C^-i-h.Ch. l’s+.-P^pa/ z-’ . f y X VY I PONTEFICI lij^'TrVt IO HI IO IX if A FRONTE DELL’IMPERATORE FEDERICO II NEL SECOLO XIII DISSERTAZIONE ACCADEMICA Letta il 2 giugno 1884 nella Sala deirAccademia Tiberina alla presenza d’erudito uditorio DAL P. M. PIO-TOfifIMASO MASETTI DE’ PREDICATORI BIBLIOTECARIO CASANATENSE ROMA TIPOGRAFIA EDITRICE ROMANA Via del Nazareno, 14 1884 I PONTEFICI OIORID III, Guidilo IX A FRONTE DELL'IMPERATORE EEDERICO II NEL SECOLO XIII IV DISSERTAZIONE ACCADEMICA Letta il 2 giugno 1884 nella Sala dell’Accademia Tiberina alla presenza d’erudito uditorio DAL P. M. PIO-TOIVIIVIASO MASETTI DE’ PREDICATORI BIBLIOTECARIO CASANATENSE ROMA TIPOGRAFIA EDITRICE ROMANA Via del Nazareno, 14 1884 g • j Froprietà riservata. AL LETTORE. Il presente discorso da me letto nella tornata Accademica del 2 giugno p, p, era subito, e di buon grado destinato ad entrare nelVoscurità, die meritava, ove sarebbe giaciuto sepolto per sempre. Ma terminata la lettura alcuni Accademici, ed altre colte persone, die onorato mi aveano di loro presenza, mi espressero vivo desiderio di vederlo pubblicato colle stampe, e trovandomi restìo gentilmente mi chiesero di leggere almeno il manoscriUo, che poi mi resero col benevolo consiglio di li- cenziarlo senz’altro alla stampa, onde non credetti di contra- dirli: tranne alcune piccole variazioni è quale fu letto. Comunque io vi sia riuscito non attendo lodi, e solo mi gode l’animo per aver aderito alle brame del sapientissimo Leone xiii, il quale in un tempo in cui l’istoria de’ Bomani Pon- tefici e da alcuni sì malmenata, vuole se ne faccia più accu- rato, e diligente studio: quindi sarò pago se avrò corrisposto, sebbene in minima parte, ai desideri del grande Pontefiee, ' jf'' . ^ :: ‘V'^ >>. \ y'^::. -; iì;- •^f:- # ,M:vr‘\>^-v(^'-'^’> V ’: -'"f • • . ' ' »'"' ' '.'i- ' ' •,**'”• ' X .-‘"0’' ' ?•' ' •’S^ ^•' “" . :%ÌC'4. y ,5; . -vi" V. 'V/f* . ;; ;'• ^i«^' V''VÌ'^ì ')!!?' t*? 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Gl’ingegni veramente grandi nati in questo secolo levandosi a quello altissimo segno a cui forse uomo non giungerà più mai, ci lasciarono in ogni genere, vuoi scientifico, vuoi artistico, monumenti maravigliosi che vivono e vivranno sino alla più tarda posterità. Che se tuttociò noi diremo essere stata opera della Religione cattolica, de’ Romani Pontefici e degli Ordini religiosi in quel secolo nati, che in mezzo alle turbolenze, alle eresie, alle guerre intorno al sociale progresso si travagliarono, ridestando l’italico genio nelle scienze e nelle arti, noi diremo una verità quanto abbracciata dagli uomini di buon senso ed imparziali, altrettanto disconosciuta dai ne- mici della Chiesa e dagli spiriti pregiudicati, che si avvisarono di spegnerla ed oscurarla. Ma checche ne dicano costoro, la verità è ssmpre salda e non teme. In quel secolo privilegiato la Religione, moderatrice suprema di tuttociò che a civiltà s’appartiene, era il motivo e l’anima delle grandi imprese de’ nostri maggiori, era il lame che infiammava ogni intelletto ed ogni cuore, e perciò fu ancora la sorgente della nuova vita surta in quel secolo, chè indarno l’uomo s’avvisa levarsi sopra di sè senza l’aiuto e la guida di codesta figlia del Cielo. A quella guisa che un raggio di sole supera, senza estin- guerlo, il fioco splendor d’una face, e penetrando ogni angolo gli obbietti anche minuti investe di luce, così la Religione colla fede e — 6 — coll’amore guidando gl’ingegni per le regioni del vero e del bello, sorregge il debole umano intelletto ed aggiunge nobili stimoli alla volontà, onde l’anima al suo Dio si solleva. Ma ben antivedete, o Signori, cbe affermando io essere la viva Keligione del secolo XIII la vera ragione di sue grandezze, non in- tendo già di dire che la civiltà cristiana avesse potuto svolgere tutta la sua vigoria, e che le mancassero combattimenti e nemici, non già : imperocché se fu uno de’ secoli più gloriosi, non fu al certo uno de’ secoli più felici ; dirò anzi che a grandi progressi corrisposero grandi calamità, e che uomini sommi in ogni genere di virtù si tro- varono a fronte d’uomini rotti ad ogni spezie di vizi. Ma si fu ap- punto in questi conflitti che spiccò il predominio dell’elemento divino, e la forza sovrumana della religione. Essendo il mondo, come fu sempre, partito nelle due allegoriche città sì ben tratteggiate da sant’ Agostino, il cattolicismo a fronte de’ nemici tenendosi sugli eterni principi della verità e della giustizia, aprì alle scienze, alle lettere ed alle arti quel largo campo su cui spaziando ingigantirono, e resero questo secolo sì rispettabile e meraviglioso. Senonchè i generosi conati de’ Pontefici e del Clero trovarono quasi sempre un ostacolo nella laical potestà, che ingelositasi della Chiesa, si fece ad osteggiarla or coll’ invadere i suoi diritti, or col- l’usurpare i suoi possedimenti, or col perseguitare i suoi ministri. I Pontefici Onorio III, Gregorio IX ed Innocenzo IV ebbero a fronte Federico II, re de’ Romani, come allora dicevasi, ed imperatore di Germania, il quale, agognando al dominio di tutta Italia e trovando nella Pontificia autorità un valido propugnacolo dell’onesta libertà dei popoli ed un freno alle sue esorbitanze, or con frodi, or con vio- lenze si fé à cozzare con loro, come vedremo. In questo tratto d’istoria, cioè della prima metà del secolo XIII, la lotta che si accese tra il Sacerdozio e l’ Impero fu lotta tra il di- ritto e la forza, e voglio dire che i tre nominati Pontefici rappresen- tanti il diritto si trovarono in opposizione colla forza personificata nell’imperatore Federico IL Ben è noto alla vostra erudizione, o Signori, che Federico ebbe tra gli antichi i suoi difensori, e che non gli mancarono tra i mo- derni, intenti a deprimere i Romani Pontefici. Ciò non ha molto lo fece singolarmente un eterodosso, Ferdinando Gregorovius nella Sto- ria di Uoma del medio evo (b, istoria che, attesi i tempi che cor- rono, meritogli la cittadinanza romana e gli applausi del giornalismo dell’istesso partito. Uno scrittore è questi di brillante ingegno, eru- dito ed elegante, ma infetto di pregiudizi anticattolici e liberaleschi quali sparse a larga mano nella sua istoria, e che quindi gli fecero velo per considerare nel loro vero aspetto gli eventi e giudicarli con sincera critica. A dir breve, il veleno che sparse in ogni pagina oscura non solo qualunque lode che potrebbe meritare, ma trasforma (1) Storia della città di Uoma nel medio evo. Traduzione di R. Manzato. — Venezia, G. Antonelli, 1872. — 7 — ristoria in nn tessuto di falsi apprezzamenti, d’erronei giudizi come si vede in altri nemici del Romano Pontificato ; locchè non dispero far conoscere in questa, qualsiasi conferenza o brano istorico che meglio potrei intitolare : Il diritto alle prese colla forza^ adoperandovi, per quanto si potrà, la testimonianza di scrittori sincroni, che pur si mostrarono ostili ai Romani Pontefici, e l’autorità dell’istesso storico alemanno, rilevandone le falsità alle verità mescolate, nonché le contradizioni in cui cade, sebbene talora sia costretto a confessare la verità e lodare alcuni Pontefici. Seguitemi, vi prego, con atten- zione e compatimento. Qui, 0 Signori, premetto due generali proposizioni, che giudico non essere tra noi controverse, cioè I. Che i Pontefici in virtù del loro apostolico ministero aveano stretto obbligo d’esigere che si man- tenessero i voti a Dio fatti, e che non si osteggiasse la Chiesa, nè s’inceppasse la sua azione, altrimenti uno scandalo sarebbe stato, e tanto maggiore in que’ tempi di viva fede, se taciuto avessero, e mostrati si fossero deboli ed indolenti nel sostenere i diritti della Chiesa e dell’autorità, che possedevano. IL Come Sovrani aveano di- ritto di difendere il temporale dominio della Chiesa posseduto già da più secoli, e quindi far uso de’ mezzi coattivi. Io ben sò, che codesti due criterii non saranno ammessi nè dagli increduli, nè da liberi pensatori, i quali si ridono della suprema spi- rituale autorità del Romano Pontefice, nè dai falsi Politici, o Pro- testanti, che van blaterando tale dominio essere stato acquistato per usurpazione in danno de’ popoli, nè da quegli ipocriti filosofanti, i quali per coonestare lo spoglio della Chiesa van spargendo mal con- venirsi un tale dominio alla Chiesa, la cui autorità, dicon essi, è tutta spirituale. Perciò non mi trattengo ora a dimostrare la verità delle due accennate asserzioni, nè a ribattere i cavilli, con cui costoro cre- dono d’impugnarle ; che ciò fecero già non poche penne cattoliche più della mia valorose ed erudite. Dovendo poi parlare di Federico Imperatore non intendo io già di fraudarlo di quella lode, che per varie sue azioni si mostrò degno, che anzi dico essere stato uno de’ più famosi personaggi, che strin- sero scettro nel secolo XIII: protesse i letterati, e fu letterato egli stesso, fondò università, protesse gli studi; fu prode in guerra, e fu previdente in pace : nò, non dobbiamo negargli codeste lodi. Ma ri- getteremo sempre con isdegno le parole del moderno storico del Medio evo con cui sfrontatamente crede elogiarlo scrivendo: “ Federico II “ come uomo colto, e come libero pensatore superò di tanto il suo “ secolo, che potè più tardi essere appellato il precursore di Lutero ( Voi, V. p. 85) : riterremo però con lui che fosse libero pensatore,, cioè ateo, ma già i Pontefici l’aveano ben conosciuto per tale prima di lui. Così d’altra parte non dissimuleremo qualche debolezza, o er- rore de’ Pontefici, che regnarono in quella stagione di guerre, di fa- zioni, e di tumulti politici. Ma ragionando di entrambi procurerò, per quanto è possibile, rilevarne il carattere dagli scrittori sincroni, e singolarmente ostili ai Pontefici, onde ne emerga la verità. — 8 Federico degli Honestaufen nato nel 1194 figlio d’Arrigo IV Re di Germania appena di due anni fu per volontà dal Padre procla- mato Re di Germania: mortogli il padre, la madre Costanza rima- stane tutrice lo chiamò in Sicilia, di cui gli procurò dal Papa l’in- vestitura; ma poco dopo essendo discesa nel sepolcro afiidò il fan- ciullo alla tutela d’Innocenzo III, Pontefice di grand’animo, il quale lo fece educare da tre Arcivescovi: anche Ciucio Savelli, che fu poi Onorio III, aveva prestato cure paterne al giovine Federico 138). Entrato nella gioventù, Innocenzo lo fè passare in Germania, ove da Ottone lY venivagli disputato il regno, e riuscì a farlo coronare Re nel 1212. Questo periodo d’istoria non essendo da alcuno contradetto ci dimostra, che Federico era stretto di non piccola gratitudine verso i Pontefici : ma dagli eventi che susseguirono ne raccogliamo che ri- scaldavano le serpe in seno, imperocché avido di dominare si fe’ scudo del suo potere, impugnò le armi contro di loro, vessò la Chiesa, fa- cendo prevalere la forza sul diritto, e sulla gratitudine l’ambizione. Ad Innocenzo successe Onorio III ; le di lui virtù vengono encomiate da quasi tutti gl’Istorici, e basti a noi che il Gregorovius {pag. 138) ci dica: “ La sua bontà e la vita immacolata gli aveano procac- “ ciato l’amore di tutti „ Onorio infatti non mancò di mostrare animo benevolo, finché potè, verso di Federico. Ma il gran pensiero de’ Pontefici, e de’ Cristiani di questo tempo come ognuno sa erano, le Crociate, per cui l’intiera Europa ispirata dal Cattolicismo si commoveva stimolata non già da bassi fini, ma dalla brama di ricuperare Cjuella terra bagnata 'dal sangue del Re- dentore. Non occorre spendere parole per difendere codeste sacre spe- dizioni, da alcuni sì mal giudicate, forse perché promosse da’ Ro- mani Pontefici. Federico agognando la corona imperiale, che allora per diritto riconosciuto dal solo Romano Pontefice concedevasi, cercò di renderselo propizio, soggettandogli alcune città ribelli, promettendo di condurre i Crociati, e di non unire la Sicilia, feudo della Chiesa, alla sua monarchia. Ma che? occupò in seguito le città, non andò in Palestina, e a dispetto del Papa si dichiarò padrone della Sicilia, ritenendola a nome del figlio; insomma per dirlo colle parole del moderno storico del medio Evo, tutto promise per potersi òeecar la corona. Ora un uomo che così agisce, che promette con animo di non mantenere, che profitta dell’altrui buona fede, diremo noi essere one- sto, e leale ? Eppure con queste arti, e simulazioni, non negate da’ suoi difensori, ei potè ottenere la corona da Onorio, che non volle vendi- carsi di lui, nel 1220. Così colla slealtà insidiò alla buona fede, e quando si vide scoperto adoperò contro il diritto la forza. Lo scopo di Onorio in compiacerlo era di obbligarlo a recarsi in Oriente qual condottiere de’ Crociati, e Federico di buon volere si assoggettò o fece le viste di assoggettarsi a questa condizione, prese la croce dalle mani del Cardinale Ugolino, solo chiedendo una dila- zione. Ma poi ben si vide la sua promessa altro non essere stata, che un tratto d’astuta politica per ingannare l’animo ingenuo di Onorio. Non tacerò che in questa occasione fece varie concessioni alla Chiesa - 9 — circa rimmunità, e stanziò alcune severe leggi contro gli eretici. Il nostro storico benché suo difensore, non sà perdonargli queste leggi, ed esce in risentite parole riflettendo pietosamente, che queste incep- pavano il dono da lui chiamato prezioso della libertà di coscienza, e per trovare qualche scusa ne dà carico ai preti. Ma Federico, cui non possiamo negare una mente perspicace ed avveduta ben cono- sceva, che gli eretici dopo aver sconvolta la fede mettevano a soq- quadro gli stati, siccome in ogni secolo la storia confermò sempre, e quindi s’indusse a prestare il suo braccio alla Chiesa avvisando, che ciò tornava ancora a proprio vantaggio, attese le turbolenze già de- state in Lombardia dagli eretici. Ora tornando alla Crociata Federico andò tergiversando, ora ini- micandosi il Papa con varie arti, ora negando a’ Prelati l’accesso alle loro sedi, ora placandolo con qualche concessione: pur final- mente nel 1225 giurò ai Legati pontifici, che nel termine di due anni sarebbe andato in Oriente, e fallendo alla promessa, accettata avrebbe la scomunica, siccome asseriscono tutti gl’ Istorici. Prendiamo atto di questa sommissione, giacché vedremo come in seguito andaron le cose. (pag. 159). Intanto il Pontefice si adoperò di pacificarlo colle città lombarde, e colla sua mediazione la pace si ottenne: in- somma Onorio si portò da vero padre, e Federico da figlio scono^ scente, giacché per tale affettata dilazione le cose d’Oriente preci- pitarono, onde fu che Onorio, forse pentito della sua indulgenza, ne morì di dolore. Pontefice illustre non solo per pietà, e per dottrina acceso di grande zelo per recar aiuto ai miseri cristiani d’Oriente, di animo pacifico, e generoso sebbene alquanto mite, e mansueto. Ugolino Conti succedutogli col nome di Gregorio IX, uomo di risoluta fermezza, zelantissimo della Crociata, e ben informato di quanto erasi stabilito coll’Imperatore non mancò di ricordagli le sue promesse essendo già vicino a spirare il biennio concessogli. In veggendo pertanto che nel luglio non movevasi ancora gli spedì un legato nella persona di Fr. Guala Pomanoni de’ Predicatori, per salvarlo dalla scomunica come confessa il nostro storico. Sin qui dunque Gregorio operò da padre ; Federico si mosse da Otranto per Brindisi ov’era già adunato un numeroso esercito, che ansiosa- mente attendevate. Ma la gioia di questo evento presto si cangiò in disinganno, giacché Federico tornando indietro abbandonò l’impresa e l’esercito, credendosi, o più veramente fingendosi ammalato. Per vero la peste infieriva tra quelle soldatesche : tuttavia tra sincroni v’ ha chi scrive, che l’Augusto a bella posta adunati avesse i Cro- ciati in quelle insalubri campagne per esimersi dalle sue promesse, locché non é alieno dal suo carattere per la forza che aveva in mano proclive alla crudeltà, di cui non pochi esempi ne reca il moderno suo difensore. Per tale abbandono l’esercito si sciolse, e la Crociata ebbe fine. Matteo Paris, sebbene ostile ai Pontefici, e partigiano di Federico, nondimeno scrive “ che il fatto tornò a disonore dell’Im- “ peratore e a danno dei Crociati „. Ora che doveva fare Gregorio — 10 — così tradito ? L’udiremo più sotto, e vedremo, o Signori, da qual parte sia la ragione se del diritto, o della forza. Ognun sa che per giudicar rettamente d’un fatto d’uopo è ri- portarsi ai tempi, e non giudicare coi costumi vigenti ciò che ac- cadde molti secoli dinanzi a noi. Ora in questo secolo XIII l’afiPare delle Crociate era affare supremo; la viva fede de’ popoli non altro anelava che adunare armi pietose e capitani per liberare il gran se- polcro di Cristo, checche ne dicano alcuni storici o protestanti o non sinceri cattolici, i quali nel ferver de’ Crociati vi ravvisano un cieco fanatismo, e nei Principi un ambizione di dilatare il dominio. In vista di tal religioso fervore ci maraviglieremo noi se Gregorio ardesse disdegno, dopo tante fatiche e spese vedendo così tradito il popolo Cristiano? se fulminasse quella scomunica, a cui l’ Imperatore avea giurato di assoggettarsi ? Eppure lo storico del Medio evo chiede se si possa sid serio biasimare l’Augusto se allora ricusossi di adempiere un voto, che lo avrebbe distolto dai suoi doveri pratici di governo {pag. 141)^ e che tratto l’avrebhe in Oriente ad uno scopo, che lo storico chiama immaginario. Scuse meschine son queste ! Se per Federico era scopo immaginario^ non lo era per i Crociati: ei non doveva impegnarsi in faccia all’ Europa per poi tradirla, ovvero impegnatosi era suo dovere mantener la promessa, come dovere era del Papa di obbligarvelo. Ben conosceva questi per un superiore ecclesiastico essere indolenza colpevole l’indugiare troppo tempo per ammonire, e correggere a di- scapito dei buoni costumi, dovendo la mansuetudine esser sibbene la Principal dote del buon Pastore, ma non dover questa andar disgiunta dalla fortezza per procurare il bene della società, e della Chiesa (1). Es- sendo adunque l’ Imperatore disobbediente, e sleale giusto fu lo sdegno di Gregorio, e giusto l’anatema fulminato. Il Muratori, (1227) nar- rando della scomunica lanciata senza commonitori, o citazione ne parla con maraviglia, ma di lui più arditamente il Denina {Riv. d'It. lib. XI) chiama quest’atto troppo affrettato e precipitoso: non- dimeno a chi conosce la storia ed i principii di giustizia non sem- brerà certamente così. Imperocché è da osservarsi che di questi tempi sottoscriveasi un trattato, che quella qualunque delle Potenze con- traenti, la quale si rendesse spergiura si procurerebbe una scomunica e vi si sottometteva anticipatamente. Ora Federico mancando alle pro- messe aveva già pronunciata la sentenza contro di se, ed il Papa non aveva bisogno d’altro processo o monitorio per dichiararlo sco- municato. Si conceda pure a questi signori, che le parole pontificie sieno animate da molto calore, e da sdegno, ma saranno almeno scusa- bili per pazienza venuta meno, nè dovranno chiamarsi col nostro storico spaventose., imprudenti, (pag. 185). E vaglia il vero: Gre- gorio si era compromesso coi Crociati da lui chiamati ' da tutta (1) Qui curarn gerii alterius clehet ei tria scilicet ordinare ad finem rectum, cautelam adhibere ne deviet, et reducere deviantem. S. Tommaso IV seni. ci. 19. q. 2. 1. — 11 — Europa con lettere a Principi, ma quindi veggendosi deluso da Federico, giusto era il suo risentimento. Non era della dignità pontificia tenere un vile silenzio, mostrare una debole connivenza, ma spiegare dovea risolutezza, e coraggio in faccia ad un uomo qual era Federico, sebbene tutto poteva temere da lui, come avvenne : fermo quindi nella sua coscienza non guardò ai pericoli cui an- dava incontro: solo guardò l’onor della Chiesa, e di Dio, e scrisse ancora lettere a’ Principi, ed a’ Vescovi per giustificare la propria condotta verso di Federico. Ma una tale risolutezza e coraggio a fronte de’ delitti, e delle usurpazioni de’ Potenti del secolo in ogni tempo dispiegarono i successori di san Pietro. Quest’ istesso sacerdo- tale coraggio ammirarono i Padri nostri in Pio VII, e noi stessi nell’immortale Pio IX, dei quali oggi si mostra emulo il sapien- tissimo Pontefice Leone XIII, in faccia alle sette massoniche cui toglie la maschera, e sebbene inerme, non transige, onde il suo nome passerà grande alla posterità. Federico in prima mandò ambasciatori a Gregorio artificiosa- mente scusandosi colla salute, ma Gregorio ben sapeva dai Crociati eh’ erano finzioni: tuttavia alla collera succedendo la mansuetudine scrissegli una paterna lettera, ' che è la LXV del lib. D, esortandolo a tornare sul retto sentiero della giustizia; e noi da questa lettera apprendiamo, che Gregorio non era quell’uom così duro, ed inaman- sibile come lo dipingono i suoi avversari. Ma fu inutile tentativo, chè Federico in veggendo rifiutate le sue scuse, come serpe percossa arse di sdegno, e per mano di Pier delle Vigne scrisse a’ Principi scusandosi colla salute, ed insieme condannando acremente il Papa, proferì sonore minacce, disseminò lettere di ingiurie ripiene, e di calunnie. Poteste lettere per buona sorte essendo giunte sino a noi ci dimostrano chiaramente l’animo feroce dell’Augusto fidente solo nella propria potenza, e postergante ogni riguardo al diritto. Ma a meglio conoscere il carattere, e l’indole di questo Prin- cipe udiamo, o Signori, quanto di lui scrivono i contemporanei; e primo però sia il moderno storico del medio evo, che, come già dissi lo definisce “ libero pensatore^ e precursore di Lutero (pag. 185-) Per confessione adunque dello storico il Papa avea da fare con un libero pensatore, cioè con un ateo, e col precursor di Lutero. E ciò non è tutto: dall’antica Historia diplomatica ci vien dipinto il suo carattere tirannico, anelante di sradicare dal cuor dei popoli ogni senso di libertà, facendo sapere alle città Lombarde “ Productam jam ad alias regiones insidiosae suae libertatis propaginem nitimur supplantare (pag. 155): ei si teneva padrone di tutta l’Italia “ Italia haereditas mea est, et hoc notum est toti orbi (pag. 208) „ ei voleva (sono sempre parole del nostro storico), che tutte le individualità “ politiche piegassero sotto la sua legge, ed alle città di Sicilia proi- “ biva l’elezione dei Podestà, e dei Consoli nientemeno che sotto pena “ di morte (pag. 155) A cotesto ritratto fornitoci dal suo difen- sore, corrispondono altri storici del secolo XIII, e quindi Dante vi- — 12 — cinissimo a questi tempi lo vede nelle tombe infuocate, in cui erano raccliiusi gli eresiarchi. (Inferno Gap. X, v. 120). “ Qua entro è lo secondo Federico: „ Non senza ragione l’udimmo più sopra definito dal nostro sto- rico per un libero pensatore^ giacche senza dubbio avrà letto ne’ sin- croni le orribili bestemmie, che di tanto in tanto uscivano dalla sua bocca, onde fu ritenuto per ateo, come gli eventi mostrarono, seb- bene ipocritamente emettesse talora professione di fede cattolica. Ora quest’uomo di cosiffatta pessima indole per vendicarsi della scomunica non fu pago di sole lettere ingiuriose; ma perchè i fatti sono più eloquenti delle parole, co’ fatti ancor volle sfogar il suo sdegno contro il Pontefice e quindi per opera dei Frangipani, gente turbolenta, e manesca e di alcuni facinorosi gli sollevò contro la città di Roma, cosicché Gregorio fu costretto di uscirne, e ricoverarsi in Viterbo, ed in Perugia, come asseriscono PAb. Uspergense, Ro- berto di Stade, e Riccardo da S. Germano autori contemporanei e testimoni oculari. Ora dopo di ciò chi dirà ingiusta, e precipitata quella scomu- nica, che l’Augusto istesso avea sopra di se non molto prima invo- cata? Chi accuserà Gregorio d’ingiustizia o di soverchia severità, te- nendo anche ragione de’ tempi? Ma qui dagli avversari mi si obbietta, che nel 1228 l’Augusto secondo avea promesso andò in Oriente: ciò è verissimo; ma vi andò forse per obbedire alle sue promesse, per combattere i Pagani, e per gl’interessi della Cristianità? Nò certamente: v’andò quasi per ludibrio senza farsi assolvere, vi andò per assicurarsi quella parte di Regno, che credeva appartenere al suo figlio, vi andò per istringere alleanza con que’ Saraceni che doveva combattere: colà donò la spada già ricevuta in San Pietro a quel Sultano, e se crediamo a Michele Amari, strinse una lega di dieci anni, locchè non diminuisce, ma ag- grava la sua colpa. Colà permise che il sacro Tempio bruttato fosse di saraceniche superstizioni; consegnò, è vero, Gerusalemme ai Cristiani, ma poscia l’abbandonò (1), come sappiamo dalla lettera di Geroldo Patriarca scritta al Pontefice. Eppure lo storico nostro scrive, che restituì la Città santa^ e vi compì opere gloriose e che rese servigi alla Chiesa! (pag. 174): afferma essere andato in Oriente per combattere i Saraceni, ma più sotto non temendo di contradirsi, afferma avere stretto alleanza per ragion di commercio co’ Saraceni: ecco le opere gloriose., ecco i decantati servigi resi alla Chiesa. Inoltre l’Imperatore era andato in Oriente senza farsi assolvere dall’anatema, in cui era incorso, e a dispetto del Papa; doveva dunque il Papa assolverlo senza un segno di pentimento, e senza una giusta soddisfazione dopo quanto avea eruttato d’ingiurie contro di lui ? Un eterodosso per fermo non può tener conto della scomunica o dell’assoluzione, ma se ci riportiamo a que’ tempi di fede viva, e di obbedienza alla Chiesa, oggi sì languida, era questo un insigne (1) Muratori, Becchetti, Ballo ed altri autori. - 13 - scandalo, un ingiuria di sommo rilievo; era poi un tradimento l’al- leanza co’ Saraceni, contro i quali l’Europa intiera si era armata per cacciarli di Terrasanta. Nè vale scusarlo, dicendo che n’ ebbe van- taggio il commercio, perchè l’onor di Dio, e la fedeltà alle promesse dovean solo governar quel Regnante, nè preferire, se pur vi fu, un materiale vantaggio. Ma lo Storico del medio evo seguendo il Denina, ed il Botta incolpa Gregorio IX di mettergli ostacoli, e fargli guerra, mentre Federico era in Oriente : abbiam già veduto quanto ivi facesse in danno della Chiesa, e della Crociata. Ma Gregorio gli mosse guerra, ripetono i citati storici: sì, ma fu guerra giusta, e di giusta difesa. Udiamo ciò che ne dicono gli storici contemporanei. Ito l’Augusto in Oriente lasciato avea suo Vicario in Italia Rinaldo Duca di Spoleti, onde trattasse col Pontefice: ma questi conoscendo i costui malvagi sentimenti rifiutò d’ascoltarlo. Rinaldo per vendicar Federico, di cui si dice avere avuto segrete istruzioni, invase colle armi lo Stato della Chiesa, ed altrettanto fece un suo fratello nella Marca d’Ancona. Che dovea fare Gregorio? doveva forse lasciar libera l’invasione? dovea tacere? Non già: alla forza è da rispondere colla forza non colla debolezza, o col temporeggiare, e quindi adunati tre eserciti di volontari gagliardamente si oppose. E sarà questo un predicar la crociata contro l’Imperatore, come falsamente sentenzia lo storico scrivendo che “ sotto il vessillo della croce era andato a combattere i “ Pagani? (pag: 173). Ma e non ci aveva egli detto poc’anzi, ma in- consideratamente, che avea stretta alleanza co’ Pagani? altro dunque che combatterli: E sarà questo un cogliere di sorpresa le terre dell'assente? „ Lo decida chi a fior di senno. Usando poi di giuste rappresaglie i pontifici, entrarono nel Regno di Napoli, ove alcune Città si soggettarono al Pontefice, non già per cupidigia che questi avesse di soggettarsi le Puglie, come gli vien gratuitamente attri- buito dal Gregorovius (172), ma perchè stanche del tirannico governo di Federico cercarono miglior Signore. Fu adunque giusta difesa, non già ostacoli all’impresa di Terrasanta, in cui tutt’altro l’Augusto aveva fatto che gl’interessi della Cristianità, come abbiamo veduto. Che un eterodosso qual è il nostro storico appena e con poche parole accenni l’invasione armata nello stato della Chiesa dei due fratelli e quindi condanni il Pontefice per la giusta difesa, noi non ne faremo le meraviglie, ma certo le desterà il Denina (lib. XI. 9) che si fa a biasimare il Pontefice quasiché perseguitasse l’Augusto mentre era in Oriente, e perciò a bello studio e con astuzia, indegna veramente d’uno storico, tace affatto l’invasione dei due fratelli, onde persuadere essere stata una guerra puramente offensiva, e di sorpresa quando era, almen da principio solamente difensiva. Quindi in non dissimil modo ne scrive il Botta. Ma se ingiusta fu l’invasione del Ducato di Spoleti, e della Marca, giusta fu la difesa, e giuste furono le rappresaglie. Questa guerra presto richiamò Federico dall’Oriente, ove nulla operato avea a favor de’ cristiani. Nel ritorno poi si vendicò barba- 14 — ramente di chi gli era stato nemico: e forse allora, come accenna Dante {Infer. c. 23) fece sovrapporre ai rei di lesa maestà cappe di piombo che disfacendosi al fuoco ne consumava i corpi, del quale supplizio neppur tace quel pseudo ed empio storico che fu Bianchi- Gi ovini. Nondimeno avendo veduto che molte Città, e popoli eransi da lui sottratti, e corsi hi aiuto dell’oltraggiato Pontefice, si trovò co- stretto di tornare alla di lui amicizia. E quel Gregorio tanto da co- desti storici censurato pel troppo calore delle sue lettere, per la sco- munica, e per la difesa fatta degli Stati della Chiesa vituperato, non si rifiutò di riabbracciare quel Federico, di cui aveva sperimentato le tergiversazioni, la mala fede, l’ingratitudine, e le calunnie. Per mezzo di Legati si strinse la pace, l’Augusto promise soddisfare al Ponte- fice, e venne assoluto, onde Gregorio non isdegnò di riceverlo a mensa. E qui rifletto o Signori, che se vi fu debolezza in Gregorio, fu questa; imperocché il Biondi, il Krantz, ed altri storici lamentano in lui una mitezza, forse troppa, usata verso di un uomo, di cui ben poco poteva lodarsi. Eppure ad onta di tale e tanta pontificia mitezza il libero pen- satore Federico trovò nuovi motivi per romperla col Papa, e sebbene non molti anni prima avesse riconosciuta la sovranità di lui sulle terre annoverate nel diploma e colle formole di Ottone IV (115) ci dice tuttavia lo storico suo difensore, che aveva apertamente dichia- rato di volere unire novellamente lo Stato della Chiesa alVImpero {pag. 233) che amava di strapparle cioè il suo possedimento tempo- rale {pag. 227). Ma e che è ciò mai, o Signori, se non un abuso enorme della forza del più potente contro il diritto del più debole ? Si rileva insomma che Federico agiva in virtù di quell’assioma, oggi tornato in voga presso le sette politiche per coonestare le annessioni, cioè che la forza è prima del diritto., ovvero che la forza crea il diritto. La Chiesa possedeva legittimamente i suoi Stati molto prima di Federico, nè occorre spender parole dopo che un tale possesso fu dimostrato con luminose prove e monumenti. Ora con sì ambiziosa, ed ingiusta intenzione in cuore e con in mano le armi non farà me- raviglia se molinasse in proposito i suoi progetti contro Gregorio e 10 Stato. Ribellatisi i Romani nel 1234, porse, è vero, aiuto al Pon- tefice, ma quando seppe, che i pontifici! aveano battuti i ribelli, per- fidamente ordinò ai suoi soldati di combattere i vinfitori, ed infatti quasi tutti furono dispersi, sebbene poi gli stessi soldati di Federico sdegnati a tanta perfidia, rimettessero il Papa in possesso di Viterbo, e di quanto aveva perduto. Io non mi fermo, o Signori, a rilevare quanto codesto prepotente Regnante, colla forza in pugno, operasse in onta del Pontefice e della Chiesa dal 1235 al 1238: lo stesso suo difensore è costretto dalla verità di delinearci una pittura assai fosca della miscredenza, dei vizi, e delle crudeltà di lui, sebbene si studi! di attenuarla col deprimere 11 Pontefice, di cui Federico, non potendone vincere la costanza, oc- cupò parte de’ domimi della Chiesa, impedì a’ Vescovi di Sicilia di — 15 — accedere alle loro Sedi, imprigionò od uccise Chierici e Religiosi, spogliò le Chiese de’ beni e degli oggetti d’oro e d’argento ; trattenne con frodi il figlio del Re di Tunisi, che recavasi a Roma per otte- nere il Battesimo, chiamò i Saraceni per combattere i Cristiani, nelle varie scorrerie massacrò non pochi di coloro, che avversavano il suo tirannico governo. Accenno di volo codeste enormità, le quali colla scorta di sincroni autori lo S-torico del medio evo non ha difficoltà, sebbene a suo modo, di enumerare. Dopo tuttociò, la illazione logica sarebbe : dunque fu uno dei più tristi e viziosi Imperatori del secolo XIII. Invece (chi il crederebbe ?) non si perita di proclamare : Federico II esser stato quel grande Imperatore da cui emanava pel inondo un vivissimo splendore di maestà riverita (pag, 231). Qui per rispondergli avrebbe luogo il ritratto che di Federico fa il Balbo (Lib. VI) chia- mandolo superbissimo, soverchiatore, sprezzatore di tutti, e massime de’ Papi, eretico, epicureo, ed anche accostantesi a maomettano, cosicché si sollevò contro di sé l’opinione universale, l’italiana prin- cipalmente. Gregorio così maltrattato, saturato d’ofPese, assalito nella stessa sua Sede, prima si rivolse a Dio recando in solenne processione insigni Reliquie, raccomandando ai Santi la tutela di Roma : e quest’atto religioso risvegliò nei Romani la fedeltà. Il buon Pro- testante lo chiama, una scena da teatro; nè poteva dire altrimenti secondo le sue anticattoliche convinzioni. Dopo di ciò Gregorio non solo fu pago, com’era suo dovere, di opporre la forza alla forza, ma lanciò ancora contro l’aperto nemico della Chiesa, che pur voleasi spacciare per cattolico, una nuova sco- munica nel 1239, e ne diè parte con lettera a tutti i Sovrani d’Eu- ropa. Colpito così l’Augusto, come già altra volta, s’accinse alla ven- detta, entrò nelle Marche e nel Ducato di Spoleto, disciolse i sudditi dal giuramento alla Chiesa {pag. 238), e gli annesse all’Impero : si ayvanzò verso Roma, e sebbene fosse nemico giurato di democrazia, indirizzò una pomposa lettera ai Romani con promesse lusingandoli di presto entrar trionfante. Non sarà adunque da riprovarsi il Pontefice se trovandosi in tali distrette bandisse contro l’Imperatore una Crociata di fedeli Romani. Il nostro Storico la riprova dicendo che fu bandita quasiché Federico fosse stato un pagano^ od un saraceno {p. 237)\ Ma, dico io, era forse migliore di codesti infedeli un Federico, già alleato con essi, giudi- cato ateo, miscredente, spogliator della Chiesa, e dallo Storico chiamato anche libero pensatore? Basii il dire che quanti di codesti Crociati n’ebbe nelle mani fecegli marcare in fronte, ciò che appena leggiamo dei Pagani e dei Saraceni. Mentre così ardevano le quistioni tra il Sacerdozio e l’Impero, mentre così lottavano il diritto e la forza, afiliggenti notizie giun- sero da Terrasanta, vale a dire la sconfitta delle armi cristiane. Fe- derico ne colse occasione per farne colpa a Gregorio, e per inveire contro di lui, quasiché intempestivamente mandati avesse i Crociati, sul che scrisse lettere al Re d’Inghilterra. Ma se GregoEo, spinto — le- da zelo ed assicurato da’ Duci agì con troppa fretta, non vi era ra- gionevole motivo di ascrivere a di lui colpa la sconfìtta, potendosi ritentare la prova : d’altronde i futuri contingenti, come la fortuna nelle battaglie, non sono in mano dell’uomo. E quante volte un pugno di soldati non ha sconfìtto numerosi eserciti? A fronte pertanto di tali ostilità di Federico verso la Chiesa, che avido d’assoggettarsi l’Italia tutta, spogliando il Pontefìce, (di che non ne faceva mistero) e di altre calamità che affliggevano la Chiesa e l’Italia, il Papa risolse di adunare nn Concilio. Qui opportunamente si avverta, che anche Federico lo avea richiesto, e prestato consenso. Corsero pertanto per tutto l’orbe cattolico le pontifìcie lettere ed i ' Legati Apostolici. Ma l’Augusto temendo per le sue apostasie ed osti- lità d’esser condannato, turpemente ritirò il consenso non solo, ma si oppose vietando severamente ai Vescovi l’intervenirvi. Ora in que- sto fatto che altro si scorge, se non la forza che opprime il diritto? Il nostro Storico lo scusa dicendo, che non poteva più aderire ad un tribunale che ben prevedeva a sè contrario {p. 239). Ma, dirò io, codesto era dunque segno, esser egli conscio di sue nequizie. Nondi- meno l’imperterrito Gregorio non si commosse, intimò il Concilio e già da varie nazioni i Prelati si erano adunati in Genova pronti a sal- pare per Roma. Ma che ? Il perfìdo Imperatore, contro il diritto delle genti e della fede pubblica, ordinò a suo fìglio Re di Sardegna di corseggiare il mare, e qualora venissegli fatto di catturare la flotta, imprigionare i Prelati, ovvero sommergerli, come meglio credesse. Ed infatti la flotta Siciliana scontratasi colla Genovese la sbaragliò: i miseri Prelati parte furono annegati, parte messi in catene e traspor- tati nelle carceri di Napoli. Chi ha ancora un senso d’umanità ben vede che questo fatto mette il colmo alle scelleraggini di Federico. Il nostro Storico, confessiamolo, narra con verità quest’azione, deplorando l’infelice prigionia di questi Vescovi, gl’insulti e le soffe- renze, per cui molti se ne morirono. Però dopo tali parole con cinica indifferenza chiama codesta crudelissima azione col nome di caccia di preti., ma che la Chiesa, soggiunge, chiama empio attentato; e non solo la Chiesa, diciamo noi, ma l’intero mondo cattolico inorridito così la chiamò. Noi poi aggiungeremo, come ci assicura Matteo Paris, che presso i Principi Federico ebbe l’audacia di millantarsi come di magnanima impresa, -in cui fosse stato favorito da Dio, accoppiando così alla crudeltà la bestemmia ; ma di ciò tace lo Storico del Medio Evo. Gregorio, già gravato d’anni, ferito nel cuore per tale misfatto, accerchiato dalle armi di Federico, che, come narra Riccardo da san Ger- mano, dava il guasto alle vicinanze di Roma, ne morì di dolore nel- l’agosto 1241. Lo Storico ci dice, che la Chiesa lo appellò vittima delVImperatore {p. 246)., e noi diremo che lo fu veramente della costui ingratitudine, crudeltà, usurpazioni e mala fede. La memoria di Gregorio IX passò alla posterità siccome quella d’un Pontefìce d’animo invitto, coraggioso nella difesa dei diritti di Dio e della Chiesa, d’una fermezza, che non indietreggiò a fronte delle armi e delle persecuzioni. Ei doveva mantenere il vigore d’au- — 17 — torità divina ed umana nella coscienza de’ popoli, e lo mantenne. Sia pure che non avesse la longanime mansuetudine d’Onorio, si conceda che fosse alquanto caldo, e che sdegnato si mostrasse in faccia al nemico, ma da quanto abbiamo detto colla scorta di contemporanei, sebbene ostili al Papato, a fronte di un Federico libero pensatore^ ambizioso d’assoggettarsi e Chiesa ed Italia, fidente solo nella forza delle armi, un Pontefice richiedevasi vindice del diritto contro la forza, un Pontefice, che come scoglio in mezzo a’ marosi, opponesse il petto alle costui esorbitanze. E la Provvidenza divina alla Chiesa ed al mondo in Gregorio IX lo diede. Il brevissimo Pontificato di Celestino IV, succeduto a Gregorio, ci dispensa di parlarne: soltanto sappiamo che spedì un Legato a Federico, dando con ciò una prova della sua paterna bontà. Siccome abbiamo notato, o Signori, la lotta tra il Sacerdozio e l’Impero, tra il diritto e la forza era sempre viva, e tempi disastrosi si prevedevano pel successore di Gregorio. Federico minacciava Roma, ma nell’istesso tempo sollecitava, o fingeva desiderare l’elezione del nuovo Pontefice. Con prepotente politica voleva però che questa si facesse da alcuni Cardinali suoi aderenti, mentre altri teneva prigioni : questi però giustamente protestarono contro qualunque elezione che senza di loro si facesse, e quindi con danno della Chiesa la Sede restò vacante per meglio d’un anno. Or di tal dannosa vacanza di chi era la colpa? Lo storico Alemanno la getta sopra i Cardinali, “ i quali “ si dispersero (dic’egli) o fosse sbigottimento, o disegno d'ai^mre “ Vopinione popolare contro Federico, facendolo comparire autore “ cVuna confusione infinita (p. 248). Ma è questa, diciamolo, un’aperta calunnia. I Cardinali erano prigioni, ma fermi nel loro indiscutibile diritto di dare il loro suffragio, del quale non potevano, e non volevano esser privati. L’accusa della confusione infinita ricadeva sull’Impera- tore, giacché tutti i sincroni e posteriori istorici, n’incolpano il pre- potente Regnante, che contro ogni diritto teneva racchiusi in Amalfi parte de’ Cardinali elettori. Forsechè per compiacere le ree brame dell’Augusto dovevasi far un’elezione (che sarebbe stata invalida) escludendone chi n’avea sacro diritto ? Così la pensa il Protestante, ma non così la pensarono i Cardinali, ben veggendo che col tacere apri- vano strada allo scisma. Pur finalmente colla mediazione di Balduino Imp. di Costantino- poli furono liberati e l’elezione ebbe luogo in Anagni nella persona di Sinibaldo Fieschi, che prese il nome d’Innocenzo IV nel 1243. Piacque a Federico l’elezione, e rallegrossi, giacché spacciavasi amico del novello Pontefice.' Ma poscia provò suo malgrado che un Pontefice non sacrifica gli alti diritti della Chiesa alle esigenze di privata amicizia. Ad Innocenzo di presente spedì suoi Ambasciatori ricevuti sì cortesemente, ma non ammessi alla presenza del Papa, come scomunicati, sebbene poco appresso fossero assoluti, come scrive il Raynaldi. Da parte sua Innocenzo spedì Legati per trattar della pace, di cui nulla più eragli a cuore, ma vi appose due condizioni, che a chiunque giudichi senza pregiudizio sembreranno giustissime, — 18 — cioè che lasciasse liberi i Prelati, e i Chierici che erano ancora so- stenuti in carcere, ed inoltre desse soddisfazione alla Chiesa per le offese fatte sotto Gregorio; altrimenti avrebbe adunato un Concilio per esaminare la causa: aggiungeva poi con paterna indulgenza sè esser pronto a revocare qualunque sentenza non riconosciuta giusta contro di lui. Poteva essere il Pontefice più conciliante? Ma i Pon- tefici non possono non amare i loro figli benché ribelli ed ingrati. In questo momento le cose di Federico non prosperavano. At- tesa la sua superba ambizione taluni Potenti l’aveano abbandonato, i popoli stanchi si mostravano del suo duro governo. Che fare? si rivolse al Papa per mezzo d’altri Ambasciatori, e questi a nome del- l’Imperatore giurarono solennemente, che soddisfatto avrebbe alla Chiesa sottomettendosi alle disposizioni del Pontefice (1). Ma Federico come scrive il suo amico Matteo Paris, agitato da stimoli di su;perbia si pentì della promessa giurata per mezzo de’ suoi legati, e sembran- dogli troppo umilianti le condizioni imposte da Innocenzo rifiutossi di ratificare il trattato allegando vari pretesti per liberarsene, come leggiamo in una lettera riferita dal Raynaldi. Innocenzo nell’istru- zione a’ suoi legati ne dissipò le obbiezioni, e mostrò non poter ade- rire alle sue pretensioni. L’Augusto, scrive il Gregorovius “ credeva che lo Stato ecclesiastico da lui in parte occupato fosse divenuto sua proprietà per diritto di conquista dopo la guerra con Grego- rio^ 0 almeno esigeva il pagamento d^un tributo „ {p. 268). Abbiamo veduto qual fosse codesta guerra, in cui Gregorio era l’assalito, e i Duci di Federico gli assalitori. Poteva Innocenzo così sacrificare i diritti della Chiesa? o dovea cedere alle costui pretensioni? Non già: e quindi fermo sul niego si dimostrò onde Federico, scrive il Paris, in brevissimo tempo ruppe i patti. Lo storico nostro lo scusa dicendo che ciò fece di suo buon diritto^ giacche accettando le condizioni pro- messe veniva meno alla dignità imperiale: ma perchè adunque pro- metterle? {p. 270). Ed ecco di bel nuovo il diritto in collisione colla forza. Coll’aiuto di alcuni storici Protestanti lo scrittore del medio evo avviluppa questo brano di storia, ed infine ci viene a dire che In- nocenzo non voleva la pace., ma il solo pensiero era di schiacciare il suo avversario sotto il peso d’un Concilio (p. 270) E questa un as- serzione meramente gratuita. Il Papa avea diritto ad una soddisfa- zione, avea diritto di difendere le proprietà della Chiesa. Conside- rando l’Imperatore nelle sue pretensioni non rimaneva altro mezzo, che opporre un Concilio, in cui questa causa si discutesse. Ben’egli se n’avvide, e vincer non potendo la fermezza del Pontefice pensò d’impadronirsi di lui e di averlo nelle mani. Simulando trattative di pace l’invitò a Terni, mentre Innocenzo trovavasi in Sutri: ma la Provvidenza vegliava sopra di lui: il Papa opportunamente avver- (1) Eaynaldi riferisce le lettere di Federico. An. 1244. n. XX. XXXI. le quali meritano esser lette. — 19 - tito dell’insidie con rapido corso fuggendo salì una nave in Civitavec- chia e si portò a Genova e da Genova a Lione. Di tale sacrilego tradimento non già ne corse il grido, come asserisce lo storico Alemanno, ma il sincrono Paris ce ne assicura: “ Eadem die significatum fuit D. Papae, quod trecenti milites Tusci “ erant in veniendo ipsa nocte, ut ipsum apprehenderent „ ed altri storici rafPermano con lui (1). E tanto è vero il fatto che Federico rimproverò agrmente d’incuria e di codardia i suoi satelliti, che si erano lasciati sfuggire la preda. Questa fuga, sentenzia il nostro storico, fu un cólpo maestro^ che volse a favore d’Innocenzo i popoli, e tornò a danno di Federico, sul che non vi è dubbio: ma non fu già un colpo politico, fu una vera necessità, un diritto di natura il sottrarsi alle costui insidie, e ferocia. E qui si avrà il coraggio di chiamare Innocenzo disonesto^ ed astuto^^ e la sua fuga audacia fortunata? (p.276). Ov’è qui diso- nestà, ed astuzia ? Doveva forse gettarsi in mano del suo perpetuo ne- mico ? Quale scompiglio non ne sarebbe derivato alla Chiesa, se il Pon- tehce fosse caduto, come altri Prelati, nelle mani di Federico ? La disonestà, ed astuzia con protestantica audacia gettate in faccia ad Innocenzo erano appunto le ree qualità, che distinguevano Federico. Innocenzo giunto in Lione intimò il Concilio, e citò l’Impera- tore a comparirvi. Fu questo uno dei più solenni Concilii. Lo sto- rico del medio evo ha il coraggio di dire (p. 276)^ che mal potrebbesi chiamar ecumenico. Ma e che di più si richiedeva? Y’ intervennero quanti Vescovi ed Abati poterono di Francia, di Spagna, e d’Italia: se pochi discesero dalla Germania questi furono da Federico impe- diti, come alcuni d’Italia. L’Augusto si recò sino a Torino, ma quindi rifiutossi di comparirvi in persona, e mandò alcuni Legati e tra questi Taddeo di Sessa. Il Papa partecipò ai Padri le varie materie da trat- tarsi, e giunto a Federico enumerò sotto vari capi le accuse contro di lui. Taddeo di Sessa appellò ad un futuro Concilio ; ma Innocenzo cortesemente rispose al sotterfugio di quel leguleio che il Concilio era appunto ecumenico, perchè erano stati invitati tutti i Vescovi e Sovrani d’Europa. Finalmente ai 17 di luglio, non già ^precipizio., e di sorpresa come fantastica lo storico, ma super praemissis cum fra- tribus nostris^ et sacro Concilio deliheratione praehabita diligenti^ come leggiamo nella sentenza presso Labbè Tom. XIV, cioè che dopo discussione, e consenso dei vescovi fu pronunciata la scomunica contro Federico II, come nemico della chiesa, ed ostinato nella ini- quità; e privato quindi dell’ Impero, disciolti i sudditi dal giura- mento. Questa sentenza pronunciata secondo le lugubri cerimonie allora in uso, non è a dire se accendesse di fierissima ira l’Augusto, che scrisse a tutti i Sovrani europei una lettera pienissima d’invettive e di insolenze contro il Pontefice, ed il clero: troppo lungo, e ribut- tante ne sarebbe l’esame, basti il dire, che è degna d’un libero pen^ (1) V. Ann. Raynaldi an. 1244. — 20 — satore qual era Federico. Sappiam bene che cotesto conciliare de- creto presso i protestanti, e gl’increduli divenne il bersaglio, contro cui si fecero un dovere di dirizzare le loro avvelenate saette, e il nostro storico del medio evo non vien meno al suo compito, chia- mando il Concilio Lionese uno dei più fatali avvenimenti {pag. 278)^ ed impiega più pagine per difendere Federico col deprimere Inno- cenzo, accusandolo or d’ignoranza, or d’ambizione, or d’egoismo, or d’abuso d’ autorità, e così moltiplicando le ingiurie, e le calunnie. Gli storici di questo partito narrando solo de’ fatti, ma senza pon- derarli ne’ loro rapporti coi tempi, nei quali avvennero, e in ordine alle persone, ed alle loro circostanze si mostrano digiuni di buona critica. Essendo vivo nel cuor de’ popoli il principio religioso niun altro mezzo allora vi aveva per richiamarli dal vizio se non le cen- sure della chiesa, sebbene queste non si usassero che per motivi gra- vissimi, e dopo esauriti i mezzi di benigna longaminità. Ma i pro- testanti, e i degeneri cattolici sol che deprimano la Sede Apostolica noù attendono nè alla condizione dei tempi, nè ai delitti di Federico, nè alla podestà di giudice {p. 283) da tutti allora riconosciuta nei Ro- mani Pontefici (1), nè al dovere che essi aveano ed hanno di cor- reggere e punire i figli disobbedienti, ed usurpatori, anche di corona fregiati. Deposto Federico, Innocenzo promosse nuova elezione del Re dei Romani (che quindi sarebbe Imperatore) nella persona di Enrico Land- gravio d’Hassia, e di Turingia, e questi, sebbene con qualche con- tradizione, venne acclamato. Federico intanto andavasi aggirando coi suoi partigiani : ma poco dopo la giustizia divina colse lo spregiator degli anatemi, che fu sconfitto, e sbaragliato sotto le mura di Parma. Innocenzo intanto non già per guerra a vita^ o a morte {p. 287)^ ma per promovere la pace, gravi lettere scrisse a Principi di Germania onde sostenessero l’eletto, ed insieme minacciò censure ai fautori del deposto, cosicché molti l’abbandonarono. Federico sul fine del 1250 cessò di vivere, lasciando memoria di se come d’uomo energico, e risoluto, capace di scettro che però ad alcune naturali virtù congiunse grandi vizi, e volle far sempre prevalere la forza al diritto, l’ambi- zione alla giustizia, la superbia imperiale alla sommissione cristiana. Alcuni antichi scrittori dicono che in sul morire si pentisse de’ suoi gravissimi crimini. Se ciò è vero, noi ne dareme gloria all’infinita misericordia di Dio. Raccogliendo ora le sparse membra di questa qualsiasi confe- renza vedemmo, per quanto fu possibile, il contrasto tra la forza, ed il diritto: vedemmo a qual segno un potente Regnante conducono le passioni, allorché dal freno della religione, e dall’obbedienza alla Chiesa rattenute non sono. Dall’una parte i Pontefici fermi ne’ di- ritti della Chiesa, che sono quelli di Dio, si opposero ad un Re- gnante che fidando sulla forza delle armi tentava d’assogettarsi la Chiesa : i Pontefici esigevano l’adempimento di promesse, e si videro (1) Vegg. S. Tommaso de Beg: Brine. Uh. III. c. X. - 21 traditi, Essi tutelavano il temporale dominio loro concesso dalla prov- videnza, e Federico voleva annetterlo al suo impero, sottraendo il principale sostegno in terra della sua indipendenza, ed unità. Fe- derico stimolato dell’ambizione, tiranneggiato da vizi, voleva andar libero da qualunque autorità, e quando si vide dalle censure colpito, anziché ravvedersi, impugnò le armi, adoperò la forza contro il di- ritto, ma la forza del diritto lo umiliò, giacché anche il diritto im- plica il concetto di forza, e quindi questa é un essenziale dipendenza di quello: e finì quindi coll’esser deposto, giacché se il Papa avea diritto riconosciuto d’imporre la corona, avea anche facoltà di to- glierla. Ora in tale collisione presso le menti non preoccupate da pregiudizi la sentenza non può esser dubbia, e lascio alla vostra per- spicacia, 0 Signori, il deciderlo. Ma qui alcuni scrittori o Protestanti, e sedicenti Cattolici, o perché soliti a deprimere i nomi più illustri, o perché adulatori del politico potere insorgono contro i nominati Pontefici dipingendone ogni legge come un arbitrio, ogni atto come un usurpazione della civil potestà. Quindi si fanno ad inveire prima contro l’abuso, come lo chiamano, delle censure, poscia contro il diritto di deporre i So- vrani, e finalmente contro il legittimo possesso del temporale do- minio, opponendo che il fatto non prova il diritto, gridando all’abuso, ed appellando alla ignoranza de’ secoli barbari. Così i nostri pen- satori filantropi. Consentite, o Signori, che mi fermi un momento su queste tre accuse, delle quali la prima é l’abuso così chiamato delle Censure, che agli avversari apre il campo ad inveire. Dirò brevemente che costoro portano i fatti senza ponderarli ne’ loro rapporti co’ tempi, e colle circostanze. Ben conoscevano i Pontefici l’indole del loro se- colo: essendo forte nel cuor de’ popoli il sentimento religioso, niun altro mezzo aveavi allora per richiamarli dal vizio, se non le censure. Queste però non venivano mai fulminate !se non per gravissimi motivi, come sopra accennai, e senza prima aver esauriti tutti gli altri mezzi per far ravvedere, e rinsavire il colpevole, e lo abbiamo ve- duto prima in Gregorio IX, e poscia in Innocenzo IV. Altri novatori poi alzano furiosamente la voce contro la deposi- zione dei Principi ribelli alla Chiesa, e gridano contro l’intollerabile, come la chiamano, usurpazione papale. Mi si permetta, o Signori, trattenermi ancora un istante su codesta seconda accusa. Il potere che i Papi ebbero sui popoli e sugli stessi sovrani, non può e non deve dirsi usurpato, come declamano col nostro storico i novatori. Era la stessa natura delle cose nel secolo xiii che collocavali a capo della società. Lo sviluppo intellettuale e morale era in Europa, come ben riflette il Guizot, totalmente religioso : la teologia reggeva lo spirito umano; questa dirigeva il suo pensiero, la sua volontà, la sua coscienza. A dir breve, in quest’epoca la Fede era l’anima di tutta la civiltà, e vita sociale, onde anche in San Tommaso a questa base, o principio fanno capo tutte le altre teorie, e concetti politici, e da questo ricevono i loro criteri! direttivi, e il loro morale indirizzo. - 22 — Ora, ciò posto, dovrem noi maravigliarci se veggiamo i Ponte- fici Sommi, come rappresentanti di Dio, acquistare diritto sopra interessi materiali, e regolare con azione diretta le faccende della civil società secondo la verità e la giustizia? Non dovrà dunque dirsi usurpazione, perchè fu invece la volontà dei popoli, che spinseli a ri- conoscere codesta autorità, non fu l’arbitrio, ma l’ordine delle stesse umane vicende, e la natura de’ tempi ferrei, in cui per alcuni Re- gnanti la sola forza era quella che regolava il potere. In questa condizione di tempi la speranza rimasta ai popoli era solo nella reli- gione, e questa interveniva per mezzo de’ Pontefici : questi li garan- tivano dalla tirannide e dal dispotismo, giacche il Papa non può fare a meno di dire e di proclamare il vero e difendere il giusto. Per la qual cosa se un Papa proclamava un Sovrano aver perduto i suoi diritti, se scioglieva dal giuramento i sudditi, codesta interven- zione era legittima non solo, ma anche salutare, perchè riteneva in giusti limiti gli eccessi e l’impero della forza, ed insinuava verso i poteri costituiti l’obbedienza e la pace. Finalmente i novatori e politicanti de’ nostri giorni si distillano il cervello per isvisare la storia, e dimostrare che il possesso del temporale dominio fu un’usurpazione de’ Pontefici, che astutamente subornando i popoli, e profittando dell’ignoranza del secolo si dichia- ^ rarono padroni di alcune province d’Italia; quindi da questa falsa premessa ne scende una falsa illazione, non escluso l’autore del medio evo, cioè che Federico II giustamente voleva all’impero rivendicarle, e che i Pontefici non potevano giustamente opporsi, come possessori di mala fede. Nulla di più falso di codesta accusa, o Signori, giacché ad ottenere un tale scopo costoro o fìngono di non conoscere, o stranamente foggiano i fatti con dati o travisati, o taciuti, o ignorati per isparger tenebre sopra la luce che diffonde la storia del tempo. Ma non è d’uopo trattenersi su questa accusa, che viene lumi- nosamente smentita dalla fede delle istorie, dai documenti più so- lenni di quei perturbatissimi tempi, e di ciò basta dare uno sguardo a quanto ne scrissero ne’ secoli scorsi, e molto più a nostri giorni dottissimi e valorosissimi autori (1). Tanto è lungi dal vero che i Pon- tefici abbiano usurpato il temporale dominio, che anzi non senza un secreto disegno di provvidenza, dai popoli, abbandonati dagli Impera- tori d’Oriente, minacciati di divenir iconoclasti, oppressi da Longobardi fu loro volontariamente concesso il dominio, e da Re Franchi gene- rosamente confermato stante la ragion politica dell’vm secolo e del ix. Se adunque i popoli a se stessi abbandonati per diritto di natura e delle genti potevano provvedere alla loro salute e costituirsi un so- vrano, si sottoposero ai Pontefici, che erano i più fedeli protettori de’ popoli, questi ben considerata la serie de’ fatti primordiali, a buon dritto cominciarono a possedere il Principato e costretti da assoluta necessità della cosa pubblica e da indispensabile dovere. Per questa (1) V. Fontanini, Card. Orsi, Cenni, Borgia, Muzzarelli ecc. 23 — e per altre valide ragioni che potrebbero addursi vien dissipata ogni calunnia d’ambizione, di rivolta agli Imperatori Greci, o d’intrigo, o di viziata origine, e dimostrata per giusti titoli la legittimità del possesso, che oggi vanta la prescrizione di più di dieci secoli. E da ciò ne discende, come logica conseguenza, essere legittimo in essi l’uso delle armi e delle rappresaglie di guerra, concesse per difesa, o per offesa a tutti i Sovrani. Sorretto dalla vostra cortese attenzione, o Signori, mi lusingo avere almeno accennato a quali eccessi conduce l’abuso della forza contro il diritto. I Pontefici difendevano i diritti della Chiesa e di quella autorità loro consentita dal secolo, e l’ Imperatore colle sue armi si opponeva negando quella obbedienza e quel rispetto che pur dovea a’ Successori di san Pietro, e così affrettò la sua caduta, concios- siachè il voler contrastare colla forza i diritti alla Chiesa si oppone non solo alla ragion cristiana, ma anche alla sana politica, perchè il costituirsi verso di lei in istato di permanente rivalità alla fine torna in grave danno e rovina di chi si fa ad osteggiarla. L’istoria registra non poche cadute di cotali Regnanti, come al contrario ci mostra la prosperità dì quelli, che da buoni figli alla Chiesa obbedirono. Felice Federico se così si fosse diportato! Le buone ed alte qualità di cui era dalla natura fornito procurato gli avrebbero un posto di- stinto tra gli Imperatori più benemeriti, nè la storia sincera oggi segnerebbe il suo nome tra i nemici più fieri della Chiesa. Concluderò colle parole recentissime d’un dotto pubblicista in- glese ; “ Il Sovrano spirituale è .un Potentato, il cui aiuto non può * “ sanamente esser dispregiato dal Sovrano temporale. „ Dio volesse che tali parole, che pur sono di un Protestante^ fossero accolte e meditate dai governanti dei giorni nostri! Costoro col restringere l’autorità della Chiesa credettero aver cresciuta la propria, chiamando in aiuto anzi proteggendo le sette massoniche da cui n’ebbero plauso, e tripudi; ma ne pagarono il fio, perchè in breve si trovarono per opera delle sette medesime involti nel turbine rivoluzionario, che oggi minaccia disperdere troni ed altari, nè mente umana è da tanto da prevederne la fine: tanto è vero che chi semina vento raccoglie procella ! Alla Società sconvolta, e dirò avviata al precipizio, solo la Chiesa Cattolica, unica àncora di salute, può recare soccorso e rimedio : fin- ché alla irreligiosità delle menti e de’ cuori ed alla mutabilità delle umane opinioni non sovrasti la divina autorità della Chiesa, stabilità e pace giammai non sarà, nè gli uomini renderanno a Cesare ciò che è di Cesare, se prima non avranno imparato di retribuire a Dio ciò che è di Dio: Qme sunt Caesaris Caesari, et quae sunt Bei Beo. IMPRIMATUR Fr. Augustinus Bausa 0 . P. — S. P. A. Magister. o Sono vendibili presso V Amministrazione del Corri- spandente del Clero le seguenti opere del medesimo autore: Monumenta, et antiquitates veteris disciplinae OrdinisPraedicatorum ab an. 1216 ad 1348, praesertim in Romana Provincia, Praefectorumque qui eadem rexerunt biographica Ghronotaxis ex synchronis documentis, ineditis Godicibus, aequalibusque auctoribus collectae, illustratae ac di- gestae opera, et studio P. F. Pii Tbomae Masetti S. T. M. ejusdem Provinciae alumni, ac in SS. patriarchali Basilica Liberiana apost. Penitentiarii. Romae ex Typographia R. G. A. 1864 - Due volumi in-8« di p. 478-353 — Prezzo L. 5. * , • La Civiltà Cattolica Voi. IV Serie VI così ne parla : A ninno può essere ignoto come la storia dell’insigne Ordine Domenicano riesca importantissima per la parte, che que’ dotti, e zelanti Religiosi ebbero non piccola nel mantenimento della fede, nel promovimento della pietà, nel- l’avvanzamento delle scienze in Europa, e sopratutto in Italia. Molti scritti vi sono per conservarla viva nella memoria dei posteri, fra quali primeggiano gli Scriptores Ord. Praed. del Eschard, e gli Annali del Mamachi. Ma la Romana Provincia (che comprende la Toscana, TUmbria, e il Patrimonio) una delle più antiche, e più celebri era quasi intatta, e molti illustri nomi de’ suoi Reggitori giaceano nel silenzio. A questo difetto ha cercato di supplire il eh. P. Masetti coll’opera enunciata, raccogliendo i precipui capi di disciplina de’ primi secoli, e le biografìe de’ Priori Provinciali, che la governarono sino al presente sopra documenti in gran parte inediti, e giacenti ne’ superstiti Archi vii. Nella prima parte, dopo la generale prefazione premesso un cenno dei principali documenti superstiti, e un giudizio sulle Opere isteriche già edite, l’Autore prende ad illu- strare la disciplina, che fìorì dal 1216 al 1348, periodo, che dicesi rimanesse nella sua purità. Divisa la materia in quattro sezioni, nella prima tratta della domestica disciplina, cioè de’ Capitoli, delle Chiese, della Salmodia, dei Con- venti, e loro struttura, vesti, beni temporali ecc,, nella seconda parla degli studi, del loro metodo, de’ maestri ecc., nella terza della predicazione, de’ predicatori, e del modo d’esercitarla, nella quarta della punizione de’ deliquenti. Nella se- conda parte si producono le biografìe di tutti i Provinciali divise per secoli: onde però meglio s’intenda quanto in esse si dice, ad ogni secolo è premessa una dissertazione, in cui si presenta come in un quadro lo stato della Provin- cia, cioè le guerre, gli scismi, le riforme, le leggi civili, le abolizioni, insomma le vicende che in quel secolo agitarono, o cangiarono la condizione de’ claustrali. Nell’una e nell’altra parte poi si aggiungono diverse appendici, e disertazioni su vari argomenti, e nelle biografìe (più, o meno lunghe secondo le raccolte notizie) si recano antiche lettere, decreti, epitaffì ecc. e tuttociò in gran parte estratto da documenti contemporanei, ed inediti, da cronache, necrologi ecc. Quindi l’Opera può dirsi non solo compiuta in ogni sua parte, ma piena ed ordinata, e per la sincerità de’ documenti sopra i quali è fondata sommamente critica, e veritiera. Fr. Tolomaei de Luca Ord. Fraed. S. Thomae Aquinatis olim di- scipuli, deinde Episcopi Torcellanì Exaemeron, seu de opere sex dierum tractatus quem ex vetusto Codice Bibliothecae Gasanatensis in lucem protulit, notisque illustravit P. F. Fius-Thomas Masetti S. Th. Mag. ejusdem Bibliothecae Praefectus, addita Auctoris vita. Senis ex Typo- graphia S. Bernardini MDCCCLXXX in-8° pag. XVI-240 — Prezzo L. 3. (Civiìtcì Cattolica Serie XI. Voi. 4P 343) Applaudiamo di cuore a questa edizione curata con tanto studio, ed intel- ligenza dal chiaro P. Pio Tom. Masetti delPOrdine de’ predicatori. L’opera e del dottissimo Bartolomeo (volgarmente detto Tolomeo) da Lucca, anch’ esso Domenicano, che fu contemporaneo, ed anzi discepolo di S. Tommaso d’Aquino, e tratt?v«Èté}l’Opere della creazione ne’ sei giorni mosaici. L’egregio Editore nella sua erudita prefazione fornisce copiose notizie della vita dell’Autore, del merito di codesta sua opera, del Codice, da cui e stata derivata, e del metodo, che ha tenuto nel riprodmda, non contentandosi solo della materiale esatezza, ma illustrandola con opportune annotazioni. Prezzo del presente fascicolo Cent. 45,