impregnata dall'erba e dai fiori. (Purg., XXIV, 145-147) Ci dispiace di non poter consentire nemmeno in questo caso col- l'illustre scrittore. Senza voler diminuire affatto nè la sapienza di Dante, nè il magistero dell'arte sua, noi crediamo che in questa terzina il Poeta volesse descrivere solo l'effluvio dei fiori e delle erbe odorifere all'alba, senza unirvi l'idea della fecondazione che l'aura produca. Nei versi che seguono (148-150): Tal mi sentii un vento dar per mezza La fronte, e ben senti mover la piuma, Che fe' sentir d'ambrosia l'orezza, si vede chiaro ch'egli ha usato quel confronto per dare idea del- l'orezza d'ambrosia, cioè del profumo. * Un seme, affinchè possa essere produttivo, ha bisogno di certe determinate e favorevoli circostanze, cioè: gli occorre, secondo la sua qualità, oltre al rimanente, questo o quel terreno, poichè: Sempre natura, se fortuna trova Discorde a sè, come ogni altra semente Fuor di sua region, fa mala prova. (Par., VIII, 139-141) Questi versi sono un vero e proprio insegnamento, quale meglio e più chiaramente non avrebbe saputo esporre un poeta georgico, e che qui è espresso con lucidità degna di un buon trattato d'agraria. * Nei versi: Ma tanto più maligno e più silvestro Si fa il terren col mal seme e non colto, Quant'egli ha più del buon vigor terrestro, (Purg., XXX, 118-120) abbiamo ancora un precetto sugli effetti del seme secondo le diverse qualità di terreni. Infatti, un buono e fertile terreno (lasciando di 36 CAPITOLO SECONDO. f ripetere qui ciò che si disse già intorno alle qualità del terreno e alla mala coltura di esso) diventa maggiormente cattivo quando vi si Sparge una cattiva semenza. * Il Poeta, nel Convivio (Tratt. IV, cap. 22 [36-40]), accennando alla diversità che presentano le piante nel crescere, mentre si rasso- migliano al primo germoglio, scrive: Le biade, quando nascono, dal principio hanno quasi una similitudine, nell'erba es- sendo, e poi si vengono dissimigliando; . . . . . siccome l'erbetta di diverse biade quasi si somiglia. L'osservazione è giusta, poichè come facilmente (per dare un esempio) si può riscontrare nell'avena, nel grano e nell'orzo, alcuni cereali nel loro primo spuntare non offrono a chi li consideri fuga- cemente quelle diversità che mostran poi. * Colle parole: E altrimenti è disposta una stagione a ricevere lo seme, che un'altra (Convivio, Tratt. IV, cap. 2 [56-57]) ci si fa noto chiaramente come Dante conoscesse quanto si riferisce alla propagazione delle piante fruttifere, e più specialmente riguardo alle cosiddette epoche di Sementa. * Per dare l'idea, che, per le accresciute ricchezze, la Chiesa in- tristisse e cadesse in rovina, Dante usa bene a proposito la simili- tudine della gramigna, la quale ricopre il terreno fertile, se è trascurato: Quel che rimase, come di gramigna Vivace terra. . . . . . . . . . . . . . (Purg., XXXII, 136-137) * Ed ecco, per ultimo, ricordato il fatto che facilmente attec- chiscono, anche, in terreni poveri, i semi di piante nocive all'agri- coltura. Il Poeta sceglie l'esempio della spelta (nome volgare del Triticum Spelta di Linneo): Cade in la selva, e non l'è parte scelta; Ma là dove fortuna la balestra, Quivi germoglia come gran di spelta. (Inf., XIII, 97-99) ILA BOTANICA. 37 S 6. FENOMENI VARi. a) Respirazione. Dante scorgeva giustamente nel color verde delle foglie la testimonianza della loro vita: Nè si dimostra ma che per effetto, Come per verdi fronde in pianta vita. (Purg., XVIII, 53-54) La vita in una pianta non si conosce, nè si manifesta altrimenti, nè meglio, che col verdeggiare delle frondi. * Questo colore è da prima più tenero e delicato: Verdi, come fogliette pur mo nate. (Purg., VIII, 28) Le fogliette hanno ricevuto pochissimo l'influsso del sole; ma la loro tinta cambierà quando saranno maggiormente adulte ed indu- rite. Il che ci è dimostrato dai versi seguenti: La vostra nominanza è color d'erba, Che viene e va, e quei la discolora Per cui ell'esce della terra acerba. (Purg., XI, 115-117) Quei la discolora, cioè: quel sole stesso, che l'aveva fatta nascere acerba, ossia immatura dal suolo, gli toglie il colore che le aveva dato, facendola a poco a poco inaridire ed ingiallire. Perciò non si può negare, mi sembra, l'esattezza delle cognizioni (sien pure poche) che il Poeta mostra riguardo alla respirazione delle piante. b) Circolazione. Il TARGIONI-TozzETTI º commenta i versi seguenti: Come d'un stizzo verde, che arso sia Dall'un de' capi, che dall'altro geme, E cigola per vento che va via; (Inf., XIII, 40-42) così: « Dante con questi versi ci apprende ch'egli conosceva l'ascesa e discesa del succo nelle piante, poichè conoscendo con quale forza il succhio sale dalle radici all'estremità degli alberi, egli dice che da uno stizzo verde sotto l'influenza del calore (il quale rarefà l'umido º Op. cit., pag. 359, 38 CAPITOLO SECONDO. e l'aria contenuti nei vasi del legno e nella corteccia) questi umori escono in forma di spuma ». * La costante tendenza (come abbiamo già detto), che hanno i rami a volgersi verso il cielo, viene aumentata dai succhi vitali della pianta, i quali producono, riuniti, quella forza che obbliga le parti verdi a star erette e le curvate a rialzarsi, appena sien cessate le cause che le piegarono in altro senso. Questa speciale condizione è felicemente da Dante esposta così, a proposito degli effetti del vento: Come la fronda, che flette la cima Nel transito del vento, e poi si leva Per la propria virtù che la sublima. (Par., XXVI, 85-87) Si noti quel propria virtù, che è usato a meglio dimostrare che trattasi indubbiamente della forza vitale della pianta. c) Fecondazione. Come complemento di quanto s'è detto di essa al paragrafo quinto (Il Seme), stimiamo opportuno di far menzione di questo passo: E la percossa pianta tanto puote, Che della sua virtute l'aura impregna, E quella poi girando intorno scote: E l'altra terra, secondo ch'è degna Per sè e per suo ciel, concepe e figlia Di diverse virtù diverse legna. (Purg., XXVIII, 109-114) Dante afferma la virtù che le piante hanno di trasmettere, per mezzo dell'aria che le percuote, la loro potenza vegetativa o fecon- dante. E questo è vero per rispetto a tutte le piante, ma è da avver- tire che il Poeta si riferisce alla condizione speciale fisica, immaginata da lui per il Paradiso terrestre." Mette poi in relazione il ricordato fenomeno (vero in generale, ma attribuito lì alle piante del Paradiso terrestre) con altro fenomeno che avviene in terra e che è notato nei versi 115-117 illustrati da noi in altro luogo. S 7. LE PIANTE IN GENERALE. Sebbene i vegetali ricordati da Dante sieno in minor numero che gli animali, ed egli abbia ricorso egregia- mente ad essi, quasi sempre per derivarne similitudini ed immagini, º) E. Coli, op. cit., ibidem. LA BOTANICA. 39 pure troviamo nelle espressioni dantesche una grande precisione. Anzi il Poeta, nelle citazioni che fa dei vegetali, li rappresenta con una meravigliosa chiarezza, e con tale finezza d'osservazione, che, spesse volte, gli esempi tolti dalla Botanica ci appaiono molto più esatti di quelli zoologici. Gli animali sono dipinti secondo le loro diverse abitudini in questo o in quel momento; i vegetali, invece, sono ritratti sotto l'aspetto scientifico nella maggior parte degli esempi. Infatti, come mostreranno meglio le Tavole, le descrizioni e cita- zioni seguenti: ABETE (Inf., XXII, 133-134); BozzACCHIONI (Par., XXVII, 124-126); ELLERA (Inf., XXV, 58-60); Fico (Inf., XV, 65-66); GHIANDA (Par., XXII, 86-87); GIUNCHI (Purg., I, 100-103); GRAMIGNA (Purg., XXXII, 136-137); LoGLIO (Purg., II, 124-129); PAGLIA (Purg., XIV, 85); RosA (Par., XXII, 55-57); SPELTA (Inf., XIII, 97-99); VITE (Purg., XXV, 77-78); e molte altre, che omettiamo per brevità, sono esattamente confacenti alle moderne descrizioni botaniche; e se il grande Poeta cadde in qualche errore, o accettò più di una credenza erronea, è facilmente scusabile, tenuto conto dei tempi nei quali egli pensò e scrisse. * Per dare un altro esempio di quanto notevole fosse la conoscenza che Dante ebbe dei vegetali, riportiamo quanto egli scrive in gene- rale intorno ai luoghi più appropriati per lo sviluppo dei medesimi: Le piante, che sono prima animate, hanno amore a certo loco più manifestamente, secondochè la complessione richiede; e però vedremo certe piante lungo l'acque quasi sempre confarsi, e certe sopra li gioghi delle montagne, e certe nelle piagge e a piè de' monti, le quali, se si trasmutano, o muoiono del tutto o vivono quasi triste, siccome cose disgiunte dal loco amico. (Convivio, Tratt. III, cap. 3 [21-30]). Le quali parole stanno a dimostrare le varie condizioni e i vari elementi di cui abbisognano per vivere le differenti specie di vegetali; ma il Poeta (qui troppo scolastico ragionatore) non vede nelle piante 40 CAPITOLO SECONDO. – LA BOTANICA. quell'amore che anche agli animali bruti (nel medesimo capitolo) con- cede; e non pare che abbia intravisto il fatto, come non ha ricevute immagini da uno de fenomeni più notevoli e poetici: gli amori delle piante. - - º Il TARGIONI-TozzeTTI sui versi (Purg., I, 133-136) Quivi mi cinse, sì come altrui piacque: O maraviglia ! che qual egli scelse L'umile pianta cotal si rinacque Subitamente là onde la svelse scrive: « Queste piante hanno la proprietà di riprodurre sempre nuovi » rampolli o steli simili da altre gemme della radice; per lo che ta- » gliandone i virgulti, nuovi e simili sempre ne ripullulano ». Ma evidentemente in questo passo il significato più importante è l'allegorico. Nè spenderemo molte parole a dimostrarlo, come a ricor- dare che Dante pensò certo al luogo Virgiliano (AEn., VI, 143 e seg.). Altro che monocotiledoni ! CAPITOLO TERZo. LA PRATICA AGRARIA. S 1. Viticoltura. – S 2. Pastorizia. – S 3. Apicoltura. – S 4. Caccia e Aucupio. S 1. VITICOLTURA. Dante accenna ad un imbiancamento della vite, il quale fu qualche volta inteso come riferentesi alla crittogama, de- vastatrice della preziosa ampelidea: Tal che si mise a circuir la vigna, Che tosto imbianca, se il vignaio è reo. (Par., XII, 86-87) Modernamente si potrebbe attribuire l'imbiancare della vite spe- cialmente alla peronospora. Essa può produrre sulle foglie delle mac- chie biancastre, visibili anche a distanza, e per di più la clorosi, l'anemia ed altre malattie non parassitarie, ma dovute a deficienza di uno od altro alimento, o a cattive condizioni geognostiche e a depres- sione nella forza vegetativa. La malattia detta oidio, o oidium Tukeri, o ancor meglio Erysiphe Tukeri, che è un genere di muffe appartenenti alle Mucedinee, quando il valentissimo MARCONI completò il Vocabolario del CANEVAZZI, poteva, per eccellenza, dirsi la crittogama della vite"; non così ora, dopo la diffusione della peronospora. L'Erysiphe inve- ste e danneggia essenzialmente le bacche dell'uva, poi i teneri ger- mogli, assai difficilmente le foglie in pieno sviluppo; sicchè per tale (º MARCONI, Vocabolario d'Agricoltura, pag. 347. 42 CAPITOLO TERZO. infezione, non si potrebbe dire propriamente che la vigna imbianchi. Questa malattia non è certo, a ogni modo, fosse conosciuta in antico; e a tempo di Dante la viticoltura era tenuta in mediocre onore". Tanto meno egli poteva alludere alla peronospora. º Torniamo perciò a ripetere che, se, per una combinazione, l'imbianca usato dal Poeta corrisponde esattamente al colore che acquistan le fo glie per malattie molto più tardi riconosciute, ciò non deve indurci in errore. Dante infatti ha scritto pure: se il vignaio è reo; cioè: se chi col- tiva la vigna non la circonda delle dovute cure, questi è biasimevole e ne soffrirà i danni, vedendola tralignare e disseccare. E appunto dissec- candosi, la vite acquista un colore bianchiccio, come del resto tutti i vegetali intristendosi. La nostra asserzione, che in questo caso il Poeta abbia inteso parlare solo genericamente degli effetti che produce la mancanza di cure da parte del contadino (come sarebbero la concima- zione, la potatura, ec.), viene convalidata dal fatto che questa peri- frasi è facilmente derivata dalle parole di Geremia, II, 21 : « Or » t'avea io piantata di viti nobili, d'un seme vero tutto quanto : e º come mi ti sei tu mutata in tralci tralignati di vite strana? . . . » e da tutto il Cap. V di Isaia. Dante ha da questi passi tolto imma- gini per significare che l'istituzione della Chiesa rovina, se i suoi ministri non son dotti e capaci a custodirla. Da ciò apparisce chiaramente il concetto della perifrasi o simili- tudine dantesca, nella quale, paragonando la Chiesa ad una vigna, ed i ministri di essa al coltivatore della vigna, il Poeta dice che questa imbianca, cioè intisichisce, intristisce, e spesso muore, se si trova nelle mani di un cattivo vignaio. Ricapitolando, escludiamo recisa- mente che Dante abbia, in questi versi, inteso di questa o quella malattia della vite, ma bensì che egli abbia colla solita sua maestria accennato (quasi come avvertimento) ad un semplice e naturale feno- meno risguardante la coltivazione della vite. º D'altra parte, senza voler discutere sulle varie possibili origini di questa malattia, si può esser sicuri che essa venne trapiantata in Europa, non si sa di dove, ma in un'età troppo più recente di quella di Dante, sicchè egli potesse ad essa riferirsi colla parola imbiancare. Infatti, l'oidium Tukeri fu studiato per la prima volta in Inghilterra nel 1845 dal giardiniere Tuker nelle stufe di Margate (Contea di Kent); di là poi si sparse ra- pidamente per tutta l'Europa producendo danni enormi. - LA PRATICA AGRARIA. 43 * Nell'interno di un acino acerbo si trova un ammasso di acidi, sali, materie mucillaginose, gommose ed albuminose; e, per contrario, troviamo mancanza di zucchero, di materia colorante, d'acido tan- nico e d' aromi. Però, a un po' per volta" « sotto l'influenza della viva luce solare, coadiuvata dal calore atmosferico e dall'umidità del suolo, i compo- nenti dell'acino subiscono importanti modificazioni, fra cui principal- mente la diminuzione delle sostanze acide, mucillaginose ed albuminose, mentre il parenchima si arricchisce di zucchero con accrescimento con- temporaneo di tartrato acido di potassio; la parete interna della buccia acquista colore, e, nello strato ad essa aderente, si forma il tannino e vi prendono origine gli aromi ». Come si vede, elementi principali per la maturazione dell'uva sono la luce solare ed il calore atmosferico. Ben si conoscono (e sa- rebbe qui superfluo parlarne) le teorie di Lavoisier e dei chimici moderni sulla maturazione dei frutti, i quali, esalando sotto l'influsso della luce l'ossigeno, condensano, colorano, raddolciscono la sostanza residua. ri Premesse queste osservazioni, che abbiamo creduto opportuno ri- chiamare, ecco i versi di Dante che si riferiscono a quanto si è detto: E perchè meno ammiri la parola, Guarda il calor del sol che si fa vino, Giunto all'umor che dalla vite cola. (Purg., XXV, 76-78) Veramente il calore del sole non forma direttamente il vino, unen- dosi agli umori della vite, ma qui, perdonando alla licenza poetica, si deve intendere che il calore prepara alla nuova trasformazione i succhi della pianta. Non si vuol dire con questo che Dante anticipasse coi suoi versi le scoperte degli scienziati moderni: senza toglier alcun merito allo spirito acutissimo di lui, crediamo che ammetterciò sarebbe grave errore. D'altronde, non è già lieve merito, per parte sua, l'aver compreso ed esposto con mirabile sicurezza l'efficacia della luce e del calore solare sulla fruttificazione della vite. Per esprimerci il più (*) Prof. OTTAVIO OTTAVI, Enologia teorico-pratica, Casale, tip. Carlo Cassone, 1888, pag. 15. A4 CAPITOLO TERzo. chiaramente possibile, diremo che Dante conosceva gli effetti prodotti dal sole nella maturazione, ma non poteva conoscere affatto i feno- meni che avvengono nell'interno dell'acino, poichè le cognizioni d'allora eran lontane assai dai meravigliosi ed esatti risultati degli studi d'oggi. E così pure egli ignorò certo qual fosse la causa che produceva la fermentazione; ma, torniamo a ripeterlo, non è pic- colo il suo merito per aver fatto allusione così felicemente al primo e massimo fattore di questi cambiamenti. Alcuni pretendono che egli abbia potuto togliere il germe di questa immagine puramente agraria da poeti anteriori a lui; a noi non apparisce chiaro que- sto. In ogni modo, il Poeta sarebbe sempre meritevole di lode, in quanto si assimila buone teorie e bellamente le espone. Ora nessuno (come vedremo nella Parte seconda) ha espressa quest'idea meglio e più concisamente. - S 2. PASTORIZIA. Accenneremo brevemente ad alcuni passi delle opere dantesche riferentisi alla pastorizia, la quale industria, risguardando l'allevamento di animali domestici per noi così utili e preziosi, non può venir trascurata in questo lavoro. Gli esempi danteschi in tal pro- posito sono numerosi, ma, come di solito, abbelliti ed aggraziati dal colorito e dalla finezza di quella forma artistica che è tutta propria del grande Poeta. Perciò la maggior parte di tali citazioni troveranno più appropriato commento nella seconda Parte. * Nei versi: E quanto le sue pecore remote E vagabonde più da esso vanno, Più tornano all'ovil di latte vote, (Par., XI, 127-129) abbiamo l'immagine del danno che proviene alle pecore, allorchè esse, abbandonando il gregge, si allontanano dai terreni erbosi e op- portuni al pascolo che loro aveva preparato il pastore, e perciò tor- nano, dopo inutili corse, la sera, all'ovile, di latte vote. Si conferma la realtà della similitudine dantesca dal fatto che i pastori solitamente fanno ogni sforzo per tenere radunato ed in gruppo il loro gregge, appunto perchè conoscono il danno che ricevono quelle pecore, che, per la loro indole piuttosto caparbia, si separano dalle altre. LA PRATICA AGRARIA. º 45 * Abbiamo quasi il seguito di quest'idea nell'altra similitudine dantesca: Sì che le pecorelle, che non sanno, Tornan dal pasco pasciute di vento, E non le scusa non veder lor danno. (Par., XXIX, 106-10s) Nella quaſe è bello quel pasciute di vento per significare la mancanza di pascolo e perciò di latte; E non le scusa non veder lor danno, poichè esse, che non sanno, non capiscono il vantaggio di approfittare del pascolo, e perdono così, vanamente, il tempo più propizio ad esso. * Per mostrare adeguatamente quanto fosse profonda la cono- scenza, sia pur pratica, di Dante in fatto di pastorizia, citiamo alcuni versi delle Ecloghe (I, versi 58-65), che si riferiscono alla cosiddetta mungitura : Est mecum, quam noscis, ovis gratissima, dixi, Ubera vix quae ferre potest, tam lactis abundans, (Rupe sub ingenti carptas modo ruminat herbas) Nulli iuncta gregi, nullis assuetaque caulis, Sponte venire solet, numquam vi poscere mulctram. Hanc ego praestolor manibus mulgere paratis; Haec implebo decem missurus vascula Mopso. Tu tamen interdum capros meditere petulcos. a s su se e s e s e s a º s e s e e m a e a se e a º a te e e n s e s e s s a s e z o s e e s a e s e si s e e º o nº e se Come si scorge, vi sono vivamente e precisamente descritti i mo- menti vari della mungitura specie nei versi: Nulli iuncta gregi, nullis assuetaque caulis, Sponte venire solet, numquam vi p0scere mulctram. * Questi sono da chiamare pecore, e non uomini: chè se una pecora si gittasse da una ripa di mille passi, tutte le altre le andrebbono dietro; e se una pecora per alcuna ca- gione al passare d'una strada salta, tutte le altre saltano, eziandio nulla veggendo da saltare. Ed io ne vidi già molte in un pozzo saltare, per una che dentro vi saltò, forse credendo di saltare uno muro, non ostante che il pastore, piangendo e gridando, colle braccia e col petto dinanzi si parava. (Convivio, Tratt. I, cap. 11 [58-70]) Forse più sotto l'aspetto artistico, che altrimenti, si deve studiare questo passo, il quale pur contiene una osservazione, del resto assai ovvia, su certe abitudini delle pecore. S 3. APICOLTURA. Gli esempi che si riferiscono al trattamento o governo delle api sono pochissimi e gli accenni sono assai fugaci. 46 CAPITOLO TERZO. Non pertanto essi sono rivestiti (come sempre) di leggiadra forma poetica, ed appunto per il loro pregio artistico li abbiamo quasi tutti riportati nella Parte seconda. Queste citazioni mancano affatto di quelle che si potrebbero chiamare nozioni pratiche sull'apicoltura. * Un accenno all'arnia (che è il più importante ed indispensabile attrezzo dell'apicoltore) si ha nel verso: Simile a quel, che l' arnie fanno rombo. (Inf., XVI, 3) * Anche nei versi: Però, là dove vegna lo intelletto Delle prime notizie, uomo non sape, Nè de' primi appetibili l'affetto, Che sono in voi, sì come studio in ape Di far lo mele; e questa prima voglia Merto di lode o di biasmo non cape, (Purg., XVIII, 55-60) non vi è secondo noi (contrariamente a quanto fu scritto da alcuni) nulla d'importante nè di nuovo, che si riferisca alle api; poichè vi si dice che in queste si trova l'istinto innato o la disposizione naturale, a far lo mele, come nell'uomo l'intelletto delle prime notizie, ec.". Come si vede, Dante si è servito semplicemente di un accenno per render chiara la notizia di certe facoltà dell'uomo, senza menomamente vo- lere additare una vera e propria nozione d'apicoltura. * Anche sulle seguenti parole tolte dal Convivio (Tratt. IV, cap. 17 [128-132]): - . . che così bene si verrebbe alla conoscenza delle api per lo frutto della cera ragio- nando, come per lo frutto del mèle, tutto che l'uno e l'altro da loro proceda si può ripetere press'a poco la medesima osservazione. Il fatto rile- vato è comunissimo; e vi si allude sotto forma di similitudine. S 5. CACCIA E AUCUPIo. Nella parte che esamina il valore artistico della Georgica dantesca intesa in senso lato, diremo alcunchè pur delle vivaci rappresentazioni che Dante fa di usi attinenti alla caccia (*) Per il valore filosofico di questi versi, vedi i lavori citati nel Commento del CASINI a. v. LA PRATICA AGRARIA. 47 ed all'aucupio, occupazioni, per quanto signorili, anzi feudali, non certo aliene del tutto, nemmeno allora, dal genere di quelle villerecce. Ma raccogliendo gli esempi che nella Parte seconda esamineremo sotto l'aspetto artistico, ci è venuto fatto di rilevare quello che il Poeta mostra di comoscere dell'arte cui si dette tanta importanza nel medio evo, di cacciare e prendere uccelli. Siamo certamente molto lontani, in questi passi, dalle cognizioni scientifiche che nemmeno oggi, pur quelli che vedono scienza dap- pertutto, saprebbero raccogliere su tali argomenti metodicamente, sì da presentarle come un complesso scientifico. Perciò abbiamo prefe- rito, a scanso di ripetizioni, e anche per la difficoltà del soggetto stesso, di limitarci a enumerare, concisamente classificandoli, i pochi esempi in due categorie: la prima Cognizioni pratiche, l'altra Terminologia. Riguardo alle Cognizioni pratiche, registriamo i tre seguenti passi: Similemente il mal seme d'Adamo: Gittansi di quel lito ad una ad una, Per cenni, come augel per suo richiamo. (Inf., III, 115-117) Chè a tutte un fil di ferro il ciglio fora E cuce sì, come a sparvier selvaggio Si fa, però che queto non dimora. (Purg., XIII, 70-72) Nuovo augelletto due o tre aspetta; Ma dinanzi dagli occhi dei pennuti Rete si spiega indarno o si saetta. (Purg., XXXI, 61-63) Queste si riferiscono successivamente all'efficacia dei richiami, al modo di preparare gli sparvieri per la caccia; all'astuzia ed al naturale sospetto degli uccelli vecchi. Circa poi alla Terminologia, rispettivamente nei versi Inf, XVII, 129; Par., XIX, 34-36; troviamo ricordati i vocaboli cappello e logoro. Del cappello, specie di cappuccio « o copertina di pelle, che si poneva sul capo al falcone, perchè non si dibattesse nell'andare e venire (1) della caccia » ", e del logoro, ch'era un richiamo fatto di penne e d'osso, si trova memoria nelle opere di falconeria del medio evo. (!) Cfr. L. DE' MEDICI, La caccia col falcone, st. 22-23, 25. 48 CAPITOLO TERZO. – LA PRATICA AGRARIA. Per chi desiderasse poi d'avere altre notizie sopra gli usi ed i co- stumi propri alla caccia medioevale, può giovare ricordare alcune opere assai importanti, come la Cynegetica (1561) del BARGEO; materia già trattata dal CARD. ADRIANO e da NATALE CONTI nei loro poemi De vena- tione; il De Aucupio (1566) dello stesso BARGEo". Non è da trascurare altresì l'interessante raccolta: Scritti antichi toscani di falconeria º. * Il Sundby º (e qui non vogliamo ripetere quanto nel Proemio abbiamo avvertito circa le fonti del sapere di Dante) nota che Bru- netto Latini consacra parte di un capitolo del suo Tresor alla de- scrizione degli uccelli da caccia, e rileva la stretta relazione esi- stente tra il testo di Brunetto ed il poema provenzale Dels auzels cassadors di DENDE DE PRADAs. Non volendo uscire dal nostro argo- mento, crediamo maggiormente interessante al nostro caso quanto scrive il Kuhnsº, il quale, sebbene non precisi un'influenza diretta di Brunetto Latini su Dante, nota nel capitolo secondo, Conventional Treatment of Nature, che : « it is extremely interesting to compare » What Dante says of the phoenix, the dragon, the eagle, and other » animals, with the description given by Brunetto ». Avremo occasione di tornare su quello che scrive il Kuhns, nel capitolo seguente, limitandoci per ora a riaffermare che molte sono le citazioni dantesche intorno alla caccia, ma quasi sempre abbellite dei colori della poesia, anzi fatte poesia. Perciò, per quanto concerne la pratica o per meglio dire la tecnica dell'aucupio, sarà, crediamo, reputato sufficiente il rapido cenno datone. º Per notizie sulla poesia latina nel Rinascimento vedi l'Introduzione al libro III. An- tonio Flaminio, studio di ERCOLE CUCCoLI, Bologna, Zanichelli, 1897. º Prato, Alberghetti e Comp., 1851. º Op. cit., pag. 136-137. º Op. cit., pag. 37. CAPITOLO QUARTO. G LI A N IM A LI. S 1. Benemeriti della zoologia dantesca. – S 2. Nelle rappresentazioni d'animali si rileva una singolare potenza di osservazione. – S 3. Pregiudizi e super- stizioni medievali. – S 4. Simpatia e antipatia per certi animali. - La distri- buzione degli animali nella Divina Commedia. – S 5. Nell'Inferno. – S 6. Nel Purgatorio. – S 7. Nel Paradiso. – S 8. Osservazioni sugli animali nelle altre opere dantesche. – S 9. Animali agrari. – S 10. Speciali cognizioni e osser- vazioni dantesche. $ 1. BENEMERITI DELLA zoologia DANTEsca. Molti furono gli scritti sopra questo argomento negli ultimi anni, ma, a mio parere, tre soli hanno una vera importanza, come hanno indiscutibile superiorità sugli altri. L'avvocato G. B. ZoPPI º nel suo accuratissimo studio: Gli animali nella Divina Commedia; MICHELE LEssoNA º con il suo pregevole lavoro: Gli animali nella Divina Commedia; ed il conte FRANCESCo CIPOLLA º in al- cune pagine intitolate: Studi danteschi, offrono quanto lo studioso ha di meglio riguardo a quella che si potrebbe chiamare « zoologia dante- sca »º. Questi studiosi, dei quali riconosciamo ben volentieri le bene- (*) Nel « L'Alighieri, 2 Rivista di cose dantesche, diretta da F. PASQUALIGo, Olschki, Venezia, vol. II, anno secondo. (*) Torino, Unione tipografico-editrice, 1893. º Lettere ad un giovane studioso, pubblicate nel periodico La Sapienza, Rivista di filosofia e di lettere, Torino, tipogr. Giulio Speirani e figli. º Tra quelli che si occuparono degli animali in Dante citiamo anche: C. WITTE, che nel 1867 pubblicò una conferenza: Die Thieruelt in Dante's Göttlicher Komódie. (Pub- blicata altresì più tardi nell'eſahrbuch der deutschen Dante Gesellschaft, II, 197 e segg.; e quindi nelle Dante Forschungen, II, 183 e segg.) e non vogliamo tralasciare di ricor- 7 50 CAPITOLO QUARTO. merenze, si limitano però allo spoglio e studio della sola Divina Com- media; e non potremmo nemmen dire che lo spoglio da loro offerto sia compiuto, o sempre esatto. S 2. NELLE RAPPRESENTAZIONI D'ANIMALI SI RIVELA SPECIALMENTE LA POTENZA DI ossERVAZIONE. Sebbene (come disse il Lessona) la Storia naturale, ai tempi di Dante, non fosse altro che un curioso tessuto di favole, noi possiamo facilmente riconoscere al nostro Poeta un grande merito, quello dell'osservazione, mercè la quale egli, con « poche parole, pochi versi talvolta suscita d'improvviso nella nostra mente un'idea a cui prima non si era mai pensato, e che ora ne costringe invece d'un tratto a fermarci l'attenzione; cosicchè proseguendo, colla let- tura e col pensiero, dietro la guida di quell'idea, si ha in essa come a dire il filo, per raccoglierne e raggrupparne via via delle altre congeneri, e rimettere in piena luce ricostruito un intero sistema di notizie e di concetti, che giacciono qua e là sparsi nel poema e spesso fors'anco inavvertiti »". Dante osservò molti animali e li rappresentò secondo certi carat- teri importanti, senza preoccuparsi, peraltro, in generale della loro precisa classificazione o denominazione; e molti nomi di animali derivò da scrittori latini, dando loro un significato generico. Ora noi non possiamo identificarli con animali che hanno la stessa denominazione nella classificazione di Linneo, perchè questi adoperò molti di quei vecchi nomi generici dei latini per indicare una determinata forma. Valga l'esempio di Anfisbena, che oggidì sta ad indicare dei sauri americani, mentre Dante lo adopra nel senso di rettile in generale. S 3. PREGIUDIZI E SUPERSTIZIONI MEDIEVALI. Richiamiamo l'attenzione dello studioso sopra uno spiccato carattere della cultura medievale e che, per riflesso dei tempi, si riscontra anche in Dante. Quando s'imbatte a parlare di animali, poco o punto conosciuti al tempo suo, come quando cita l'esempio della Balena o dell'Elefante, appare chiaramente come egli non ne avesse una precisa conoscenza, poichè dare che il prof. G. CAVANNA, nella sua Zoologia descrittiva e comparativa, accenna op- portunamente ai seguenti animali danteschi: talpa, lodola, ramarro, rame (vol. I, Verte- brati, rispettivamente alle pagine 24, 87, 116, 129), api, formiche (vol. II, Invertebrati, pagine 49, 52). Firenze, G. C. Sansoni, 1896. (*) G. B. ZoPPI, Op. cit., pag. 5. v GLI ANIMALI. 51 di questi animali rileva in ispecial modo la mole, che considera come quasi più grande del vero, o, in ogni modo, mostrando di non averne esatta nozione, e non fermandosi a indicarne alcune, almeno, delle singolari strutture. L'influsso dei pregiudizi e delle superstizioni di quel tempo si riscontra pure in parecchi altri passi danteschi. Per esempio: l'osservazione sul Bevero, nella quale il Poeta segue l'opi- nione volgare, ma erronea, che il Castoro si nutra di pesce (forse in- tendeva, invece, la Lutra vulg.); l'accenno ai Delfini, a proposito dei quali segue la superstizione popolare che nutrano amicizia verso l'uomo e col movimento della coda annunzino ai naviganti la tempesta vi- cina. Quanto, invece, dice sulla pelle che, secondo la zoologia antica, copriva l'occhio della Talpa sicchè non poteva vedere, è molto meno erroneo di quel che altri non credesse. Questo animale, in realtà, non può vedere, nel senso di distinguere, ma tutt'al più aver delle nozioni differenziali fra luce e tenebre. La similitudine che Dante usa per in- dicare che l' occhio di Beatrice poteva patire la luce solare, e cioè la similitudine dell' occhio dell'Aquila, afferma non una vera pro- prietà, ma una qualità del tutto favolosa rispetto a questo rapace. A proposito poi della indeterminatezza di certi animali può es- sere esempio caratteristico la lonza (Inf., I), sulla quale si è agitata recentemente una dotta discussione". Sono altresì da notare alcune confusioni di animali favolosi, biblici o mitologici, dalle quali appare, come, in certi casi, il Poeta non avesse, degli animali che nominava, un'idea chiara e positiva, e come talora inclinasse a seguire le idee fantastiche e popolari del medio evo. $ 4. SIMPATIA E ANTIPATIA PER CERTI ANIMALI. - LA DISTRIBUZIONE DEGLI ANIMALI NELLA DIVINA COMMEDIA. Dante mostra (com'è naturale) maggiore simpatia per i più comunemente simpatici degli animali, e per l'uno o per l'altro di questi. Nella più gran parte degli esempi, egli dimostra generalmente una spiccata benevolenza verso alcuni. Infatti le colombe, la lodola, gli augelli Surti di riviera, sono ritratti rispettivamente quasi sempre secondo i loro sentimenti di tenerezza, di affezione, di amore pei propri nati, ed anche sotto l'aspetto di una serena giocondità: (!) Vedi Rass. bibl. di Lett. Ital., III, 103, 139, 203, e Bullett. della Soc. Dant. Ital., II, 116. 52 CAPITOLO QUARTO. Sì come quando il colombo si pone Presso al compagno, e l'uno all'altro pande, Girando e mormorando, l'affezione. (Par., XXV, 19-21) e g a o º o no a un s e o o º se e º o contenta Dell'ultima dolcezza che la sazia. (Par., XX, 74-75) Quasi congratulando a lor pasture. (Par., XVIII, 74) Come l'augello, intra le amate fronde, Posato al nido de' suoi dolci nati. (Par., XXIII, 1-2) Appare inoltre chiaramente come il Poeta avesse una certa sim- patia per una sorta d'insetti: le formiche. Ritraendole coi versi: Così per entro loro schiera bruna S'ammusa l'una con l'altra formica, Forse a espiar lor via e lor fortuna, (Purg., XXVI, 34-36) dimostra (oltrechè la sua potenza osservativa) una speciale tenerezza per questi piccoli industriosi animaletti, vero esempio di fratellanza cooperativa. - - - Al contrario, il cane, nelle numerose citazioni che ad esso si rife- riscono, è sempre rappresentato secondo qualcuno dei suoi difetti, come l'ingordigia, la violenza ed altre qualità o abitudini, che non sono le sue migliori, e nemmeno le più caratteristiche; perchè il ºA cane non è meno vorace che fedele, non meno rabbioso che amoroso: Qual è quel cane che abbaiando agugna, E si racqueta poi che il pasto morde, Che solo a divorarlo intende e pugna. (Inf., VI, 28-30) Ei ne verranno dietro più crudeli Che il cane a quella levre ch'egli acceffa. (Inf., XXIII, 17-18) Con quel furore e con quella tempesta Ch'escono i cani addosso al poverello. (Inf., XXI, 67-68) Non altrimenti fan di state i cani, Or col ceffo or col piè, quando son morsi O da pulci o da mosche o da tafani. (Inf., XVII, 49-51) GLI ANIMALI. 53 Si scorge, che di questo animale Dante non rileva, come s' è detto, le qualità buone; quali l'ubbidienza, la fedeltà, e, specialmente, l'affezione al padrone. Così pure le pecore, gli agnelli e le capre sono dipinte, per lo più, sotto l'aspetto di bestie poco intelligenti; anzi questa poca simpatia è tramutata in disprezzo, quando il Poeta scrive nel Convivio (Tratt. II, cap. 8 [33]): º . . . . . e spirito di pecore o d'altra bestia abbominevole. Riguardo al modo con cui gli animali sono distribuiti nella Divina Commedia, si nota quasi una progressione discendente, ossia una di- minuzione proporzionale al sollevarsi della materia del Poema. Nel- l'Inferno gli animali sono più numerosi (notevole è il c. XXII per l'abbondanza di citazioni di animali, che appartengono alla famiglia dei Rapaci); e si vede la ragione per la quale non poteva essere al- trimenti. Infatti l'Inferno doveva rappresentare il vero nido dei vizi e della corruzione umana punita; perciò Dante si servì opportuna- mente di copiose similitudini di animali (e de meno nobili), per scolpir meglio e far risaltare di più la punizione e l'obbrobrio di una mol- titudine di falli commessi in ogni tempo dagli uomini, i quali scende- vano per essi al disotto dei bruti. Non potevano perciò, quei peccatori, essere più efficacemente dipinti, nella punizione, che colla immagine degli stessi animali che essi avevano brutalmente imitati. Onde è che non solo nell'Inferno gli animali sono più numerosi, ma vi si trovano di essi ricordate e rappresentate certe qualità e abitudini, e atteggia- menti, che si prestano meglio alla comparazione coi più degradanti difetti e vizi umani. Nel Purgatorio, « in più spirabil aere », troviamo ancora rappre- sentata una grande quantità di animali; ma il numero di essi è assai inferiore a quello dell'Inferno: quasi la metà. Nel Paradiso, il numero discende ancora, e ciò è facilmente com- prensibile, poichè, se nel Purgatorio gli esempi vanno facendosi più rari, non essendovi più in egual grado l'opportunità delle compa- razioni che meglio si addicono ai peccati infernali; per ritrarre quello che vi ha di più spiritualmente puro e celestiale, le citazioni di ani- 54 ». CAPITOLO QUARTO. mali, in quanto almeno richiamano alla vita materiale e terrena, si devono rendere necessariamente rarissime. - Inoltre, si ritrova in generale nell'Inferno, Purgatorio e Paradiso (salve le naturali eccezioni) una scala ascendente di nobiltà nella scelta dei diversi animali ed anche nella rappresentazione di uno stesso animale, del quale, come è facile a comprendersi, si possono mettere in evidenza ora le qualità migliori, ora i difetti. A confermare vieppiù quanto abbiamo asserito prima, riguardo ad una diminuzione di esempi corrispondente al sollevarsi della ma- teria del Poema, riportiamo qui (si confronti Tavola degli Animali) i diversi numeri delle citazioni degli animali nelle tre cantiche. Inferno, esempi n° 126. Purgatorio, esempi n° 69. Paradiso, esempi n° 50. S 5. NELL'INFERNO abbiamo vari peccati, difetti, stati d'animo, che si riferiscono a figure d'animali, precisamente studiati nei loro costumi ed istinti. Diamo alcuni esempi, avvertendo che in queste enumerazioni si tien conto solo delle fondamentali similitudini, non delle altre, che servono via via al Poeta a illustrare concetti che si potrebber dire secondari o incidentali. La incontinenza, instabilità: LONZA (Inf., I, 32); La violenza e superbia: LEONE (Inf., I, 45); La frode o avarizia: LUPA (Inf., I, 49); º Bassezza d'animo e di scopi degli ignavi: VERMI (Inf., III, 69); La voracità : CANE [Cerbero] (Inf., VI, 13); L'avarizia : LUPO (Inf., VII, 8); La superbia punita: PoECI (Inf, VIII, 50); º Le furie: IDRE, SERPENTELLI, CERASTE (Inf., IX, 40-42); La violenza contro il prossimo: MINOTAURo [Toro] (Inf., XII, 25); I rimorsi della coscienza: ARPIE (Inf., XIII, 10-15); º In quanto all'allegoria delle tre fiere, non staremo a dare le ragioni della inter- pretazione da noi accettata, che è del resto quella di molti e valenti dantisti. º E sempre viva la controversia sul genere dei peccatori puniti nella palude Stige; e anche di questa non dobbiamo discorrer qui. Uno de lavori capitali sull'argomento riman sempre quello di I. DEL LUNgo, Diporto dantesco, nelle Pagine letterarie, Firenze, Sansoni, 1893, p. 52 e seg. GLI ANIMALI. s 55 Gli scialacquatori gastigati dai creditori raffigurati in CAGNE (Inf., XIII, 125); Usurai: CANI (Inf., XVII, 49); La pena dei ladri: SERPENTI (Inf., XXIV, 82); Contraffazione, falsare : SCIMIA (Inf., XXIX, 139); Traditori della patria: LUPO, LUPICINI (Inf., XXXIII, 29); Traditori dei benefattori: VERME REo [Lucifero (Inf., XXXIV, 108). S 6. NEL PURGATORIO. Dal Purgatorio citiamo i seguenti raffronti: Le anime, esortate da Catone, lasciano di ascoltare il canto di Casella, e si affrettano alla purificazione: CoLOMBI (Purg., II, 124-129); Sordello, negligente, in atteggiamento nobile e dignitoso: LEONE (Purg., VI, 66); Tentazione delle anime della valletta amena : BISCIA (Purg., VIII, 97); Uomini: VERMI, nati a formar l'angelica FARFALLA (Purg., X, 125); Agli invidiosi sono chiusi gli occhi per mezzo di una cucitura di fil di ferro, come si usava fare allo SPARVIER SELVAGGIO (Purg., XIII, 70-72); Nel medesimo girone dell'Invidia si parla degli uomini che hanno contratto l'abito del male e che fuggono la virtù come BIsciA (Purg., XVI, 37-39); Gli uomini ignorano di dove vengono le prime notizie dell'in- telletto e l'affetto dei primi appetibili, che sono innati come l'incli- nazione di fare il miele nell'APE (Purg., XVIII, 58-60); I golosi nell'atto di camminare in fila vengono rappresentati colla similitudine del volo delle GRU (Purg., XXIV, 64-66) – (Cfr. le comparazioni degli STORNEI e dei GRU, Inf., V, 40-48); L'eresia che fece guerra alla Chiesa primitiva viene rappresen- tata dalla VoIPE (Purg., XXXII, 118); Il fiero nemico della Chiesa viene rappresentato dal DRAGO (Purg., XXXII, 130). S 7. NEL PARADISO. Per ultimo, nel Paradiso troviamo (per citarne solo alcuni) i se- guenti riscontri da fare: - Per mostrare che l'uomo, lasciando la guida dei libri sacri, 56 - CAPITOLO QUARTO. nuoce a sè stesso, si presenta l'esempio dell'AGNELLO che lascia il latte (Par., V, 82-84); . Inveendo contro l'alto clero, solo intento a cose mondane, che disviò le anime dalla religione, si cita la similitudine delle PECORE e de- gli AGNI disviati dal Pastore, e del Pastore fatto LUPO (Par., IX, 130-132); Per censurare la degenerazione dei Domenicani, si presenta la similitudine delle vagabonde PECORE (Par., XI, 127-129); E paragonato il canto celestiale a quello delle SIRENE (Par., XII, 7-9); Per significare la gaiezza delle anime beate di coloro che in terra amministrarono bene la giustizia, è citato l'esempio degli AUGELLI surti di riviera (Par., XVIII, 73-75); Le risposte riguardanti la imperscrutabilità della divina Giu- stizia sono date al Poeta dagli spiriti beati del cielo di Giove, rac- colti in forma di AQUILA (Par., XIX, 1 e segg.); A dimostrare la sublimità del piacere che l'aquila prova, Dante sceglie l'esempio del volatile, cui è più che ad altri proprio lo spa- ziarsi in aria gorgheggiando: LoDoLETTA (Par., XX, 73-75); L'accoglienza fatta amorevolmente da san Pietro a san Iacopo è espressa dalla similitudine del COLOMBO che pande al compagno l'affe- zione (Par., XXV, 19-21); Per rappresentare gli angeli volanti su e giù per la candida rosa, Dante usa la similitudine delle API (Par., XXXI, 1-12). S 8. OSSERVAZIONI SUGLI ANIMALI NELLE ALTRE OPERE DANTESCHE. Come abbiamo avvertito in principio di questo Capitolo, molti furono gli studiosi degli animali in Dante, ma tutti si occuparono particolar- mente della Divina Commedia, come se non esistessero le altre opere dantesche e come se queste non offrissero materia atta a favorire le ricerche dello studioso in fatto di zoologia" . La nostra ricerca, come si vedrà nella Tavola, vorrebbe essere completa, fondata com' è su tutti gli scritti del Poeta: perciò, rimandando a suo luogo l'enu- merazione alfabetica e rigorosamente sinottica di tutti gli esempi, º Anche il KUHNS (Op. cit.) rivolge il suo studio unicamente alla Divina Commedia. Son degne però di nota le considerazioni ch'egli fa a pag. 37 e segg., sulla somiglianza esistente fra alcuni esempi di animali danteschi ed altri ricordati nel Tresor di BRUNETTo LATINI. GLI ANIMALI. 57 ºla non possiamo astenerci qui di fare alcune osservazioni sopra questo (ci sia permessa l'immagine) terreno inesplorato sinora. È opinione generale che Dante abbia voluto racchiudere nel Con- vivio molta della scienza del tempo suo: perciò a noi parve, sempre sotto l'aspetto scientifico, utilissimo lo spoglio minuto degli esempi di quest'opera, che si può dire il riflesso più coscienzioso del sapere di lui. Diciamo coscienzioso, poichè quest'opera, libera di quei legami che sono, anche per i grandissimi ingegni, le regole della poesia, spe- cialmente rimata, ci appare non più l'opera del Poeta (come la Di- vina Commedia), ma bensì il Trattato di un uomo dotto, che espone le sue teorie e la sua scienza. Avvertiamo però, che, nelle poche citazioni di animali fatte dal Poeta nelle opere minori, troviamo quasi sempre e più che altro la speculazione filosofica sulla natura degli animali, e assai spesso la comparazione di questa (per farne rilevare le diffe- renze) coll'anima umana. * Sull'anima che l'uomo ha in comune con le bestie, riportiamo alcune parole del De vulgari eloquentia (Lib. II, cap. 2 [4]): Ad quorum evidentiam sciendum est, quod sicut homo tripliciter spirituatus est, vi- delicet vegetabili, animali et rationali, triplex iter perambulat. Nam, secundum quod vege- tabile quid est, utile querit in quo cum plantis comunicat; secundum quod animale, de- lectabile, in quo cum brutis; secundum quod rationale, honestum querit, . . . . Dante, come si scorge, ammetteva nell'uomo tre anime: la vege- tale, l'animale e la razionale, e dice che l'uomo assomiglia per quella animale al bruto, poichè con essa egli cerca solo il dilettevole (Secundum quod animale, delectabile, in quo cum brutis). * Nel Convivio (Tratt. III, cap. 7 [46, 56-60]) si legge: Così la bontà di Dio è ricevuta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e altrimenti dagli animali, la cui anima tutta in materia è compresa, ma tanto, dico, a quanto è nobilitata; e altrimenti dalle miniere, e altrimenti dalla terra, che dagli altri elementi: nelle quali parole è rilevata la differenza che passa tra l'anima umana, quella degli animali e la natura dei minerali e degli altri elementi. * Quanto alla facoltà di parlare concessa solo all'uomo, si trovano le seguenti osservazioni nel De vulgari eloquentia (Lib. I, cap. 2 [4]): Inferioribus quoque animalibus, cum solo nature instinctu ducantur, de locutione non oportuit provideri. Nam omnibus eiusdem speciei sunt iidem actus et passiones; et sic 8 58 - CAPITOLO QUARTO. possunt per proprios alienos cognoscere. Inter ea vero que diversarum sunt specierum, non solum non necessaria fuit locutio, sed prorsus dampnosa fuisset, cum nullum amicabile commertium fuisset in illis. * In poche parole sono raffigurati caratteristicamente la rondine e il nibbio: Meglio sarebbe a voi, come rondine volare basso, che come nibbio altissime rote fare sopra cose vilissime. (Convivio, Tratt. IV, cap. 6 [187-190]). * Sulla mancanza della ragione nelle bestie, Dante si esprime così: E però chi dalla ragione si parte, e usa pur la parte sensitiva, non vive uomo, ma vive bestia; siccome dice quell'eccellentissimo Boezio: “Asino vive. Dirittamente dico, perocchè il pensiero è proprio atto della ragione, perchè le bestie non pensano che non l'hanno ; e non dico pur delle minori bestie, ma di quelle che hanno apparenza umana, e spirito di pecora o d'altra bestia abbominevole. (Convivio, Tratt. II, cap. 8 [24-33]). Si vede pur qui manifestarsi quella avversione che, anche altrove, come rilevammo, mostra verso le pecore. * Fa un rilievo sulla nobiltà della natura di certi animali nelle parole: e º o 6 e chè siccome uno sciolto cavallo, quanto ch'ello sia di natura nobile, per sè senza il buono cavalcatore bene non si conduce; . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (Convivio, Tratt. IV, cap. 26 [42-46]). * A proposito delle tendenze o appetiti degli animali, scrive: E questo appare chè ogni animale, siccome ello è nato, sì razionale come bruto, sè medesimo ama, e teme e fugge quelle cose che a lui sono contrarie, e quelle odia, proce- dendo poi, siccome detto è. - - (Convivio, Tratt. IV, cap. 22 [47-52]). * Riconosce agli animali bruti quell'amore reciproco che vedemmo aver negato non giustamente alle pianteº: Gli animali bruti hanno più manifesto amore non solamente al loco, ma l'uno l'altro vedemo amare. n pº (Convivio, Tratt. III, cap. 3 [31-33]). * Sulle peregrinazioni di certi uccelli che si trasmutano col cam- biare della stagione e sugli effetti delle diverse stagioni sugli animali, è da leggere la stanza che segue (Canzone XV, versi 26-38): (!) Vedi cap. II, S 7. GLI ANIMALI. 59 º Fuggito è ogni augel, che 'l caldo segue, Dal paese d'Europa, che non perde Le sette stelle gelide unquemai: E gli altri han posto alle lor voci triegue Per non sonarle infino al tempo verde, Se ciò non fosse per cagion di guai: E tutti gli animali, che son gai Di lor natura, son d'amor disciolti, Perocchè il freddo lor spirito ammorta. E 'l mio più d'amor porta; Chè gli dolci pensier non mi son tolti, Nè mi son dati per volta di tempo, Ma donna gli mi dà, c'ha picciol tempo. S 9. ANIMALI AGRARi. Gli animali agrari, o aventi rapporti più o meno stretti coll'agricoltura, sono in grandissima quantità nelle opere di Dante: anzi diremo quasi ch'essi occupano il primo posto ri- spetto ai rimanenti, non solo come numero, ma anche per l'esattezza della loro rappresentazione. Di ciò possono riconoscersi molte ragioni: principalissima quella della facilità colla quale potevano cadere sot- t'occhio al Poeta gli animali comuni alle nostre regioni; e quelli altresì, che, senza avere importanti uffici od essere indispensabili nella coltivazione dei campi, servono tuttavia di utile complemento a chi vuol dipingere o descrivere l'aspetto delle nostre campagne e della vita rustica. Ciascuno può riscontrare una grande felicità d'osservazione, e osservazione direi quasi minuta, in certi animali comuni e conosciuti, come il bue, l'agnello, ec. Ma per certi altri, non agrari e piuttosto rari ed allora poco o punto conosciuti, come: il leone, il castoro, l'ele- fante, ec., le cognizioni di Dante divengono meno sicure, meno pre- cise, meno particolareggiate. Tuttavia, per non incorrere in ripe- tizioni, noi crediamo che il miglior modo, per chi voglia avere un'idea generale e completa riguardo agli animali danteschi agrari o a quelli che hanno coll' agricoltura più o meno grandi attinenze, sia quello di aver sott'occhio tutti gli esempi in ordine sinottico e alfabetico, quali sono dati appunto dalle Tavole che si trovano nell'Appendice a questa prima Parte. La nostra asserzione è convalidata dal fatto, che nei moderni studi scientifici (e specialmente in quelli riflettenti le Scienze naturali) si usano con grande profitto le tavole sinottiche, poichè, per la loro chiarezza e facilità di consultazione, hanno il grande 60 CAPITOLO QUARTO. merito di poter rendere agevoli e rapidi i confronti fra esempio ed esempio. E tutti sanno che dai confronti scaturisce spesso una nuova verità, e anche una nuova scienza. S 10. SPECIALI COGNIZIONI E OSSERVAZIONI DANTESCHE. Nei versi: Anima fatta la virtute attiva, Qual d'una pianta, in tanto differente, Che quest' è in via e quella è già a riva, Tanto opra poi che già si move e sente, Come fungo marino; ed indi imprende Ad organar le posse ond'è semente. (Purg., XXV, 52-57) Quasi tutti i commentatori, nel fungo marino dantesco credono di poter raffigurare uno zoofito. Lo SCARTAZZINI" riportandosi a Plinio scrive che allora: « si credeva che i funghi marini fossero dotati di un'anima » più che semplicemente vegetativa ». Come si scorge facilmente, forse in antico si aveva un barlume di quello che potevano essere real- mente questi funghi marini. Modernamente, benchè non sia del tutto sparita ogni dubbiezza intorno ai limiti del regno vegetale e del regno animale, pure si sa che gli zoofiti sono veri animali apparte- nenti alla divisione dei Celenterati. Perciò non possiam credere in modo assoluto che il Poeta abbia voluto parlare di uno zoofito, dicendo fungo marino: infatti nei versi citati, facenti parte di una disserta- zione sulla teoria della generazione, non si tratta forse che di una comparazione fra la vita vegetale e quella animale, svolta altresì da Dante nel Convivio. D'altra parte, non poteva forse il Poeta aver inteso di parlare, più che altro, di un semplice frutto di mare ?... E si noti poi che questa teoria dantesca è in qualche modo contraria a quelle moderne. A noi non tocca ora di allargare tali investigazioni per non uscire dai limiti del nostro lavoro: ci contentiamo di espri- mere un dubbio su quanto altri ha accettato senza riserva. * Quei che dipinge lì non ha chi il guidi, Ma esso guida, e da lui si rammenta Quella virtù ch'è forma per li nidi. (Par., XVIII, 109-111) (º Commento alla Divina Commedia; Milano, Hoepli, 1896, pag. 593. GLI ANIMALI. 61 Riferendosi all'aquila del pianeta di Giove, il Poeta dice che Dio che l'ha dipinta non ha chi il guidi, cioè non ha guida o esemplare, ma esso guida, e da lui si rammenta la virtù informativa (che è forma, ossia natura, essenza) per li nidi. La parola nidi par da intendersi nel senso proprio, ma con lata significazione: luoghi nei quali si mani- festa la virtù creativa. Si riferirà il concetto dantesco più partico- larmente a quegli animali che generano e procreano (manifestano la loro virtù o qualità formale) nei nidi, e forse più specialmente agli uccelli; ma non si può negare, ci sembra, che Dante abbia inteso di accennare, per quel modo assai comune di generazione, ogni altra generazione animale; tanto più che l'immagine de midi veniva ben a proposito dopo l'accenno all'aquila nei versi precedenti. Perciò si può vedere nel passo controverso" espresso un pensiero filosofico- teologico riguardo alla causa prima della procreazione degli animali di nido, e, se si vuole, in modo anche più particolare degli uccelli. º Di varie interpretazioni di questa terzina dà notizia lo SCARTAZZINI nel Commento (ediz. di Lipsia), III, 498 e segg. APPENDICE ALLA PARTE PRIMA, ---------------- I VEGETALI E GLI ANIMALI NELLE OPERE DI DANTE. (TAVOLE SINOTTICHE.) AVVERTENZA. In un lavoro che raccoglie e studia quanto vi ha di georgico nella Divina Commedia e nelle altre opere di Dante, abbiamo stimato opportuno, anzi quasi indispensabile, compilare tre TAVOLE SINOTTICHE e della maggior chiarezza, pre- cisione e semplicità possibile, destinate la prima a «I Vegetali » e le altre due a « Gli Animali ». Nessuno pensò fino ad ora (che noi sappiamo) a formare una Ta- vola dei vegetali ricordati da Dante: memori, perciò, di quanto scrisse ROBERTO DE VISIANI º, « che il massimo nostro Poeta non potea negligere questa vasta ed inesausta fonte di ornamenti di ogni maniera, di cui tanto abbisognavano le astratte e aride verità ch'ei proponevasi di cantare, e che all'occhio osservatore di lui ed all'animo sempre aperto a cogliere quanto di grande e di bello è nella natura fisica e nella morale, offerivano a piene mani questi oggetti a noi sì cari, sì familiari, sì utili...... »; stimammo opportuno raccogliere e classificare tutti quei vegetali che Dante non solo cita, ma talora descrive con precisione quasi scientifica. va Quanto agli animali, ci guardammo dal difetto, che si può lamentare in al- cuni lavori su questo argomento: di non dare esattamente la nomenclatura dan- tescaº. Si tramutò, per esempio, sorco in topo; le pole in mulacchia; dame in daino, ec.; senza stare a dire di molte abusive differenze grafiche. Volemmo, per la maggior possibile esattezza e fedeltà al testo, non citar mai nomi altro che nella forma usata dal Poeta: nelle citazioni dalle opere latine, si usò la più semplice traduzione italiana, per unità di linguaggio. Nelle Tavole si troveranno altresì i vegetali e gli animali fantastici, mitolo- gici, biblici, allegorici, rappresentanti stemmi, stendardi ec.; per la ragione che Dante, anche in questi casi, parte nella sua rappresentazione dal tipo reale dei (!) Op. cit., pag. 519. º) Per esempio, nello studio del dott. FRANCESCo NERI, Gli animali nella D. C., Pisa, 1896. 9 66 AVVERTENZA. vegetali e degli animali esistenti, servendosi opportunamente di tutte le loro qua- lità, abitudini e costumi º. Non si è compilata una Tavola riassuntiva dei vegetali, poichè la classifi- cazione di questi avrebbe dato luogo a troppe divisioni e suddivisioni, sicchè non si sarebbe potuto rappresentarli con quella sobrietà e sicurezza che ci è permessa, invece, per rispetto agli animali. Di questi, naturalmente, raggruppiamo nella Tavola riassuntiva solo i reali. Le citazioni corrispondono scrupolosamente, come avvertimmo, al testo del MOORE, tranne per il De vulgari eloquentia, pel quale ci siamo serviti del testo di PIO RAJNA. Col carattere più marcato sono indicati i vegetali e animali appartenenti al- l'agricoltura e che con essa hanno diretta od indiretta relazione; inoltre, quelli che si trovano più spesso nelle nostre campagne, e che si soglion chiamare do- mestici e più servono ai nostri bisogni. Con carattere corsivo sono indicati tutti gli altri, ma quelli segnati con asterisco non fanno parte (come s'è avvertito SO- pra), propriamente, del regno vegetale e animale. - I singoli esempi sono collocati in queste Tavole in ordine alfabetico, per fa- cilitarne la ricerca: e crediamo di poter affermare, che l'elenco è completo. In apposita colonna si hanno le classificazioni scientifiche, le quali ripetiamo per ciascun esempio, e per agevolare la consultazione e per evitare l'inconve niente di ripetizioni a sbalzi, prodotte dall' ordine alfabetico o izione tipografica. Nella prima colonna a sinistra è il numero progressivo della citazione; nella seconda una numerazione progressiva speciale per ciascuna serie di voci simili, ossia per ogni gruppo di esempi. Spiegare poi il rimanente semplice congegno delle Tavole significherebbe che non abbiamo troppa fiducia nella loro chiarezza. (*) Di questi, naturalmente, non si può dare la classificazione scientifica, come pure di tutti gli animali e vegetali citati da Dante genericamente, fatta eccezione per quei casi in cui è ri- cordata, con la citazione del vegetale o dell'animale (anche genericamente espressa), una spe- ciale condizione di fatto propria ad essi. TAVOLA DEI VEGETALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE, Loglio, v. n° 45 Gli colombi adunati alla pastura, Queti senza mostrar l'usato orgoglio, Purg., II, 124-126. ; - º-, i # ; 3 NOME CITAZIONE DANTESCA Sr º 55 | 3 è DEL VEGETALE. l e CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. 2 3 z : º -- 1 1 | Abete E come abete in alto si digrada Abies sp. Di ramo in ramo, così quello in giuso, (fam. Araucariaceae) Purg., XXII, 133-134. 2 2 | Abete Ed ogni ramo verde a noi s'asconde, Abies sp. Lauro, v. n° 41 Se no se in pino, lauro od abete, (fam. Araucariaceae) Pino, v. n° 58 Od in alcun che sua verdura serba: Canz., Canzone XV, 43-45. 3 Acero (Acer) Tityrus heic annosus enim, defensus acer- | Acer campestre Linn. na Fronde, soporifero gravis incum- (fam. Aceraceae) bebat odori, Ecloghe, Ecloga II, 12-13. 4 Alloro O buono Apollo, all'ultimo lavoro Laurus nobilis Linn. Fammi del tuo valor sì fatto vaso, (fam. Lauraceae) Come dimandi a dar l'amato alloro. Parad., I, 13-15. 5 Am0m0 Erba nè biado in sua vita non pasce, Amomum sp. Biado, v. n° 10 Ma sol d'incenso lagrime ed amomo; (fam. Zingiberaceae) Incenso, v. n° 39 E nardo e mirra son l'ultime fasce. Nardo, v. n° 50 Inf., XXIV, 109-111. Mirra, v. n° 48 6 1 | Biada Come quando, cogliendo biada o loglio, 6 8 TAVOLA DEI VEGETALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. È l - a i3 | i 3 NOME :: 3 | E S CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. E P pri DEL VEGETALE. z, 5 | 2, pri ºli º 7 | 2 | Biade l . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . le Naiade, Che solveranno questo enigma forte, Senza danno di pecore o di biade. Purg., XXXIII, 49-51. 8 | 3 Biade l . . . . . . . . . . . . . . , sì come quei che stima Le biade in campo pria che sien mature: Parad., XIII, 131-132. 9 | 4 | Biade « E siccome nelle biade che, quando nascono, dal principio hanno quasi una similitudine nell'erba essendo, e poi si vengono per processo dissimigliando;.. .. – ma con esso, siccome l'erbetta di di- verse biade quasi si somiglia. » Conv., IV, 22 [36-46]. 10 | 5 | Biado V. nº 5. 11 Bozzacchioni Ma la pioggia continua converte Bozzacchione: susina che - o Q r, a-v º naa s - sull'allegare è guastata da Susine, v. n° 85 In bozzacchioni le susine vere. un fungo parassita l'Eroa- Parad., XXVII, 125-126. scus Pruni, che la deforma e la ingrossa fuori del con- sueto, rendendola vana ed inutile. 12 Cannucce Corsi al palude, e le cannucce e il braco Cannucce: usato qui per M'impigliar sì, ch'io caddi,... . canneto. Purg., V, 82-83. 13 Cerro Con men di resistenza si dibarba Quercus Cerris Linn. Cerro: usato qui forse per Robusto cerro, o vero al nostral vento, (fam. Quercaceae) querce in generale. O vero a quel della terra di Jarba, Purg., XXXI, 70-72. 14 Dattero | ...... º e se e e si .... « Io son Frate Alberigo, Dactylus Figo, v. n° 19 Io son quel delle frutta del mal orto, Frutto della « Phoenix Che qui riprendo dattero per figo. » dactilifera Linn. » Inf., XXXIII, 118-120. (fam. Palmae) 15 Eliotropio . . « et iustitia, sine sole quasi ut he- Heliotropium (Heliotropium) liotropium hebetata, cum primum iubar | (fam. Borraginaceae) ille vibraverit, revirescet. » - Epist., Epistola V [11-13.] 16 | 1 | Ellera Ellera abbarbicata mai non fue Hedera Helix Linn. Ad arbor sì, come l'orribilfiera (fam. Araliaceae) Per l'altrui membra avviticchiò le sue: Inf., XXV, 58-60. 17 2 | Ellera (hedera) Devincire caput hedera, lauroque iuvabit | Hedera Helix Linn. Lauro, v. n° 43 Ecloghe, Ecloga I, 50. (fam. Araliaceae) TAVOLA DEI VEGETALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 69 È l . : 5 | : E ſe 92 º -; NOME t- fa. ma CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. i; DEL VEGETALE. ON S | z si pº pi P. 18 1 Fico Ed è ragion; chè tra li lazzi sorbi Frutto Si disconvien fruttare al dolce fico. del « Ficus carica Linn. » o (A Inf., XV, 65-66. (fam. Moraceae) 19 2 Figo V. n° 14. 20 IFior Vermigli Anzi di rose e d'altri fior vermigli: Metaforicamente il color - - 'migli l le il Rose, v. n° 79 giurato avria poco lontano aspetto, " " Che tutti ardesser di sopra dai cigli, carità onde sono informati i libri del Nuovo Testamento. Purg., XXIX, 148-150. (Casini, Comm., 483.) 21 | 1 | Fiordaliso º Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso Purg., XX, 86. 22 | 2 | Fiordaliso Ventiquattro seniori, a due a due, Centaurea Cyanus Coronati venìan di fiordaliso. (fam. Asteraceae) Purg., XXIX, 83-84. 23 Frassini Tityrus haec propter confugit et Alphesi- Fraxinus Ornus Linn. (Fraxinus) boeus Ad silvam, pecudumque suique (fam. Oleaceae) Tigli, v. n° 86 misertus uterque, Fraacineam silvam, Platano, v. n° 59 tiliis platanisque frequentem: Ecloghe, Ecloga II, 7-9. 24 Fronda Peneia | Che partorir letizia in sulla lieta Laurus nobilis Linn. (Alloro.) Delfica deità dovria la fronda- (fam. Lauraceae) Peneia, quando alcun di sè asseta. Parad., I, 31-33. 25 Galle Tra brutti porci, più degni di galle, Frutto di « Quercus » Che d'altro cibo fatto in uman uso, (fam. Quercaceae) Purg., XIV, 43-44. 26 Garofano E Niccolò, che la costuma ricca Eugenia caryophyllata Del garofano prima discoperse Thunb. Nell'orto dove tal seme s'appicca; (fam. Myrtaceae) Inf., XXIX, 127-129. 27 | 1 | Gelsa E se stati non fossero acqua d'Elsa Morus sp. Li pensier vani intorno alla tua mente, (fam. Moraceae) E il piacer loro un Piramo alla gelsa, Purg., XXXIII, 67-69. 28 | 2 | Gelso Come al nome di Tisbe aperse il ciglio Morus sp. Piramo, in sulla morte, e riguardolla, (fam. Moraceae) Allor che il gelso diventò vermiglio; Purg., XXVII, 37-39. 29 1 | Ghianda Che giù non basta buon cominciamento | Frutto di « Quercus » Quercia, v. n° 70 Dal nascer della quercia al far la ghianda. Parad., XXII, 86-87. (fam. Quercaceae) 7O TAVOLA DEI VEGETALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. i-t È p=i ri i is NOME CITAZIONE DANTESCA - NE SSERVAZIONI 5 ; 5 È DEL VEGETALE. NTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. º z º 30 | 2 | Ghiande Lo secol primo, quant'oro fu bello; Frutto di « Quercus » Fe saporose con fame le ghiande, (fam. Quercaceae) Purg., XXII, 148-149. º 31 | 1 | Gigli l ................. ma di gigli Lilium sp. Dintorno al capo non facevan brolo, (fam. Liliaceae) Purg., XXIX, 146-147. 32 2 Gigliº L'uno al pubblico segno i gigli gialli Stemma. Oppone. . . . . . . . . . . . . . . . . . Parad., VI, 100-101. 33 | 3 Giglio º E quel Nasetto, che stretto a consiglio Stemma. Par con colui c'ha sì benigno aspetto, Morì fuggendo e disfiorando il giglio: Purg., VII, 103-105. 34 | 4 Giglio º Con queste genti vid'io glorioso Stemma. E giusto il popol suo tanto, che il giglio Non era ad asta mai posto a ritroso, Nè per division fatto vermiglio. » Parad., XVI, 151-154. 35 Giunchi e Giunco D'un giunco schietto.......... Juncus sp. I Giunchi citati da Dante p a s s e a s e a s a s a e a ss e a se e se a a s a s e a s e º trebbero appartenere più a s s º e (fam. Juncaceae) " al genere : Questa isoletta intorno ad imo ad imo, " spartum f" O Laggiù colà dove la batte l'onda, giunco marino. Porta de' giunchi sopra il molle limo. Null'altra pianta che facesse fronda, O indurasse, vi puote aver vita, Perocchè alle percosse non seconda. Purg., I, 95, 100-105. 36 | 1 Gramigna Quando in Bologna un Fabbro si ralligna? [Triticum ? repens..] Quando in Faenza un Bernardin di Fo- | (Genus fam. Gramineae) Verga gentil di picciola gramigna ? [sco, Purg., XIV, 100-102. 37 | 2 | Gramigna Quel che rimase, come di gramigna [Triticum ? repens..] Vivace terra, . . . . . . . . . . . . . º e s (Genus fam. Gramineae) Purg., XXXII, 136-137 38 Grano Un altro tutto è che non ha essenza co- mune colle parti, siccome una massa di grano, ma è la sua una essenza seconda- ria che risulta da molti grani che vera e prima essenza in loro hanno. Conv., IV, 29 [96-100]. 39 Incenso V. n° 5. Resina proveniente (Registrato in questa ta- da diverse piante, ben- vola, trattandosi di sostan- chè il vero incenso si za vegetale) ottenga dalla pianta araba]: « Boswellia thu- rifera Roacb. » TAVOLA DEI VEGETALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 7I OSSERVAZIONI. Indico legno. Non sembran convenire all'ebano gli epi- teti lucido e sereno. Il Lan- dino e il Vellutello hanno interpretato indico per in- digo, di cui non è certo si conoscesse l'uso in Europa nel XIV secolo. Tragge la gente per udir novelle, E di calcar nessun si mostra schivo; Purg., II, 70-72. b- È - i 5 i i 3 NOMIE È : a S CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. 2 3 | p º DEL VEGETALE. T- o rz pri CA º 40 Indico legno Oro ed argento fino, cocco e biacca, Indico legno lucido e sereno, Fresco smeraldo in l'ora che si fiacca, Purg., VII, 73-75. 41 | 1 | Lauro V. no 2. Laurus nobilis Linn. (fam. Lauraceae) 42 | 2 | Lauro .... Tu tempora lauro Semper inornata Laurus nobilis Linn. per pascua pastor habebis? (fam. Lauraceae) Ecloghe, Ecloga I, 34-35. 43 | 3 | Lattro (laurus) V. nº 17. Laurus nobilis Linn. (fam. Lantraceae) 44 Lino E quando Lachesis non ha più lino, Linum usitatissimum Solvesi dalla carne, . . . . . . . . . . Linn. Purg., XXV, 79-80. (fam. Linaceae) 45 | 1 | Loglio Come quando, cogliendo biada o loglio, Lolium Isp. perenne Li colombi.............. Linm.] Purg., II, 124-125. (fam. Gramineae) 46 2 Loglio E tosto si vedrà della ricolta Lolium temulentum Della mala coltura, quando il loglio Linn. Si lagnerà che l'arca gli sia tolta. (fam. Gramineae) Parad., XII, 118-120. 47 Melo º Quale a veder dei fioretti del melo, Pirus Malus Pomo, v. no 65 Che del suo pomo gli angeli fa ghiotti, (fam. Rosaceae) Purg., XXXII, 73-74. 4S Mirra V. nº 5. Gommoresina del Commiphora Myrra Nees (Arabia ed Affrica) (fam. Burseraceae) 49 Mirto Tanto fu dolce mio vocale spirto, Myrtus communis Che, Tolosano, a sè mi trasse Roma, Linn. Dove mertai le tempie ornar di mirto. (fam. Myrtaceae) Purg., XXI, 88-90. 50 lNardo V. n° 5. Andropogon Nardus Linn. (fam. Gramineae) 51 1 Oliva Sopra candido vel cinta di oliva Olea europaea Donna m'apparve, . . . . . . . . . . . (fam. Oleaceae) Purg., XXX, 31-32. 52 | 2 | Olivo E come a messaggier, che porta olivo, Olea europaea Linn. (fam. Oleaceae) 7 2 TAVOLA DEI VEGETALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. Che del suo pomo gli angeli fa ghiotti, Purg., XXXII, 73-74. È l - a i; | ; 3 NOMIE - a 3 | i S CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. a g DEL VEGETALE. - 3 PA º 53 Ortica Di penter sì mi punse ivi l'ortica, Urtica sp. Purg., XXXI, 85. (fam. Urticaceae) 54 Paglia Di mia semenza cotal paglia mieto. Purg., XIV, 85. 55 Paglia E disse: « Quando l'una paglia è trita, Quando la sua semenza è già riposta, A batter l'altra dolce amor m'invita. Parad., XIII, 34-36. 56 l'alma Che il tene porti dentro a te, per quello | Phoenix dactylifera Che si reca il bordon di palma cinto. » ILinn. Purg., XXXIII, 77-78. (fam. Palmae) 57 Palma Perch'egli è quegli che portò la palma Phoenix dactylifera Giù a Maria................ Linm. Parad., XXXII, 112-113. (fam. Palmae) 58 Pino V. nº 2. Pinus silvestris Linn. 59 Platano V. nº 23. Platanus orientalis Linn. (fam. Platanaceae) 60 Pome Come al fanciul si fa ch'è vinto al pome. Purg., XXVII, 45. 61 Pome º « Quel dolce pome, che per tanti rami Metaforico. Cercando va la cura dei mortali, Oggi porrà in pace le tue fami. » Purg., XXVII, 115-117. 62 Pomo Chi crederebbe che l'odor d'un pomo Sì governasse, generando brama, Purg., XXIII, 34-35. 63 Pomo Di bere e di mangiar n'accende cura L'odor ch'esce del pomo, e dello sprazzo Che si distende su per la verdura. Purg., XXIII, 67-69. 64 Pomo Parverm'irami gravidi e vivaci D'un altro pomo.............. Purg. XXIV, 103-104. 65 lPom0 º E cominciai: « O pomo, che maturo Solo prodotto fosti, ... ......... Parad., XXVI, 91-92. 66 Pomo º Quale a veder dei fioretti del melo, TAVOLA DEI VEGETALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. - È l - i p3 o 2 3 E - g di I 3 - NOME 3 º | E S CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. VAZIONI. È5 | È È | DEL VEGETALE. - OSSERVAZ z, 5 | z, si ſi gli ſia 67 | 8 | Pomo «. ... ma siccome un pomo maturo, leg- giermente e senza violenza si spicca dal SUl O l'8,111O, . . . ) Conv., IV, 28 [27-28]. 68 | 1 | Prun Ch'io ho veduto tutto il verno prima Rosa sp. Rosa, v. n° 73 Il prun mostrarsi rigido e feroce, (fam. Rosaceae) Poscia portar la rosa in su la cima; Parad., XIII, 133-135. 69 | 2 | Pruno Chè tu entrasti povero e digiuno Vite, v. n° 93 In campo, a seminar la buona pianta, Che fu già vite, ed ora è fatta pruno. » Parad., XXIV, 109-111. 70 | 1 | Quercia Che giù non basta buon cominciamento Quercus sp. Dal nascer della quercia al far la ghianda. (fam. Quercaceae) Parad., XXII, 86-87. 71 | 2 | Quercia Forte recensentes pastas de more capel- Quercus las, Tunc ego sub quercu meus et Me- (fam. Quercaceae) liboeus eramus: Ille quidem... . » - Ecloghe, Ecloga I, 3-5. 72 | 1 | Rosa « .... e conviensi aprire l'uomo quasi come una rosa, che più chiusa stare non può, e l'odore che è dentro generato spam- dere. . . . » - - Conv., IV, 27 [37-40]. 73 | 2 | Rosa V. nº 68. 74 | 3 | Rosa Così m'ha dilatata mia fidanza, Come il sol fa la rosa, quando aperta Tanto divien quant'ell'ha di possanza. Parad., XXII, 55-57. 75 | 4 | Rosa º E se l'infimo grado in sè raccoglie Pianta mistica. Sì grande lume, quant'è la larghezza Di questa rosa nell'estreme foglie? Parad., XXX, 115-117. 76 | 5 | Rosa º Nel giallo della rosa sempiterna, Mistica. Che si dilata, digrada e redole Odor di lode al sol che sempre verna, Parad., XXX, 124-126. 77 | 6 | Rosa º In forma dunque di candida rosa Mistica, Mi si mostrava la milizia santa, Che nel suo sangue Cristo fece sposa. Parad., XXXI, 1-3. 10 Le Arpie, pascendo poi delle sue foglie, Fanno dolore, ed al dolor finestra. Inf., XIII, 100-102. Linn. 74 TAVOLA DEI VEGETALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. - È l - i i; | i INOMIE ASSIFICAZIONE OSSERVAZIONI s 3 | 5 i DEL VEGETALE, CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFIC o to o z pa 78 Rosa º Puoi tu veder così di soglia in soglia Mistica. Giù digradar, com'io ch'a proprio nome Vo per la rosa giù di foglia in foglia. Parad., XXXII, 13-15. 79 Rose V. nº 20. 80 Rose Men che di rose, e più che di viole Viole, v. n° 91 Colore aprendo, s'innovò la pianta, Che prima avea le ramore sì sole. Purg., XXXII, 58-60. S1 Salici Circuit haec humilis, et tectus fronde sa- Salix sp. ligna Perpetuis undis.......... (fam. Salicaceae) Ecloghe, Ecloga I, 14-15. 82 Sorbi Ed è ragion; chè tra li lazzi sorbi Pirus Sorbus Gaertn. Si disconvien fruttare al dolce fico. (fam. Rosaceae) Inf., XV, 65-66. 83 Spelta Cade in la selva, e non le è parte scelta; Triticum Spelta Linn. Ma là dove fortuna la balestra, (fam. Gramineae) Quivi germoglia come gran di spelta ; Inf., XIII, 97-99. 84 Spiga | ............... , pon mente alla spiga, Ch'ogni erba si conosce per lo seme. Purg, XVI, 113-114. 85 Susine Ma la pioggia continua converte Frutti di Prunus In bozzacchioni le susine vere. domestica Linn. Parad., XXVII, 125-126. (fam. Rosaceae) 86 Tigli (tiliis) V. no 23. Tilia europaea Linn. (fam. Tiliaceae) 87 Ulivi Che pur con cibi di liquor d'ulivi, Olea europaea Linn. Lievemente passava caldi e gieli, (fam. Oleaceae) sº Parad., XXI, 115-116. 88 Uva Maggiore aperta molte volte impruna Frutto di Vitis Con una forcatella di sue spine (fam. Vitaceae) L'uom della villa, quando l'uva imbruna, Purg., IV, 19-21. 89 Vermèna º Surge in vermèna, ed in pianta silvestra: Verbena officinalis vi indicare pianta no- TAVOLA DEI VEGETALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 75 ti; È : NOME CITAZIONE DANTESCA CLASSIFICAZIONE OSSERVA È5 | È È | DEL vEGETALE. al º SRVAZIONI, rzi 5 | zi si d ; pi 90 Vinco l . . . . . . . . . . . . Siccome saper dèi, Di fonte nasce Nilo picciol fiume: Ivi, dove 'l gran lume Toglie alla terra del vinco la fronda, Sopra la vergin onda Canz., Canzone XX, 45-49. 91 Viole V, nº 80. Viola sp. (fam. Violaceae) 92 | 1 | Vite Guarda il calor del sol che si fa vino, Vitis sp. Giunto all'umor che dalla vite cola. (fam. Vitaceae) Purg., XXV, 77-78. 93 | 2 | Vite | . . . . . . a seminar la buona pianta, Vitis sp. Che fu già vite, ed ora è fatta pruno. » Parad., XXIV, 110-111. (fam. Vitaceae) TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE, i 1 2 5 º i - 1 NOME CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE, OSSERVAZIONI, DELL'ANIMALE. Agnel Non fate come agnel che lascia il latte Ovis aries Della sua madre, e semplice e lascivo Artiodattili Seco medesmo a suo piacer combatte. » Parad., V, 82-84. Agnel ........... com'agnel si placa, Ovis aries Parad., XVI, 117. Artiodattili Agnello E cieco toro più avaccio cade Ovis aries Toro, v. n° 257 Che 'l cieco agnello, ... . . . . . . . . . Artiodattili Parad., XVI, 70-71. Agnello Vinca la crudeltà che fuor mi serra Ovis aries Metaforico. Lupi, v. n° 160 Delbello ovil, dov'io dormii agnello Artiodattili Nimico ai lupi, che gli danno guerra; Parad., XXV, 4-6. - Agni | ............. il maledetto fiore Ovis aries Metaforico. Pecore, v. n° 187 C'ha disviate le pecore e gli agni, Artiodattili Lupo, v. n° 165 Perocchè fatto ha lupo del pastore. Parad., IX, 130-132. Agni Io fui degli agni della santa greggia Ovis aries Metaforico. Che Domenico mena per cammino, Artiodattili - U” ben s'impingua se non si vaneggia. Parad., X, 94-96, Agno Sì si starebbe un agno intra due brame Ovis aries Lupi, v. n° 159 Di fieri lupi, egualmente temendo; Artiodattili Agnello (agnus) Parad., IV, 4-5. .... et in Latinos velut agnus mitescet. Epist., Epistola VII [99-100]. Ovis aries Artiodattili 78 TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. r- i; | i NOME i S CIITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI, E i | 5 È | DELL'ANIMALE z, 3 | 2, 3 e º º P4 9 Allodetta Quale allodetta che in aere si spazia Alauda arvensis Linn. Prima cantando, e poi tace contenta l'asseracei Dell'ultima dolcezza che la sazia, Parad., XX, 73-75. 10 Amfisibena Più non si vanti Libia con sua rena; Sauriani l " " un sauro del- s - «A - e º s º to º º r re: A his- Chelidri, v. n° 89 Chè, se chelidri, jaculi e farèe forse il Varanus i" iº i" Jaculi, v. n° 132 Produce, e cencri con amfisibena, arenarius? ricano. Farèe, v. n° 112 Inf., XXIV, 85-87. Cencri, v. n° 86 11 Angue Seguendo lo giudizio di costei, Qui per angue Dante deve Che è occulto, come in erba l'angue. " ſidiano o una Inf., VII, 83-84. 19 1 Anguilla Là ov'era il petto, la coda rivolse, Anguilla vulgaris Linn. E quella tesa, come anguilla, mosse, . Apodi Inf., XVII, 103-104. 13 2 | Anguille Dal Torso fu, e purga per digiuno Anguilla vulgaris Linn. L'anguille di Bolsena e la vernaccia. » Apodi Purg., XXIV, 23-24. 11 Animal ec. e a s e a s a - e s a o n e s e m e mi nasconde Bombix Mori Linn. Filugello, v. n° 117| Quasi animal di sua seta fasciato. Lepidotteri Parad., VIII, 53-54. 15 Anitra Non altrimenti l'anitra di botto, Anas Boschas Linn. Falcon, v. n° 108 Quando il falcon s'appressa, giù s'attuffa, Palmipedi Ed ei ritorna su crucciato e rotto. Inf., XXII, 130-132. 16 Animale freddo co . Di gemme la sua fronte era lucente, Scorpione, v. nu- Poste in figura del freddo animale mero 224 Che con la coda percote la gente: Purg., IX, 4-6. 17 | 1 | Ape Che sono in voi, sì come studio in ape Apis Mellifica Linn. Di farlo mele; ............... Imenotteri Purg., XVIII, 58-59. 18 2 | Api Sì come schiera d'api, che s'infiora Apis Mellifica Linn. Una fiata, ed una si ritorna Imenotteri Là dove suo lavoro s'insapora, Parad., XXXI, 7-9. 19 | 3 | Api .... così bene si verrebbe alla conoscen- | Apis Mellifica Linn. º za delle api per lo frutto della cera ragio- Imenotteri º nando, come per lo frutto del mèlo, tutto ! che l'uno e l'altro da loro proceda. º Conv., IV, 17 [128-132]. TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 79 ºni È - - i 3 i a 5 | 24 P4 20 | 1 21 | 2 22 | 3 23 | 4 24 | 5 25 6 26 | 7 27 8 28 9 29 | 10 30 | 11 31 | 12 NOMIE DELL'ANIMALE. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. Aquila Aquila Aquila º Aquila º Aquileº Aquila º Uccel di Giove, V. n° 261 Aquila º Aquila” Aquila Aquila º Uccel di Dio, v. no 260 Aquilaº Aquilaº CITAZIONE DANTESCA. ...., ne cum sublimis aquila fulguris instar descendens affuerit, .... Epist., Epistola V [53-54]. e a o a o a e s e o º o a º e e la bella scuola Di quei signor dell'altissimo canto, Che sopra gli altri com'aquila vola. Inf., IV, 94-96. Ravenna sta come stata molti anni: - L'aquila da Polenta là si cova, Sì che Cervia ricopre co' suoi vanni. Inf., XXVII, 40-42. In sogno mi parea veder sospesa Un'aquila nel ciel con penne d'oro, Con l'ale aperte, ed a calare intesa: Purg., IX, 19-21. Intorno a lui parea calcato e pieno Di cavalieri, e l'aquile nell'oro Sovr'esso in vista al vento si movieno. Purg., X, 79-81. Com'io vidi calar l'uccel di Giove Per l'arbor giù, rompendo della scorza, Non che dei fiori e delle foglie nuove; Purg., XXXII, 112-114. Poscia, per indi ond'era pria venuta, L'aquila vidi scender giù nell'arca Del carro, e lasciar lei di sè pennuta. Purg., XXXII, 124-126. Non sarà tutto tempo senza ereda L'aquila che lasciò le penne al carro, Purg., XXXIII, 37-38. Quando Beatrice in sul sinistro fianco Vidi rivolta, a riguardar nel sole: Aquila sì non gli s'affisse un quanco. Parad., I, 46-48. « Posciachè Costantin l'aquila volse Contra il corso del ciel, ch'ella seguio Dietro all'antico che Lavinia tolse, Cento e cent'anni e più l'uccel di Dio Parad., VI, 1-4. E quietata ciascuna in suo loco, La testa e il collo d'un'aquila vidi Rappresentare a quel distinto foco. Parad., XVIII, 106-108. Così, rimosso d'aspettare indugio, Quel mormorar dell'aquila salissi Su per lo collo, come fosse bugio. Parad., XX, 25-27. Aquila crysaetos Linn. Rapaci Aquila crysaetos Linn. Rapaci Aquila crysaetos Linn. Rapaci Stemma. Fantastica. Insegna. Allegorica. Allegorica. Allegorica. Insegna imperiale. Fantastica. Fantastica. 8 0 st- TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. i 3 2 º i 1 3 NOME DELL'ANIMALE. CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI, Aquile « La parte in me che vede, e pate il sole Nell'aquile mortali, º incominciommi, Parad. , XX, 31-32. Aquila crysaetos Linn. Rapaci 33 34 Aragna O folle Aragne, sì vedea io te Già mezza aragna, trista in su gli stracci Dell'opera che mal per te si fe”. Purg., XII, 43-45. Aranea Aracnidi 35 Arpie º Quivi le brutte Arpie lor nido fanno Che cacciar delle Strofade i Trojani Con tristo annunzio di futuro danno. Ale hanno late, e colli e visi umani, Piè con artigli, e pennuto il gran ventre: Fanno lamenti in su gli alberi strani. Inf., XIII, 10-15. Favolose. 36 Asina º Serpente,v. n° 228 Et si obiciatur de serpente loquente ad primam mulierem, vel de asina Balaam.... De Vulg. Eloq., Lib. I, cap. 2. Biblico. Astorº Io non vidi, e però dicer non posso, - « Come mosser gli astor celestiali, Purg., VIII, 103-104. Astur palumbarius Metaforico. 37 Augei che ver- man lungo il lNilo Come gli augei che vernan lungo il Nilo Alcuna volta in aer fanno schiera, Poi volan più in fretta e vanno in filo; Purg., XXIV, 64-66. Grus cinerea Linn. ? Trampolieri 38 39 40 Augel Augelletti Augelli Similemente il mal seme d'Adamo: Gittansi di quel lito ad una ad una, Per cenni, come augel per suo richiamo. Inf., III, 115-117. Per cui le fronde, tremolando pronte, Tutte e quante piegavano alla parte U” la prim'ombra gitta il santo monte: Non però dal lor esser dritto sparte Tanto che gli augelletti per le cime Lasciasser d'operare ogni lor arte; Ma con piena letizia l'ore prime, Cantando ricevièno intra le foglie, Che tenevan bordone alle sue rime, Purg., XXVIII, 10-18. E come augelli surti di riviera, Quasi congratulando a lor pasture, Fanno di sè or tonda or altra schiera, Parad., XVIII, 73-75. TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 81 Quante biscie egli avea su per la groppa, Infin dove comincia nostra labbia. Inf., XXV, 19-21. È | . i; | 5 3 INOME E i È È DELL'ANIMALE. CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. ºzi 2 z, º ſi 41 | 4 | Augello Come l'augello intra l'amate fronde, Posato al nido de' suoi dolci nati, La notte che le cose ci nasconde, Parad., XXIII, 1-3. 42 lBalene E s'ella d'elefanti e di balene Balaena mysticetus Cuv. Elefanti, v. n° 105 | Non si pente,............... Mammiferi cetacei Inf., XXXI, 52-53. 43 1 | Becchi º Gridando: « Vegna il cavalier soprano Stemma. Che recherà la tasca con tre becchi / » Inf., XVII, 72-73. 44 | 2 | Becchi Forte così; ond'ei, come due becchi, Capra hircus Cozzàro insieme: tant'ira li vinse. Mammiferi artiodattili Inf., XXXII, 50-51. 45 | 1 | Bestie Quando noi fummo d'un romor sorpresi, Il Si registrano " " - - - omi generici, es io“ Porco, v. n° 204 Similemente a colui che venire cile ii " "ci Sente il porco e la caccia alla sua posta, testo. Ch'ode le bestie e le frasche stormire. Inf., XIII, 111-114. 46 | 2 | Bestie Cuopron dei manti loro i palafreni, Palafreni, v. nu- Sì che due bestie van sottº una pelle: mero 178 Parad., XXI, 133-134. 47 Bevero E come là tra li Tedeschi lurchi Castor fiber C "i " Lo bevero s'assetta a far sua guerra; Roditori Dante chiama bevero sia Inf., XVII, 21-22. il castoro. 48 | 1 | Biscia Come le rane innanzi alla mimica Tropidonotus natrix Rane, v. n° 213 Biscia per l'acqua si dileguan tutte, Gesn. Fin che alla terra ciascuna s'abbica; Ofidiani Inf., IX, 76-78. 49 2 | Biscia Da quella parte, onde non ha riparo Colubridae Non è " in questo La picciola vallea, era una biscia, Ofidiani caso, precisare la specie. Forse qual diede ad Eva il cibo amaro. Tra l'erba e i fior venia la mala striscia, Volgendo ad or ad or la testa al dosso, Leccando come bestia che si liscia. Purg., VIII, 97-102. 50 | 3 | Biscia Virtù così per mimica si fuga Ofidiani Da tutti, come biscta, ... . . . . . . . . . Purg., XIV, 37-38. 51 4 | Biscie Maremma non cred'io che tante n'abbia, Ofidiani Qui si può intender tanto vipere, come biscie d'acqua (Tropidonotus natria ), le ume e le altre comuni in Maremma. 11 8 2 TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. È | – a T i; i INOMIE tº È s È DELL'ANIMALE CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. 2, 3 | z; º pri º p4 59 Botoli Botoli trova poi, venendo giuso, Canis familiaris Metaforico. Ringhiosi più che non chiede lor possa, Carnivori Purg., XIV, 46-47. 53 | 1 | Bueº (Bos) .... (ut bos noster evangelizans, accen- Metaforico. sus ignis aeterni fiamma, remugit). ... Epist., Epistola VII [65-67]. 54 | 2 | Bue Qui distorse la bocca, e di fuor trasse Bos taurus La lingua, come 'l bue che il naso lecchi. Artiodattili Inf., XVII, 74-75. 55 | 3 | Bito º Come il bue Cicilian che mugghiò prima Favoloso. Col pianto di colui (e ciò fu dritto) Che l'avea temperato con sua lima, Inf., XXVII, 7-9. 56 4 | Bue Le prime eran cornute come bue; Bos taurus Ma le quattro un sol corno avean per Artiodattili [fronte: Simile mostro visto ancor non fue. Purg., XXXII, 145-147. 57 | 5 lBuoi º Era intagliato lì nel marmo stesso Rappresentazione figurata. Lo carro e i buoi traendo l'arca Santa, Purg., X, 55-56. 58 6 | Buoi Di pari, come buoi che vanno a giogo, Bos taurus M'andava io con quella anima carca, Artiodattili Purg., XII, 1-2. 59 7 Buoi (Boves) ...., novus agricola Romanorum con- Bos taurus Metaforico. silii sui boves ad aratrum affectuosius et Artiodattili confidentius coniugabit. A Epist., Epistola V [82-84]. 60 | 8 | Buoi (Boves) ...., ego ad boves calcitrantes et per Bos taurus Metaforico, abvia distrahentes, ... . Artiodattili Epist., Epistola VIII [88-89]. 61 | 1 | Cagne Diretro a loro era la selva piena Canis Veltri, v. n° 265 Di nere cagne, bramose e correnti, Carnivori Come veltri che uscisser di catena. Inf., XIII, 124-126. 62 | 2 | Cagne Con cagne magre, studiose e conte, Canis Metaforico? Gualandi con Sismondi e con Lanfran- Carnivori S'avea messi dinanzi dalla fronte. [chi Inf., XXXIII, 31-33. 63 | 3 | Can Quand'ebbe detto ciò, con gli occhi torti Canis familiaris Linn. Riprese il teschio misero coi denti, Carnivori Che fùro all'osso, come d'un can, forti. - Inf., XXXIII, 76-78. TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 83 - È l - i i; i; NOME CITAZIONE DANTESCA CLASSIFICAZIONE ri 35 | 3 è DELL'ANIMALE. l º e OSSERVAZIONI, z, 5 | zi si pº - º 64 4 | Can Vassi cadendo, e quanto ella più ingrossa, Canis familiaris Metaforico, v. n° 52. Lupi, v. n° 157 Tanto più trova di can farsi lupi Carnivori La maledetta e sventurata fossa. Purg., XIV, 49-51. G5 5 | Cane Qual è quel cane che abbaiando agugna, Canis familiaris E si racoueta poi che il pasto morde, Carnivori Che solo a divorarlo intende e pugna; Inf., VI, 28-30. 66 6 | Cane Ei ne verranno dietro più crudeli Canis familiaris Lepre, v. n° 148 Che 'l cane a quella lepre ch'egli acceffa. Carnivori Inf., XXIII, 17-18. 67 7 | Cane Forsennata latrò sì come cane; Canis familiaris Tanto il dolor le fe” la mente torta. Carnivori Inf., XXX, 20-21. 68 8 | Cane Sì si starebbe un cane intra due dame. Canis familiaris Dame, v. n° 100 IParad., IV, 6. Carnivori 69 9 | Cani Urlargli fa la pioggia come cani: Canis familiaris Inf., VI, 19. Carnivori 70 | 10 | Caniº Allora stese al legno ambo le mani: Metaforico. Per che il Maestro accorto lo sospinse, Dicendo: «Via costà con gli altri cani! » Inf., VIII, 40-42. 7 i 11 | Cani Non altrimenti fan di state i cani, Canis familiaris Pulci, v. n° 207 Or col ceffo or col piè, quando son morsi Carnivori Mosche, v. n° 170 O da pulci o da mosche o da tafani. Tafani, v. n° 250 Inf., XVII, 49-51. 72 12 | Cani Con quel furor e con quella tempesta Canis familiaris Mastino, v. n° 166 Ch'escono i cani addosso al poverello, Carnivori Che di subito chiede ove s'arresta; Inf., XXI, 67-69. 73 I | Capra º Sì come di vapor gelati fiocca Astronomica. (Cfr. n° 75) In giuso l'aer nostro, quando il corno Della Capra del ciel col sol si tocca; Parad., XXVII, 67-69. 74 2 | Capre Quivi soavemente spose il carco, Capra hircus Linn. Soave per lo scoglio sconcio ed erto, Ruminanti artiodattili Che sarebbe alle capre duro varco: Inf., XIX, 130-132. 75 3 | Capre Quali si fanno ruminando manse Capra hircus Fiera, v. no 115 Le capre, state rapide e proterve Sopra le cime, avanti che sien pranse, Tacite all'ombra, mentre che il sol ferve, Guardate dal pastor che in su la verga Poggiato s'è, e lor poggiato serve; E quale il mandrian che fuori alberga, Lungo il peculio suo queto pernotta, Guardando perchè fiera non lo sperga; Tali eravamo tutti e tre allotta, Io come capra, ed ei come pastori, Fasciati quinci e quindi d'alta grotta. Purg., XXVII, 76-87. Ruminanti artiodattili 8 4 TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. Con tre gole caninamente latra Sopra la gente che quivi è sommersa. Inf., VI, 13-15. tra i È ºri t- i i 3 NOMIE i E S CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. È E È DELL'ANIMALE. z 5 | 24 pri pi 76 Capre (Capris) Te monstrante, meis vagulis prodiscere Capra hircus capris. Ruminanti artiodattili Ecloghe, Ecloga I, 26. 77 Caprette Forte recensentes pastas de more capellas, Capra hircus (Capellas) Ecloghe, Ecloga I, 3, Iluminanti artiodattili 78 Caprette Post pecutdes rediere suas: hirtaeque ca- Capra hircus (Capellae) pellae. Ruminanti artiodattili Pecore, v. n° 182 Ecloghe, Ecloga II, 93, 79 Caprette Etdum silvestri pecudes mistaeque capellae Capra hircus (Capellae) Insidunt herbae dum maribus aera captant | Ruminanti artiodattili Pecore, v. n° 183 Ecloghe, Ecloga II, 10-11. S0 Capri (Capros) Tu tamen interdum capros meditere pe- Capra hircus tulcos. Ruminanti artiodattili Ecloghe, Ecloga I, 65. 81 Caval º E dentro dalla lor fiamma si geme Cavallo di legno. L'aguato del caval che fe” la porta Ond'uscì de Romani il gentil seme. Inf., XXVI, 58-60. 82 Cavalli º E qual colui che si vengiò con gli orsi, Leggendari. Orsi, v. n° 177 Vide il carro d'Elia al dipartire, Quando i cavalli al cielo erti levorsi, Inf., XXVI, 34-36. 83 Cavallo Chè siccome uno sciolto cavallo, quan- | Equus caballus Linn. " " esempio sul to ch'ello sia di natura nobile, per sè Perissodattili cavallo: Palafreni. senza il buono cavalcatore bene non si conduce; . . . . Conv., IV, 26 [43-46]. 84 Cavallo º « Ricorditi, spergiuro, del cavallo, º Cavallo di legno. Rispose quel ch'aveva enfiata l'epa; « E siati reo che tutto il mondo sallo. » Inf., XXX, 118-120. 85 Centauro º Ei si fuggì, che non parlò più verbo: Favoloso. Ed io vidi un Centauro pien di rabbia Venir chiamando:.......... Inf., XXV, 16-17. 86 Cencri Produce, e cencri con amfisibena, Serpente Forse il comune Biacco Inf., XXIV, 87 Ofidiani ?... , (Zamenis viridiflavus Linn.). 87 Ceraste R con idre verdissime eran cinte: Cerastes aegyptiacus Idre, v. n° 133 Serpentelli ceraste avean per crine Dum. Serpentelli, vedi Onde le fiere tempie eran avvinte. Ofidiani no 236 Inf., IX, 40-42. 88 Cerbero º Cerbero, fiera crudele e diversa, Mitologico. TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 85 p-4 È r- ſi di s: 5 - º º | si NOME a º | i CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSE u 33 | 5 È | DELL'ANIMALE. SSERVAZIONI 5 | zi si pri P4 º 89 Chelidri Più non si vanti Libia con sua rena; C' è una che li dra che sa 27 irl, - i appartiene al gruppo delle Chè, se chelidri, . . . . . . . . . . . . tartarughe. Qui non si sa Inf., XXIV, 85-86. di quale animale s'intenda parlare. 90 I | Cicogna Mettendo i denti in nota di cicogna. Ciconia alba Linn. Inf., XXXII, 36. Trampolieri 91 | 2 | Cicogna Quale sopr esso il nido si rigira, Ciconia alba Linn. Poi che ha pasciuto la cicogna i figli, Trampolieri E come quei ch'è pasto la rimira; Parad., XIX, 91-93. 92 3 | Cicognin E quale il cicognin che leva l'ala Ciconia alba Linn. Per voglia di volare, e non s'attenta Trampolieri D'abbandonarlo nido, e giù la cala; Purg., XXV, 10-12. 93 Cigno Con l'ali aperte che parean di cigno, Cygnus olor Linn. Volseci in su colui che sì parlonne, Palmipedi Purg., XIX, 46-47. 94 Cocco Oro ed argento fino, cocco e biacca, Coccum o chermes Cocciniglia. Purg., VII, 73. Insetto rincoto omottero - 95 1 | Colombe Quali colombe dal disio chiamate, Columba livia Linn. Con l'ali alzate e ferme, al dolce nido Colombacei Vengon per l'aer dal voler portate: Inf., V, 82-84. 96 2 | Colombi Come quando, cogliendo biada o loglio, Columba livia Linn. Li colombi adunati alla pastura, Colombacei Queti, senza mostrar l'usato orgoglio, Se cosa appare ond'elli abbian paura, Subitamente lasciano star l'esca, Perchè assaliti son da maggior cura; Purg., II, 124-129. 97 3 | Colombo Sì come quando il colombo si pone Columba livia Linn. Presso al compagno, e l'uno all'altro pan- Colombacei Girando e mormorando, l'affezione, [de, Parad., XXV, 19-21. 98 Colubro Piangene ancor la trista Cleopatra, Naia haje Linn.?... Che, fuggendogli innanzi, dal colubro Ofidiani La morte prese subitana ed atra. Parad., VI, 76-78. 99 Corvi (Corvulis) .., et prolis propriae locum corvulis Corvus cornix occupatum. Passeracei Epist., Epistola V [55-56]. - 8 6 TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. i ; i NOME DELL'ANIMALE. CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. IDame Sì si starebbe un cane intra due dame. Parad., IV, 6. Cervus Dama Linn. Artiodattili Dama vulgaris, Daino. Delfini Come i delfini, quando fanno segno Ai marinar con l'arco della schiena, Che s'argomentin di campar lor legno; Inf., XXII, 19-21. Delphinus delphis Linn. Mammiferi cetacei 103 IDraco º Drago º Vespa, v. n° 272 Sopra le spalle, dietro dalla coppa, Con l'ali aperte gli giacea un draco, E quello affoca qualunque s'intoppa. - Inf., XXV, 22-24. Poi parve a me che la terra s'aprisse Tr'ambo le rote, e vidi uscirne un drago, Che per lo carro su la coda fisse: E come vespa che ritragge l'ago, A sè traendo la coda maligna, Trasse del fondo, e gissen vago vago. Purg., XXXII, 130-135. Favoloso. Allegorico. 104 Entomata Vermo, v. n° 270 Di che l'animo vostro in alto galla, Poi siete quasi entomata in difetto, Sì come vermo, in cui formazion falla ? Purg., X, 127-129. Entomata = parola di er- rata formazione greca si- gnificante insetti. 105 lElefanti E s'ella d'elefanti e di balene Non si pente, . . . . . . . . . . . . Inf., XXXI, 52-53. Elephas Mammiferi 106 107 108 109 Falcon Uccello, v. n° 259 Falcon Falcon Falcon Come il falcon ch'è stato assai sull'ali, Che senza veder logoro o uccello, Fa dire al falconiere: « Oimè tu cali!: » Discende lasso onde si move snello, Per cento rote, e da lungi si pone Dal suo maestro, disdegnoso e fello: Inf., XVII, 127-132. Quale il falcon che prima ai piè si mira, Indisi volge al grido, e si protende Per lo disio del pasto che là il tira; Purg., XIX, 64-66. Non altrimenti l'anitra di botto, Quando il falcon s'appressa, giù s'attuffa, Ed ei ritorna su crucciato e rotto. Inf., XXII, 130-132. Due ne seguì lo mio attento sguardo, Com'occhio segue suo falcon volando. Parad., XVIII, 44-45. Falco Peregrinus Linn. Rapaci Falco Peregrinus Linn. Rapaci Falco Peregrinus Linn. Rapaci Falco Peregrinus Linn. Itapaci TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 87 Vermi, v. n° 268 Nati a formar l'angelica farfalla, Purg., X, 124-125. - È l - i i 7 | E B g - NOMIE i CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. P : E ſi DELL'ANIMALE. z, 3 z : A4 110 Falcone Quasi falcone ch'esce del cappello, Falco Peregrinus Linn. Move la testa, e coll'ali si plaude, Rapaci Voglia mostrando e facendosi bello, Parad., XIX, 34-36. Farfalla º Non v'accorgete voi, che noi siam vermi Metaforico. IFarèe V. nº 10. Rettile, forse serpente, quasi mitologico. IFemiCo º Fiera IFierſt l'iera Così per li gran savi si confessa, Favoloso. Che la Fenice more e poi rinasce, [sa. Quando al cinquecentesimo anno appres- Inf., XXIV, 106-108. Io vidi entrar le braccia per le ascelle, Serpente. E duo piè della fiera, ch'eran corti, [le. Tanto allungar quanto accorciavan quel- Inf., XXV, 112-114. E quale il mandrian che fuori alberga, Lungo il peculio suo queto pernotta, Guardando perchè fiera non lo sperga; Purg., XXVII, 82-84. Posasi in esso, come fiera in lustra, Tosto che giunto l'ha: e giugner puollo; Parad., IV, 127-128. Filugello e e º o o se a se e a se e e , e mi nasconde Quasi animal di sua seta fasciato. Parad., VIII, 53-54. Pombix Mori Lepidotteri Formica Formiche Così per entro loro schiera bruna S'ammusa l'una con l'altra formica, Forse a espiar lor via e lor fortuna. Purg., XXVI, 34-36. . . . . . . . ., e poi le genti antiche, Secondo che i poeti hanno per fermo, Si ristorar di seme di formiche; Inf., XXIX, 62-64. Camponotus rufus ? fuscus ? Imenotteri Camponotus rufus? fuscus ? Imenotteri È difficile precisare la specie. - Fungo marino Tanto opra poi che già si move e sente, Come fungo marino, ed indi imprende Ad organar le posse ond'è semente. Purg., XXV, 55-57. Celenterato Che intenda una specie di medusa, per es. Rhizostoma pulmo Cuv., che ha forma di fungo ? 8 8 TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. È | - i ; i 3 NOME 3 : a S CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. E : | P º DELL'ANIMALE. z, 5 | z º pa - - 121 Gallo º Non le farà sì bella sepoltura Stemma. Vipera, v. n° 274 La vipera che i Milanesi accampa, Com'avria fatto il gallo di Gallura. » Purg., VIII, 79-81. 122 Gatte Tra male gatte era venuto il sorco; Felis domestica Linn. Sorco, v. n° 246 - Inf., XXII, 58. Carnivori 123 Gazza E se alcuno volesse dire, contraddicen- Pica rustica - Pappagallo, vedi i do, che alcuno uccello parli, siccome pare Passeracei nº 179 di certi, massimamente della gazza e del pappagallo, ... . Conv., III, 7 [104-107]. 124 | 1 | Grifonº Lo spazio dentro a lor quattro contenne Favoloso ed allegorico. - Un carro, in su due rote, trionfale, Ch'al collo d'un grifon tirato venne. Purg., XXIX, 106-108. 125 | 2 | Grifonº Indi alle rote si tornàr le donne, Favoloso ed allegorico. E il grifon mosse il benedetto carco, Sì che però nulla penna crollonne. Purg., XXXII, 25-27. 126 | 3 Grifonº « Beato sei, grifon, che non discindi Favoloso ed allegorico, - Col becco d'esto legno dolce al gusto, Posciachè mal si torce il ventre quindi. » Purg., XXXII, 43-45. 127 | 4 | Grifon º Gli altri dopo il grifon sen vanno suso, Favoloso ed allegorico. Con più dolce canzone e più profonda. » Purg., XXXII, 89-90. 128 | 5 Grifoneº e e s e e - e s e s - e se e , la gente verace, Favoloso ed allegorico. - Venuta prima tra il grifone ed esso, Al carro volse sè, come a sua pace: Purg., XXX, 7-9. 129 | 6 | Grifoneº Mille disiri più che fiamma caldi Favoloso ed allegorico. Strinsermi gli occhi agli occhi rilucenti, Che pur sopra il grifone stavan saldi. Purg., XXXI, 118-120. 130 | 1 | Grnt E come i gru van cantando lor lai, Grus communis Lunn. Facendo in aer di sè lunga riga: Trampolieri Inf., V, 46-47. - 131 | 2 | Gru Poi come gru, ch'alle montagne Rife Grus communis Linn. Volasser parte, e parte inver l'arene, Trampolieri Queste del gel, quelle del sole schife; Purg., XXVI, 43-45. 132 Iaculi V. nº 10. Anche qui un rettile in- determinato. 133 Idre º E con idre verdissime eran cinte: Animali mitologici. Inf., IX, 40. TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 89 È l – a ; ; 3 INOME º i | È i CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. D 3 | E pºi DELL'ANIMALE. ºz & | z pi º pi 134 Lasca” l ................ , quando casca Leuciscus ceplmalus Astronomica. Giù la gran luce mischiata con quella Linn. Che raggia retro alla celeste lasca, Pesce Purg., XXXII, 52-54. 135 | 1 | Leon Recasti già mille leon per preda, Felis leo Linn E che, se fossi stato all'alta guerra Carnivori De'tuoi fratelli, ... ... . e e - - - e Inf., XXXI, 118-120. 136 | 2 | Leon l ................. , solo sguardando Felis leo Linn. A guisa di leon quando si posa. Carnivori Purg., VI, 65-66. 137 3 | T,00)? º Al suo Leon cinquecento cinquanta Costellazione. E trenta fiate venne questo foco A rinfiammarsi sotto la sua pianta. Parad., XVI, 37-39. i 38 4 | I,concelº Le città di Lamone e di Santerno Stemma. Conduce il leoncel dal nido bianco, Che muta parte dalla state al verno; Inf., XXVII, 49-51. 139 | 5 | Teone (Leo) ...., in Turnos ubique sicut leo desae- Felis leo Linn. viet, .... Carnivori Epist., Epistola VII [98-99]. 140 6 | Ieomeº (Leo) Arrexit namque aures misericordes leo Biblico. fortis de tribu Juda; Epist., Epistola V [16-18]. i 41 7 | Leone Ma non sì, che paura non mi desse Felis leo Linm. Allegorico. La vista che mi apparve d'un leone. Carnivori Inf., I, 44-45. 1 49 8 | Leone º E com'io riguardando tra lor vegno, Stemma. In una borsa gialla vidi azzurro, Che d'un leone avea faccia e contegno. Inf., XVII, 58-60. 143 | 9 | Leone º Siede la fortunata Calaroga, Stemma. Sotto la protezion del grande scudo, o In che soggiace il leone e soggioga. Parad., XII, 52-54. 144 | 10 | Leone º Noi sem levati al settimo splendore, Costellazione. Che sotto il petto del Leone ardente Raggia mo misto giù del suo valore. Parad., XXI, 13-15. 145 | 11 | Leoni (Leones) | Placatique ruant campis de monte leones; Felis leo Linn. Ecloghe, Ecloga I, 22. Carnivori 146 | 12 | Lioncini * I .... .... « Tendiam le reti, sì ch'io pigli Metaforico. Lionessa, v. nu- La lionessa e i lioncini al varco; » mero 147 Inf., XXX, 8-9. 147 | 13 | Lionessa º V. n° 146. Metaforico, 12 ’9 O TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. È | - gi i; ii INOMIE CITAZIONE DANTESCA E 3 | E $ DELL'ANIMALE. i o CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. 2, 5 | z p3 ºa pa 148 Lepre Che 'l cane a quella lepre ch'egli acceffa. Lepus timidus Linn. Inf., XXIII, 18. Roditori 149 Locuste Mèle e locuste furon le vivande, Ortotteri Qui non si può dire quale Che nutriro il Batista nel diserto; sia la specie. Purg., XXII, 151-152. 150 Lontra E trassel su, che mi parve una lontra. Lutra vulgaris Inf., XXII, 36. Carnivori 151 | 1 | Lonza º Ed ecco, quasi al cominciar dell'erta, Lynx vulgaris? Allegorico. Una lonza leggiera e presta molto, Mammifero carnivoro Che di pel maculato era coperta. Inf., I, 32-34. 152 2 Lonza º Io aveva una corda intorno cinta, Lynx vulgaris? Allegorico. E con essa pensai alcuna volta Mammifero carnivoro Prender la lonza alla pelle dipinta. Inf., XVI, 108-110. 153 Lucciole Come la mosca cede alla zenzara, Lampyris noctiluca, Mosca, v. n° 169 Vede lucciole giù per la vallea o, più probabilmente, º, Zenzara, v. nº 280 Forse colà dove vendemmia ed ara; Lucciola italica, Linn. Inf., XXVI, 28-30. Coleotteri 154 Lumaccia E gli orecchi ritira per la testa, Limax agrestis Linn. Come face le corna la lumaccia; oppure, potrebbe essere Inf., XXV, 131-132. l'Arion empiricorum Linn. Molluschi gasteropodi 155 | 1 | Lupa º E d'una lupa, che di tutte brame Allegorico. Sembiava carca nella sua magrezza, E molte genti ſe già viver grame. Inf., I, 49-51. 156 | 2 | Lupa º Maledetta sie tu, antica lupa, Allegorico. Che più di tutte l'altre bestie hai preda, Per la tua fame senza fine cupa l Purg., XX, 10-12. 157 | 3 | Lupiº Tanto più trova di can farsi lupi Metaforico, - Purg., XIV, 50. 158 | 4 | Lupi º Io veggio tuo nipote, che diventa Metaforico. Cacciator di quei lupi, in su la riva Del fiero fiume, e tutti gli sgomenta. Purg., XIV, 58-60. 159 | 5 | Lupi Sì si starebbe un agno intra due brame Canis lupus Linn. Di fieri lupi, egualmente temendo; Carnivori Parad., IV, 4-5. TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE, 91 - È | - i fi i; fi i NOME CITAZIONE DANTESCA CLASSIFICAZIONE OSSERV -: d - l i. 4 NI. 53 | 5 È | DELL'ANIMALE. RVAZIONI 2, 3 | z, p3 º p4 160 6 | Lupi Nimico ai lupi, che gli danno guerra; Canis lupus Linn, Parad., XXV, 6. Carnivori 161 | 7 | Lupiº In vesta di pastor lupi rapaci Metaforico. Si veggion di quassù per tutti i paschi: Parad., XXVII, 55-56. 162 8 | Lupicini º Cacciando il lupo e i lupicini al monte Metaforico? Lupo, v. nº 164 Per che i Pisan veder Lucca non ponno. Inf., XXXIII, 29-30. 163 9 | Lupo º E disse: «Taci, maledetto lupo: Metaforico, Consuma dentro te con la tua rabbia. Inf., VII, 8-9. 164 | 10 | Lupo º V. n° 162. Metaforico. 165 | 11 | Lupo Perocchè fatto ha lupo del pastore. Canis lupus Linn. Parad., IX, 132. Carnivori 166 Mastino l . . . . . . . . , e mai non fu mastino sciolto Canis familiaris Con tanta fretta a seguitar lo furo. Carnivori Inf., XXI, 44-45. 167 Merlo Tanto ch'io volsi in su l'ardita faccia, Merula vulgaris Linn. Gridando a Dio: «Omai più non ti temo; » Passeracei Come fa il merlo per poca bonaccia. Purg., XIII, 121-123. 168 lMinotauro º Vid'io lo Minotauro far cotale. ITavoloso. Inf., XII, 25. 169 1 | Mosca Come la mosca cede alla zenzara, Musca domestica Linn. Zenzara, v. n° 280 Inf., XXVI, 28. Insetti ditteri 170 2 | Mosche Non altrimenti fan di state i cani, Musca domestica Linn. Or col ceffo or coi piè, quando son mor- Insetti ditteri O da pulci o da mosche. . . . . . . u [si Inf., XVII, 49-51. 171 3 | Mosconi l . . . . . . . . . . . . e stimolati molto Ditteri Vespe, v. n° 273 Da mosconi e da vespe ch'erano ivi. Inf., III, 65-66. 172 Mul Vita bestial mi piacque, e non umana, Equus mulus Metaforico. Sì come a mul ch'io fui: ..... ibrido del cavallo Inf., XXIV, 124-125. e dell'asina l'erissodattili - l 92 TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. mº pi - i - - i; | i 3 NOME - È È | È si CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. E : E º DELL'ANIMALE. ºz, co 2, º - a pri vas- p4 so 173 lNibbio Meglio sarebbe a voi, come rondine vo- | Falco Milvus Linn. Rondine, v. n° 216 | lare basso, che come nibbio altissime rote l'apaci fare sopra cose vilissime. Conv., IV, 6 [187-190]. 174 Oca º ; Vidine un'altra come sangue rossa Anser cinereus Linn. Stemma. Mostrare un'oca bianca più che burro. Inf., XVII, 62-63. 175 l OrSa º E veramente fui figliuol dell'orsa, Indicazione di famiglia. Orsatti, v. n° 176 Cupido sì per avanzar gli orsatti, Che su l'avere, e qui me misi in borsa. Inf., XIX, 70-72. 176 | 2 | Orsatti º V. no 175. Indicazione di famiglia. 177 | 3 | Orsi º E qual colui che si vengiò con gli orsi, Leggendari. Inf., XXVI, 34. 178 Palafreni Cuopron dei manti loro i palafreni, Equus caballus Linn. Sì che due bestie van sott'una pelle: Perissodattili Parad., XXI, 133-134. 179 Pappagallo V. n° 123. Rampicanti Uccelli 180 | 1 | Pecora e Pecore Questi sono da chiamare pecore, e non Ovis aries Linn. a uomini: chè se una pecora si gittasse da Artiodattili una ripa di mille passi, tutte l'altre le andrebbono dietro; e se una pecora per alcuna cagione al passare d'una strada salta, tutte le altre saltano, eziandio nul- la veggendo da saltare. Conv., I, 11 [58-65]. 181 | 2 | Pecora (ovis) Est mecum, quam noscis, ovis gratissima.... Ovis aries Linn. Ecloghe, Ecloga I, 58. Artiodattili 182 | 3 | Pecore V. no 78. Ovis aries Linn. Artiodattili 183 | 4 | Pecore V. nº 79. Ovis aries Linn. Artiodattili 184 | 5 | Pecore Me foste state qui pecore o zebe! Ovis aries Linn. Zebe, v. nº 279 Inf., XXXII, 15. Artiodattili 185 | 6 | Pecore Senza danno di pecore o di biade. Ovis aries Linn. Purg., XXXIII, 51. Artiodattili 186 | 7 | Pecore Uomini siate, e non pecore matte, Ovis aries Linn. Metaforico. Parad., V, 80. Artiodattili 187 | 8 | Pecore e e - o o - - e e - e il maledetto fiore Ovis aries Linn. Metaforico. C ha disviate le pecore....... Artiodattili Parad., IX, 130-131. TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 93 i i i NOMIE DELL'ANIMALE. CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. 1 S 8 189 190 191 10 11 12 14 Pecore Pecorelleº (Ovibus) Pecorelle (Oves) Pecorelle Pecorelle Pecorelle E quanto le sue pecore remote E vagabonde più da esso vanno, Più tornano all'ovil di latte vote. Ben son di quelle che temono il danno, E stringonsi al pastor;..... Parad., XI, 127-131. Quippe de ovibus pasculis Jesu Christi minima una sum; .... Epist., Epistola VIII [70-72.] ...., ut Hectoreus pastor vos oves de Epist., Epislola V [86-87]. E fuor le pecorelle a pascer caccia: Inf., XXIV, 15. Come le pecorelle escon del chiuso Ad una, a due, a tre, e l'altre stanno Timidette atterrando l'occhio e il muso; E ciò che fa la prima, e l'altre fanno, Addossandosi a lei s'ella s'arresta, [no: Semplici e quete, e lo 'mperchè non san- Purg., III, 79-84. Sì che le pecorelle, che non sanno, Tornan dal pasco pasciute di vento, E non le scusa non veder lor danno. Parad., XXIX, 106-108. Ovis aries Linn, Artiodattili Ovis aries Linn. Artiodattili Ovis aries Linn. Artiodattili Ovis aries Linn. Artiodattili Ovis aries Linn. Artiodattili Metaforico. Metaforico. Metaforico. Metaforico. Pellicano º «Questi è colui che giacque sopra il petto Del nostro Pellicano, ... ... s e Parad., XXV, 112-113. Simbolico. 196 197 198 199 Pesce Pesce Scardova,v. n° 218 Pesci º º si s a º o a º - , disparve per lo foco, [do. Come per l'acqua pesce andando al fon- Purg., XXVI, 134-135. E sì traevan giù l'unghie la scabbia, Come coltel di scardova le scaglie, O d'altro pesce che più larghe l'abbia. Inf., XXIX, 82-84. Come in peschiera, ch'è tranquilla e pura, Traggonsi i pesci a ciò che vien di fuori, Per modo che lo stimin lor pastura; Parad., V, 100-102. Piche º l'iche (picis) Seguitando il mio canto con quel suono Di cui le Piche misere sentiro Lo colpo tal, che disperàr perdono. - IPurg., I, 10-12. Si vero contra argumentetur quis de eo quod Ovidius dicit in quinto Metamorfo- seos de picis loquentibus, dicimus quod hoc figurate dicit, aliud intelligens. De Vulg. Elog., Lib. I, cap. 6. Pica rustica Linn. Pichez Gazze, ma per es- se D. intende le figlie di Pierio re di Tessaglia. – Mitologico. 9 4 TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. È l - si i; | i 3 NOMIE - - º i i si CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. E : E DELL'ANIMALE. 2, $ | 2, pe; gli 200 Pole E come, per lo natural costume, [no Lucos monedula In italiano taccola, ancor Le pole insieme al cominciar del gior- corvide " dialetto veneto, det- Si muovono a scaldar le fredde piume; Passeracei º Poi altre vanno via senza ritorno, Altre rivolgon sè onde son mosse, Ed altre roteando fan soggiorno; Parad., XXI, 34-39. 201 Porci Quanti si tengon or lassù gran regi, Sus scrofa Linn. Che qui staranno come porci in brago, Artiodattili Inf., VIII, 49-50. 202 Porci Tra brutti porci, più degni di galle, Sus scrofa Linn. Che d'altro cibo fatto in uman uso, Artiodattili Purg., XIV, 43-44. 203 Porco Di questo ingrassa il porco Sant'Antonio, Sus scrofa Linn. Ed altri ancor che son assai più porci, Artiodattili Parad., XXIX, 124-125. 204 Porco Similemente a colui che venire Sus scrofa Linn. Sente il porco e la caccia....... Cignale Inf., XIII, 112-113. 205 Porco E Ciriatto, a cui di bocca uscìa Sus scrofa Linn. D'ogni parte una sanna come a porco, Artiodattili Gli fe sentir come l'una sdrucìa. Inf., XXII, 55-57. 206 Porco l . . . . . . . . in due ombre smorte e nude Sus scrofa Linn. Che mordendo correvan di quel modo Artiodattili Che il porco quando del porcil si schiude. Inf., XXX, 25-27. 207 Pulci Non altrimenti fan di state i cani, Pulex canis Linn. Or col ceffo or coi piè, quando son mor- Ditteri O da pulci. . . . . . . . . . . . . . . . . . [si Inf., XVII, 49-51. 208 Ragni Jacet Gregorius tuus in telis aranea- Metaforico (Aranearum) 2'tt mt; . . . . Epist., Epistola VIII [114]. 209 Ramarro Come il ramarro, sotto la gran fersa Lacerta viridis De' dì canicular cangiando siepe, Sauri Folgore par, se la via attraversa: Inf., XXV, 79-81. 210 Rana Uno aspettar così, com'egli incontra Rana esculenta Che una rana rimane, ed altra spiccia. Jnf, XXII, 32-33. Anfibi TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 95 H - E | - i 5 g | i : NOMIE E i E S CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. i 23 | E i DELL'ANIMALE. º 5 | a º 211 | 2 | Rana Vòlto era in su la favola di Isopo Rana esculenta Topo, v. n° 254 Lo mio pensier per la presente rissa, Anfibi Dov'ei parlò della rana e del topo: Inf., XXIII, 4-6. 212 | 3 | Rana E come a gracidar si sta la rana Rana esculenta Col muso fuor dell'acqua, quando sogna Anfibi Di spigolar sovente la villana: Inf., XXXII, 31-33. 213 | 4 | Rane Come le rane innanzi alla mimica Rana esculenta Biscia per l'acqua si dileguan tutte, Anfibi. Fin che alla terra ciascuna s'abbica; Inf., IX, 76-78. 214 | 5 | Ranocchi E come all'orlo dell'acqua d'un fosso Rana esculenta Stanno i ranocchi pur col muso fuori, Anfibi Sì che celano i piedi e l'altro grosso; Inf., XXII, 25-27. I , 215 | 1 | Rondine “ Una rondine non fa primavera.' Hirundo rustica Linn. O Chelidon urbica? Conv., I, 9 [62]. Passeracei 216 | 2 | Rondine Meglio sarebbe a voi, come rondine vo- Hirundo rustica Linn. lare basso, che come nibbio altissime rote Passeracei fare sopra cose vilissime. Conv., IV, 6 [187-190]. 2it | 3 | Rondinella Nell'ora che comincia i tristi lai PHirundo rustica Linn. O Chelidon urbica ? La rondinella presso alla mattina, Passeracei Forse a memoria dei suoi primi guai, Purg., IX, 13-15. 218 Scardova Come coltel di scardova le scaglie, Leuciscus O d'altro pesce che più larghe l'abbia. | leucophthalmus Linn. Inf., XXIX, 83-84. (Scardinius leucophthalmus Bnp.) 219 | 1 | Scimia E ti dei ricordar, se ben t'adocchio, Primati Metaforico. Com'io fui di natura buona scimia. » Inf., XXIX, 138-139. 220 | 2 | Scimie (Simiae) ...., grammaticam tamquam simiae ho- Primati mines imitantes; . . . . De Vulg. Eloq., Lib. I, cap. 11. 221 | 3 | Scimia ..; e che alcuna bestia fa atti, ov- Primati vero reggimenti, siccome pare della sci- mia e d'alcun altro .... Conv., III, 7 [107-109]. 222 | 1 Scorpio ºfe Ora era onde il salir non volea storpio, Astronomico (segno dello Tauro, v. n° 252 Chè il sole aveva il cerchio di merigge Lasciato al Tauro e la notte allo Scorpio: Purg., XXV, 1-3. ºr Zodiaco). 96 TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 2 º ” a È l ai i; is NOME CITAZIONE DANTESCA CLASSIFICAZIONE OSSERVAZIONI IN d º o i lis È DELL'ANIMALE. -t 3 P4 gli - 223 | 2 | Scorpion Nel vano tutta sua coda guizzava, Aracnidi Torcendo in su la venenosa forca, Scorpionidi Che a guisa di scorpion la punta armava. - Inf., XVII, 25-27. 224 | 3 | Scorpione V. n° 16. Aracnidi Scorpionidi 225 Scrofa º Ed un, che d'una scrofa azzurra e grossa Stemma. Segnato avea lo suo sacchetto bianco, Inf., XVII, 64-65. 226 | 1 | Serpente Itaque, si culpa vetus non obest, quae (Serpentis) plerumque serpentis modo torquetur et vertitur in se ipsam,.... Epist., Epistola V [94-96] 227 | 2 | Serpente Et Libyus coluber quod squama verrat Rettili ofidiani (Coluber) arenas, Non miror.... Ecloghe, Ecloga II, 23. 228 | 3 | Serpente º V. nº 35. Riblico. 229 | 4 | Serpente º E d'un serpente tutto l'altro fusto. Favoloso. Inf., XVII, 12. 230 | 5 | Serpente º Com'io tenea levate in lor le ciglia, Fantastico. Ed un serpente con sei piè si lancia Dinanzi all'uno, e tutto a lui s'appiglia. Co' piè di mezzo gli avvinse la pancia, E con gli anterior le braccia prese; Poi gli addentò e l'una e l'altra guan- Gli deretani alle cosce distese, [cia. E miseli la coda tr'ambe e due, E dietro per le ren su la ritese. Inf., XXV, 49-57. 231 | 6 | Serpente º Egli il serpente, e quei lui riguardava. Fantastico. Inf., XXV, 91. 232 | 7 | Serpenteº Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio: [te Fantastico. Chè se quello in serpente, e quella in fon- Converte poetando, io non l'invidio: Inf., XXV, 97-99. 233 | 8 | Serpente º Ed ecco ad un, ch'era da nostra proda, IFantastico. S'avventò un serpente, che il trafisse Là dove il collo alle spalle s'annoda. Inf., XXIV, 97-99. 234 | 9 | Serpente º Insieme si risposero a tai norme, Fantastico. Che il serpente la coda in forca fesse, E il feruto ristrinse insieme l'orme. Inf., XXV, 103-105. TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 97 i # È 3 NOME CITAZIONE DANTESCA CLASSIFICAZIONE 3 g 2. È DELL'ANIMALE. º º osservazioni p3 P4 pi 235 | 10 | Serpente Sentendo fender l'aere alle verdi ali, Rettili ofidiani Fuggì 'l serpente, ... . . . . . Purg., VIII, 106-107. 236 | 11 | Serpentelli V. nº 87. | 237 | 12 | Serpentello Così parea, venendo verso l'epe Fantastico. Degli altri due, un serpentello acceso, Livido e nero come gran di pepe. Inf., XXV, 82-84. | 6) 238 | 13 | Serpenti E prima poi ribatter gli convenne Rettili ofidiani l Li duo serpenti avvolti con la verga, Che riavesse le maschili penne. Inf., XX, 43-45. 239 | 14 | Serpenti E vidivi entro terribile stipa Di serpenti, e di sì diversa mena, [pa. Che la memoria il sangue ancor mi sci- Inf., XXIV, 82-84. 240 | 15 | Serpi Ben dovrebb'esser la tua man più pia, Se state fossim'anime di serpi. » Inf., XIII, 38-39. 241 | 16 | Serpi Con serpi le man dietro avean legate: Quelle ficcavan per le ren la coda E il capo, ed eran dinanzi aggroppate. Inf., XXIV, 94-96. 1 242 | 17 | Serpi Da indi in qua mi fùr le serpi amiche, Perch'una gli s'avvolse allora al collo, Come dicesse: « Io non vo' che più di- Ed un'altra alle braccia, e rilegollo, ſche: » Ribadendo sè stessa sì dinanzi, Che non potea con esse dare un crollo. Inf., XXV, 4-9. 243 1 | Sirema º «Io son, » cantava, « io son dolce Sirena, Mitologico. Che i marinari in mezzo mar dismago; Tanto son di piacere a sentir piena. Purg., XIX, 19-21. 244 2 | Sireneº Canto, che tanto vince nostre Muse, Mitologico, Nostre Sirene, in quelle dolci tube, Parad., XII, 7-8. 245 3 | Sirene º Nec seducat illudens cupiditas, more Mitologico. (Sirenae) sirenum, . . . . Epist., Epistola V [59-60]. 246 Sorco Tra male gatte era venuto il sorco; Mus musculus? Inf., XXII, 58. IRoditori 9 8 TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. Che 'l cieco agnello, ... .... a e Parad., XVI, 70-71. Ruminanti artiodattili - b-t È i-l r-; i i 3 NOMIE ſi tenei - t d È $ 5 È DELL'ANIMALE. CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI. 2, $ | 24 pº Plt - 247 1 Sparvier Ma l'altro fu bene sparvier grifagno Accipiter misus Linn. Metaforico. Ad artigliar ben lui, ed ambo e due Uccelli rapaci Cadder nel mezzo del bogliente stagno. Inf., XXII, 139-141. 248 | 2 | Sparvier Chè a tutte un fil di ferro il ciglio fora, Accipiter nisus Linn. E cuce sì, come a sparvier selvaggio Uccelli rapaci Si fa, però che queto non dimora. Purg., XIII, 70-72. 249 Stornei E come gli stornei ne portan l'ali Sturnus vulgaris Nel freddo tempo, a schiera larga e pie- Uccelli passeracei Così quel fiato gli spiriti mali. [na, Inf., V, 40-42. 250 Tafani V. no 71. Tabanus Ditteri 251 Talpe Ricorditi, lettor, se mai nell'alpe Talpa coeca Linn. Ti colse nebbia, per la qual vedessi Mammiferi insettivori Non altrimenti, che per pelle talpe; Purg., XVII, 1-3. 252 Tattro º Chè il sole aveva il cerchio di merigge Astronomico. Lasciato al Tauro. . . . . . . . . . . Purg., XXV, 2-3. 253 Tigri (Tigres) Caucason Hyrcanae maculent quod san- Felis tigris Linn. guine tigres, Carnivori Ecloghe, Ecloga II, 22. 254 Tºpº l .................................. Mus musculus ? Dov'ei parlò della rana e del topo: Mammiferi roditori Inf., XXIII, 5-6. 255 | 1 | Torello º ... ... : « Nella vacca entra Pasife, Mitologico. Vacca, v. n° 264 Perchè il torello a sua lussuria corra. » Purg., XXVI, 41-42. 256 | 2 | Toro Qual è quel toro che si slaccia in quella Bos taurus Linn. Che ha ricevuto già 'l colpo mortale, IRuminanti artiodattili s.' Che gir non sa, ma qua e là saltella, Inf., XII, 22-24. 257 | 3 | Toro E cieco toro più avaccio cade Bos taurus Linn. TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 99 Purg., X, 129, altrove, una larva d'inset- to, piuttosto che un vero VOI'Ill0, - È | - i ; ; i 3 NOME CITAZIONE DANTESCA CLASSIFICAZIONE OSSERVAZ i5 | È È | DELL'ANIMALE. e - I ÈVAZIONI. ºz, 5 | z, si ſº º pi 258 Uccel che a can- Dell'empiezza di lei, che mutò forma Philomela luscinia far ec. Nell'uccel che a cantar più si diletta, Passeracei (Usignuolo) Nell'immagine mia apparve l'orma: Purg., XVII, 19-21. 259 Uccello Come il falcon ch'è stato assai sull'ali, Che senza veder logoro o uccello, Fa dire al falconiere: Oimè tu cali: Inf., XVII, 127-129. 260 | 1 | Uccel di Dio º V. no 29. Aquila. 261 | 2 | Uccel di Giove º V, nº 25. Aquila. 262 Uccellin Mentre che gli occhi per la fronda verde Ficcava io così, come far suole Chi retro agli uccellin sua vita perde, Purg., XXIII, 1-3. 263 | 1 | Vacca º E in su la punta della rotta lacca Mitologico. L'infamia di Creti era distesa, Che fu concetta nella falsa vacca: Inf., XII, 11-13. 264 | 2 lVacca º E l'altra: «Nella vacca entra Pasife, Mitologico. Perchè il torello a sua lussuria corra. » Purg., XXVI, 41-42. 265 | 1 Veltri Come veltri che uscisser di catena. Canis familiaris var. Inf., XIII, 126. Carnivori 266 | 2 | Veltro º Molti son gli animali a cui s'ammoglia, Allegorico. E più saranno ancora, infin che il veltro Verrà, che la farà morir di doglia. Inf., I, 100-102. 267 | 1 | Vermi Elle rigavan lor di sangue il volto, Che, mischiato di lacrime, ai lor piedi, Da fastidiosi vermi era ricolto. Inf., III, 69-71. 268 | 2 Vermi V. n° 111. Metaforico. 269 | 3 Vermo Che gli animali infino al picciol vermo - Cascaron tutti, ... ... ... . Inf., XXIX, 61-62. 270 | 4 lVermo Sì come vermo in cui formazion falla? Forse qui intende, come TAVOLA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. 100 mi E ra ri i 3 i 3 NOME È : E si - CITAZIONE DANTESCA. CLASSIFICAZIONE. OSSERVAZIONI, E 3 | E º DELL'ANIMALE. ºz, 3 | zi Ci º p4 271 | 5 | Vermo º Ed egli a me: «Tu immagini ancora Metaforico. D'esser di là dal centro ov'io mi presi Al pel del vermoreo che il mondo fora. Inf., XXXIV, 106-108. 272 | 1 | Vespa E come vespa che ritragge l'ago, Vespa vulgaris Linn. ? e Purg., XXXII, 133. Insetti imenotteri 273 | 2 | Vespe V. n° 171. Vespa vulgaris Linn. ? Insetti imenotteri 274 Vipera º V. nº 121. Stemma. 275 Vipistrello Non avean penne, ma di vipistrello Mammiferi chirotteri Era lor modo; e quelle svolazzava, Sì che tre venti si movean da ello. Inf., XXXIV, 49-51. 276 | 1 | Volpe | .............. , l'opere mie Vulpes vulgaris Non furon leonine, ma di volpe. Carnivori Inf., XXVII, 74-75. 277 2 Volpe si Poscia vidi avventarsi nella cuna Allegorico. Del trionfal veiculo una volpe, Che d'ogni pasto buon parea digiuna. Purg., XXXII, 118-120. 278 | 3 | Volpi º Discesa poi per più pelaghi cupi, Metaforico. - Trova le volpi sì piene di froda, Che non temono ingegno che le occupi. Purg., XIV, 52-54. 279 Zebe Me foste state qui pecore o zebe? Forse qui zebe significa Inf., XXXII, 15. capre. 280 Zenzara V. n° 153. Culex pipiens Linn. Insetti ditteri s: :: º e - - e e o -- TAVOLA RIASSUNTIVA DEGLI ANIMALI RICORDATI NELLE OPERE DI DANTE. I numeri corrispondono a quelli progressivi della TAVOLA DEGLI ANIMALI. TIPO VERTEBRATI. CLASSE PRIMA: MAMMIFERI – Ordine Primati: 219, 220, 221. S) X) X) Insettivori: 251. X) X) X) Chirotteri: 275. S X) » Carnivori: 52, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 71, 72, 122, 135, 136, 139, 141, 145, 150, 159, 160, 165, 166, 253, 265, 276. X» X) » Roditori: 47, 148, 246, 254. 2) ) » Cetacei: 42, 101. X) > » Artiodattili: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 44, 54, 56, 58, 59, 60, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 100, 180, 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188, 190, 191, 192, 193, 201, 202, 203, 204, 205, 206, 256, 257. X) X » Proboscidati: 105. X) X, » Perissodattili: 83, 172, 178. 102 TAVOLA RIASSUNTIVA DEGLI ANIMALI RICORDATI EC. CLASSE SECONDA: UCCELLI – Ordine Rapaci: 20, 21, 28, 32, 106, 107, 108, 109, 110, 173, 247, 248. X) X) » Passeracei: 9, 99, 123, 167, 199, 200, 215, 216, 217, 249, 258. X) X) 2) Colombacei: 95, 96, 97. > X) » Rampicanti: 179. X) X) » Trampolieri: 37, 90, 91, 92, 130, 131. X X) » Palmipedi: 15, 93. > Uccelli in generale: 38, 39, 40, 41, 259, 262. CLASSE TERZA: RETTILI – Ordine Sauriani: 10, 209. 2) > » Ofidiani: 48, 49, 50, 51, 86, 87, 98, º 222, 235. X, Rettili in generale: 11, 226, 236, 237, 238, 239, 240, 241, 242. CLASSE QUARTA: ANFIBI (in generale): 210, 211, 212, 213, 214. CLASSE QUINTA: PESCI (in generale): 12, 13, 134, 195, 196, 197, 218. TIPO MOLL US CH |. CLASSE dei GASTEROPODI: 154. –s-ra- TIPO ARTRO PODI. CLASSE degli INSETTI – Ordine Ortotteri: 149. 2) X) X) Rincoti: 94. > X) 2) Ditteri: 169, 170, 171, 207, 250, 280. X) 2) » Lepidotteri: 14, 117. X) 2) > Coleotteri: 153. X) 2) y Imenotteri: 17, 18, 19, 118, 119, 272, 273. CLASSE degli ARACNIDI – Ordine Scorpionidi: 16, 223, 224. 2, 2) X» Araneidi : 33, 208. TIPO VERMI. (in generale): 267, 268,269, 270. PARTE SECONDA. - IL ARTE NELLA GEORGICA DANTESCA. PR OEMIO. Come già abbiamo avvertito nella prima Parte di questo lavoro, ci proponiamo di raccogliere e coordinare nelle pagine seguenti quanto si riferisce alla Georgica dantesca, considerata sotto l'aspetto artistico. Stabilito il valore tecnico, determinato il conto che oggi si può fare delle osservazioni di Dante, sorgeva spontanea la domanda: arti- sticamente come si è egli servito di questo materiale ? Non è da stupire che Dante, volendo trattare nel suo Poema delle più ardue, gravi e delicate questioni umane, per la maggior parte consacrate dal dolore e dal pianto di tante generazioni, si rivolgesse così spesso a domandare ispirazioni alla Natura, e più precisamente alla campagna, la quale (si può asserirlo con sicurezza) gli fu sempre benigna, concedendogli immagini numerose e suggerendogli splendide similitudini. Osservò giustamente lo STOPPANIº: « quale preferite voi?... Il Cosmos dell'Humboldt che vi arresta ai confini della materia, o il Poema sacro che in una sintesi perfetta la natura, l'uomo e Dio mi- racolosamente congiunge? » Dante ebbe fantasmi paurosi nella Cantica dell'eterno dolore, im- magini di conforto e di perdono in quella delle pene temporali; e di letizia e di gioia in quella che celebra le pure e grandiose bel- lezze della virtù ricompensata. Egli conosceva e amava profondamente la campagna, e ne risentiva (!) ANTONIo STOPPANI, Il sentimento della natura e la Divina Commedia, Milano, Tip. G. Bernardoni, 1865, pag. 4. 14 106 PROEMIO. e ritraeva, con incomparabile maestria, il fascino che, simile all'aura di maggio, la quale e e e a º º o muovesi ed olezza Tutta impregnata dall'erba e da fiori, si diffonde dolcemente per tutto il Poema, e altresì in molte delle Rime, e anima talvolta le trattazioni scientifiche del Convivio e del De vulgari eloquentia e certe solenni parti pur delle Epistole. E quelle immagini tolte dalla Natura, vivide, precise, eleganti, si possono chia- mare, con giusta ragione, veri fiori letterari. Or bene, ci proponemmo di riunire tutte queste similitudini, tutti questi motivi campestri, tutta quest'arte georgica, insomma, che sparsa come è, specie nel Poema, non potrebbe far riconoscere sufficientemente siffatto aspetto delle facoltà poetiche di Dante. Ben s'intende che non abbiam creduto di dover raccogliere proprio tutte tutte le citazioni dan- tesche: se la frase non fosse meno che riverente per il Poeta, diremmo che non si volle fare d'ogni erba un fascio, ma d'ogni fiore ghirlanda. Nè deve recar meraviglia che sieno così numerose le citazioni che esamineremo, poichè, pur dove prevale l'osservazione scientifica, non manca quasi mai la visione artistica: anzi spesse volte finisce col diventare specialmente, o nient'altro che un'immagine o una rap- presentazione poetica, anche un concetto che sorse dapprima nella mente di Dante come un puro vero. Ci sono poi alcuni passi che non si saprebbe, se considerare piuttosto sotto l'aspetto artistico che sotto il rispetto scientifico. Ne abbiam tenuto conto nella categoria che meglio si presentava opportuna. Nè ora, fatta questa avvertenza, ci crediamo obbligati a discutere le singole assegnazioni. Per non rendere poi questa raccolta di citazioni fastidiosa e sle- gata, le abbiamo raggruppate in quattro capitoli distinti, e quanto era possibile omogenei, che sono i seguenti: 1° La vita di campagna; 2° Forme proverbiali e modi di dire georgici; 3° Descrizioni di fenomeni meteorologici; 4° La caccia. Anche da un tale esame si vedrà che, se la Divina Commedia non si può chiamare propriamente un componimento georgico, pure essa PROEMIO. 107 ha colla vita e scienza de campi moltissime attinenze; e si com- prenderà altresì, col riscontro delle altre opere, che il Poeta sentiva ed amava la campagna, secondo il valore comprensivo che ha nell'uso moderno questa parola. Molti hanno studiato il sentimento della Natura in Dante; ma non è questo propriamente quello che noi chiamiamo sentimento georgico. Il cosiddetto sentimento della Natura è più generico. Nè occorre qui fermarci a dimostrare un'asserzione così comunemente accettata e nemmeno è il caso di rilevare i caratteri della poesia georgica ita- liana º : basterà ricordare solo le differenze fondamentali che passano tra i poeti bucolici latini (ai quali per le due Ecloghe deve essere ascritto Dante) e le forme della georgica volgare, che da accenni sparsi, da frammenti, perviene, a grado a grado, nel secolo XVI alla più piena manifestazione col poema didascalico. Crediamo altresì opportuno avvertire come, anche per le osser- vazioni notevoli dello SCHERILLoº, si debba credere ormai che Dante non conoscesse le Georgiche virgiliane, ossia quella che sarebbe stata per lui la fonte più ricca d'ispirazioni pur nella poesia campestre. Se altri hanno nelle dissertazioni sull'arte dantesca studiato questo o quel passo, questa o quella similitudine, non studiarono ordinata- mente ed esclusivamente l'arte georgica, per quanto sappiamo. Non osiamo sperare che il nostro esame riesca così pieno ed efficace, da far risaltare tutta l'arte sublime della Georgica di Dante: altri con più potenza e fortuna saprà meglio rivelare le bellezze che vi ha profuse il genio del massimo nostro Poeta, e che consistono princi- palmente nella precisione e concisione di linguaggio, fuse meravi- gliosamente colla più colorita potenza fantastica. Ci sarà, in ogni modo, di vivissima soddisfazione l'avere non certo aperta, ma più chiaramente segnata, una via ad utili osservazioni in servigio di chi tornerà a studiare l'opera dantesca sotto l'aspetto georgico. º) Sul valore della poesia georgica italiana, vedi, p. es., alcune osservazioni di V. CIAN, nel Giorn. stor. della lett. ital., fasc. 69, pag. 445-47. º Op. cit.; e cfr. Giorn. stor. della letter. ital., fasc. 90, pag. 456. CAPIToLo PRIMo. LA VITA DI CAMPAGNA. S 1. L'aurora e il mattino. – S 2. Il contadino. – S 3. Gli animali sull'aia e nel cortile. – S 4. Quadretti di animali campestri. – S 5. Terreni brulli, palustri e piante selvatiche. – S 6. Terreni fertili ed irrigati. – Vegeta- zione rigogliosa. – S 7. Lavori ed occupazioni del contadino. – S 8. Le api. – S 9. La pastorizia. – S 10. L'imbrunire e la notte in campagna. – Il riposo del contadino. S 1. L'AURORA E IL MATTINO. Uno degli spettacoli più belli, che sia dato di ammirare ad occhio umano, è certamente quello dell'aurora e del sorgere del sole, specie se osservato all'aperto, in campagna. La natura, che si risveglia dal riposo della notte, acquista un meraviglioso complesso di colori e di forme nuove, sotto l'azione dell'amoroso bacio dei raggi nascenti. E questo spettacolo doveva certamente aver com- mosso più volte il Poeta, poichè egli usò spesso l'aurora come simi- litudine per raffigurare non solo atti o pensieri che si riferiscono a Beatrice, ma anche alla Vergine. * Ed ecco con quali bellissimi versi Dante descrive un'aurora: Dolce color d' oriental zaffiro, Che s'accoglieva nel sereno aspetto Del mezzo, puro infino al primo giro, Agli occhi miei ricominciò diletto, Tosto ch'i' uscii fuor dell'aura morta, Che m'avea contristati gli occhi e il petto. Lo bel pianeta che ad amar conforta, Faceva tutto rider l'oriente, Velando i Pesci ch'erano in sua scorta. (Purg., I, 13-21) 110 CAPITOLO PRIMO. Di questi versi ToMMAso CASINI scrive º « Dante esce dalle tenebre alla luce, dal regno dell'oscurità pro- fonda ed incresciosa a quello degli splendori puri e lieti; e la prima impressione è quella dell'uomo che, liberato dall'oppressione d'esser chiuso in luogo buio, alza gli occhi al cielo e s'inebria della luce che lo circonda. Dice dunque, che il colore azzurrino, che appariva nell'aria purissima fino all'estremo orizzonte, fece provare ai suoi occhi un grande diletto. . . . . X» È felice nella sua precisione la comparazione del colore: Dolce color d'oriental zaffiro; poichè il colore di questa pietra è di un tenue azzurro, precisamente simile a quello del cielo durante l'aurora”. * Un'altra rappresentazione di un'aurora l'abbiamo nell' Epi- stola V [1-8], così : “Ecce nunc tempus acceptabile, quo signa surgunt consolationis et pacis. Nam dies nova splendescit albam demonstrans, quae iam tenebras diuturnae calamitatis attenuat; iamque aurae orientales crebrescunt: rutilat coelum in labiis suis et auspicia gentium blanda serenitate confortat. . . . . º Dante nota pure l'effetto che produce l'oriente più illuminato che l' occidente: Io levai gli occhi; e come da mattina Le parti oriental dell'orizzonte Soperchian quella dove il sol declina, Così, quasi di valle andando a monte, Con gli occhi vidi parte nello estremo Vincer di lume tutta l'altra fronte. (Par., XXXI, 118-123) * Ed è pure da rilevarsi la dolcezza di linguaggio, colla quale ci dipinge un mattino: Tempo era dal principio del mattino; E il sol montava su con quelle stelle Ch'eran con lui quando l'amor divino Mosse da prima quelle cose belle. (Inf., I, 37-40) * E per chiudere degnamente questa serie di descrizioni degli aspetti celesti, è cosa opportuna riportare il seguente passo, che LUIGI (*) Commento cit., pag. 253. (*) Su questo passo vedi la Chiosa dantesca, di A. SERENA, nel Giorn, dantesco, anno VI, 1898, pag. 88 e 89. LA VITA DI CAMPAGNA. 111 VENTURI chiama: « una fra le più belle similitudini del poema per ver rità di colore e dolcezza di versi »". Esso si riferisce al nascere del sole, e serve di principio al racconto (che doveva essere, ed è splen- dido) dell'apparizione di Beatrice nel Paradiso terrestre: Io vidi già nel cominciar del giorno La parte oriental tutta rosata, E l'altro ciel di bel sereno adorno, E la faccia del sol nascere ombrata, Sì che per temperanza di vapori L'occhio la sostenea lunga fiata. (Purg., XXX, 22-27) La luce così dolce del sole nascente, tale da poter esser fissata dal- l' occhio umano, ispirò un'immagine semplice, ma nello stesso tempo gentile, bene appropriata al concetto, e che vale a testimoniare l'arte finissima di Dante anche nell'esprimere i minimi particolari di un fenomeno così maestoso. * Per l'opposto, abbiamo la descrizione della luce solare che, ap- pressandosi il pomeriggio, diviene così viva da non poter esser soste- nuta dall'occhio umano. Questa luce eccessiva nasconde altresì la figura del sole medesimo. Ecco i versi, bellissimi, che devon signi- ficare come Dante non potesse sostenere la vista dell'angelo: Ma come al sol, che nostra vista grava, E per soperchio sua figura vela, Così la mia virtù quivi mancava. (Purg., XVII, 52-54) S 2. IL CONTADINO. Sebbene i passi riflettenti il contadino siano raris- simi nella Divina Commedia, i due che vi sono, per bellezza e proprietà del linguaggio, possono in parte compensare la scarsità degli esempi. Il VENTURI º scrive benissimo: « Al Poeta che le cose sensibili acutamente notò e in cui la meditazione della virtù e della sventura fu scienza a conoscere i segreti del cuore umano, dovè l'uomo e la sua natura essere argomento d'investigazioni sapienti ». Ed appunto per il felice studio che ha fatto della natura del- l'uomo, Dante ci presenta il contadino sotto due aspetti, o, per meglio º Le similitudini dantesche, Firenze, Sansoni, 1889, pag. 5. º Op. cit., pag. 115. 112 CAPITOLO PRIMO. dire, con due difetti: quello dell'astuzia nel guadagno (ne diremo più sotto il senso preciso), e quello della grossa meraviglia, figlia dell'igno- ranza, al veder cose nuove. Non è da credersi, per altro, che il Poeta disprezzi il contadino; anzi, come si vedrà più avanti, egli ce lo presenta come il vero lavoratore. Con quella terribile perspicacia che lo guidò a conoscere e rilevare le umane debolezze, egli non ha fatto, in questo caso, che rappresentare semplicemente, dal vero, la natura del contadino. * Nei seguenti versi abbiamo ritratta, quasi con un solo epiteto, l'astuzia del villano fattosi barattiere; e quindi, possiam dire, anche del contadino: O quanto fora meglio esser vicine Quelle genti ch'io dico, ed al Galluzzo Ed a Trespiano aver vostro confine, Che averle dentro, e sostenerlo puzzo Del villan d'Aguglion, di quel da Signa, Che già per barattare ha l'occhio aguzzo ! (Par., XVI, 52-57) E quel rapido tocco: lo puzzo Del villan d'Aguglion, di quel da Signa, è, e riman sempre, una efficace, compendiosa rappresentazione d'una folla di contadini, sebbene vi sia una precisa allusione storica alla baratteria cittadina della gente nuova, venuta di campagna, ma, ormai, inurbatasi, pur troppo ! * Si dipinge così la maraviglia contadinesca nel mirar cose nuove: Non altrimenti stupido si turba Lo montanaro, e rimirando ammuta, Quando rozzo e selvatico s'inurba. (Purg., XXVI, 67-69) Come si vede, abbiamo il turbamento esteriore, o stupore, pro- dotto nel montanaro dal trovarsi in un luogo per lui affatto nuovo e diverso dal solito; ed il turbamento interno prodotto dall'ignoranza che gli rende strane ed inesplicabili le cose che gli appariscono. * Un altro grave malanno (oggigiorno molto diminuito, ma pur troppo seguito da altri nuovi) sovrasta alle popolazioni poco istruite, e perciò ai contadini: la superstizione. È inutile ricordare la varietà infinita, e direi quasi pittoresca, dei pregiudizi popolari, che, nelle campagne particolarmente, sono raccolti e coltivati. Basta, per farsene LA VITA DI CAMPAGNA. 113 un'idea, sfogliare un libro che tratti di quello che si chiama il Folk- lore: per esempio, qualche lavoro del benemerito PITRÈ. A queste superstizioni troviamo un accenno nei versi: Vedi le triste che lasciaron l'ago, La spola e il fuso, e fecersi indovine; Fecer malìe con erbe e con imago. (Inf., XX, 121-123) Benchè qui non sia detto proprio che alle fattucchiere credano i contadini, pure ci parrà di vedere, dietro l'immagine delle streghe, la faccia non di uno solo, ma di molti contadini. La terzina dantesca risuona ancor a proposito in certi luoghi ove il contadino infermo preferisce alle cure del dottore la fattucchiera colle sue stregonerie, la quale spesso aggrava il male o anche apporta nuovi malori, e, qualche volta, la morte. S 3. GLI ANIMALI SULL'AIA E NEL CORTILE. Per chi ama veramente il quieto vivere campestre, uno dei quadri più graziosi ed interessanti è certo quello dei vari animali domestici che popolano l'aia di una casa colonica, od il rustico cortile di una cascina. Ciascuno di essi ha certe sue abitudini, che si ritrovano sempre uguali e senza interruzioni. Sebben semplici e vedute le centinaia di volte, queste scene della vita rustica non ci stancano mai; diven- tano come indispensabili; una specie di complemento o cornice al gran quadro della campagna. Il nostro Poeta nella descrizione di questi animali ha usato un'arte ben grande; anzi si può dire che vi abbia trasfusa tutta la sua potenza d'osservazione, e abbia usato tutto il magistero del verso nel rappre- sentarci con tratti sicuri e con precisione mirabile di linguaggio questi esseri che circondano colui ch'egli chiama l'uom della villa. Gli esempi sono sparsi in tutto il Poema, specialmente secondo il bisogno delle similitudini: se fossero riuniti, formerebbero di per sè stessi quasi un vero e proprio trattatello sugli animali domestici. Ecco pertanto i luoghi che più ci sembrano notevoli. Quante volte non abbiamo scorto, in una cascina, o vicino alla casa di un contadino, un cane? Ebbene, Dante ce lo presenta in tre distinti modi, uno più vero e pittoresco dell'altro. 114 CAPITOLO PRIMO. * Nei versi: Con quel furore e con quella tempesta Ch' escono i cani addosso al poverello, Che di subito chiede ove s'arresta; (Inf., XXI, 67-69) abbiamo uno splendido quadretto del cane da guardia, spesso feroce, e più propriamente del cane che fa la guardia a case sparse per la campagna. La figura del mendicante, che s'arresta alla prima casa che trova, chiedendo l'elemosina, è di una grande efficacia; e quella sua quasi immobilità fa bel contrasto col furore della bestia che gli si scaglia addosso. * La voracità canina è fedelmente riprodotta così: Qual è quel cane che abbaiando agugna, E si racqueta poi che il pasto morde, Che solo a divorarlo intende e pugna. (Inf., VI, 28-30) Notisi qui la potenza di quei tre verbi: agugnare, mordere, divo- rare, che dinotano i movimenti dell'animale, felicemente tutti colti e descritti. * Nei calori dell' estate abbiamo tutti visto il cane da guardia, o anche cani vagabondi per le vie e per le piazze; cani senza padrone, dibattersi sotto il sole cocente, per le punture degli insetti. Dante ci presenta questi cani davanti ai nostri occhi, come se fossero vivi: Non altrimenti fan di state i cani, Or col ceffo, or coi piè, quando son morsi O da pulci da mosche o da tafani. (Inf., XVII, 49-51) * Si veda ora, venendo ad un altro animale, come ci rappresenta lo schiudersi del porco dal porcile: s e s e o no a e due ombre smorte e nude Che mordendo correvan di quel modo Che il porco quando del porcil si schiude. (Inf., XXX, 25-27) MICHELE LESSONA º spiega questi versi così: « Il correre precipi- toso del porco appena gli si schiude il porcile è noto ai campa- (!) Op. cit., pag. 79. LA VITA DI CAMPAGNA. 115 gnuoli, e n'è facile la spiegazione. Nel porcile generalmente non C' è nè cibo nè bevanda. L'animale che vi è stato a lungo rinchiuso ha fame, ma più ancora ha sete. Appena è libero si lancia al ruscello che può essere lontano e la corsa lunga º. * Per indicare l'abbassamento, la degradazione che nell'Inferno aspetta i superbi, è opportuna minaccia: Quanti si tengon or lassù gran regi, Che qui staranno come porci in brago. (Inf., VIII, 49-50) La similitudine è esattissima, poichè il porco è l'animale da cor- tile che più si compiace di razzolare e grufolarsi nel brago, cioè nelle pozzanghere, nelle immondizie e nella melma. * E passiamo ad un animale di ben altra natura: al mite e gentile colombo. Nei seguenti versi: Sì come quando il colombo si pone Presso al compagno, e l'uno all'altro pande, Girando e mormorando, l'affezione, (Par., XXV, 19-21) non siamo troppo sicuri, che vi sentiranno tutti quell'armonia imi- tativa che vi avvertiva il solerte illustratore delle Similitudini dan- tesche, il VENTURI": « Nell'atto dei colombi, ch'è di girarsi attorno l'un l'altro mormorando, tu vedi cosa che mille volte ti è occorso di vedere; e nelle due rime in one e in ande, e nelle due voci gi- rando e mormorando, senti il suono gutturale di quelli animali ». * Ecco con quali versi Dante descrive anche la pastura dei colombi: Come quando, cogliendo biada o loglio, Li colombi adunati alla pastura, Queti senza mostrar l'usato orgoglio, Se cosa appare ond'elli abbian paura, Subitamente lasciano star l'esca, Perchè assaliti son da maggior cura. (Purg., II, 124-129) (1) Op. cit., pag. 260, 116 CAPITOLO PRIMO. L'espressione usato orgoglio è magnifica, poichè ritrae al vero l'atteggiamento un po' vanitoso, col quale questi animali sostengono pomposamente la coda, e atteggiano il collo, e muovono con lentezza solenne le gambe. Pascendo adunati stanno queti (quasi in confidenza), e fuggono poi rapidamente, paurosi come sono, appena sien distur- bati per cosa che sembri a loro strana e pericolosa. * Il volo dei colombi verso i nidi è, infine, così rappresentato: Quali colombe dal disio chiamate, Con l'ali alzate e ferme, al dolce nido Vegnon per l'aer dal voler portate. (Inf., V, 82-84) È inutile ricordare, poichè il Canto è notissimo, come sia stupen- damente applicata tale comparazione al volgersi rapido di Paolo e Francesca, che l'affettuoso grido aveva invocate o anime affannate. S 4. QUADRETTI DI ANIMALI CAMPESTRI. * Crediamo bene registrare in questo paragrafo i due passi ri- guardanti il più utile degli animali domestici per l'agricoltura: il bue, o bove. Esso è lento, forte e perseverante, ed è valido aiuto dell'agricoltore nei duri lavori campestri. Con due soli versi è rap- presentato un atto tutto proprio del bue: Qui distorse la bocca, e di fuor trasse La lingua, come 'l bue che il naso lecchi. (Inf., XVII, 74-75) * Nel canto XII del Purgatorio (v. 1-2), per rappresentare il passo lento col quale camminava insieme ad Oderisi, il Poeta coglie una similitudine dal modo con cui avanzano e lavorano i buoi: Di pari come buoi, che vanno a giogo, M'andava io con quell'anima carca. * Gli animali non essendo dotati di ragione, stimano e fanno consi- stere la vera felicità nel soddisfacimento delle funzioni puramente ma- teriali o fisiologiche, necessarie al loro corpo: principalissima, fra esse, la nutrizione. Che gli animali, se, stando per saziarsi trovino buon cibo, o, dopo essersi ben saziati, diano prova di maggiore animazione e giocondità, fu notato benissimo da Dante con questi versi: LA VITA DI CAMPAGNA. 117 E come augelli surti di riviera, Quasi congratulando a lor pasture, Fanno di sè or tonda or altra schiera. (Par., XVIII, 73-75) Quel congratulando a lor pasture non potrebbe esser detto meglio, per significare o le pasture che gli augelli abbiano scorto, o il pasto che abbian preso. * Quale allodetta che in aere si spazia Prima cantando, e poi tace contenta Dell'ultima dolcezza che la sazia. (Par., XX, 73-75) Oltre alla solita fluidità ed eleganza del verso, in questo passo si manifesta la singolare e preziosa facoltà del Poeta di accoppiare, al fantasma alato, la verità, come oggi dicesi, scientifica. Infatti, fra tutti gli uccelli non è forse l'allodola che ha maggiormente la proprietà di spaziarsi e di librarsi gorgheggiando nell'aria? I suoni poi dei versi (e specialmente del primo) esprimono un carattere ben distinto del- l'allodola, cioè la fermezza e sublimità del volo. Il silenzio che segue il canto, non è stanchezza, ma ebbrezza: è la dolcezza piena che le dà la gioia stessa del canto. * Si noti altresì l'accenno che Dante fa a due uccelli comuni alle nostre campagne, nel Convivio (Tratt. IV, cap. 6 [187-190]): Meglio sarebbe a voi, come rondine volare basso, che come nibbio altissime rote fare sopra cose vilissime. Si rilevi il potente ed artistico divario che vi è concisamente indicato tra 'l volare basso e le altissime rote. * Un altro esempio, di cui possiamo ammirare l'esattezza, recan- doci in inverno, all'alba, nelle nostre campagne ad osservare i mo- vimenti dei corvi e delle cornacchie, è il seguente: E come, per lo natural costume Le pole insieme al cominciar del giorno Si movono a scaldar le fredde piume; Poi altre vanno via senza ritorno, Altre rivolgon sè, onde son mosse, Ed altre roteando fan soggiorno. (Par., XXI, 34-39) 118 CAPITOLO PRIMO. La seconda terzina specialmente è molto bella, poichè ci presenta i tre diversi modi di volo, propri a questi uccelli. * Quando l'uva imbruna, gli storni sono, com'è noto, una delle tante inquietudini del coltivatore: E come gli stornei ne portan l'ali, Nel freddo tempo, a schiera larga e piena. (Inf., V, 40-41) Il freddo tempo non indica, naturalmente, il tempo della vendemmia, ma ad esso ci riporta la considerazione agraria. La schiera larga e piena sta a dimostrare con grande efficacia il volare compatto di questa sorta di uccelli. * Tanto ch'io volsi in su l'ardita faccia, Gridando a Dio: “ Omai più non ti temo; ” Come fa il merlo per poca bonaccia. (Purg., XIII, 121-123) « Vi è una credenza popolare, che il merlo al tempo della neve sia molto dimesso ed avvilito, ma ai primi segni del buon tempo si rassicuri e dica: Non ti temo, domine, chè uscito son dal verno. Questa interpretazione è confermata dal motto vivente in Lombardia, dove dì della merla sono detti gli ultimi di gennaio » ". Ad ogni modo, la pusillanimità del merlo ci è qui rappresentata assai argutamente da Dante, che nella semplicità del paragone ci richiama alla me- moria la citata credenza, o novellina popolare. * LUIGI FIGUIER º scrive riguardo alle formiche : « Non v' ha nulla di più divertente quanto l'osservare le manovre che le for- miche fanno per trasportare gli oggetti di un certo volume. Ince- spicano, cadono nei precipizi. Ma, malgrado tutti questi ostacoli, giungono alla meta, e finiscono sempre per condurli a buon fine. I tranquilli abitanti di queste repubbliche sotterranee sono uniti fra loro da un mutuo affetto e da una fratellanza devota, che rendono agevole ogni aiuto ». Ebbene, Dante ci raffigura stupendamente quello che ha, con precisione di scienziato, scritto, cinquecento anni (*) CASINI, Comm. cit., pag. 351. º L. FIGUIER, Gli Insetti, Milano, Treves, traduz. italiana (non buona, come si sente pur dal passo citato), 1884, pag. 480. LA VITA DI CAMPAGNA. 119 dopo, il Figuier, intorno ad uno dei costumi delle proverbiali e ope- rose formiche: Così per entro loro schiera bruna S'ammusa l'una con l'altra formica, Forse a spiar lor via e lor fortuna. (Purg., XXVI, 34-36) Ammusandosi teneramente, le povere bestiuole si chiedono forse notizie sulla strada da fare e ricordano la fatta, e fan prognostici sulla buona e cattiva fortuna che le aspetta? L'ammusarsi e la schiera bruna raffigurano l'atto tutto proprio di questi animaletti nell'in- contrarsi, e la riga nera ch' essi, nei loro continui andirivieni, fanno sul terreno. º Sui versi: Come le rane innanzi alla mimica Biscia per l'acqua si dileguan tutte, Fin che alla terra ciascuna s'abbica; (Inf., IX, 76-78) è inutile spender parole, ad illustrar la bellezza dell'immagine feli- cissima, artistica; riguardo poi al vocabolo abbica, si riscontri quanto scrisse il LEssoNA". * Chiudiamo questa serie di citazioni con un quadretto benissimo disegnato da Dante, e che ritrae un piccolo rettile molto comune nelle nostre campagne: Come il ramarro, sotto la gran fersa De' dì canicular cangiando siepe, Folgore par, se la via attraversa. (Inf., XXV, 79-81) Si nota una grande esattezza nel descrivere le circostanze, nelle quali avviene la corsa di questo rettile, cioè nelle ore in cui è più cocente il solleone estivo; e nel rilevare come il ramarro non possa correre rapidamente che per breve tratto, cioè cangiando siepe: frase concisa, ma mirabilmente efficace. S 5. TERRENI BRULLI, PALUSTRI E PIANTE SELVATICHE. Se Dante, come ve dremo, nello studiare la campagna, ne ritrasse le forme e gli aspetti º Op. cit., pag. 37. 120 CAPITOLO PRIMO. più splendidi ed i paesaggi più belli, dipinse, altresì, con mano maestra le parti più sterili, meno ridenti e, se mi si permetta il vocabolo, dolorose. Dolorosi, infatti, riescono quei tristissimi luoghi, veri covi d'infezioni, chiamati paludi, e che al povero lavoratore della terra 5 5 apportano gli effetti micidiali che tutti conoscono e che i cuori buoni compiangono. * Dai terreni sterili e paludosi si ha una vegetazione povera ed inutile, ed anche di questa flora triste troviamo rappresentazioni vivis- sime, per lo più sotto la consueta forma di similitudini; e si rife- riscono di solito ai passi meno lieti del Poema: A ben manifestar le cose nuove, Dico che arrivammo ad una landa Che dal suo letto ogni pianta rimove. La dolorosa selva l'è ghirlanda Intorno, come il fosso tristo ad essa: Quivi fermammo i passi a randa a randa. Lo spazzo era un'arena arida e spessa, Non d'altra foggia fatta che colei, Che fu da piè di Caton già soppressa. (Inf., XIV, 7-15) Sebbene tutta fantastica, questa descrizione rispecchia fedelmente le condizioni di una campagna inaridita. A manifestare che il ter- reno non lasciava crescere nessuna specie di piante, per mancanza assoluta di umidità, è ben efficace, nella sua concisione, il concetto e verso: Che dal suo letto ogni pianta rimove. Il suolo poi ci è dipinto uguale a quello dei deserti della Libia, e i due vocaboli arida e spessa ci ritraggono al vero le qualità dell'arena di un deserto. * Si consideri ora come Dante ci dia l'immagine di un terreno incolto situato in mezzo ad una palude. Dice che il Mincio : Non molto ha corso, che trova una lama, Nella qual si distende e la impaluda, E suol di state talora esser grama. Quindi passando la vergine cruda Vide terra nel mezzo del pantano, Senza cultura, e d'abitanti nuda. (Inf., XX, 79-84) Nella lama, cioè luogo basso in vicinanza di un fiume, che vi stagna e rende il suolo paludoso, si formano terreni i quali sono come LA VITA DI CAMPAGNA. 121 sodi nel mezzo di un pantano. Dante rileva di un cosiffatto terreno la proprietà malefica d'essere grama durante i calori, ossia pestilen- ziale per le sue esalazioni. * Un altro accenno ai tristi effetti che producono i luoghi bassi e gli acquitrini, abbiamo nei seguenti versi: Qual dolor fora, se dagli spedali Di Valdichiana tra il luglio e il settembre, E di Maremma e di Sardigna i mali Fossero in una fossa tutti insembre; Tal era quivi, e tal puzzo n'usciva, Qual suol venir dalle marcite membre. (Inf., XXIX, 46-51) E davvero i luoghi da Dante ricordati sono quelli che, anche oggidì, sebbene un po' migliorati dalle così dette bonifiche, riescono, non solo inutili, ma assai dannosi all'agricoltura, privandola di terre che potrebbero esser coltivate e produttive. * Corsi al palude, e le cannucce e il brago M'impigliar sì, ch'io caddi, . . . . ... (Purg., V, 82-83) In questi versi è citato il solo vegetale che può aver vita nelle paludi. Il verbo impigliare è assai adatto a indicar lo sforzo neces- sario per attraversare queste specie di canneti, che formano colla melma un intreccio e un viluppo quasi inestricabile di fibre vegetali. * Sono a tutti ben noti i versi 2-6 del Canto I dell' Inferno: Mi ritrovai per una selva oscura, Che la dritta via era smarrita. E quanto a dir qual era è cosa dura Questa selva selvaggia ed aspra e forte, Che nel pensier rinnova la paura! Ma appunto perchè son tanto conosciuti e citati, poco si avverte quanto grande vi sia la proprietà di linguaggio: Selvaggia, aspra, forte (sebben quest'ultimo epiteto lasci piuttosto intravedere il senso allegorico), son termini assai caratteristici e bene ci rappresentano l'orridezza di una selva incolta. * Ecco un'altra immagine di boscaglie, tutte fantastiche e alle- goriche, ma le più selvagge e folte che si vedesser mai, con strane piante scheletrite: 122 CAPITOLO PRIMO. Non era ancor di là Nesso arrivato, Quando noi ci mettemmo per un bosco Che da nessun sentiero era segnato. Non frondi verdi, ma di color fosco; Non rami schietti, ma nodosi e involti; Non pomi v'eran, ma stecchi con tosco. Non han sì aspri sterpi nè sì folti Quelle fiere selvaggie che in odio hanno Tra Cecina e Corneto i luoghi colti. (Inf., XIII, 1-9) La chiarezza e la felicità delle espressioni in questo passo non po- trebbero essere maggiori; e bello è poi il confronto che, per aggiungere orridezza ai luoghi descritti, si fa con quelli abitati dalle fiere selvaggie della Maremma Toscana. Il qual confronto serve come di richiamo alla realtà, dopo tanto spaziar di fosca fantasia: fantasia che però ritrae sempre dal vero (e non poteva essere altrimenti) le movenze e i colori. * . . . . . . . . . . . . . . . . . . è ripieno Di venenosi sterpi, sì che tardi Per coltivare omai verrebber meno. º - (Purg., XIV, 94-96) In questi versi è potente l'accenno alle piante intristite, anzi inve- lenite al punto, che è vana ormai ogni speranza di coltivazione e di miglioramento. * Con linguaggio metaforico, ma non meno vivo, Dante ci presenta il quadro di un campo non coltivato, indicando i danni che proven- gono dalla negligenza del lavoratore: - - - - - Per che è da notare che pericolosissima negligenza è a lasciare la mala opinione prendere piede; chè così come l'erba multiplica nel campo non coltivato, e sormonta e cuopre la spiga del formento, sicchè, disparte agguardando, il formento non pare; e per- desi il frutto finalmente; così la mala opinione nella mente non gastigata nè corretta cresce e multiplica, sicchè la spiga della ragione, cioè la vera opinione, si nasconde e quasi se- pulta si perde. Convivio (Tratt. IV, cap. 7 [15-17]) * Come d'autunno si levan le foglie L'una appresso dell'altra, infin che il ramo Rende alla terra tutte le sue spoglie, (Inf., III, 112-114) Versi bellissimi dei quali parlammo già altrove (vedi prima Parte)", e dei quali non possiamo astenerci di riparlare in questa serie, benchè (*) Cap. II, S 3. LA VITA DI CAMPAGNA. 123 sº non vi si tratti di piante intristite. Ma d'autunno, le piante, quando perdono la verde vesta, paiono vicine a morire. La pittura fatta dal Poeta è bellissima, e rappresenta, nel lento ritmo del secondo verso, il lento ma continuo cadere delle foglie, sinchè l'albero sia dispo- gliato. Un poeta vivente (nè la citazione di poesia vera è irriverenza a Dante) scrisse: i boschi antichi, ove una foglia casca muta per ogni battito di cuore (!). Il VENTURI rileva che: « il piegar delle foglie e il loro spiccarsi dal ramo, e il ravvivarsi dei fiori a raggi del primo sole, vedremo descritti così che apparisca come non meno della contemplazione degli astri, sublime decoro del cielo, la vista d'una fronda o d'una rosa, vago adornamento della terra, fosse all'anima dell'Alighieri racco- glimento amoroso e bellezza ispiratrice » º. S 6. TERRENI FERTILI ED IRRIGATI. VEGETAZIONE RIGOGLIOSA. Crediamo ottimo principio a questo paragrafo, nel quale si riferiscono i passi danteschi che ci descrivono la bella campagna, e quindi anche i pae- saggi pittoreschi, le seguenti parole del professor ALESSANDRO CHIAP- PELLI: « Mentre la Primavera colle sue fragranze esalanti dai prati e dai verzieri in fiore alita nei canti dei trovatori di Provenza, i cle- rici vagantes inneggiano ai fiori, all'amore, alla giovinezza. Era quella una vita nuova, che, uscita dalle mistiche ombre dei claustri solitari o delle cattedrali acute o dalle severe mura dei castelli feudali, si spandeva via via, inebriata di luce, anelante di fiori, all'aria pura, ai prati verzicanti, a tutti gli splendori della Primavera, come Faust ringiovanito nella Pasqua di resurrezione. Ond'è che più tardi, attra- verso i poeti del dolce stil novo, questo spirito penetrato in Dante, esce dalle forme convenzionali, diviene significazione potente, rapida, varia, dei fenomeni della natura, come incisi e scolpiti intensamente da tocchi immortali » º. (*) GIovANNI PAscoLI, Myricae (La siepe, sonetto), Livorno, Giusti. (º Op. cit., pag. 75. (º) I poeti paesisti prima del nostro secolo, nel fasc. della Nuova Antologia, Feb- braio 1898, pag. 471. 124 CAPITOLO PRIMO. È ben noto che uno dei più efficaci produttori della fertilità di un terreno è l'irrigazione, cioè la presenza dell'acqua, la quale, in certe proporzioni e secondo i vari casi, viene fatta servire ai bisogni dell'agricoltura. Dante ci presenta alcuni esempi di campagne irri- gate, con una vivezza di linguaggio singolarissima. * Ecco come dipinge le campagne del Veronese, favorite da corsi del fiume Mincio: - Ivi convien che tutto quanto caschi Ciò che in grembo a Benaco star non può, E fassi fiume giù per verdi paschi. (Inf., XX, 73-75) * Il ricordo dei freschi corsi d'acqua che affluiscono all'Arno, dopo º, aver rese fertili le opime valli del Casentino, è ne celebrati versi: Li ruscelletti che dei verdi colli Del Casentin discendon giuso in Arno, Facendo i lor canali freddi e molli. (Inf., XXX, 64-66) Coi canali freddi s'indicano le fresche vallatelle per cui i ruscelletti scorrono, e che diventan molli, ossia rigogliose di verdura. Soltanto chi ha visto il Casentino può farsi un'idea della felicità delle espressioni di Dante, il quale è naturalmente molto più efficace quando ritrae cose viste coi propri occhi. E coi suoi propri occhi ha visto certo queste terre del Casentino, i cui ricordi sono copiosi e nella vita di Dante e nella Divina Commedia º. - * Ben ritratto, e in buoni versi, un ruscelletto che scorre sotto le frondi dei salici, lento lento: Circuit haec humilis, et tectus fronde saligna, Perpetuis undis a summo margine ripas Rorans alveolus: qui, quas mons desuper edit, Sponte viam, qua mitis eat, se fecit aquarum. (Ecloghe, Ecloga I, 14-17) * Nella seguente terzina, benchè da interpretarsi in senso meta- forico, abbiamo tuttavia espresso il concetto che l'acqua sia utilis- sima ai vegetali: (º Cfr. p.es.A.BASSERMANN, Dante's Spuren in Italien, Wanderungen und Untersuchungen, Heidelberg, Winter, 1897. LA VITA DI CAMPAGNA. 125 Di lui si fecer poi diversi rivi, Onde l'orto cattolico si riga, Sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. (Par., XII, 103-105) * E come clivo in acqua di suo imo Si specchia, quasi per vedersi adorno, Quando è nel verde e nei fioretti opimo. (Par., XXX, 109-111) º vede: «Come una col- In questi versi stupendi LUIGI VENTURI" lina, digradante in cerchio, si specchia nell'acqua scorrente ai suoi piedi quasi per contemplare la sua bellezza allorchè è più abbon- dante di erbe e di fiori. . . . . So « La similitudine è certamente una delle più artistiche del Poema. Si avverta come non solo Dante ha saputo far rivedere un clivo fiorito, ma, oltre a ritrarcelo con ogni esattezza, lo anima del suo sentimento poetico, dandogli propria vita: quasi per vedersi adorno. º Udir mi parve un mormorar di fiume, Che scende chiaro giù di pietra in pietra, Mostrando l'ubertà del suo cacume. (Par., XX, 19-21) Per questa terzina qualsiasi lode o illustrazione sarebbe sempre inadeguata al pregio: essa forma una delle più belle rappresentazioni della natura che siano in tutte le opere di Dante. Il quale ha trasfusa talmente la sua arte in queste poche parole che descrivono un fiume alpestre, da farci non solo pensare ad un corso d'acqua, ma altresì da farci quasi sentire il rumore di essa, che mormorando scende chiara giù di pietra in pietra dalla purissima ed eccelsa vetta. * È notabile la facoltà che ha Dante di rappresentare con due o tre parole spettacoli naturali: qui luoghi campestri rigogliosi. Per esempio, col solo verso : º Giugnemmo in prato di fresca verdura, (Inf., IV, 111) abbiamo un'immagine, la quale, sebbene semplicissima, ci fa vedere come per incanto un terreno erboso, fresco e verde. * Vedi là il sol che in fronte ti riluce; Vedi l'erbetta, i fiori e gli arbuscelli, Che qui la terra sol da sè produce. (Purg., XXVII, 133-135) (!) Op. cit., pag. 104. 126 CAPITOLO PRIMO. Bellissimo esempio questo di vegetazione spontanea, che il Poeta attribuisce alle condizioni speciali del Paradiso terrestre e che i poeti favoleggiarono propria dell'età dell'oro, in tutta la terra. Ma anche nella realtà delle cose, quando il terreno ed il clima sono straordina- riamente favorevoli possiamo trovare una lussureggiante vegetazione, non aiutata dal lavoro dell'uomo, ed opera solamente della natura. * Trattando della generazione umana, Dante confronta l'anima ve- getativa al principio vitale delle piante: Anima fatta la virtute attiva, Qual d'una pianta, in tanto differente, Che quest' è in via e quella è già a riva, Tanto opra poi che già si move e sente, Come fungo marino; ed ivi imprende Ad organar le posse ond'è semente. (Purg., XXV, 52-57) () * Ci vien fatta osservare l'importanza che ha la luce sulle piante con questi versi, nei quali si consertano bellamente scienza e poesia: Come le nostre piante, quando casca Giù la gran luce mischiata con quella Che raggia retro alla celeste lasca, Turgide fansi, e poi si rinnovella Di suo color ciascuna, pria che il sole Giunga li suoi corsier sott'altra stella; Men che di rose e più che di viole Colore aprendo, s'innovò la pianta, Che prima avea le ramora sì sole. » (Purg., XXXII, 52-60) Turgide è detto elegantemente per esprimere il rigonfiamento delle gemme in primavera. Notisi poi la bellezza dell'osservazione scien- tifica e della forma, sebbene in questi versi sieno un po' addossate altre due immagini: celeste lasca e corsieri del Sole. Non sapremmo dove meglio raccogliere i seguenti esempi: * Nelle parole: - - o º a º º e conviensi aprire l'uomo quasi com'una rosa che più chiusa stare non può, e l'odore ch'è dentro generato spandere: e questo conviene essere in questa terza età, che per mano corre . . . . . Convivio (Tratt. IV, cap. 27 [37-41]) è bellissimo il paragone tra la pienezza della vita umana ed il pro- fumo di un fiore. È tale poi la vivezza del linguaggio, che ti sembra (*) Per le osservazioni scientifiche in proposito vedi la Parte prima, cap. IV. LA VITA DI CAMPAGNA. 127 di vedere lo schiudersi dei teneri petali di una odorosissima rosa ! E quale altra immagine più appropriata poteva adoperar mai Dante per significare quanto vi è di più nobile e bello nell'anima umana? * Nella terzina : Così m'ha dilatata mia fidanza, Come il sol fa la rosa, quando aperta Tanto divien quant'ell'ha di possanza, (Par., XXII, 55-57) è magnificamente espressa la forza benefica del sole, e la qualità della rosa di dilatarsi, quasi a raggiungere la pienezza della sua essenza vitale. * La stupenda Ballata VIII: Per una ghirlandetta Ch'io vidi, mi farà Sospirar ogni fiore, è un breve inno alla bellezza dei fiori, il cui ricordo s'intreccia col- l'immagine della donna e di un angiolello d'amore. Dante dovette avere la coscienza della bellezza di questi versi, perchè scrisse: Di fior le parolette mie novelle Han fatto una ballata: Da lor per leggiadria s' hanno tolt elle Una veste, ch'altrui non fu mai data. * Bellezza di colline e colline intristite, e fioretti ed erba e ghirlande e prati, si accennano nelle Sestine: Al poco giorno ed al gran cerchio d'ombra (I) Amor mi mena tal fiata all'ombra, (III) Gran nobiltà mi par vedere all'ombra. (IV) È inutile avvertire che in questi passi le difficoltà del metro e l'astruseria di molti concetti rendono, non le descrizioni, ma gli ac- cenni, meno freschi ed efficaci. * Il Poeta si riconosce cresciuto di saviezza e virtù dopo un'im- mersione nel fiume Eunoè, e allora usa la similitudine di una pianta rinnovellata, cioè accresciuta di novelle fronde: Io ritornai dalla santissim'onda Rifatto sì, come piante novelle Rinnovellate di novella fronda, (Purg., XXXIII, 142-144) dov'è notevole l'allitterazione o equivocazione, così cara anche a Dante, pur ne passi, ove oggi meno si tollererebbe e si vorrebbe. 128 CAPITOLO PRIMO, * Le intime disposizioni di un'anima non si conoscono che dalle opere; ed è quindi bene a proposito la comparazione della vita di una pianta, che si rivela col verde colore delle fronde. Nei versi: Nè si dimostra ma che per effetto, Come per verdi fronde in pianta vita, (Purg., XVIII, 53-54) il confronto, se si vuole, è ovvio e semplice, ma pensandoci bene, così in questo come in tanti altri casi, ci si persuade, che non si poteva trovare un'altra immagine della medesima efficacia. * Nel Canto XXV dell'Inferno (versi 58-60) è descritto un serpe che s'avviticchia ad Agnolo Brunelleschi (uno dei ladri fiorentini), così fortemente, da richiamare al pensiero, con grande convenienza, la proprietà della pianta ellera: Ellera abbarbicata mai non fue Ad arbor sì, come l'orribil fiera Per l'altrui membra avviticchiò le sue. Quell'altrui membra dà maggior forza e verità al paragone, poi- chè questa specie di piante s'arrampicano e s'appoggiano sempre ad alberi più grossi e si servono, per così dire, del sostegno altrui. La proprietà della parola abbarbicata non ha pari che nell'avviticchiò. Queste due sono di quelle parole che Dante traeva, e per tutti i secoli, dal volgare fiorentino. º Parverm' i rami gravidi e vivaci D'un altro pomo, . . . . . . . . . (Purg., XXIV, 103-104) Quel gravidi e vivaci come rappresenta bene la pianta carica di rigogliosi frutti !... La copia de' frutti dà grazia e vita alla pianta: e tra frutti tu vedi anche le foglie verdeggianti: insomma, un ramo nella pienezza della sua vita. * Nel Convivio (Tratt. IV, cap. 28 [27-31]) si legge: . . . . ; ma siccome un pomo maturo leggiermente e senza violenza si spicca dal suo ramo, così la nostra Anima senza doglia si parte dal corpo ov'ella è stata. E semplice ma finissima l'arte colla quale è condotta questa simi- litudine, che ritrae un fatto ben comune, e osservato le mille volte, qui opportunamente raffrontato al distacco dell'anima dal corpo. LA VITA DI CAMPAGNA. 129 * Per accennare ai meriti del faentino Bernardin di Fosco, che nato di bassa condizione e campagnuolo, sebben divenuto poi ricchissimo, era rimasto sempre assai gentile e benefico, Dante si serve del verso: Verga gentil di picciola gramigna ?... (Purg., XIV, 102) Gramigna è forse usato ad indicare l'umile nascita; ad ogni modo, l'epiteto di gentile si riferisce all'animo cortese di Bernardin di Fosco, e non certamente al ramicello tenero uscito della gramigna. Dante non poteva desumere una così garbata figura da una pianta tanto infesta all'agricoltura, e tanto in odio ai contadini, i quali spargono molto sudore per sradicarla dai terreni ! O piuttosto è da intendersi gramigna nel senso generico di erba o pianticella, molto più che in Virgilio gramen significò anche gambo di pianta ? S 7. LAVORI ED OCCUPAZIONI DEL CONTADINO. Più qua e più là (per quanto appena appena, e spesso solo metaforicamente, accennati) ri- troviamo i principali lavori del contadino, cioè: la lavorazione del terreno, la sementa, il raccolto, la battitura, la coltivazione della vite. Procederemo per ordine. È strano veramente che Dante non rammenti l'aratro nel Poema. E forse ne avrebbe fatta menzione se avesse conosciuto qualche passo delle Georgiche, e specialmente i mirabili versi: Depresso incipiat jam tum mihi taurus aratro Ingemere, et sulco attritus splendescere vomer. (I, 45-46) Appena una volta è rammentata l'aratura; e non per trarne spe- ciale immagine, ma per indicazione di campi in generale: Forse colà dove vendemmia ed ara. a (Inf., XXVI, 30) * Troviamo ricordati allegoricamente i buoi aggiogati all'aratro nell'Epistola V: . . . . . novus agricola Romanorum consilii sui boves ad aratrum affectuosius et con- fidentius coniugabit. [82-84]. - * Che nei monti di Luni, dove ronca Lo Carrarese che di sotto alberga. (Inf., XX, 47-48) 17 130 CAPITOLO PRIMO. Abbiamo qui un accenno ad una occupazione del contadino, cioè a quella del roncare, ovvero mondare, nettare, pulire i seminati dalle erbacce, o a mano, o con la ronca, strumento agricolo dalla forma ritorta. Altri vollero confondere questo verbo roncare con arronzare, che spiegherebbero affaticarsi, lavorare con gran fatica e assiduità: il che non sembra molto probabile. Carrarese, cioè il montanaro della Lunigiana, è indicazione opportuna a far meglio comprendere il ronca: il montanaro purga dalle erbacce i suoi campi, non troppo fertili perchè posti fra quelle montagne, famose e preziose per i loro marmi. º Oh quanta è l'ubertà che si soffolce In quell'arche ricchissime, che foro A seminar quaggiù buone bobolce !... (Par., XXIII, 130-132) Il CASINI º così interpreta il senso un po' oscuro della parola bo- bolce : « Secondo i più è femminile di bobolco, in latino bubulcus, e vale lavoratrici di terra, seminatrici; poichè è manifesto che Dante ebbe il pensiero al detto evangelico: chi semina allo spirito, mieterà dallo spirito vita eterna ». Secondo altri bobolce vale terre da arare e seminare, di cui è propria l'ubertà; e il senso della terzina sarebbe: Che furono buoni terreni da semente, con allusione alla nota para- bola del seminatore. Ad ogni modo, si tratta sempre, indubbiamente, di un accenno al lavoro del contadino, cioè alla sementa. c º Della quale si ha un ricordo molto più bello ed efficace nei versi seguenti, e per di più col ricordo del pruno, che rincalza il primo paragone: Non sien le genti ancor troppo sicure A giudicar, sì come quei che stima Le biade in campo pria che sien mature; Ch'io ho veduto tutto il verno prima Il prun mostrarsi rigido e feroce, Poscia portar la rosa in su la cima. (Par., XIII, 130-135) Questo avvertimento che potrebbe tradursi: « Non giudicate di nulla innanzi al tempo », sebbene detto da Dante metaforicamente, (*) Comm. cit., pag. 727. LA VITA DI CAMPAGNA. 131 dovrebbe pure servire di esempio agli agricoltori che sono spesso inclinati a prognosticar troppo presto e con leggerezza l'andamento delle campagne. D'altra parte, la similitudine è splendida per pro- prietà di linguaggio. Quei che stima: cioè chi valuta il raccolto, o fa il prezzo delle biade, che non son peranco maturate. I due termini poi rigido e feroce, usati dal Poeta parlando del pruno, per raffigu- rarcelo selvaggio e pungente, sono forme di insuperata proprietà. E si noti: Dante usa due paragoni, dove un tapinello poeta non ne troverebbe, di efficaci come quelli, nessuno! * . . . . . . . Quando l'una paglia è trita, Quando la sua semenza è già riposta, A batter l'altra dolce amor m'invita. (Par., XIII, 34-36) Dopo d'aver sciolto uno dei tuoi dubbi (dice san Tommaso), l'amor celeste m'invita a sciogliere l'altro; e Dante illustra questo concetto con la similitudine della battitura del grano. I commentatori richia- mano a questo passo la lucida spiegazione del Landino : « Come non si trae il seme della paglia, cioè della spiga, se non si trita bene: così non si trae il bene ascoso tra molti falsi, se con somma diligenza non si batte e scuote ». Vedasi come l' operazione della battitura, fino al riporre che si fa del grano, sia concisamente, ma minutamente indicata. Si potrebbe dire, anzi, che il poeta assottiglia fin troppo l'immagine offertagli da una massa di grano, e che egli sviluppa nei minimi particolari nel seguente passo: * Un altro tutto è che non ha essenza comune colle parti, siccome una massa di grano; ma è la sua una essenza secondaria che risulta da molti grani che vera e prima essenza in loro hanno. E in questo tutto cotale si dicono essere le qualità delle parti così secon- damente come l'essere; onde si dice una bianca massa, perchè li grani, ond'è la massa, sono bianchi. Veramente questa bianchezza è più nelli grani prima, e secondariamente resulta in tutta la massa, e così secondariamente bianca dicer si può. E per cotal modo si può dicere mobile una schiatta, ovvero una progenie. Ond'è da sapere che, siccome a fare una bianca massa convengono vincere i bianchi grani, così a fare una nobile pro- genie convengono in essa nobili uomini vincere; dico vincere, essere più degli altri, sicchè la bontà colla sua grida oscuri e celi il contrario ch'è dentro. E siccome d'una massa di grano si potrebbe levare a grano a grano il formento, e a grano restituire meliga rossa, e tutta la massa finalmente cangerebbe colore; così della nobile progenie potreb- bero li buoni morire ad uno, e nascere in quella li malvagi, tanto che cangerebbe il nome, e non nobile, ma vile, da dire sarebbe. Convivio (Tratt. IV, cap. 29 [96-125]) 132 CAPITOLO PRIMO. º Conveniente immagine, a proposito del volgare illustre, gli offrono i vari lavori che fa l'agricoltore: e s e e e quod quidem vere paterfamilias esse videtur. Nonne cotidie exstirpat sentoSos frutices de ytala silva? Nonne cotidie vel plantas inserit vel plantaria plantat ? Quid aliud agricolae sui satagunt, nisi ut amoveant et admoveant, ut dictum est..... ? (De vulg. eloq., Lib. I, cap. 18 9-13]) * E nella citata Epistola V, che è ispirata tutta a immagini agra- rie, si toglie più di una metafora dai lavori del contadino: Assumite rastrum bonae humilitatis, atque glebisexustae animositatis occatis, agellum sternite mentis vestrae, ne forte coelestis imber, sementem vestram ante iactum praeve- niens, in vacuum de altissimo cadat; neve resiliat gratia Dei ex vobis. . . . . [71-76]. Alla vite troviamo accenni pregevoli nel Poema dantesco: º Tal che si mise a circuir la vigna, Che tosto imbianca, se il vignaio è reo. (Par., XII, 86-87) Questo imbiancamento di cui parla metaforicamente Dante è da attribuirsi alla noncuranza del vignaiolo nel coltivare e curare le viti. Secondo avvertimmo nella prima Parte º, dobbiamo intendere che la vite perde il suo verde seccandosi; e artisticamente, tranne la pro- prietà del verbo imbiancare e la rispondenza di tutta l'immagine al concetto che vuole esprimere, non ci sembra vi sia altro da rilevare. * Sempre in stil metaforico, abbiamo un altro esempio del danno che si procura alla vite per la mancanza di cura, coi versi seguenti: Chè tu entrasti povero e digiuno In campo a seminar la buona pianta, Che fu già vite ed ora è fatto pruno. (Par., XXIV, 109-111) * Dal passo che riferiremo, apprendiamo, come anche al tempo di Dante, l'onestà o, meglio, il rispetto della proprietà non fosse uni- versale, specialmente fra le popolazioni di campagna, poichè egli ci rappresenta un fatto, che si ripete ad ogni istante pur oggidì, appunto quando le uve vanno maturando. Il contadino, allora come ora, nel tempo che le uve finiscono di maturare, con una piccola forcata di spine, impruna, spesso, nelle siepi che circondano il suo campo una piccola apertura, della quale, per quanto stretta sia, è più stretta la calle per cui Dante e Virgilio si mettono. (!) Cap. III, S 1. LA VITA DI CAMPAGNA. 133 Maggiore aperta molte volte impruna Con una forcatella di sue spine L'uom della villa, quando l'uva imbruna. (Purg., IV, 19-21) Questa terzina, come similitudine tolta dall'osservazione della vita campestre, è una delle più vere e reali. L'uva imbruna ... Con due parole Dante ci fa vedere quel colore porporino che acquistano i grappoli avvicinandosi l'autunno! Per questi versi, ci pare di ve- dere il contadino chinato attorno alla siepe; spiarla minutamente, e quando raccostarne i rami, quando legarli; ora separarli secondo il bisogno, or turare ogni vano (per la paura dei piccoli ladri) con un intreccio di spine. Egli difende gelosamente il prossimo rac- colto, meta di tante fatiche, di tante inquietudini, e col quale do- vrà campare per tutto l'anno la famiglia, in generale numerosa e di buon appetito; la difende rinforzando il debole ma sacro riparo e confine : la siepe. Ecco come rifulge l'arte portentosa di Dante; egli non scrive, ma incide e scolpisce i suoi pensieri: anzi crea. Non chiediamo venia del vocabolo, poichè i personaggi da lui raffigu- rati, anche se tra i più umili dell'umana famiglia, ci appaiono in- nanzi allo sguardo viventi e veri, ritratti in ogni più lieve sfuma- tura, col magistero di un'arte profondamente sentita, e non staccati mai dal loro ambiente. * E perchè meno ammiri la parola, Guarda il calor del sol che si fa vino, Giunto all'umor che dalla vite cola. (Purg., XXV, 76-78) Mirabile è la proprietà di questa similitudine (vedi Parte prima)", stupendo è poi il confronto del raggio solare, che, unito all'umore acqueo della vite, lo trasforma in vino, per significare lo spirito che dell'anima vegetativa e sensitiva fa un alma Sola Che vive e sente e sè in sè rigira. Quale altra immagine più visibile poteva sceglier Dante a dare idea d'una trasformazione siffatta ?... E si badi, che la formazione del vino è nella vita delle piante uno dei fatti più belli e più nobili. Dopo Dante, vollero altri riprendere l'idea; e sebbene (!) Cap. III, S 1. 134 CAPITOLO PRIMO. alcuni, come il REDIº, abbiano variato il motivo assai graziosamente, pure nessuno uguagliò in eleganza e concisione il verso dantesco. * Siamo avvertiti dei pericoli ai quali va incontro chi ha fatto troppo uso del liquore di Bacco. (Questa Divinità, purtroppo, ha molti cultori, e troppo devoti, nelle nostre campagne ) º o o º o Che hai, che non ti puoi tenere ? Ma se venuto più che mezza lega Velando gli occhi, e con le gambe avvolte A guisa di cui vino e sonno piega?... (Purg., XV, 120-123) Gli occhi velati, le gambe avvolte; ecco due di quelle espressioni sem- plici e potenti, che sono caratteristiche nello stile dantesco. * Un'immagine fugace è tolta dalla vigna in queste parole: .... et vineam suam aliis locabit agricolis, qui fructum iustitiae reddant in tempore messis [33-35]. S 8. LE API. Poche sono le citazioni risguardanti questi intelligenti ed operosi insetti, ma la loro scarsità viene compensata dall'arte magistrale usata da Dante nel ritrarli: Però, là onde vegna lo intelletto Delle prime notizie, uomo non sape, Nè de primi appetibili l'affetto, Che sono in voi, sì come studio in ape Di far lo mele; e questa prima voglia Merto di lode o di biasmo non cape. (Purg., XVIII, 55-60) Per non ripetere quanto abbiamo detto su questi versi nel Ca- pitolo terzo della Parte prima, ci riferiamo alle parole del FIGUIER, il quale, dopo aver dato giuste lodi alla Georgica antica, scrive º : « Affrettiamoci a dire tuttavia che tutto ciò che gli antichi poeti riferiscono attorno alle api, è un misto di vero e di falso e in ge- nerale non si appoggia che sopra supposizioni ». Nè in questo caso (1) Sì bel sangue è un raggio acceso Di quel sol che in ciel vedete, E rimase avvinto e preso Di più grappoli alla rete. (Bacco in Toscana.) Cfr. G. GIACOSA, I poeti del vino, nel volume Il Vino, undici conferenze, Torino, Loescher, 1886. - (º) Op. cit., pag. 399. LA VITA DI CAMPAGNA. 135 è da rilevarsi altro che il confronto espresso semplicemente e con- cisamente: l'immagine non c'è. º Sì come schiera d'api, che s'infiora Una fiata, ed una si ritorna Là dove suo lavoro s'insapora. (Par., XXXI, 7-9) Questa similitudine è molto più notevole. Bellissima la parola s'in- fiora, che dipinge l'ape nell'atto che succhia l'umore del fiore (entra nel fiore, e poi ritorna all'alveare, designato da Dante con elegantissima perifrasi; Là dove suo lavoro s'insapora, cioè dove avviene la conversione in miele. Diresti poi che tutta la terzina ci faccia quasi sentire quello svolazzare leggero leggero e quel ronzio che fanno in mille guise le api a schiera ! * Abbiamo pure la rappresentazione del ronzio delle api intorno alle arnie o alveari, nei versi 1-3 del canto XVI dell'Inferno: Già era in loco ove s'udia il rimbombo Dell'acqua che cadea nell'altro giro, Simile a quel che l'arnie fanno rombo. S 9. LA PASTORIZIA. Uno dei mezzi più adatti a rendere bella e sim- patica la poesia georgica, è certamente la rappresentazione della pa- storizia, la quale ha fornito sempre larga messe di studio a quanti si dedicano allo studio della natura, e più specialmente al pittore ed al poeta, anche per rispetto ai tempi in cui l'uomo primitivo viveva es- senzialmente di essa. Vi furono, com'è ben noto, dei veri e propri poemi didascalici agricoli che si riferivano unicamente alla pastorizia; prege- volissimo fra i moderni quello del bresciano CESARE ARICI, intitolato appunto La Pastorizia. Il GASPARY", considerando le ecloghe dantesche, disse molto bene che: la « veste pastorale qui non è un giochetto ozioso, ma vero mezzo » d'arte, dove il parlare apertamente sarebbe stato ruvido e offensivo ». Sulla particolare importanza che hanno poi le Ecloghe di Dante, in confronto anche a quelle di Giovanni del Virgilio, si leggono im- portanti osservazioni nel bel libro La bucolica latina nella letteratura italiana del secolo XIV, di F. MACRI-LEONE º. º Op. cit., I, pag. 253. º Torino, Loescher, 1889; v. specialm. le pag. 95 e 119. 136 CAPITOLO PRIMO. Nel Poema gli esempi risguardanti la pastorizia sono parecchi, ma molto sparsi, cosicchè lo studioso non può giustamente apprezzarne il valore, se non li abbia tutti riuniti e sott'occhio. Anche in questa parte, così importante per la Georgica, ci si offrono delle similitudini splendide, nelle quali è da rilevare l'arte con cui si rappresenta ciascun animale, secondo le abitudini e gli istinti; e la bella varietà, secondo cui lo stesso animale è più volte raffigurato con nuovi atti e ben convenienti e ca- ratteristici. * Quali si fanno ruminando manse Le capre, state rapide e proterve Sopra le cime, avanti che sien pranse, Tacite all'ombra, mentre che il sol ferve, Guardate dal pastor che 'n su la verga Poggiato s'è, e lor poggiato serve; E quale il mandrian che fuori alberga, Lungo il peculio suo queto pernotta, Guardando perchè fiera non lo sperga: Tali eravamo tutti e tre allotta, Io come capra, ed ei come pastori. (Purg., XXVII, 76-86) In questi versi abbiamo un vivo e compiuto quadretto pastorale. Belle sono le due figure principali, del mandriano che Lungo il peculio suo queto pernotta, e del pastore che guarda il gregge durante il giorno: alle quali si connettono efficacemente quelle delle capre. Il quadro è vivente; ed il linguaggio non potrebbe essere nè più elegante nè, al tempo stesso, più appropriato. La rappresentazione poi delle capre, che, prima d'essere satolle, si mostrano indocili e disordinatamente si spargono per le cime, pascendosi con avidità delle erbe; e poi, quando, verso il meriggio, sono sazie di cibo, si riuniscono quietamente, ada- giandosi tutte mansuete all'ombra degli alberi, presso il pastore ap- poggiato al suo bastone; è più che fatta, dipinta e lo spettacolo che dinanzi si risveglia è tale quale noi possiamo osservarlo in una bella giornata di sole in qualche pascolo alpestre. Si noti poi la finezza dell' Osservazione sull'atteggiamento del pastore che si appoggia in su la verga. Il Poeta scrive: Guardate dal pastor che 'n su la verga Poggiato s'è, . . . . . . . . . . . . . . . . ma poi tosto, pensatamente, soggiunge: e º a o o º º se o , e lor poggiato serve; LA VITA DI CAMPAGNA. 137 per significare che il pastore, benchè riposandosi, non perde di vista il suo gregge e serve, cioè è utile, pur nell'indolenza dell'atteggia- mento, alle sue bestie. * I pastori che ritornano, cacciandosi innanzi le gregge, dai boschi e dalle valli, e le irsute capre in via, si hanno nei seguenti versi: Virgiferi silvis gelida cum valle relictis, Post pecudes rediere suas: hirtaeque capellae Inde, velut reduces ad mollia prata praeibant. (Ecloghe, Ecloga II, 92-94) * Un' altra bellissima e notissima similitudine è questa: Come le pecorelle escon del chiuso Ad una, a due, a tre, e l'altre stanno Timidette atterrando l'occhio e il muso; E ciò che fa la prima, e l'altre fanno, Addossandosi a lei s'ella s'arresta, Semplici e quete, e lo 'mperchè non sanno: Sì vid'io movere a venir la testa Di quella mandria fortunata allotta, Pudica in faccia, e nell'andare onesta. (Purg., III, 79-87) In questi versi, dolcemente affettuosi e potentemente descrittivi (sicchè un pittore vi può trovar già sbozzato il disegno d'un quadro), è raffigurata la semplicità e la timidezza, tutte proprie di questi animali, e certo loro particolar costume. Quel timido e confuso uscire dall'ovile è con ogni verità descritto, come pure è ritratto quel- l'istinto che spinge le pecore a seguirsi e imitarsi, senza ragione, ciecamente; l'una dietro l'altra. La comparazione, anzi l'allegoria, ha poi corrispondenza piena coll'atteggiamento e movimento della schiera di anime che si ferma stupefatta, vedendo l'ombra del corpo di Dante. I versi: E ciò che fa la prima, e l'altre fanno, Addossandosi a lei s'ella s'arresta, Semplici e quete, e lo 'mperchè non sanno: hanno, direi quasi, la loro integrazione (che più armonica e perfetta non potrebb'essere) nei seguenti: Restaro, e trasser sè indietro alquanto, E tutti gli altri che venieno appresso, Non sapendo il perchè, fenno altrettanto. (Purg., III, 91-93) 18 138 CAPITOLO PRIMO. Con due similitudini pastorali Dante rappresenta, metaforicamente, il danno che proviene ai frati quando non seguono il loro fondatore (pastore): * E quanto le sue pecore remote E vagabonde più da esso vanno, Più tornano all'ovil di latte vote; (Par., XI, 127-129) e il danno che ricevono i cristiani, che tornano dall'aver sentite le favole che si gridano in pergamo: * Sì che le pecorelle, che non sanno, Tornan dal pasco pasciute di vento, E non le scusa non veder lor danno. (Par., XXIX, 106-108) Se si esamini accuratamente ciascuna espressione, si vedrà come esse sien ben proprie a significare l'immagine, in corrispondenza per- fetta col concetto che si vuole esprimere sotto metafora. * Invece, non più sotto velame di metafora, abbiamo nei seguenti versi un vero e pittoresco quadretto di una delle più importanti scene della vita pastorale, quella cioè della mungitura : Est mecum, quam noscis, ovis gratissima, dixi, Ubera vix quae ferre potest, tam lactis abundans (Rupe sub ingenti carptas modo ruminat herbas), Nulli iuncta gregi, nullis assuetaque caulis, Sponte venire solet, nunquam vi poscere mulctram. Hanc ego praestolor manibus mulgere paratis; Hac implebo decem missurus vascula Mopso. Tu tamen interdum capros meditere petulcos, e se se “ e e o se e ' s .. e te e - a e e s e o o a s e , e ,s s e e o *Troviamo accenno nella Divina Commedia all'abitudine che hanno i caproni di lottare fra loro: ed è in due tratti magistrali, ne' quali sentiamo, per la forte cesura del secondo verso, quasi l'urto feroce dei due becchi: e e o o a o a o o o e o o o come due becchi, Cozzaro insieme: tant'ira li vinse. (Inf., XXXII, 50-51) * Per indicare il male che incoglie i cristiani che abbandonano la guida della Chiesa, s'usa l'immagine dell'agnellino giovane che si sbizzarrisce e, staccandosi dalla madre, va incontro al suo danno: LA VITA DI CAMPAGNA. 139 Non fate come agnel che lascia il latte Della sua madre, e semplice e lascivo Seco medesmo a suo piacer combatte. (Par., V, 82-84) * A proposito dei versi: Quivi soavemente spose il carco, Soave per lo scoglio sconcio ed erto, Che sarebbe alle capre duro varco: (Inf., XIX, 130-132) il LEssoNA" acconciamente scrive, rilevando la proprietà delle capre di pascolare nei luoghi più selvatici: « che i vertici più erti, i luoghi più dirupati e nudi frammezzo ai burroni sulle montagne, sono quelli dove le capre si aggirano più volentieri, saltellando e balzando con piede sicuro sul margine dei precipizi, non superate in ciò che dai camosci e dagli stambecchi ». Efficacissima appunto l'immagine di Dante per dar l'impres- sione di un sentiero difficile e pericoloso. * Nelle seguenti parole del Convivio si può scorgere come pro- fonda egli avesse la conoscenza di certe abitudini delle pecore: Questi sono da chiamare pecore, e non uomini: chè se una pecora si gittasse da una ripa di mille passi, tutte l'altre le andrebbono dietro; e se una pecora per alcuna cagione al passare d'una strada salta, tutte le altre saltano, eziandio nulla veggendo da saltare. E io ne vidi già molte in un pozzo saltare, per una che dentro vi saltò, forse credendo di saltare uno muro, non ostante che il pastore, piangendo e gridando, colle braccia e col petto dinanzi si parava. - Convivio (Tratt. I, cap. 11 [58-70]) È tale la vivezza del linguaggio, prodotta anche dalla ripetizione, che è insistenza nel medesimo concetto (salta, saltano, saltare, saltare, saltò, saltare), che il lettore vede, quasi come nella realtà, i pazzi mo- vimenti delle pecore e quelli di disperazione del povero pastore ! * I poeti, descrivendo cose attinenti alla pastorizia, non tralascia- rono di parlare anche della musica agreste e di essa troviamo fatto cenno con allusione alle modulazioni della zampogna, strumento tutto proprio del pastore : E come suono al collo della cetra Prende sua forma, e sì come al pertugio Della sampogna vento che penetra. (Par., XX, 22-24) º Op. cit., pag. 54. 140 CAPITOLO PRIMO. Si noti la bellezza di quel prende sua forma, usato da Dante per significare l'aria che, inspirata dalla bocca, prende vario suono al pertugio, secondo l'arte del sonatore. S 10. L' IMBRUNIRE E LA NOTTE IN CAMPAGNA. IL RIPOSO DEL CONTADINO. * Lo giorno se n'andava, e l'aer bruno Toglieva gli animai che sono in terra, Dalle fatiche loro; . . . . . . . . . . . . (Inf., II, 1-3) In questi versi è, più che un'eco, la traduzione di notissimi versi di Virgilio. La descrizione che qui Dante ci offre della sera, è la classica antica descrizione, nella quale si accennano gli effetti gene- rali prodotti dall'imbrunire. - * Invece, un'immagine della sera con intenzione propriamente mo- derna, cioè, soprattutto, mediante l'accenno ai sentimenti che nel- l'uomo, e specialmente in certi individui, risveglia un fenomeno naturale, l'abbiamo nelle due seguenti terzine, ritraenti la mestizia che quell'ora fa nascere in cuore: Era già l'ora che volge il disio Ai naviganti e intenerisce il core Lo dì c'han detto ai dolci amici addio; E che lo novo peregrin d'amore Punge, se ode squilla di lontano, Che paia il giorno pianger che si more. (Purg., VIII, 1-6) Splendida ed affettuosa perifrasi! La squilla Che paia il giorno pianger che si more, rivela come egli s'intenerisse a quello spettacolo così soavemente bello, che è il tramonto. Stimiamo opportuno ripor- tare le parole del BIAGIOLI che chiama l'arte di Dante º « .... arte nuova.... d'associare alle più semplici circostanze o di tempo o di luogo o d'altro, ora una dottrina che t'ammaestra, ora un precetto morale che ti seduce, ora una verità che ti colpisce e t'innamora, ed ora una di quelle soavi sensazioni, le quali, se furon anche le mille volte da te sentite, ti rinnovano l'impressione medesima per la novità (1) Comm. di G. Biagioni alla Divina Commedia, Firenze, Ciardetti, 1830-32. LA VITA DI CAMPAGNA. 141 de' colori ond'è rivestita; e se per la prima fiata le senti, t'intene- riscono il cuore come se tu fossi in atto: tanto naturale e possente e a tempo, è il mezzo che Dante sa ben opportunamente adoperare ». * La campagna, quando sopraggiunge la calma della notte, si riempie di mille diversi rumori": tutto un altro mondo di animali si risveglia, e da questo risveglio scaturisce e s'intona un misterioso complesso di suoni. Or bene: di questi suoni e rumori uno dei più frequenti e comuni è il gracidare della rana, intorno alla quale rac- cogliamo una citazione che non è fra le meno notevoli del Poema : E come a gracidar si sta la rana Col muso fuor dell'acqua, quando sogna Di spigolar sovente la villana. (Inf., XXXII, 31-33) L'immagine della contadina, che al principio della estate sogna un'abbondante mietitura, quando le rane stanno di notte col muso fuori dell' acqua degli stagni gracidando, è di una ammirabile efficacia. Dante non dice d'estate, ma l'estate indica colla figura feli- cissima della villanella che fa (come disse un altro poeta) mannelle in suo pensiero. Si accoppia così il tratto pittoresco e reale, riguar- dante la rana Col muso fuor dell'acqua, all'osservazione psicologica: fusione che Dante solo può tentare; anzi non solo la tenta, ma per- fettamente l' ottiene. * E non vidi giammai menare stregghia A ragazzo aspettato dal signorso, Nè da colui che mal volentier vegghia. (Inf., XXIX, 76-78) Abbiamo riportata la citata terzina in questa serie di esempi, poichè ci presenta il garzone o altro uomo di stalla, il quale, sopraggiunta la notte, per la stanchezza o per desiderio di dormire, trascura le bestie che ha in consegna, per far più presto. E ciò succede più special- mente in campagna, ove spesso, per ignoranza o per negligenza, il lavoro di stalla è fatto malamente e in fretta. º V. le belle pagine di P. LIoy, Notte e ombra, Milano, Treves, 1891; p. 114 e seg. 142 CAPITOLO PRIMO. * Notisi ora con quali versi di rara precisione e squisitezza, è rappresentato il riposo del contadino quando sopraggiunge la notte: Quante il villan, ch'al poggio si riposa, Nel tempo che colui che il mondo schiara La faccia sua a noi tien meno ascosa, Come la mosca cede alla zenzara, Vede lucciole giù per la vallea, Forse colà dove vendemmia ed ara. (Inf., XXVI, 25-30) Son da notarsi le due perifrasi colle quali Dante ci descrive la stagione estiva: Nel tempo che colui che il mondo schiara La faccia sua a noi tien meno ascosa. Appunto in estate, i giorni essendo più lunghi che le notti, il sole ci resta meno nascosto: la notte poi è indicata per quel periodo nel quale la mosca cede alla zenzara, che appare appunto quando s'appressa l'ora vespertina. La proprietà del linguaggio poi nel verso: Vede lucciole giù per la avallea, è assai notevole, poichè in queste parole si dà quasi l'idea del brillare che fanno questi animaletti fosforescenti nei luoghi bassi ed umidi. Bella poi, e del tutto campestre, l'immagine del contadino che si riposa nel suo abituro, posto sull'alto di una collina; e in basso sono i campi, sui quali ha vendemmiato o arato durante il giorno. Nell'av- vicinamento della casa o dei campi, abbiamo un vero quadro georgico, nel quale (come scrive il CASINI)": « dall'una parte vediamo la casa ed il riposo della notte, dall'altra il campo e l'operosità del giorno ». * Ed ecco il quadro, da tutti le centinaia di volte ammirato, nel quale si descrive l'apparire delle stelle, al consumarsi del giorno, in quell'ora così dolcemente mesta, specie nella campagna; anzi direi, che questo spettacolo si gusta meglio nella pace e nella distesa dei campi che non altrove: Quando colui che tutto il mondo alluma Dell'emisperio nostro sì discende, Che il giorno d'ogni parte si consuma, Lo ciel che sol di lui prima s'accende, Subitamente si rifà parvente Per molte luci, in che una risplende. E quest'atto del ciel mi venne a mente. (Par., XX, 1-7) (*) Comm. cit., pag. 181. LA VITA DI CAMPAGNA. 143 Il sole, il tramonto; l'istante di completa oscurità del cielo prima dello spuntare delle stelle; lo scintillio di queste, prodotto sempre dalla luce solare; tutto ciò è detto da Dante con incomparabile con- cisione, precisione ed efficacia. I tre vocaboli: alluma, discende, consuma, ci presentano nettamente i tre movimenti apparenti del sole che hanno la spiegazione nel reale movimento della terra. * Per ultimo, l'immagine della luna piena in un cielo sereno. Vaghissima è la personificazione dell'astro ridente e delle stelle che fanno bello di sè il cielo: Quale ne' plenilunii sereni Trivia ride fra le ninfe eterne, Che dipingono 'l ciel per tutti i seni. (Par., XXIII, 25-27) La dolcezza dei versi, ottenuta coll' alternarsi felice de suoni di consonanti e vocali, non dirò cercati, ma, per fortunato istinto del genio, trovati e armonizzati da Dante, è da avvertirsi specie nella terzina sopraccennata e nei seguenti versi, che per confronto ripor- tiamo: Amor che nella mente mi ragiona, Cominciò egli allor sì dolcemente, Che la dolcezza ancor dentro mi suona. (Purg., II, 112-114) Io son, cantava, io son dolce Sirena, Che i marinari in mezzo mar dismago; Tanto son di piacere a sentir piena. (Purg., XIX, 19-21) Vago già di cercar dentro e d'intorno La divina foresta spessa e viva, Ch'agli occhi tempestava il nuovo giorno. (Purg., XXVIII, 1-3) In questi passi sentesi piena la dolcezza del suono, e l'impressione che si prova in una deliziosa boscaglia; ma ancor più efficacemente si comprende, dalla terzina suaccennata, l'impressione che nell'in- sieme fa una notte plenilunare, di pace, serenità, armonia: la notte 144 CAPITOLO PRIMO. – LA VITA DI CAMPAGNA. classica: quella in cui Elena chiede a Faust come potrà parlare l'idioma Soave. La e e o e o o o e o o o o º C e o o e notte privata D'ogni pianeta sotto pover cielo, Quant'esser può di nuvol tenebrata, (Purg., XVI, 1-3) sarebbe piuttosto la notte romantica, nel senso sempre che hanno que- ste parole nel Faust, perchè poi di luna, laguna, nuvoli, e castelli merlati si farà sin troppo abuso, e diverranno quasi convenzionali nel repertorio de'minori romantici. CAPITOLO SECONDO. FORME PROVERBIALI E MODI DI DIRE GEORGICI. S 1. Valore di queste espressioni. – S 2. Piante, sementa, fiore, frutto. S 3. Dalla vita campagnola. – S 4. Animali. S 1. VALORE DI QUESTE ESPRESSIONI. Si è creduto opportuno riunire qui sotto alcuni passi che, per la loro somiglianza col linguaggio popolare campestre, possono chiamarsi forme proverbiali o modi di dire georgici. Il numero di questi non è grande, e le citazioni si limitano alla Divina Commedia. Di tali frasi non si trovano nelle Opere minori, mentre vi si trovano, p. es., citazioni dal libro biblico dei Proverbiº. Specie per cagion della rima, anche a un maestro come Dante, si rendeva difficilissima l'introduzione di precise forme popolari, e tanto più in un Poema che tratta, quasi esclusivamente, di materie spiri- tuali e morali. Egli, tuttavia, innesta con grande abilità le forme popolari nel suo stile, che non è, e non può essere, sempre quello ſvolgare, e la frase fissa e comune conserta colla frase che crea. Alcune delle seguenti citazioni hanno solo, per così dire, il germe ed il ricordo della frase popolare; ma crediamo bene di riportarle insieme con le altre, nelle quali il proverbio o il modo di dire è mag- giormente svolto. In ambedue i casi si potrà rilevare quella grande (!) Cfr. Conv., III, 14, 15; IV, 5, 7, 24, 25, e De Mon., III, 1; cfr. E. MooRE Studies in Dante cit., e vedine la bella recensione di E. RosTAGNo nel Bullettino della Società Dantesca ital., n. s., V, 1-2, pag. 1 e seg. º 19 146 CAPITOLO SECONDO. opportunità di accenni e di similitudini, e quella meravigliosa sempli- cità colla quale il Poeta ci dipinge anche le cose più ovvie e modeste. S 2 PIANTE, SEMENTA, FIORE, FRUTTO. º Ti si farà, per tuo ben far, mimico: Ed è ragion; chè tra li lazzi sorbi Si disconvien fruttare al dolce fico. (Inf., XV, 64-66) Si noti l'uso della parola lazzi, qui aggettivo, che, usata poi come sostantivo, significa detti arguti e pungenti, specialmente nel parlar fiorentino. * Rispose adunque: « Io son frate Alberigo, Io son quel delle frutta del mal orto, Che qui riprendo dattero per figo ». (Inf., XXXIII, 118-120) Pane per focaccia, diremmo ora ; anzi: focaccia per pane. Del resto, si può ben credere, che la frase non fosse aliena dal linguaggio comune. * Di mia semente cotal paglia mieto. (Purg., XIV, 85) Il verso corrisponde alla frase biblica del seminare e mietere (qui seminat in lacrimis in ecultatione metet), e a forme popolari sul tipo di queste: Chi non semina non raccoglie; – Chi semina vento rac- coglie tempesta. * Per lor maledizion sì non si perde, Che non possa tornar l'eterno amore, Mentre che la speranza ha fior del verde. (Purg., III, 133-135) L'unica frase di gusto popolare è fior del verde, perchè fiore si usa comunemente nel senso di: qualche poco di....; ancora di.... º Chè l'uso de mortali è come fronda In ramo, che sen va ed altra viene. (Par., XXVI, 137-138) Qui abbiamo da fare con una formazione di Dante (che anche al- trove ha parlato delle foglie), sebbene l'immagine sia usuale tanto, da poterla dire, se non fattura, maniera del popolo. FORME PROVERBIALI E MODI DI DIRE GEORGICI. 147 * Che la fortuna, che tanto s'aspetta, Le poppe volgerà u son le prore, Sì che la classe correrà diretta; E vero frutto verrà dopo il fiore. (Par., XXVII, 145-148) Si avverta l'unione delle immagini e frasi marinaresca e campagnola. S 3. DALLA VITA CAMPAGNOLA. * Non è nuova agli orecchi miei tale arra: Però giri fortuna la sua rota, Come le piace, e il villan la sua marra. (Inf., XV, 94-96) La frase giri il villan la sua marra è molto probabilmente dell'uso vivo d'allora, ma ci sembra sicuro che l'avvicinamento della fortuna e della sua ruota sia tutto di fattura Dantesca, per quanto l'immagine della ruota della fortuna sia assai popolare, anche mercè le sonnambule di piazza. * Verso di te, che fai tanto sottili Provvedimenti, che a mezzo novembre Non giunge quel che tu d'ottobre fili. (Purg., VI, 142-144) A questo proposito O. BACCI" ricorda alcuni proverbi, quali: «Quando la mora è nera, un fuso per sera » ; – « Quando la saggina rossa mostra il muso E ora da tor su la rocca e il fuso »; ed altri, esponendo la opinione, che Dante abbia voluto accennare, nei citati versi, oltrechè alle provvisioni (provvedimenti), proprie di quel periodo di tempo che fu fatale per lui, anche a quella stagione nella quale più comunemente si filava e si preparavano le lane e i panni più gravi per le stagioni fredde imminenti; cioè, che vi sia, come fu rilevato, un'allusione politica, e, altresì, un riferimento a certi costumi della stagione autun- nale. Riguardo al vocabolo sottili egli scrive: « tu fai così sottili prov- vedimenti che questi duran pochissimo; come durerebbero poco, quasi panno senese che si rompe prima che si metta in dosso (è un altro prover- bio), i filati troppo sottili ». S 4. ANIMALI. * E cieco toro più avaccio cade Che 'l cieco agnello....... (Par., XVI, 70-71) (!) O. BACCI, Nota Dantesca, Verona, Tedeschi e Figlio Edit., 1892, pag. 6. 148 CAPITOLO SECONDO. Come semplice confronto, abbiamo riportato questi versi: essi sono privi della forma popolare e li crediamo, perciò, di vera fattura dantesca. * L'oltracotata schiatta (º, che s'indraca Dietro a chi fugge, ed a chi mostra il dente O ver la borsa, com'agnel si placa. (Par., XVI, 115-117) Indracare è probabilmente parola coniata da Dante, molto più che non se ne trovano (come pare) esempi anteriori a lui. Mostrare il dente, e placarsi come agnello sono frasi sempre vive: quindi il complesso delle locuzioni è riplasmato dantescamente, ma il fondo è popolare. Anzi v'è la frase, del tutto popolare, mostrare il dente. º Vinca la crudeltà, che fuor mi serra Del bello ovil ov'io dormii agnello Nimico ai lupi che gli danno guerra; (Par., XXV, 4-6) è un'allegoria felice, più che un proverbio, ma ha in sè, specie nella frase dormii agnello, un modo di dire assai affine ai popolari. * E così press'a poco dovrà dirsi della seguente terzina: Oh sovra tutte mal creata plebe, Che stai nel loco onde 'l parlare è duro, Me' foste state qui pecore o zebe! (Inf., XXXII, 13-15) * Se mala cupidigia altro vi grida, Uomini siate e non pecore matte, (Par., V, 79-80) il concetto è biblico (velut irrationabilia pecora), ma pecore matte è frase popolare: certo diventata dopo Dante molto comune. a º Produce e spande il maledetto fiore Ch'à disviate le pecore e gli agni, Perocchè fatto ha lupo del pastore. (Par., IX, 130-132) Il pastore che diventa lupo, ricorda quello che, per contrario, si dice lupo pecoraio. Sono comunissime nel linguaggio popolare forme º Oltracotata Schiatta era creduta quella degli Adimari. Vedi ora le obiezioni di RoBERTo DAVIDsoHN, Geschichte von Florenz, vol. 1 (cfr. Bullettino della Società Dantesca ital., IV, pag. 97-98). FORME PROVERBIALI E MODI DI DIRE GEORGICI. 149 proverbiali con immagini tolte da lupi e agnelli Chi pecora si fa, lupo la mangia, ec. * In vesta di pastor lupi rapaci Si veggion di quassù per tutti i paschi: (Par., XXVII, 55-56) ecco, tale e quale, l'immagine del lupo pecoraio. * Tra male gatte era venuto il sorco; Ma Barbariccia il chiuse con le braccia, E disse: «State in là, mentr'io lo inforco »; (Inf., XXII, 58-60) - ha tutti i caratteri di locuzione proverbiale: e forse fu usata tale e quale dai fiorentini. Modi popolari e proverbi sui gatti e sorci sono frequentissimi. In ogni modo il verso è felice tanto, che è diventato facilmente proverbio esso stesso. * Di questo ingrassa il porco sant'Antonio, Pagando di moneta senza conio. (Par., XXIX, 124-126) Si noti la frase ingrassare il porco che non è aliena dall'uso, per dire fare l'interesse suo, e anche nel senso di giovare a chi non se lo merita. dº º Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe, Che la madre mi diº, l'opere mie Non furon leonine, ma di volpe. (Inf., XXVII, 73-75) Si suol dire leonine, volpine, ma non c'è con queste o simili pa- role una frase popolare fissa. º .... chè, siccome dice il mio maestro Aristotile nel primo dell'Etica, “ una rondine non fa primavera.' - - Convivio (Tratt. I, cap. 9 [60-62]) sa Vi si ritrova il proverbio, che è sempre vivo, una rondine non fa primavera. Dante lo cita dall'Etica di Aristotile; cioè riatteggia così un passo della traduzione latina. CAPITOLO TERzo. DESCRIZIONI DI FENOMENI METEOROLOGICI. S 1. Carattere di queste descrizioni. – S 2. L'aria ed i venti. – S 3. La rugiada. La nebbia. – S 4. La neve. – S 5. Il gelo. – S 6. La pioggia, e intemperie diverse. S 1. CARATTERE DI QUESTE DESCRIZIONI. Come avvertimmo nella prima Parte ", non la moderna precisione scientifica si vorrà specialmente rintracciare nei passi che qui si raccolgono, risguardanti la vita cam- pestre in relazione al cielo ed alle stagioni. Essi, per altro, mentre servono a dimostrare come Dante fosse, anche in questo genere di fenomeni, osservatore coscienzioso, lo rivelano, altresì, grande maestro nell' arte del descrivere. Ed appunto perchè il Poeta si palesa così esatto nella descrizione, è lecito arguire che egli, come ben scrisse il VENTURI: « nell' aperto lume dei campi contemplando le bellezze dell'universo, trovò modo di dare splendore ai concetti meditati nella solitudine degli studi e ne segreti dell'anima sua » ”. Colla rappresentazione dei vari aspetti dell'atmosfera, troviamo nelle opere Dantesche quella delle così dette intemperie prodotte dal- l'aria e dall'acqua, nelle loro vicendevoli trasformazioni. I poeti georgici non tralasciarono di occuparsi, più o meno, dei fenomeni meteorologici, e perciò crediamo opportuno di esaminare la forma, (!) Cap. I, S 3. º Op. cit., pag. 1. 152 CAPITOLO, TERZO. sobria ed artistica, che Dante trovò pure per questo genere di os- servazioni. S 2. L'ARIA ED I VENTI. * E quale, annunziatrice degli albori, L'aura di Maggio movesi ed olezza : Tutta impregnata dall'erba e da fiori; Tal mi sentii un vento dar per mezza La fronte, e ben senti' mover la piuma, Che fe' sentire d'ambrosia l'orezza. (Purg., XXIV, 145-150) Questi versi hanno un'armoniosa dolcezza di suoni, e rappresen- tano con grande potenza ritmica quel venticello che spira mollemente avanti l'alba e che, in aperta campagna, è tutto profumato di quei mille odori che emanano dalla diversa qualità dei vegetali, da poco risvegliatisi dal torpore invernale. In primavera le erbe ed i fiori si fecondano per mezzo dei venti che trasmutano il polline e trasportano i semi: perciò quell'aura impregnata è frase che dà singolare vaghezza e precisione al contesto. Dante scrivendo questi versi non poteva non ripensare alla Città dei fiori, a quella che il Foscolo chiamò beata, per le felici Aure pregne di vita. Non potevano certo uscir dalla sua me- moria i bei maggi fiorentini, quelle mattinate nelle quali, sembra che i profumi di tutte le colline, che circondano la città, come anello una gemma, scendano giù al piano, e l'aura se ne trovi impregnata e muovasi ed olezzi, dolce come il ventilare dell'ala d'un angelo. * Indicano il venticello foriero della primavera (cioè Favonio o Zeffiro), il quale, mercè il suo tepore, produce la gemmazione nelle piante, i noti versi: In quella parte ove surge ad aprire Zeffiro dolce le novelle fronde, Di che si vede Europa rivestire. (Par., XII, 46-48) Essi indicano fantasticamente la Spagna; ma Dante non ci dice solo il luogo ove sorge Zeffiro, che sarebbe un'indicazione da geo- grafo. Egli è poeta; vede, quasi, lo Zeffiro; lo personifica, ne de- scrive gli effetti. E descrivendo, mostra le sue mirabili attitudini ad osservare, e una delle qualità sue fondamentali: la densità dei pensieri. DESCRIZIONI DI FENOMENI METEOROLOGICI. 153 * L'agitarsi dell'aria, che spira, ora da una parte, ora dall'al- tra, e che, secondo la direzione, prende diversi nomi, come borea, li- beccio, maestrale, ec., non si poteva meglio e più brevemente, e, di- ciam pure, geograficamente, indicare, che coi seguenti versi: Non è il mondan romore altro che un fiato Di vento, ch' or vien quinci ed or vien quindi, E muta nome, perchè muta lato. (Purg., XI, 100-102) * Ecco un terribile temporale di vento in una boscaglia: esso schianta e distrugge quanto trova sul suo passaggio: E già venia su per le torbid' onde Un fracasso d'un suon pien di spavento, Per cui tremavano ambedue le sponde; Non altrimenti fatto che d'un vento Impetuoso per gli avversi ardori, Che fier la selva, e senza alcun rattento Li rami schianta, abbatte, e porta fuori. Dinanzi polveroso va superbo, E fa fuggir le fiere e li pastori. (Inf., IX, 64-72) Il suono di questi versi ci fa quasi assistere ad una vera bufera; gli avversi ardori, cioè il disquilibrio del calorico nell'atmosfera º ed i tre verbi schiantare, abbattere e portar fuori dell'ultima strofa, ci raf- figurano nettamente il rompersi fragoroso dei rami. La stupenda per- sonificazione, poi, del vento, che : Dinanzi polveroso va superbo, ci fa ricordare, con meravigliosa chiarezza, quei turbini velocissimi di polvere, che sono, si potrebbe dire, la staffetta degli uragani, e che paiono altresì superbi, poichè tutto s'inchina e piega al loro strepitoso passaggio. Il fuggire, infine, delle fiere e dei pastori è una chiusa efficacissima. * Ben sai come nell'aere si raccoglie Quell'umido vapor, che in acqua riede, Tosto che sale dove il freddo il coglie º. Giunse quel mal voler, che pur mal chiede Con l'intelletto, e mosse il fummo e il vento Per la virtù che sua natura diede. Indi la valle, come il dì fu spento, Da Pratomagno al gran giogo coperse Di nebbia, e il ciel di sopra fece intento º Vedi prima Parte, cap. I, S 3. º Vedi La formazione della pioggia, prima Parte, cap. I, S 3. 154 CAPITOLO TERZO. Sì, che il pregno aere in acqua si converse: La pioggia cadde, ed ai fossati venne Di lei ciò che la terra non sofferse: E come a rivi grandi si convenne, Vér lo fiume real tanto veloce Si ruinò, che nulla la ritenne. (Purg., V, 109-123) Queste terzine sono molto caratteristiche, perchè v'è un accenno tutto medievale alla potenza del demonio. L'ultimo verso, poi, sembra che ci faccia udire il travolgersi impetuoso delle acque di una piena. S 3. LA RUGIADA. LA NEBBIA. * È descritta la rugiada e ritratta l'impressione di fresco che si ba nei luoghi ombrosi, coi versi: - Quando noi fummo dove la rugiada Pugna col sole, e per essere in parte Dove adorezza, poco si dirada. (Purg., I, 121-123) * Un accenno a una metaforica rugiada (ed è poi da intendersi propriamente rugiada : ros ea lapide ?) è nel passo: . . . . neve resiliat gratia Dei ex vobis, tamquam ros quotidianus ex lapide. IEpistole (Epistola V [76-78]) * Come, quando la nebbia si dissipa, Lo sguardo a poco a poco raffigura Ciò che cela il vapor che l'aere stipa. (Inf., XXXI, 34-36) Il fenomeno per cui l'occhio va, a mano a mano, discernendo e raffigurando più chiaramente i contorni delle cose, prima nascosti dalla nebbia, è descritto con precisa eleganza. * Ricorditi, lettor, se mai nell'alpe Ti colse nebbia, per la qual vedesti Non altrimenti che per pelle talpe; Come, quando i vapori umidi e spessi A diradar cominciansi, la spera Del sol debilemente entra per essi. (Purg., XVII, 1-6) (1) Il VENTURI " su questo passo fa una osservazione non del tutto ammirativa: « . . . . . Evidente nell'immagine, benchè un po' involuta (º Op. cit., pag. 117. DESCRIZIONI DI FENOMENI METEOROLOGICI. 155 nella concisione, è la similitudine ». Ed è bene notare anche quello che di meno bello è in Dante, il quale è, del resto, sempre grande (ottimamente ha scritto il Carducci) anche quando non è bello. º Verum (quia naturalis amor diuturnam esse derisionem non patitur, sed ut sol aestivus qui disiectis nebulis matutinis oriens luculentus irradiat, derisione omissa, lucem correctionis effundere ma vult)..... De Monarchia (Lib. II, cap. 1 [36-41]) La similitudine del sole estivo che dissipa le nebbie vi è poco svi- luppata, ma molto scolpita, (1 ) S 4. LA NEVE. Dante descrive la caduta della neve " così: Sì come di vapor gelati fiocca In giuso l'aer nostro, quando il corno Della Capra del ciel col sol si tocca; (Par., XXVII, 67-69) il che è pure astronomicamente esatto, poichè il tempo nevoso cor- risponde all'incontro del sole nella costellazione del Capricorno. * Sebbene il seguente passo si riferisca alla caduta della neve in montagna, tuttavia la medesima placida nevicata può aversi talora anche in costa e in piano: Sovra tutto il sabbion d'un cader lento Piovean di fuoco dilatate falde, Come di neve in Alpe senza vento. (Inf., XIV, 28-30) Il terzo verso, stupendo, dà l'idea, non tanto del cader della neve, quanto del silenzio che si ha finchè dura la nevicata ; della quiete so- lenne che si può osservare massime durante una nevicata alpina. Alcuni potrebber trovar da ridire sul confronto della neve colle falde di fuoco; ma che altro poteva escogitar Dante (si pensi bene) per signi- ficare questa lenta infernale caduta di lingue di fuoco? * I venti boreali congelano le nevi che si trovano nei boschi, ed i venti che provengono dall'Affrica le liquefanno. Dante, per indicare in modo artistico quello struggersi della neve, aggiunge e unisce in bell'armonia l'esempio della fusione lenta della candela: º) Vedi Parte prima, cap. I, S 3. 156 CAPITOLO TERZO. Sì come neve tra le vive travi Per lo dosso d'Italia si congela, Soffiata e stretta dalli venti schiavi, Poi liquefatta in sè stessa trapela, Pur che la terra, che perde ombra, spiri, Sì che par fuoco fonder la candela. (Purg., XXX, 85-90) * A proposito dei versi: In quella parte del giovinetto anno, Che il sole i crin sotto l'Acquario tempra, E già le notti al mezzodì sen vanno ; Quando la brina in su la terra assempra L'imagine di sua sorella bianca, Ma poco dura alla sua penna tempra ; Lo villanello, a cui la roba manca, Si leva e guarda, e vede la campagna Biancheggiar tutta; ond'ei si batte l'anca: Ritorna in casa, e qua e là si lagna, Come il tapin che non sa che si faccia; Poi riede, e la speranza ringavagna, Veggendo il mondo aver cangiata faccia In poco d'ora, e prende suo vincastro, E fuor le pecorelle a pascer caccia: (Inf., XXIV, 1-15) G. A. SCARTAZZINI º scrive: « Il Poeta ci presenta in un magnifico quadro il villanello cui manca il foraggio pel bestiame, che, desto un bel mattino di febbraio, vede la campagna tutta biancheggiare e si sconforta assai, credendo il suolo coperto di neve. Ma ben presto la brina, che il villanello credeva fosse neve, si scioglie e tutto raccon- solato egli guida le pecorelle al pascolo ». Come lo Scartazzini, così il Venturi, e, per quel che so, quanti altri commentarono questo passo, ne scrissero lodi amplissime e senza restrizione alcuna. Ma, col dovuto rispetto alla grande arte del Poeta, a me pare che questo quadretto non sia dei più felici, non per la forma, come sempre quasi perfetta, ma bensì per minor precisione del contenuto e per la poca chiarezza del senso. La disperazione del contadinello che confonde la brina colla neve, non è affatto naturale e verosimile! Anche chi sia poco abituato alla vita campestre, saprebbe distinguere la brina dalla neve: perciò non si può menar buono che un contadino, per quanto poco intelligente, possa cadere in un così (!) Op. cit., pag. 226. DESCRIZIONI DI FENOMENI METEOROLOGICI. 157 grossolano errore riguardo ad un fenomeno che avrà veduto le cen- tinaia di volte, e che potrebbe sempre farsi spiegare con facile esat- tezza, la prima volta che lo veda. È stata, invece, da qualcuno ripresa la immagine: Ma poco dura alla Sua penna tempra. E certo essa non è delle più felici; ma è ben coerente sviluppo dell'assempra (esempla, copia); e, perciò, se non bella, spiegabilissima. S 5. IL GELO. L'azione del gelo sui fiori, l'assideramento ch'esso produce sui vegetali, ed il susseguente rinvigorire, prodotto dal calore solare, fonte di vita, viene a maraviglia descritto nei celebrati versi: Quale i fioretti dal notturno gelo Chinati e chiusi, poi che il sol gl'imbianca, Si drizzan tutti aperti in loro stelo. (Inf., II, 127-129) Come è leggiadro ed efficace quel chinati e chiusi ! Non sembra di vedere i poveri fiorellini colpiti dal freddo, che, in vece del gelo, avrebbero preferito l'umida rugiada così ben descritta dal Manzoni (Ermengarda): Come rugiada al cespite Dell'erba inaridita Fresca negli arsi calami Fa rifiorir la vita... ; e attendono, tutti raccolti, il divino bacio del sole? * I versi che seguono con la consueta eleganza dipingono un lago gelato: Poch'io mi volsi, e vidimi davante E sotto i piedi un lago, che per gelo Avea di vetro e non d'acqua sembiante. Non fece al corso suo sì grosso velo Di verno la Danoja in Osteric, Nè Tamai là sotto il freddo cielo, Com'era quivi: chè, se Tambernic Vi fosse su caduto, o Pietrapana, Non avria pur dall'orlo fatto cric. (Inf., XXXII, 22-30) È soprattutto da notarsi in questo efficacissimo quadro la bellezza della rima onomatopeica: Dante ha vere novità e arditezze nella sua verseggiatura. Quel suono in ic è molto simile allo scricchiolio d'una superficie d'acqua congelata, quando venga urtata o infranta. 158 - CAPITOLO TERZO. S 6. LA PIOGGIA, E INTEMPERIE DIVERSE. Nella terzina: Tragge Marte vapor di Val di Magra Ch'è di torbidi nuvoli involuto, E con tempesta impetuosa ed agra. . . . . (Inf., XXIV, 145-147) specialmente col maraviglioso verso: Ch'è di torbidi nuvoli involuto è ben rappresentata la grigia atmosfera minacciatrice di tempesta. * Ne forte coelestis imber, sementem vestram ante iactum praeveniens, in vacuum de altissimo cadat; . . . . Epistole (Epistola V [74-76]) Molto appropriata in quell'epistola V, che, specie nella prima parte, è una vera epistola georgica, è l'immagine della pioggia ce lestiale. * Un'altra pittoresca immagine d'intemperie ci dà la terzina: Grandine grossa, e acqua tinta, e neve Per l'aer tenebroso si riversa: Pute la terra che questo riceve. (Inf., VI, 10-12) L'ultimo verso dinota la proprietà della terra bagnata (se mel- mosa, o lutulenta), di esalare uno spiacevole odore. Acqua tinta è lo- cuzione forse poco felice, o può sembrar tale a nostri orecchi, per i molti e diversi usi che di questa frase si fanno, in vari contesti, oggidì : qui sta, crediamo, per nevischio; a meno che il Poeta non abbia voluto proprio significare acqua nericcia, sudicia. E nell'In- ferno ci può ben essere anche quella ! * Per dipingere un luogo che è libero di ogni alterazione atmo- sferica, cioè la regione del vero Purgatorio, dalla porta in su, Dante scrive: Perchè non pioggia, non grando, non neve, Non rugiada, non brina più su cade Che la scaletta dei tre gradi breve. (Purg., XXI, 46-48) Questo luogo sarebbe, sotto certi aspetti (sia permessa la frase), la regione ideale degli agricoltori; ma non vi sarebbe sicura la raccolta ! DESCRIZIONI DI FENOMENI METEOROLOGICI. 159 º L'Ariete si mostra di notte nella stagione autunnale, quando il sole ha percorso la parte boreale dell' Eclittica ed entra nella Libra. La coincidenza della stagione autunnale, nella quale le piante per- dono le foglie, coll'apparizione dell'Ariete, ha fatto dire al Poeta che l'Ariete fosse la causa della caduta delle foglie. Ognun vede poi che tal cosa succede anche alle piante di questa nostra terra, benchè nei versi di Dante si parli del secondo ternaro, o gerarchia angelica: L'altro ternaro, che così germoglia In questa primavera sempiterna, Che notturno Ariete non dispoglia. (Par., XXVIII, 115-117) Il Poeta ci presenta un intreccio di osservazioni felici, e botani- che, e astronomiche. CAPIToLo QUARTo. LA CACCIA. $ 1. La caccia col falcone. – S 2. Tese e altre cacce agli uccelli. S 3. Cacce di altri animali. S 1. LA CACCIA COL FALCONE. Questa caccia era in molta riputazione nel Medioevo; e Dante toglie da tale esercizio, pur esso georgico, alcune bellissime similitudini, le quali, aggiunte ad alcuni altri passi della Divina Commedia che si riferiscono alla caccia in generale, ci dimo- strano ancora una volta, quanto era versatile e trasmutabile per tutte guise quell'arte che si rivelò atta ad affrontare quasi ogni genere di rappresentazione poetica. Di tutte le similitudini georgiche o alla Georgica affini, queste risguardanti la Caccia non sono da trascurare per la finezza e semplicità della forma, abbellita da una meravigliosa facoltà descrittiva. Sono quadretti di genere, che ci dànno anche i minimi caratteri, diremmo quasi le sfumature, dell'ambiente da cui sono tolti; in una parola: non è più un leggere, ma un vedere, quello che il Poeta descrive. Ai costumi della caccia nel Medioevo, si riferirono egregiamente e il PULCI e l'ARIOSTo, e molti altri; ma, in ciò che concerne i ricordi della caccia col falcone, per verità e chiarezza d'immagini, nessuno (ci sembra) ha mai superato Dante. Crediamo, quindi, opportuno esporre qui i diversi esempi che di essa ci sono offerti, insieme ad alcuni altri che si riferiscono alla caccia in generale. 21 162 CAPITOLO QUARTO. * Lo sparviero è d'indole selvatica, violenta ed insensibile tanto alle carezze quanto ai gastighi. Or bene: Dante nei seguenti versi di- pinge la tremenda punizione degli invidiosi, paragonandola al modo che si adoperava per addomesticare gli sparvieri selvaggiº: Chè a tutte un fil di ferro il ciglio fora, E cuce sì, come a sparvier selvaggio Si fa, però che queto non dimora. (Purg., XIII, 70-72) * Il falconiere usava porre in testa al falcone, perchè si acquietasse, un cappuccio di cuoio. La gioia colla quale l'uccello rapace toglieva la testa dall'incomodo cappello, e poi si pavoneggiava contento di ri- trovarsi all'aperto ed alla luce, è acconciamente dipinta coi versi: Quasi falcone, che esce del cappello, Muove la testa, e con l'ale si plaude, Voglia mostrando e facendosi bello. (Par., XIX, 34-36) Si noti come sono efficacemente descritti, nella loro successione naturale, tutti gli attucci che fa il falcone, e quando esce dal cap- pello, e quando si fa bello. * Quale il falcon che prima a piè si mira, Indi si volge al grido, e si protende Per lo disio del pasto che là il tira. (Purg., XIX, 64-66) Di questi mirabili versi dice benissimo il VENTURI º : « La simili- » tudine tocca l'atto materiale, e la voglia ardente da cui è mosso. » Il falcone a piè si mira, siccome è natura d'ogni animale ed anche » dell'uomo, che s'apparecchi a muoversi con impeto ; poi si volge » al grido del falconiere, tutto bramoso del pasto ». Quel si protende sta a significare l'allargarsi sforzato dell'ali, pro- prio dei rapaci, nei momenti in cui sono maggiormente attratti dalla brama di preda o di cibo. º) Questo ammaestramento un po' crudele si trova menzionato anche nell'opera di FEDERICO II (II, 53): De arte venandi cum avibus. (º Op. cit., pag. 258. LA CACCIA. 163 * Quest'atto dell'uccello doveva notarsi certo assai spesso alla cac- cia col falcone: Come il falcon ch'è stato assai sull'ali, Che senza veder logoro o uccello, Fa dire al falconiere : Oimè tu cali: Discende lasso, onde si move snello, Per cento rote, e da lungi si pone Dal suo maestro, disdegnoso e fello. (Inf., XVII, 127-132) Per la loro chiarezza insuperabile, i versi non han bisogno di alcun commento. I vocaboli: logoro, uccello, snello, per cento ruote, di- sdegnoso, fello, sono dei più propri che si possan dare. Del logoro poi (ch'era un richiamo fatto di penne e d'osso) si trova memoria nelle opere di Falconeria del Medioevo. Sono da osservare anche i tre distinti momenti: sull'ale, discende, onde si move, i quali ci fanno veramente assistere col pensiero al volo di questo rapace. * Un altro grazioso quadretto ci è offerto dai versi seguenti: e o o s - e º o a - quegli andò sotto, E quei drizzò, volando, suso il petto: Non altrimenti l'anitra di botto, Quando il falcon s'appressa, giù s'attuffa, Ed ei ritorna su crucciato e rotto. (Inf., XXII, 128-132) Di essi scrive ToMMASO CASINIº: « L'anitra si nasconde attuffandosi » a un tratto nell'acqua del lago, vedendo avvicinarsi il falcone, il » quale riprende a volare per l'aria crucciato, per avere inutilmente » volato, e rotto, perchè prima di lanciarsi a ghermir l'anitra ha » dovuto stare assai su l'ali »º. Così il Poeta non solo ritrae il falcone, ma il falcone in azione: nella lotta contro l'anitra. La rappresentazione non potrebbe essere più reale e l'arte poetica v'è impareggiabile: diresti di udire il rumore dell'acqua prodotto dall'attuffarsi dell'anitra. (*) Comm. cit., pag. 155. º Chi bramasse accertarsi maggiormente della esattezza di linguaggio usato da Dante nei cinque esempi suesposti, consulti il libro di LUIGI CIBRARIo: Economia politica del Medioevo; e il commento di Philalethes (Re Giovanni di Sassonia), cit. dallo SCARTAZZINI. 164. CAPITOLO QUARTO. * Così per Carlo magno e per Orlando Due ne seguì lo mio attento sguardo, Com'occhio segue suo falcon volando. (Par., XVIII, 43-45) Questa similitudine ci rappresenta un'intensa attenzione, come quella colla quale l'occhio del falconiere segue il suo falcone che vola. Ed ecco così un altro momento di questa caccia. Si ha, perciò, nei vari esempi, una serie di momenti, che finisce col dare una descrizione, quasi compiuta. $ 2. TESE E ALTRE CACCE AGLI UCCELLI. º Similemente il mal seme d'Adamo: Gittansi di quel lito ad una ad una, Per cenni, come augel pel suo richiamo. (Inf., III, 115-117) I commentatori non sono d'accordo sopra il senso dell'ultimo verso. Alcuni accettano la spiegazione del Buti: « Dante fa la simili- » tudine dell'uccellatore che richiama lo sparviero con l'uccellino, e » lo falcone con l'alia delle penne, e l'astore col pollastro, e ciascuno » con quel di che l'uccello è vago ». Altra interpretazione ha dato, p. es., G. B. ZoPPI". Sembra in questo caso trattarsi (avuto riguardo anche al senso di tutto il passo Dantesco) non della caccia coll'uccellino o logoro che si adoperava per richiamare lo sparviere o il falcone, ma bensì della caccia chiamata in Toscana del paretaio o con altri nomi, secondo i luoghi, e secondo le differenze degli apparecchi o ordigni (retine, paniuzze ec.). Crediamo di potere accettare quanto dice il citato ZoPPI, cioè che non si debba pensare al richiamo col logoro, il quale « manca » affatto dell'immagine de molti che calano l'un dopo l'altro, ciò » che si avvera benissimo nell'altra maniera di uccellagione », e si debba intendere: come uccello si getta al richiamo e non come gettasi sparviere o falcone, per il richiamo d'uccello o d'ala. * L'uccellino implume non sa evitare i pericoli e cade spesso nella rete, o non fugge subito le insidie del cacciatore (due o tre (volte) aspetta); mentre l'uccello, fattosi pennuto, scampa (poichè diffida) e da reti e da Saette: (!) Op. cit., pag. 54-55. LA CACCIA. 165 Nuovo augelletto due o tre aspetta; Ma dinanzi dagli occhi dei pennuti Rete si spiega indarno o si saetta. (Purg., XXXI, 61-63) * Ecco un'altra osservazione sul costume degli uccelli, che sarebbe riconosciuta verissima pur da esperti cacciatori. Mentre che gli occhi per la fronda verde Ficcava io così, come far suole Chi retro agli uccellin sua vita perde. (Purg., XXIII, 1-3) Con questi versi Dante non fa certo dei complimenti ai cacciatori, e nemmeno ne fa il Buti che scrive: « La vita dell'uccellatore non » è utile a nulla, se non alla gola; e però meritevolmente Dante la » riprende qui ». Ad ogni modo, l'immagine Dantesca è graziosissima, rappresen- tandoci lo scrutare che fa cogli occhi il cacciatore fra foglia e foglia; ovvero quell'abitudine di guardare se su qualche ramo, o in qualche macchia si posi uno di quei piccoli uccellini che son tanto ricercati dai devoti seguaci di Nembrod. S 3. CACCE DI ALTRI ANIMALI. * Un altro bel quadretto ci raffigura un cacciatore nel momento in cui appostato ode venire alla sua volta il cinghiale inseguito dai cani, che fanno un gran rumore per il bosco : Similemente a colui che venire Sente il porco e la caccia alla sua posta, Ch'ode le bestie e le frasche stormire. (Inf., XIII, 112-114) Notevole è la potenza imitativa che hanno questi versi: il secondo, dell'accorrere del cinghiale e della caccia che ha dietro; il terzo, dello sfrascare. Essi ricordano i bellissimi del Manzoni (Ermengarda): E dietro a lui la furia De' corridor fumanti; E lo sbandarsi, e il rapido Reddir dei veltri ansanti; E dai tentati triboli L'irto cinghiale uscir. 166 CAPITOLO QUARTO. – LA CACCIA. E si avverta come Dante riesca ad ottenere, coll' endecasillabo rimato, certi effetti che più propriamente e meglio si ottengono con versi che, in confronto, si potrebber dire davvero brevi: quali egli chiamò i suoi, ripensando certo alla maestà dell'esametro eroico, virgiliano. * Il cane che insegue con crudele bramosia la lepre, lo abbiamo ritratto nei versi: Se l'ira sopra il mal voler s'aggueffa, Ei ne verranno dietro più crudeli Che il cane a quella lepre ch'egli acceffa. (Inf., XXIII, 16-18) Il verbo acceffa significa bene l'atto del cane che afferra col ceffo e coi denti, cioè, abbocca la preda. * L'immagine di una fiera colpita e che cade, è splendidamente espressa così: Quali dal vento le gonfiate vele Caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca; Tal cadde a terra la fiera crudele. (Inf., VII, 13-15) Le vele che ad un tratto si fiaccano per mancanza di vento, di- notano assai bene il cadere e, quasi, il raggomitolarsi della fiera, priva delle forze vitali. Si noti che, trattandosi di una fiera mitolo- gica (Pluto), le parole e non le ferite la fanno cadere. Ma, qui come altrove, vi è una specie di riflesso o di proiezione della realtà, dalla quale doveva pur muovere il fantasma. FINE. BIBLIOGRAFIA. Alighieri (L’). Rivista di cose dantesche, diretta da F. Pasqualigo, Olschki. Venezia (vedi Zoppi). ANGELELLI (Massimiliano). Del Loto di Omero, Discorso letto all'Accademia delle Scienze nell'Istituto di Bolo- gna (1848) . . . . . . . . . . . . . . . . . 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VI. 10-12. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158 13. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... 54 I. 2-6. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 121 13-15. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 32. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 19. ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 32-34. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 28-30. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52, 83, 114 37-40. . . . . . . . 110 VII. 8. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 44-45. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 8-9. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 45. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 13-15. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 49. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 83-84. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 49-51. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 VIII. 40-42 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 83 100-102. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 49-50. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94, 115 II. 1-8 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 50. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 127-129. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31, 157 IX. 40. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 III. 65-66. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91, 100 40-41 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84, 97 69. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 40-42. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 69-71. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 64-72. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 112-114. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30, 122 67-68. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 115-117.................. 47, 80, 164 76-78. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81, 95, 119 IV. 94-96. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 XII. 11-13. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 111. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 22-24. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 V. 40-41. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 25. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54, 91 40-42. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 XIII. 1-9. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 40-48 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 10-15. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54, 80 º Crediamo utile ricordare, per rispetto alle Opere minori, che ci riferiamo all'edizione del Moore per esse tutte, tranne per il De Vulgari Eloquentia, che si cita secondo la edizione minore del Rajna. I numeri arabi tra parentesi corrispondono a quelli che hanno i margini nell'edi- zione Moore, e ai paragrafi dell'edizione Rajna. - 172 INDICE DELLE CITAZIONI DANTESCHE. 40-42. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 58. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88, 97 97-99. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39, 74 58-60. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 100-102. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 128-132. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 111-114. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 130-132. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78, 86 112-113. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 138-134. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 112-114. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 139-141. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 124-126. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 XXIII. 4-6. . . . . . . . . . ............... 95 125. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 5-6. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 126. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 16-18. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 XIV. 7-9 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 17-18. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52, 83 7-15. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 18. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 28-30. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 XXIV. 1-15. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 XV. 64-66 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146 18-15. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 65-66. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39, 69, 74 61-63. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 94-96. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 82. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 XVI, 1-3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 82-84. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 3. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 85-86. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 28-30. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 85-87. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78, 87, 88 108-110... ... ... . 90 87. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 XVII. 12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 94-96. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 21-22. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 97-99. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 25-27. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 106-108. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 49. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 109-1Z1 . . . . . . . . . . . . . . . 67, 68, 70, 71 49-51. . . . . . . . . . 52, 83, 91, 94, 98, 114 124-125. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 58-60. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 145-147. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158 62-63. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 XXV. 4-9. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 64-65. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 16-17. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 72-73. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 19-21. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 74-75 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82, 116 22-24. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 103-104. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 49-57. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 127-129. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 58-60. . . . . . . . . . . . . . . ..... 39, 68, 128 127-132. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86, 163 79-81. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94, 119 XIX. 70-72 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 82-84. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 130-132. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83, 139 91. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 XX. 43-45. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 97-99. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 47-48. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 103-105. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 73-75. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124 112-114. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 73-78. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 131-132. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 79-84. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 XXVI. 25-30. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142 121-123. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 28. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 XXI. 44-45 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... 91 28-30. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90, 100 67-68. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 30. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 67-69. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83, 114 34. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 XXII. 19-21 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 34-36. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 25-27. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 58-60. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 32-33. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 XXVII. 7-9... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 36. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 40-42. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 9LI “GIHOSCILNVCI INOIZVLIO CITTGICI GIOICINI g8 “gl, “68 ſe s e s e o s e º - e s s e - e s - - - - - - Q8 SI 99-f9 06 09-89 00I pg-gg 06 . . . . . 0G g8 Ig-65 g8 e e s e º s a e e e e e e e º e Ai -9f i76 69 e a a e s s e a a s e o e s e e o o e e o e º e fp-Gp I8 88-29 ATX 8II “I6 e s e o s e s e e s e a e p e o e e e s e e G8I-I6I g9I 86 gg “lf 62-0Z IIIX 68 f G-8G 08 gp-gp 9II “g8 e e o s e s s e o a o o o e e o o o o a º a º e 3-I "IIX Lg ZII-GIA' 99I “fa, o e o o s e e e s e s s s e e - e s e o e 30I-00I “IX 66 º e e º s e s e o - e s e o o e • • - - - - - - - - - - - 66A 98 66I-Z8I gg g8I 66 “L8 º o o a s e o e o a o o o e s e e o a 9 . g8I-f6I 6L I8-62 g8 9g-gg X 6l Ia3-6I g6 gI-GI 96 “8l e o e e s e o e e s e e o s e s e a e e s e e o e 9-b XI L6 A20I-90T 08 fOI-GOI I8 8OL -26 gg A6 00I '88 e e o - e - e a s e s e e s e - e se - e s - e e I8-62 Lg 88 OFI 9-I IIIA 0L gOI-GOI Il 9A-GA g8 82 ILA lFI fi I-app gg 99 68 99-99 “IA gg 08I-GII 7gI e o e e o u e o s e a e - - - - - - - - - - - - - G8A -60I zg III-60I IgI 89 88-88 0g s e o sº e o e 68-28 'A 99 I 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8-08 68 6-9 XXX gg 68I g6 68I 88I 69 63I-A28I g6 f8-88 g6 f8-88 If I 82-92 L8 f9-89 66 89-I9 IgI Ig-9f XIXX 00I g2-fA2 GFI G2-82 68 3 e d Ig-6h IIA XX al 82-ZA 69 69-A9 g6 IG 89 Ig-6f, 6L 88-28 IIIXXX z8 Ai I-gf I LI 63I 0l, “68 “98 “LI e e o se e o o o o a s e o o e A8I-99)I 00I 33I 98 - gGI-OGI gg OgI 6L 93I-i76I 00I 03I-8II gg 8II 66 “61 e s e p e e º s e o o o o o e o s e o m e º fII'-aII 88 - O6-68 6 , “Il º e e o o e s e o a s s e o o s e s e o o se e e fA-GAZ 9 l. “fl, e e a º a º o o º se a o e º s s e º º º - e º o O9-89 96I “86 e e o o o o s e o o o o a o s e o a s o a o º e O9-3g 6s i g-ag S8 - - - - - - - - - - - gh-Gi 88 A8-93 'IIXXX 88 06I-8II gl G8 89 32-0Z 99I “Lif e e o a s e e o s e o e o o o s e a º e 89-I9 IXXX 99 “9I o e o s s e s e o o s a s e s e e º n e e e 03T-8II 99I “La e s e o e s e e o e o e o no a o e o o o o s e e O6-G8 IL a G-IG III 26-86 88 6-2 XXX 69 OgI-8f1 ol Zi I-9? I g8 80I-90I 69 f8-88 “XIXX 61 98A-IaI Fg AI-GIA sg j II-6OI 08 8I-OI gFI G-Z IIIA XX ggI GGI-GgI gL ZIT-gII L8 f9-39 g8 Z8-9Z 9gI 98-92, zl giz 69 3 e d . 68-Z8 IIA XX g6 gg I-j GI gII - 69-A9 88 gh-GF 66 86 e o o se a o se e a a o e s e o o e e a o o e o a ap-If, 6 II “18 “ag o o o a o o a o e s a o e o o o 99-i G IAXX IL . 09-62 gl, ( 6g 8A-AA, 99I “gf, e e e o o o e o s e o e o o s e o s a o o n e s 82-92, 18 29-Gg 9ZI '09 e s e o a o e º o a o s a s e a o e s e u n t e A29-3g g8 aI-OI 86 3-6 g6 3-I AXX gg OgI-8? I 90I Ai I-9f I zgI OgI-gi T 99 “fa, e e a se e se a o o se e e o s e s s e su g e o Ai I-Gi LT 86 I “gl e e e º e s e o o a o a o o s e o o o e o e fOI-GOI 08 “gg e e a e si e o e o a s e s e o o o e o a o o nº e 99-79 sl fa;-86 'AIXX zl 69-29 gl . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . gG-fg G9I 66 º s u e o a a s e e s e a º e o o º s e o se G-I IIIXX 06 89)I-IgI ol 6FI-8i I L9 f8A-GGI II XX Il 06-88 sgI 8b-9i IXX 69 98 06 aI-OI XX 69I 98 a e o s a s e e o o e o s a e s e e o e o º se a 99-i79 gs Ai -97 G7I “L6 o e s e a º o o º o o no e º s e a e o o e I 3-6I XIX gg 09-89 ol 6G-8G i79I “97 e s • e s e o o o e s e e e o a s e o a o o a e 09-Gg 86 I “Lg o a o o s e o o o a o o o o a s e - o e f9-Gg IIIAX III i G-ag 66 I8-6A pgI . . . . . . . . . . . . 9-I S6 8-I IIAX i7L gg e o º a a s a e o no e o o - e s e s e - º a i II-GIA' gg 68-Z8 FFI 8-I IAX FgI G8I-08I AX 6gI 30I OL &OI-COI CGI 3 ed e o o e o o o a s e s s e e s e s e 96-f6 'AIX “GIHOSCILNVCI INOIZVLIO GITTGICI GIOICINI fLI INDICE DELLE CITAZIONI DANTESCHE. 175 XIX. 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 56 PARADISO. 34-36. . . . . . . . . . . . . . .......... 87, 162 94-98. . . . . . . . . . . . . .............. 85 I. 13-15 .......... Pag. 67 XX 7-7. . . . . . . . . . . . . . . ............ 142 31-33. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 19-21. . . . . . . . . . .............. 19, 125 46-48. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 22-24. . . . . . . . . . ................. 139 II. 106-108. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 25-27. . . . . . . . . .................. 79 IV. 4-5. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77, 90 ºf-º2. . . . . . . . . . . . . .............. 80 6. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83, 86 73-75. . . . . . . . ............ 56, 78, 117 127-128. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 74-75. . . . . . . . . º º º n - e o a º - e o » e e e a o 52 V. 79-80. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 XXI. 18-15........................ 89 80. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 34-39. . . . . . . . ................ 94, 117 82-84. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56, 77, 139 115-116. . . . . . . . . . . . ............. 74 100-102. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 138-134. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81, 92 VI. 7-4. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79, 99 XXII. 55-57 ............. 32, 39, 73, 127 76-78. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 86-87. . . . . . . . . . . . . . . . . 32, 39, 69, 73 100-101. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 XXIII. 1-2 ........................ 52 VIII. 53-54 ..................... 78, 87 1-3. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 139-141. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 25-27. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143 IX. 130-132. . . . . . . . . . . . . . . . . 56, 77, 148 130-182. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 130-131 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 XXIV. 109-111. . . . . . . . . . . . . . . . . . 73, 132 132. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 110-111. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 X. 94-96. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 XXV. 4-6. ...................... 77, 148 XI. 127-129. . . . . . . . . . . . . . . . . 44, 56, 138 6. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 127-131. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 19-21 . . . . . . . . . . . . . . . . . 52, 56, 85, 115 XII. 7-8. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 112-113. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 7-9. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 XXVI. 85-87....................... 38 46-48. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29, 152 91-92. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 86-87. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41, 132 137-138. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29, 146 108-105. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19, 125 XXVII. 55-56................... 91, 149 118-120. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 67-69. . . . . . . » - e o e e e e s e e e o 21, 83, 155 XIII. 34-36..................... 72, 131 124-126. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33, 39 70-71 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 125-126. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68, 74 130-135. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 145-148. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 zºz-zº. . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 148. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 133-185. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 XXVIII. 115-117. . . . . . . . . . . . . . . . ... 159 XVI. 37-39 ........................ 89 XXIX. 106-108. . . . . . . . . . . . . . 45, 93, 138 52-57. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 124-125. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 70-71. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77, 98, 147 124-126 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 117. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 148-150. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 115-117. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 XXX. 109-111 ..................... 125 151-154. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 115-117. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 XVIII. 43-45....................... 164. 124-126. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 44-4ò. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 XXXI. 1-3. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 73-75. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56, 80, 117 1-12. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 74. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 7-9. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78, 135. 106-108. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 118-123. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 109-111 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 XXXII. 13-15...................... 74 176 INDICE DELLE CITAZIONI DANTESCHE. IL CANZONIERE. Canzone XV......... Pag. 25, 26, 30, 58 67, 71, 72, 75 Sestina I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 Sestina III......................... 127 Sestina IV......................... 127 Ballata VIII ....................... 127 I ſºl . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 84 [3-5] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 73 [14-15] ............. º • • • • • • • • • e o 74 [14-17] ...................... 20, 124 Dººl . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 126] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 [34-35] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 [50] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68, 71 [58] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 [58-65] ...................... 45, 138 [65] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 II. [7-9l.................... 69, 72, 74 [70-17] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84, 92 [12-fºl . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 [22] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 [23] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 I92-94] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 [93l . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84, 92 CONVIVIO. Trattato I, Cap. 9. [62] . . . . . . Pag. 95 [60-62]........ 149 11. [58-65]........ 92 [58-70].....45, 139 II, 8. [24-33]........ 58 [38]. . . . . . . . . . . 53 III, 3. [21-30]........ 39 [31-33]........ 58 7. [46, 56-60]..... 57 [104-107]... 88, 92 [107-109]..... . 95 IV, 2. [52-56] ........ 17 [56-57] ........ 36 6. [187-190]... 58, 92 95, 117 7. [15-17]........ 122 Trattato IV, Cap. 7. [18-22]... Pag. 17 17. 128-132]...... 46 [138-132]...... 78 22. [36-40]......... 36 [36-46]........ 68 [47-52] ........ 58 26. [42-46] ........ 58 [43-46]........ 84 27. [37-40] ..... 32, 73 [37-41] ... ... .. 126 28. [27-28] ........ 73 [27-31] ........ 128 29. [96-100]....... 70 [96-125]....... 131 DE MONARCHIA. Liber secundus, Cap. I. [36-41].. Pag. 155 DE VULGARI ELOQUENTIA. Liber primus, II. [4] .......... Pag. 57 II. [5] . . . . . . . . . . . . . . . SO II. [5] . . . . . . . . . . . . . . . 96 IV. [5]............ 24, 25 XI. [6] .............. 95 XVIII. [1] . ... ... .... 132 II. [6] . . . . . . . . . . . . . 93 Liber secundus, II. [4].............. 57 EPISTOLAE. V. 1-8] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 110 Liz-fºl . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 [16-18] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 [53-54] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 [55-56] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 [59-60] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 [71-76] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 [74-76] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158 [76-78] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154 I82-84] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 [86-87] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 93 [94-96] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 VII. [65-67]........................ 82 [98-99] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 [99-100l. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 [121-125] ........... - - - - - - - - - - - - 31 VIII. [70-72]....................... 93 [88-89] ..... e s e o o e o a o a s e o o e º us e a e 82 [14] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 UNIVERSITY OF M iI 39015 08035 6291 53 - Se - - º rº: E a LAC: R. i 2- 3 º SiTI e-o "E - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Humann lºntalaimlil Safeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeersif ini: l l l º º4 È p=