w w ENRICO COSTANZI LA CENSURA ECCLESIASTICA E IL DIRITTO GERMANICO AI TEMPI DI GREGORIO VII. Note sulla deposizione di Enrico IV. Estratto dal periodioo La Rassegna Italiana del .15 luglio 1885 - R O M A T I P O G R A F I A A. B E F A N I Via Celsa | 7, 8 1885 ENRICO COSTANZI CENSURA ECCLESIAST E IL DIRITTO GERMANICO AI TEMPI DI GREGORIO VII. Note sulla deposizione di Enrico IV. Estratto dal periodico La Rassegna Italiana del 15 luglio 1885 R O M A T I P O G R A F I A A. B E F A N I Via Celsa 6, 7, 8 1885 u « s » g i p i i e il u p mm AI TEMPI DI GREGORIO VII. Note sulla deposizione di Enrico IV. I. L'illustre Gregorovius parlando della morte del papa Ildebrando, ricorre alla similitudine d'un astro che si spegne nell' orizzonte in- definito dei tempi; egli vede altresì, i ruderi colossali del medio evo sgretolarsi e cadere nel fiume dei secoli che tutto accoglie e ricopre nell' onda delle sue armonie, tutto trascina nel corso maestoso, piano ma fatale delle sue acque. 1 Pur riconoscendo alla ricca immaginativa dello storico, il merito di colorire poeticamente i suoi racconti colle tinte vaghe del suo ideale panteistico, fà d' uopo convenire che potranno bensì le nubi della passione o del pregiudizio velare alquanto certi astri, ma la luce che tramandano vince l'obblìo, non conosce tramonto, e che vi sono ruderi che, come incrollabili scogli, resistono alle tempeste non solo, ma dall'urto acquistano maggior saldezza e forma più bella, come quella roccia della favola greca, che l'impeto delle onde marine andava foggiando nell' aspetto sempre più chiaro e più distinto d' un dio. 1 F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medio Evo ; Tom. IY, Lib. VII, Cap. VI. Dopo otto secoli dalla sua dipartita da questo mondo, la figura di Gregorio VII ci si presenta più distinta e più vivace che mai, l'impronta che quel gran genio ha stampato sulla terra, il corso delle umane vicende non l'ha pur anco cancellata, mentre che lo spirito di lui aleggia ancora sulla Chiesa; Gregorio è tuttora un modello, un maestro per i pastori e, santo, vive nella preghiera e nel culto del popolo cristiano. La storia di lui c'interessa pure per un certo suo carattere di opportunità e di convenienza con i tempi che corrono ; la proposi- zione sembra paradossale quando si pone mente alla differenza' che passa fra l'epoca nostra e quella, ma non così, quando si riconosce che, in ultim'analisi, quei grandi fatti morali che giganteggiavano nei secoli di mezzo preoccupano ancora il mondo moderno ; anche oggi, come ai tempi di Gregorio VII, la Chiesa ed i papi si ado- perano a stabilire, confermare e diffondere al di sopra dei regni temporali, il regno di Gesù Cristo ; un tale intento non va considerato come una fisima del " credulo e tenebroso „ medio evo, un ideale di tempi " primitivi ed ingenui, J ma costituisce la missione costante attuale e perpetua della Chiesa. La regola politica della Chiesa, varia coi tempi ; secondo le di- verse circostanze, fà, disfà, rifà concordati, stringe patti, li scioglie e li rinnova ; secondo le disposizioni che incontra nei poteri a' quali trovasi di fronte, tratta, piegasi, cede, si rialza, rifiuta, condanna, impone, ma non perde mai di vista il suo fine supremo che è quello di salvare le anime facendo regnare Gesù Cristo sul mondo. Nel secolo decimoprimo la libertà della Chiesa era la cagione della gran lotta fra papa e imperatore ; chi oserebbe dire che la libertà della istituzione divina, non sia anche ai tempi nostri il motivo d'ogni contesa fra la Chiesa e lo Stato, e che questa contesa assuma a nostri giorni importanza e proporzioni grandissime? La Chiesa, si può esser certi, si opporrà sempre ed ovunque, nella massima come nella pratica, a quei costumi, a quelle leggi che si oppongono allo spirito del cristianesimo o che inceppano 1' eser- cizio della sua missione ; ne segue dunque, che la sua azione pubblica e politica non verrà mai meno finche la società non si sarà con- formata ad una costituzione cristiana, cioè veramente civile ; fino a che la Chiesa non avrà raggiunto questo suo fine, ideale e legge della sua esistenza, stà nella sua natura medesima ch'essa metta in opera ogni suo mezzo onde realizzarlo, applicandosi senza mai ces- sare, ad impedire il male che lo allontana e a procurare il bene che lo promuove. Stando necessariamente la Chiesa in questi termini rispetto allo Stato moderno, si riconoscerà facilmente che il nome di Gregorio VII, ripetuto e celebrato in questo declinare del secolo decimonono, è qualche cosa di più che una semplice memoria storica, che un frammento d'erudizione ecclesiastica ; è altresì un richiamo alla sana dottrina, una conferma dei diritti della Chiesa, uno stimolo alla loro difesa, una garanzia del loro trionfo. Non si può nominare san Gregorio YII e rimanere indifferenti ; quel nome giunge alle fibre più intime dell'anima per destarvi affetti vivaci e profondi; quel papa che in vita tanto amò la giustizia e odiò tanto l'iniquità, è rimasto dopo morte l'oggetto delle più aspre contradizioni : Segno d'immensa invidia E di pietà profonda, D'inestinguibil odio E d'indomato amor. Le grandi idee morali ch'egli, colla vigorìa del suo genio, ha saputo destare dal pericoloso letargo dei secoli X e XI, agitano an- cora la società e appassionano le menti. Strano a dirsi ! il carattere di Gregorio YII ed i suoi atti sono stati meglio apprezzati nei no- stri tempi e dai stessi protestanti, che non lo furono tre secoli fà da alcuni vescovi e preti gallicani, e nel secolo scorso, quando la Chiesa, canonizzando il suo grande pontefice e strenuo difensore, eccitò l'ira e il dispetto di tutte le corti europee e più specialmente di quelle cattoliche, imbevute di dottrine esagerate sulla potestà regia. Non ci tratterremo sull' alto significato morale della lotta che impegnossi fra il papa e l'imperatore e che raggiunse il massimo — 6 — della sua intensità durante il pontificato di Gregorio VII. Tale argomento potrebbesi dire esaurito se mai il bello, il giusto, il vero, fossero soggetti esauribili per l'intelligenza e per l 'ar te. Non v'è storico del medio evo il quale non abbia fatto sosta d'in- nanzi alla scena di Canossa e non vi abbia contemplato il trionfo della forza morale sulla violenza materiale ; dal conte Giuseppe De Maistre a Ferdinando Gregorovius, cattolici, protestanti, razionalisti, tutti i partiti e tutte le scuole, sono unanimi nell 'ammirazione e nel plauso. Noi ci limiteremo ad accennare brevemente le leggi canoniche e le norme del diritto pubblico vigente in Germania per dimostrare che la condotta del papa verso Enrico IV, fu giusta e lodevole non solo sotto un punto di vista cristiano, civile e patriottico, come ri- vendicazione delle sacre ragioni della Chiesa, come trionfo del diritto contro la forza e come emancipazione dell'Italia da servitù straniera, ma che sotto Un punto di vista nazionale tedesco, Gregorio YII agì se- condo il sentimento e le aspirazioni del popolo; in Germania, aristocra- zia, clero fedele e plebe dovettero applaudire, come di fatto applaudiro- no, agli atti del papa, poiché quando questi riduceva sotto la regola della disciplina apostolica, il presuntuoso ed arrogante principe, egli rappresentava la causa nazionale tedesca e le ragioni del sacro Impero, tanto quanto quelle della Chiesa cattolica e della Santa Sede. Se la figura di Gregorio YII è apparsa al popolo tedesco come quella d'un nemico e d'un rivale, furono il protestantesimo prima, il razionalismo dopo, che così gliela dipinsero; fu una tarda e falsa in- terpretazione dei secoli protestanti, non una realtà della storia; fu la dottrina dei dissidenti che, spezzando la secolare unione fra le nazioni cristiane, ed accentrando la somma potestà religiosa nella persona dei principi, mise il Romano Pontefice in vista di potestà straniera; è questa falsificazione del concetto cattolico della Chiesa e dell' unità sociale in Cristo, che ha reso odioso Gregorio VII ai tedeschi^ e lo ha lor rappresentato come uno straniero, conculca- tore della loro nazionale dignità. Ma la storia imparziale che tutto considera, si rifiuta a tale interpretazione, ed i tedeschi stessi, da —. 7 mezzo secolò in qua, lo vanno riconoscendo colle splendide testimo- nianze delle loro ricerche e delle loro opere storiche. L'imperatore scommunicato e deposto dal papa, non era colpito da un potere estraneo, da un rivale in dignità, ma dal capo su- premo di quell' organismo universale e sacro di cui egli stesso faceva parte e da cui nessuna nazione, nessun principe,: nessuna costituzione pubblica potevano in quei tempi stimarsi indipendenti ed estranei. L'imperatore umiliato a Canossa non piegava il capo d'innanzi ad un nemico trionfante, no, ma soltanto d'innanzi al legittimo suo superiore, ad uno che era costituito sopra di lui in dignità ed autorità, tanto secondo l'ordine gerarchico della Chiesa, quanto secondo l'ordine costituzionale dell'impero e la massima ge- nerale del diritto pubblico europeo. Non ci faremo ad esaminare le istituzioni medioevali nè le vicende del pontificato di Gregorio VII, ciò speriamo fare in altri studi, ac- cenneremo soltanto alle censure ecclesiastiche ed agli effetti civili e politici che, in virtù delle leggi locali, ne seguivano. Ciò potrà contribuire a collocare sotto una luce più vera fatti sui quali le pas- sioni ed i pregiudizi antipapali hanno sfogato tutti i loro malumori. Mostrando, per così dire, la legalità della condotta del papa rispetto al diritto pubblico dei stati ed in specie rispetto alle leggi germaniche, se ne potranno dedurre a fortiori la giustizia assoluta dei suoi atti, ed il diritto intrinseco della sua potestà pubblica, quando, come capo della cristianità, consigliava, guidava, correggeva, con- dannava, assolveva principi e popoli, laici e prelati. Non intendiamo di tratteggiare qui la fisionomia di quel santo pontefice, umile ed alto, tenero e forte, prudente e risoluto, ma solo toccare un lembo del suo manto, che ne saranno egualmente manifèste la giustizia dei suoi atti e la rettitudine delle sue intenzioni. II. Le censure e le pene canoniche, fra le quali più temute erano l'interdetto e la scommunica, costituivano per la Chiesa e per il papa, - 8 - le armi principali ed i mezzi più efficaci onde punire i delitti, cor- reggere i costumi, frenare gli abusi, sostenere il diritto e difendere la giustizia. Quantunque fosse una forza negativa, la censura era per i papi del medio evo ciò che i milioni d'armati e le flotte po- derose sono per i stati, moderni. La penitenza pubblica cui assoggettavansi coloro che dalla cen- sura venivano colpiti, era una disciplina variabile e temporaria della Chiesa ; non era imposta come pena da doversi necessariamente subire; il suo carattere era piuttosto quello di espiazione e di riparazione ; perciò non fu mai obbligatoria, ma posta soltanto come una condi- zione da accettarsi volontariamente da chi, scommunicato, bramava rientrare nel grembo della Chiesa. Dalle lettere degli apostoli, 1 dai scritti dei santi Padri 2 e dalle discipline canoniche, confermate poi nei codici civili, 3 risulta che fin dagli esordi della Chiesa, fuvvi costume di dichiarare espulsi dal suo seno, come indegni di farne parte, i membri che non si conforma- vano alle sue dottrine, alle sue leggi, o che disprezzavano le sue ammonizioni. Fin da quei tempi primitivi, la censura traeva seco alcuni effetti temporali, privando non solo dei beni spirituali, ma di alcuni vantaggi del consorzio civile; ciò risulta pure dall'Evangelio (Ioann. II, 11.) e dall'Apostolo S. Paolo. (Corinth. I, 11.) Entrata la Chiesa nello Stato, fin dal IV secolo la censura ebbe conseguenze civili e giuridiche, come l'esclusione dei scommunicati e dei peni- tenti dagl'impieghi secolari, dalle cariche della magistratura e della milizia ; più tardi, nel VII secolo, le leggi dei Visigoti e quasi tutti i Codici barbari confermarono ed appoggiarono la legislazione eccle- siastica, aggiungendo per conto loro, nuove pene e maggiori priva- zioni ai scommunicati ; nel X secolo, si resero i riti e le forme pub- bliche della censura più solenni, ed essendo la pietà diminuita, si cercò d'intimorire maggiormente gli animi dei perversi con esteriorità e formole tali da sgomentare la prepotenza armata. 1 Timoteo 1, Cap 1, vera. 20. 3 San Giovanni Grisostomo; Omel. V. 1 Vedi Decret. Gratiani; XXXVII, 24. — 9 — Era altresì opinione di tutto il ceto fedele che niun potere ter- reno, niuna autorità umana, potesse mettere il principe al disopra degli obblighi d'un cristiano, i quali, quanto più erano elevati per la loro origine, tanto più dovevano essere sacrosanti a tutti gli uomini ed ai più alto locati senza distinzione alcuna. I re particolarmente é i dominanti, non ostante la diversità della loro condizione, non dovevano obbliare che una era la prove- nienza, uno il termine commune a tutti ; e se il principe, come capo supremo dello stato, consideravasi, sotto un certo aspetto, superiore ai vescovi ed al clero del suo regno, patrono e difensore della Chiesa entro la cerchia dei suoi domini e della sua temporale giurisdizione, pure, come membro della Chiesa universale, era sottomesso al papa, che stà all'apice della società cristiana. " Quando Gesù Cristo disse * a Pietro: pasci le mie agnella, ne escluse fórse i re? » chiedeva Gregorio VII a chi mostrava di meravigliarsi della sua risoluta con- dotta verso principi indegni. Perciò, se ci facciamo, a considerare l'umiliazione di Enrico IV a Canossa secondo il diritto pubblico germanico e le leggi ecclesia- stiche, essa non ci apparirà quale, in odio al papa, preferiscono de- scrivercela i protestanti ed i razionalisti, cioè come l'umiliazione d 'un vinto in guerra od almeno d'un prigioniero politico, ma come quella volontariamente accettata da un principe che sente d'essere cristiano, „ da lui abbracciata come una grazia onde ottenerne quel bene maggiore che se ne riprometteva, non si può dire con quanta sincerità, per la salute dell'anima sua, ma certamente con brama ed ansietà gran- dissime pel vantaggio della sua causa temporale. In ogni modo ciò che nella sua sottomissione, muove ed incalza la volontà di Enrico, sia a sua lode e giustificazione, sia a maggiore sua condanna, non è tanto la potenza del sacerdozio e della Sede romana, quasi potere politico estraneo, rivale dell'impero, quanto la forza d'una grande idea morale, commune a tutti i popoli cristiani, fondata sulla medésima fede, realizzata pubblicamente ed espressa socialmente in una stessa istituzione, idea che aveva le sue profonde radici in Germania non meno che in Italia, a Worms e ad Augs- — 10 — burg 1 non meno che a Roma e sulla terra di Canossa, scritta e formulata nelle leggi germaniche e sveve, nei capitoli della costitu- zione imperiale non meno esplicitamente che nelle bolle pontificie e nei canoni dei concili. Tanto più facilmente si spiegheranno i fatti che seguirono la scommunica di Enrico IV, quanto più si attenderà al carattere pub- blico che la censura assumeva nella persona dei principi. Nel medio evo, giova osservarlo, benché non vi fossero nè la stampa che diffonde le idee, nè le facili e rapide vie che ravvicinano le persone, il sentimento dell'unità sociale, il vincolo morale che dovrebbe cementare in un sol corpo i diversi ordini della società, erano più profondi e più forti che nei tempi nostri. Allora, principe e suddito formavano una certa unità morale a guisa di famiglia; il bene del principe era bene pubblico, le sue virtù ed i suoi meriti riflettevansi su tutta la nazione, e così pure il suo disonore e la sua colpa ricadevano su tutto il popolo. Questa legge della solidarietà, che sta nella natura stessa delle cose umane, faceva sì che la censura ecclesiastica inflitta al principe pel suo delitto, tirannia, adulterio, eresia che fosse, si riverberava come sciagura pubblica sull'intera nazione, della quale egli era il capo reo. Dal fatto riconosciuto e sentito di tale solidarietà fra popolo e principe procedeva quella forma di pena ecclestiaca chiamata inter- detto e che consisteva nella cessazione del culto pubblico, nel rifiu- tare al popolo i conforti religiosi, eccezione fatta dei sacramenti es- senziali della vita cristiana. L'interdetto era lanciato dai papi su quei stati i di cui principi ostinavansi nel peccato e nello scandalo, come sopra oggetto moral- mente unito alla ragione del principato. Tale castigo poggiavasi pure sull' idea che in petto ad un prin- cipe palpitasse un cuore cristiano e sensibile per le'sofferenze dei suoi sudditi come quello d'un padre, e che l'orgoglio personale, la passione, cedessero ai lamenti delle popolazioni le quali per sua ' Vormazia e Augusta. — 11 — colpa erano private di quei benefici della religione che esse te- nevan cari sovra ogni altro bene della vita. Se questi mezzi di cui disponeva la Chiesa, erano così efficaci da far tremare i potenti in trono e vincere le più dure resistenze, tale effetto, ognun se ne avvede, non ottenevasi con politica scaltra ed astuta, non colla forza e colla violenza; nessun inganno, nessuna coazione, ma solo il peso di quella forza morale che oggi ehiame- rebbesi la coscienza pubblica, l'opinione popolare. Ebbene, noi, figli d'un secolo che ha creduto emanciparsi, get- tando lungi da sè il giogo mite e benefico della Chiesa, ma non ha ancora trovato su quale idea dell'autorità, su qual principio del di- ritto, fondare l'ordine, la libertà e la pace, quali titoli abbiamo noi per disprezzare la costituzione civile e politica del medio evo, quando la parola sola d'un vecchio sacerdote bastava a frenare l'impeto delle più malvagie passioni, sospendere una guerra sanguinosa, co- stringere i forti armati a sottomettersi all'ordine della legge com- mune, ai decreti della giustizia? Certo, quello età avevano i loro difetti e quei pubblici ordinamenti le loro imperfezioni, ma conte- nevano pure beni e pregi inestimabili. " Il regno dei preti, scrive il Grregorovius, che non brandivano altre armi fuor di una croce ed un vangelo, di una benedizione e d'un anatema, merita più ammirazione che tutti i regni insieme uniti dei conquistatori romani od a s i a t i c i . . . . Quest' impero spiri- tuale potrà condannarsi, potrà odiarsi, ma finché duri la terra sarà sempre un fenomeno morale che non ha riscontro d'esempi. „ 1 Non ho mai potuto capacitarmi del senso e del senno di coloro che si glorificano della diminuita efficacia delle censure ecclesiastiche, come d'un progresso. La società moderna non ha più paura delle scommuniche, non ci crede più, e se ne fà beffe. Ciò è vero ; ma è vero altresì che in luogo delle scommuniche, degl' interdetti, delle penitenze pubbliche, abbiamo gli eserciti permanenti, le armi po- derose, la coscrizione, pesi ben altrimenti gravi sulle spalle dei po- 1 F. G-regoroviua ; Storia della città di Roma nel Medio-Evo ; tom. IV, lib. VII, cap. VI, § 5, pag. 299. — 112 — poli; abbiamo la rivoluzione sociale che invade già quasi tutto l'ordinamento d 'una società che ha creduto potersi costituire al- l'infuori della Chiesa; il socialismo pure ricorre alla scommunica e la sua scommunica è la dinamite. Fra la censura papale ed il cannone o la dinamite, stimo che la prima è arma molto più. ci- vile, e vero progresso sociale sarebbe se oggi, come nel medio-evo, l'una potesse far le veci delle altre. " Le battaglie che i papi del medio evo combatterono, dice lo storico già citato, non furono vinte con ferro o con piomoo, ma con potenza morale ; ed è appunto l'uso e l'efficacia di tali mezzi che talvolta rendono il medio evo più grande dell' età nostra. Di fronte a Gregorio VII, Napoleone I non è che un barbaro. „ 1 Vi è nel corso della storia e nello svolgersi delle varie forme politiche e sociali una certa legge di compensazione morale che la volontà degli uomini non vale ad alterare d'un iota: ciò che vediamò verificarsi in modo sicuro, è che nella stessa proporzione in cui dimi- nuiscono nei popoli le idee dell'autorità e del diritto, il sentimento del dovere e del rispetto, s'aggrava sopra di essi il peso delle ma- teriali necessità e di nuove servitù. Ai nostri tempi in cui l'elemento laico non ritiene che un om- bra languida di quella fede così intensa e vigorosa nel medio evo, non possiamo farci un'idea adeguata dell' effetto che doveva pro- durre sulle popolazioni fedeli la scomunica d'un re o l'interdetto d' uno stato, perciò stimo prezzo dell' opera, riferire qui un sunto della bellissima descrizione che ne fà l'illustre Hurter, là ove tratta dell'interdetto messo dal Papa Innocenzo III sul reame di Francia nel 1199. a Il concilio di Digione nel quale fu deciso di promulgare 1' in- terdetto durò sette giorni. Sulla mezzanotte dell'ultimo giorno ecco un lugubre suono di campane come se annunziassero lo stato di un 1 F. Gregorovius ; Storia della città di Roma nel Medio-Evo ; Voi, IV, lib. VII, pag. 240. " Hurter; Vita d'Innocenzo ITI, lib. IV. — Vocìi puro sul medesimo argo- mento: Cantù, Storia universale; toni, III, lib. X, cap. XVII. — 17 — uomo sull'agonia. In silenzio, colle torcie spente, recaronsi i vescovi ed i sacerdoti nella cattedrale. I canonici intuonarono in tuono di mestizia il Miserere inalzando per 1' ultima volta lo loro suppliche al Padre di tutte le misericordie per i colpevoli. Un velo copriva le immagini del Crocefisso, le reliquie dei santi trasportate nelle cappelle sotterranee, le ostie consacrate che rimanevano, consumate colle fiamme. Il legato pontificio presentavasi al popolo, con la stola violacea come nel tempo della Passione, e intimava l' interdetto da durare fintanto che non avesse cessato il concubinato del re con Agnese di Merania. Le volte della chiesa echeggiarono allora di sospiri interrotti, di singhiozzi dei vecchi, delle donne e dei fan- ciulli. Pareva il finale giudizio. Terribile pena invero! I fedeli restavano privi eli quella parola e di quelle pratiche religiose che dirigono l'anima in mezzo ai turbini, e la francheggiano nelle lotte della vita. La chiesa, monumento ove tanti segni visibili rappre- sentano la magnificenza del Dio invisibile e dell' eterno suo regno, sorgeva ancora di mezzo alle stanze de' mortali, ma come un ca- davere senza sintomo di vita. Più il sacerdote miou consacrava il pane ed il vino per le anime desiderose del nutrimento vivifico; non rilevava coll'assoluzione i cuori oppressi dal rimorso ; muto l'organo, muti gl'inni, che tante volte avevano tornato sereno l'animo annu- volato; muto il solenne mattinare delle spose di Cristo, muto lo squillo delle campane, ovunque sottentrato il silenzio del sepolcro. Non più risuona la parola di salute dal pulpito, d'onde l'ultim' ora lanciaronsi sassi, significando alla turba che in pari modo aveala Iddio reietta; che le porte della Chiesa del Dio vivente erano chiuse al pari di quella della terrestre. Solo a qualche monastero era permesso, senza intervento di laici, a bassa voce, a porte chiuse e nella soli- tudine della notte supplicare il Signore a ravvivare colla grazia gli spiriti estinti. La vita non era santificata nelle importanti sue fasi, quasi più v'esistesse mediatore fra il reo e Dio; il fanciullo era ac- colto al battesimo, ma senza solennità, quasi furtivamente ; i matri- moni si benedicevano sulle tombe, anziché all' altare della vita. Il sacerdote esortava a penitenza, ma sotto il portico della chiesa ed — 14 — in negra stola; quivi soltanto la puerpera veniva a purificarsi, il pellegrino a ricevere la benedizione pel suo cammino. Il viatico, consacrato dal prete solitario, portavasi in segreto al moribondo, ma gli si negava l'estrema unzione, come sacramento non essenziale, e la sepoltura in terra sacra. Le solennità, epoche gloriose della vita spirituale, in cui il signore ed il vassallo univansi presso l'altare, nella communanza della gioia e della preghiera, diventavano giorni di lutto, ove il pastore in mezzo al suo gregge, raddoppiava i gemiti, i salmi della' penitenza universale ed il digiuno. III. Tali essendo gli effetti che ordinariamente seguivano la scom- munica d'un principe regnante, è facile arguire quali preoccupazioni ed angustie dovessero opprimere 1' animo torbido ed irrequieto di Enrico, quando per le sue inaudite crudeltà verso i Sassoni, 1 per l'ostinazione nel far mercato delle sacre dignità, per l'insulto e l'aperta ribellione all'autorità pontificia, fa da Gregorio VII scommunicato. Quando il papa dal Laterano ebbe lanciato quel primo anatema (anno 1076), respirarono i Sassoni conculcati, oppressi, ed esultarono di soddisfazione i Turingii i quali alle sciagure della terribile guerra di Sassonia avevano partecipato ; questi popoli ed i loro capi, uniti a signori di Svevia, di Baviera, di Franconia, di Lorena, i quali tutti erano stanchi e mal tolleravano il governo brutale e capriccioso del violento Arrigo, fecero intelligenze, e, secondo il diritto che loro accor- dava la patria costituzione, adunaronsi a Triburg onde procedere alla elezione d'un nuovo re dei germani. Intanto la solitudine andavasi formando attorno alla persona del re scommunicato ; i cortigiani, i servi e famigliari della sua casa, i compagni delle sue dissolutezze un dopo l'altro l'abbandonarono, an- che i vassalli più fidi ed i più alti dignitari, che maggior interesse 1 Vedi su questo argomento : Brunone di Merzburgo ; De Bello saxonico. Fabricius ; Orìginum saxotiicarum. — 15 — avevano a rimanergli fedeli, rimasero incerti e dubbi sulla convenienza, e legittimità di lor condotta, ben sapendo che la censura ond' era stato colpito il loro sovrano, in virtù delle stesse leggi germaniche, a;veva per effetto la decadenza dai diritti regi e da ogni legittima pretensione alla corona imperiale, che, come eletto dei tedeschi, eragli destinata. Infatti, dicono i storici più autorevoli, quelli che gli erano rimasti fedeli, dopo un certo tempo " cominciarono a dubitare se dovevano disprezzare la scomunica, ovvero osservarne con riverenza gli obblighi, tanto più che nelle lor leggi si contiene il precetto che se entro un anno ed un giorno, il vincolo della scommunica non fosse sciolto, il principe verrebbe privato d' ogni dignità ed onore „. 1 La costituzione elettiva del regno di Germania stabiliva che i principi di questo potessero deporre il re, per conseguenza eleggere un tribunale che lo giudicasse. Per tale essi avevano scelto il papa, che così, come dice il Cantù, 8 veniva ad esprimere il voto della giustizia e della nazione. „ 2 Enrico avvistosi che l'esercito non gli avrebbe bastato contro la volontà del popolo intero espressa dal papa, intimorito, scese a patti, simulò pentimento ed egli che ad esortazioni antecedenti, venutegli da Roma, aveva risposto con lettere contrite e sottomesse, visto il con- tegno dei suoi connazionali e la piega ostile che prendevano le cose di Germania, tornò a scusarsi, a pregare ed a promettere. Questi timori e questi ravvedimenti, mentre caratterizzano lo spi- rito di quei tempi così profondamente penetrato dal sentimento della fede, sono pure argomento del carattere mobile di Arrigo, mobilità che lo fà apparire ipocrito, e forse più falso di quello che era in realtà. Fórse v' era nel suo cuore una certa dose di sincerità, quando alle prime ammonizioni e minaccie del papa così rispondeva : 8 Noi, per la mise- 8 ricordia di Dio, compunti e rientrati in noi medesimi, confessiamo „ i nostri primi peccati, accusandoci d' innanzi alla indulgentissima | Paternità Vostra, sperando nel Signore da Voi, che assolti per la 1 Muratori; Rerum Ilalicarum scriptores. Tom. Ili, pars I. Roselli; Vita Gregorii VII. ' Storia Univ. Tom. Ili, Lib. X, Cap. XII. — 16 — „ Vostra Apostolica autorità, meriteremo di essere giustificati. 0 noi „ colpevoli e sciagurati! Parte a causa dell'educazione cortigianesca „ onde fu circondata la nostra puerizia, parte per la libertà che ne „ dà la nostra potenza e la nostra dominazione, parte altresì per „ causa di coloro, i fallaci consigli dei quali pur troppo abbiamo se- „ guiti, peccammo d'innanzi a Dio e d'innanzi a Voi, e non siamo „ degni d'essere chiamati Vostro Piglio. Non solo Noi abbiamo in- „ vaso le chiese, ma insieme con altri indegni simoniaci, non en- yj trando nelle chiese per le porte, ma d'altra parte, 1 le vendemmo e „ (come sarebbe stato dover nostri) di farlo) non le difendemmo. Ma „ ora siccome da Noi stessi e senza la Vostra autorità, non possiamo , nè correggere, nè riparare al male fatto a danno di quelle cose ec- „ clesiastiche, su di esse (come pur sulle nostre cose tutte) umil- „ mente invochiamo il vostro aiuto, promettendovi che in tutto e per „ tutto e colla massima diligenza osserveremo il Vostro precetto. 2 Che pochi mesi dopo scritte simili parole Arrigo tutto dimenti- casse e facesse il contrario di quanto aveva promesso, potrà pure, quanto si voglia, attribuirsi a capriccio, a collera, ad una cieca im- pressionabilità che ad ogni minimo urto facevagli mutar condotta, ma tali spiegazioni, addotte in difesa del suo carattere, non possono nascondere in lui un fondo ignobile di doppiezza e di slealtà, tanto più evidente pel contrasto col carattere sincero e costante del pontefice. Il capo della cristianità aveva obbedito ad un imperioso dovere del suo apostolico ministero, scommunicando Enrico, ma il suo cuore sempre benevolo verso quel principe, non erasi mutato ; dopo la sen- tenza, sua prima sollecitudine fu di mitigarne gli effetti, sua prima cura fu di aprire ed agevolare allo sciagurato sovrano le vie della riconciliazione. Si parla molto della fierezza e della severità di Gregorio VII, ma chi ha atteso coscienziosamente allo studio della sua vita, chi ha ' Figura che usavasi in quei tempi per indicare l'elezione simoniaca dei Vescovi. ' Lettera di Arrigo IV a Gregorio Vii, 1073. Hugo Plaviniacensis ; Chronicon Verdunensis. Go'ldastus; Conatitutìomim lmperialium, Tom. I. — 17 — imparato a conoscerlo nei suoi atti ed in particolare nelle molte ed ammirabili sue lettere, ove con l'accento dell'affetto e della fede ma- nifestava le ragioni intime del suo operare, sarà facilmente convinto che mai la giustizia e la misericordia furono così bene accoppiate, come nell' animo di quel forte e mite pontefice, umile ed alto come si conveniva al " Vicario di Cristo „ ed al " Servo dei servi di Dio. •„ Gregorio, desideroso di pace, dava ascolto alle raccomandazioni della madre di Enrico, la pia imperatrice Agnese, la quale viveva ritirata in un monastero di Roma, ed erasi trovata presente al Con- cilio, quando fu lanciata la scommunica. Addolorata pei traviamenti del figlio, non trovava nel materno suo cuore che lagrime ed essa le versava ai piedi del pontefice. La mente di Gregorio tornava volentieri alla memoria del tempo in cui l'imperatore mostravasi tutt' affetto, tutta devozione verso di lui, egli rammentavasi della somma consolazione che quella condotta avevagli procurato quando, nell'esultanza della gioia, scriveva ad Er- lembaldo di Milano : " Sappiate che il re Enrico ci ha mandate pa- „ role piene di dolcezza e d'obbedienza, e tali che non ci ricordiamo , che nè lui nè i suoi predecessori ne abbiano mai indirizzate di „ simili ai romani pontefici. 1 Richiamava coi suoi voti i passati giorni, allor che le più lusinghiere speranze di pace sorridevangli, e che, riconoscente e commosso, scriveva al re e futuro imperatore che prestando egli volenteroso l'opera sua onde estirpare la simonia e frenare la dissolutezza del clero, si rendeva benemerito della Santa Madre Chiesa; che l'aver egli dato mano nei suoi stati all'opera di una riforma così salutare e dal papa così ardentemente desiderata, era un segno che si potevano sperare dal giovine principe cose ancor più grandi ed eccellenti pel bene della religione " che perciò, „ sono le parole stesse che Gregorio scriveva ad Arrigo: | desideriamo con ,, tutto l'animo che riteniate in sicurezza ciò che avete acquistato, e „ supplichiamo incessantemente il Signore nostro Dio di aumentarlo in „ voi e di colmarvi di tutti i suoi doni. „ 2 I Mansi ; Labbe ; Tom. X. pag. 29 ; Domnizo ; Vita Mathild. I, 19. II Epist. Greg. Lib. Ili, ep. 3. — 18 — Adesso le cose erano molto cambiate: quelle promesse non erano state mantenute, tutte le speranze così lietamente concepite erano svanite. Tuttavia il pontefice, che nel suo giusto rigore non dimenticava d'essere padre, anche questa volta accoglieva per buone le devote proteste, le rinnovate scuse di Enrico, ed ai Signori te- deschi adunati a Triburg per decidere sulle sorti della corona, egli scriveva invitandoli a frenare i loro giusti risentimenti, a dar luogo ad una riflessione scevra da ire prima di risolversi, e ad usar modera- zione e carità anche verso chi poteva considerarsi tiranno e nemico, più che capo e connazionale. I Signori, membri della Dieta, avevano chiesto consiglio al papa, sulla condotta da seguirsi contro lo scommunicato Enrico; Gregorio ad essi rispondeva con una lettera che è un monumento della sua politica, e che ci rivela lo spirito conciliativo e giusto a cui inspiravasi l'esercizio della supremazia arbitrale dei papi, degna in tutto dell'azione provvida di quel Dio che è detto pure " Principe della Pace. | " Iddio, „ così scrive Gregorio agli elettori adunati a Triburg, « ci è testimonio che contro di lui non ci mosse superbia secolare, i nè vana cupidigia mondana, ma la sollecitudine della Santa Sede „ e la disciplina della Chiesa universale ; vi avvertiamo nel Signore a Gesù e vi preghiamo come fratelli carissimi, che se egli si con- | converte a Dio con tutto il cuore, voi lo accogliate benignamente, | e verso di lui addimostriate non tanto la giustizia la quale gli proi- I bisce di regnare, 1 quanto la misericordia che perdona e cancella „ molti delitti. Che se egli1 non si converte a Dio con sincerità, fate „ sì che con l'aiuto di Dio, si trovi pel governo del regno tale uomo „ il quale prometta con certa ed indubbia professione di fede, di os- 4 servare e mantenere tutto ciò che è necessario al bene della re- y ligione cristiana e di tutto l'impero „. 2 Lamberto di Schafnabourg, scrittore di quell' epoca, ed una delle più autorevoli fonti per la storia di quei tempi, ci narra nelle sue cronache, che l1 assemblea di Triburg, vista 1' attitudine sottomessa 1 II papa allude alle leggi locali di Germania. a Epist. Greg. lib. IV, epist. 3. di Enrico, ed intesa la lettera del papa, sospese, un poco mal suo grado, il corso delle sue deliberazioni, affinchè Enrico potesse recarsi a Roma ovvero avesse tempo d' aspettare il papa, il quale, invitato a presiedere il consiglio convocato ad Augusta, doveva de- cidere la causa imperiale. Arrigo, secondo che i Signori tedeschi gli significarono, doveva presentarsi al papa Gregorio, ritrattare le offese lanciate contro di lui nel conciliabolo di Worms, quando, pazzo d' orgoglio, aveva preteso destituirlo, doveva chiedergli umilmente perdono ed ottenerne l'asso- luzione; « che se -J aggiungevano i signori di Germania, a guisa di av- vertimento, " per sua colpa egli non venisse assolto dalla scommunica » nel termine di un anno, la sua causa sarebbe irreparabilmente „ perduta, ed egli non avrebbe più potuto reclamare il suo regno, » i n forza delle leggi, perchè le leggi dell'Impero, non solo lo face- » mno decadere da ogni diritto e dignità, ma proibivangli di rite- | nere la sovrana potestà un anno dopo la sentenza della scom- » munica „. 1 Ed ora ecco, sempre secondo l'autorità del medesimo scrittore, a quel regime i Signori di Germania vollero sottoposto il loro re ed il futuro imperatore, fino a che le condizioni impostegli non fos- sero state adempiute; ecco come, in attesa della sentenza pontificia, i tedeschi stimarono giusto ed opportuno di trattare colui che era stato (ed era ancor virtualmente) loro sovrano, ma che, per la sua condotta perversa e sacrilega, erasi reso indegno della loro suddi- tanza, ed aveva, per la censura massima che lo colpiva, perduto ogni diritto alla loro obbedienza : I Non abbia più | così sentenziò e dispose contro Enrico IV, la dieta di Triburg, « nè in pace, nè in guerra, alcuna ingerenza • n e I I e l eggi d e l I a giustizia, essi (i signori ed elettori) agiranno » v e r s o di lui secondo le leggi vigenti; e siccome i delitti che gli si B rimproverano sono a tutti manifesti e più chiari della luce, essi ri- 1 Lamberto di Schafnabourg; Chronicon. Pasao citato dal Pistorium; Re- rum, Germanicarum scriptorum; da Natale Alessandro, dal Baronio, dal Fleury, dal Voigt, dal Gosselin, ecc. 2 — 20 — „ servano al giudizio del Sommo Pontefice l" intera causa. Tratte- „ ranno col Papa affinchè pel giorno della Purificazione di Maria „ Vergine, questi si rechi in Augusta, ed ivi tenuta solenne adu- la nanza e discusse le ragioni d' ambo le parti, l'imperatore si giu- „ stifichi delle accuse mosse a suo carico, ovvero si faccia assolvere „ dalle sue colpe se accoglierà con gratitudine le condizioni offer- „ tegli, ed egli prometterà di sottomettersi in tutto e per tutto al „ Sommo Pontefice e di obbedire ai suoi detti, essi lo tollereranno, „ ed intanto, come prova e guarentigia della sua sincerità, gì' im- „ pongano: che allontani dalla sua persona, dal suo tetto e dalla „ sua mensa, tutti coloro che il papa ha scommunicati; che, licen- n ziato il suo esercito, egli si ritragga nella città di Spira, che ivi „ contento della compagnia del vescovo Yerdunense e di pochi offi- „ ciali, di quelli tuttavia che la sentenza dei principi riconobbe im- „ muni dalla scommunica, conduca vita privata, che non osi entrare % nelle chiese, non disponendo di nulla, non ingerendosi d1 alcun „ pubblico affare, non usando, come abitualmente soleva, alcuna in- B segna della regia dignità, sino all' esame della sua causa da parte „ del Sinodo; inoltre che, tolto il presidio dalla città di Worms, egli „ la restituisca al vescovo di Worms, fatto giuramento, dati pegni a ed ostaggi, che questi non debba più nulla temere dalla ribellione „ o dalle insidie dei cittadini. Che se l'Imperatore manca ad una , sola di queste condizioni, allora i Signori, (liberi da ogni obbligo) „ senza aspettare più oltre il giudizio del Romano Pontefice, prov- , vederanno di commune accordo su ciò che conviene al bene pub- „ blico „ . 1 Questa condanna, non era la Santa Sede che la dettava, ma la Germania stessa. Se il giudizio d'Arrigo fu rimesso al papa, ciò fu per un temperamento di dolcezza portato al rigore delle leggi germa- niche e dovuto principalmente alle concilianti sollecitudini di Gregorio; fu per Arrigo una vera grazia della quale egli seppe trarre grande van- taggio, ed a cui unicamente egli dovette di poter riacquistare la co- ' Lamberto di Schafnabourg ; Chronicon ; ad ann. 1076. — 21 — rona. Se non fosse stato provocato il giudizio papale, e che lo scom- municato principe fosse stato lasciato solo d'innanzi al tribunale della Dieta ; se non gli fosse stato concesso l'appello al papa, e che le leggi locali avessero dovuto seguire il loro corso contro di lui prima che intervenisse Gregorio, forse i Signori tedeschi lo avrebbero per sempre allontanato dal trono. IV. Allo storico imparziale le ragioni di Gregorio VII debbono rie- scire evidenti, quando gli è nota quella situazione politica del so- vrano temporale, rispetto al sovrano spirituale. Anche giuridicamente parlando, e prescindendo dalle ragioni intrinseche d' ordine religioso e morale, non potrebbe risultare più chiara di quello che da simili documenti risulta, la perfetta legit- timità della condotta pontificia, la sua assoluta e totale conformità colle leggi e le istituzioni germaniche^ la sua scrupolosa ed irre- prensibile regolarità, rispetto al diritto pubblico dei stati ed alla giurisdizione in vigore. Come si vede, il diritto d' altissima dittatura in quella guisa esercitato da Gregorio contro Arrigo, non offriva nulla che potesse urtare l'indipendenza dei tedeschi o i diritti della costituzione im- periale ; 1' autorità del papa era reclamata dai Signori stessi d'Ale- magna, i quali secondo lo spirito e la lettera delle proprie leggi, chiedevano al pontefice la conferma e come la consacrazione dei loro decreti contro il perverso ed intollerabile principe. I storici avversi al papato o quelli che hanno in uggia ogni chiara manifestazione del potere politico cristiano, tengono poco conto di questa viva opposizione che Arrigo incontrava nel proprio paese, nè attendono come si dovrebbe al grande favore che fra i principi e popoli di Germania trovava la causa di Gregorio VII. Scrutare il fondo di quella situazione, indagare i motivi di quella che poteva apparir contradizione ed era invece effetto d'una unione morale estendentesi oltre i confini dello stato, guaste- rebbe non poco il piano dei loro ragionamenti, rovescerebbe le tendenze della loro critica diretta per lo più a screditare il papato. Le ragioni di Arrigo messo così fra l'incudine della resistenza po- polare ed i colpi di colui che, secondo l'espressione d'Innocenzo III, deve essere il martello dei tiranni, ci apparirebbero quello che sono in realtà, le ragioni, cioè, dell' assolutismo cesareo contro il diritto nazionale, contro il sentimento e 1' opinione dei popoli. L'analisi imparziale di tale situazione politica ci rivelerebbe pure 1 indole .vera di quella lotta che, in realtà, impegnatasi fra la ra- gione cristiana, (la più alta espressione della ragion civile) commune a tutti i paesi, e la prepotenza d' un principe che assaporava ancor 1' odore delle stragi di Sassonia, inebriato dei suoi trionfi, persuaso che tutto doveva appartenere alla forza, tutto cedere alle armi. Il Grregorovius p. e. sfiora quest'argomento con ala rapida e leggiera; egli che scrive lunghe digressioni sull'"esaltazione vertigi- nosa delle pretese papali „• si contenta di farci osservare, a proposito del sentimento ostile dei tedeschi, come " l'arbitrio di Arrigo fran- gevasi contro l'opposizione costituzionale che gli muovevano i stati dell'impero ; „ 1 ma da quel buon razionalista ch'egli è, rifugge dal- l'intrattenersi sul significato ed il valore di questa ch'ei chiama colla più mite e semplice espressione possibile : « opposizione costitu- zionale. „ Se lo facesse, ne risulterebbe certamente ciò che più di ogni altra cosa a lui preme di evitare: l'apologia cioè del papato fatta dai tedeschi stessi, la giustificazione e la lode di Gregorio YII proclamate dalla nazione germanica. Si vuole invece rivestire la causa di Enrico con un certo ideale po- litico, decorare la sua volgare empietà con tali idee di emancipazione civile e d'indipendenza secolare quali allora nemmeno esistevano ; Enrico IV non osteggiava il papa in nome di qualche altra dottrina, di qualche altra massima politica ch'egli avesse da opporre alla su- prema autorità della Chiesa : ciò ch'egli rappresentava, altro non era che la causa della corruttela clericale, e dell'oppressione del popolo ; 1 Storia della Città di Roma nel -medio-evo. tom. IV, lib. VII. — 23 — solo gli abbati, ed i vescovi simoniaci, solo i preti concubinari ve- devano in lui il loro difensore ; i Sassoni, i Turingii e tutti i cittadini tedeschi lo tenevano a ragione pel conculcatore delle loro libertà e dei loro diritti. " L'assemblea di Triburg, dice il Gregorovius, tradì la patria poiché riconobbe le pretese del Pontefice „ x; ma, di grazia, ov'era allora la patria? In quel principe degradato dagli eccessi delle sue passioni, assai più che umiliato dalla censura papale, ovvero nei Signori della Dieta, rappresentanti di tutti i stati tedeschi e che costituivano il corpo elettorale dell'impero ? Violavano torse le leggi della nazione se, in virtù di queste, adunavansi per decidere sulle sorti del reame ? Tradivano essi la patria perchè non tradivano la religione della patria ? che ciò avrebbero fatto parteggiando per lo scommunicato Enrico. * La maggior parte dei principi di Germania con i loro popoli, dice il Davin, stavano per la Chiesa; e quella nobile nazione presso la quale il costume pubblico ha tanta influenza, onoravasi di contare ovunque sulle sue terre,duchi, conti e baroni, catfolici fedeli prima che signori imperiali o vassalli del regno. Te- mevano la scommunica del papa con altrettanta religione quanta ne dimostrava l'infima plebe,,ed i simoniaci, i nemici tutti del papa dovevano fare i loro conti colla fede che in quelli incontravano. „ 2 Aggiungasi che la tirannia e la prepotenza di Enrico facevan sì che coloro, ed erano la massima parte, che erano stati sue vittime si unissero per la difesa commune, ed era naturale altresì che nella do- minazione di colui che così apertamente calpestava i diritti della Chiesa e l'autorità del papa, i Signori tedeschi vedessero minacciate e peri- colanti tutte le loro nazionali libertà. Uno scrittore di parte imperiale, •ma moderato, rivolge a questi un accusa che, in ultima analisi, risol- vesi in un elogio del loro carattere: " I spiriti dei principi tede- » schi, scrive l'Onofrio, son così fatti che non obbediscono che per * forza all'Imperatore eh' essi hanno eletto, avidi, come sono, di di- 1 Storia della Città di Roma nel medio-evo; tom. IV, lib. VII, pag. 237. s V. Davin, Saint Grègoire VII; page 161; Paris 1861. — 24 — „ fendere le libertà dei loro antenati : avitae tuendae libertatis avi- „ dissimi. „ 1 Qual meraviglia se fra queste libertà di cui la nazione tedesca era così gelosa, prima e principale fosse la libertà religiosa, e che questa, che è la radice di tutte le libertà civili, i tedeschi energica- mente difendessero contro la violenza d'un principe inebbriato d'orgo- glio? Ciò che sorprende è che scrittori liberali, dalle idee larghe e ge- nerose come il Gregorovius, ne siano scandalizzati. Secondo la scuola di costui, Enrico di Hohenstaufen avrebbe dovuto disprezzare il voto della Dieta, e, antecipando l'assolutismo di Luigi XIV, rispondere ai rappresentanti della nazione la celebre frase : " Lo stato sono io ; „ ma l'illustre storico non ignora che la costituzione imperiale di dieci secoli fà, era più liberale che la monarchia del secolo scorso a e che quella ch'egli chiama attenuandola : " opposizione costituzionale „ rappresentava di fronte all'assolutismo del cesare tedesco, la reli- gione, il diritto, la libertà, in una parola, le ragioni tutte della patria. Tutti questi beni del vivere civile, i tedeschi sottrassero all'ar- tiglio dell'aquila imperiale, Gregorio li custodì collocandoli nel san- tuario, e li protesse colla sacra autorità del sacerdozio cristiano. I secoli futuri e tutte le nazioni civili dovranno essergliene grati. Una caratteristica di quella che tuttora vuoisi chiamare lotta della Chiesa contro lo Stato e che non è altro che divisione sociale, consisteva a que' tempi, in ciò, che il papa trovava nel laicato uno dei principali sostegni delle sue ragioni, ed uno dei più efficaci aiuti onde effettuare le grandi riforme che intendeva per l'indipendenza della Chiesa. Dapertutto ove difendevansi le libertà popolari, i di- ritti dei poveri e dei deboli, ivi la causa del papa trovava eroici campioni, forti propugnatori ; basta nominare Erlembaldo di Milano, a cui Gregorio stesso affidò lo stendardo di santa Chiesa, e che per la causa affidatagli sacrificò la vita. Voltaire stesso riconosce, male- 1 Nel Migne, col. 174. ' Si allude alle due epoche della restauratone dell'Impero in Cavlomagno, e del regalimi) nella sua ultima fase : Giuseppe II, Luigi XV, Federico il Grande, ecc. — 25 — dicendolo, questo aspetto popolare e, diremo così, democratico della causa pontificia; ecco le riflessioni che la scena di Canossa gli sug- gerisce: 4 d'onde, ei chiede, tanta umiliazione da un lato e tanta audacia dall'altro? Voi ne vedrete l'unica cagione nella plebe. Fu per i fabbri ed i spaccalegna della Germania che l'Imperatore si presentò scalzo d'innanzi al vescovo di Roma. „ 1 Ma questo si verifica sempre, quando si tratta di osteggiare il papato ; che, cioè, i più fanatici partigiani dei diritti dell'uomo, non ripugnano dal prendere le difese del vecchio diritto divino dei rega- listi; posti d'innanzi al trono dei papi, i repubblicani diventano mo- narchici; i razionalisti dalle più late dottrine non disdegnano di fare appello a Gesù Cristo pur d'avvilirne il Vicario, e d'invocare i con- sigli della evangelica perfezione quando giovino a screditarne i seguaci. V. Tutte le speranze dell'Imperatore scommunicato, vinto, abban- donato, evitato dai suoi come un lebbroso, concentravansi nella cle- menza pontificia che, fin dall'infanzia, Enrico conosceva per affet- tuose prove. Ricevere l'assoluzione entro il termine prescritto dalle leggi nazionali, onde non intervenisse, come fatto compiuto la de- cadenza, era la meta dei suoi desideri. Ma i Signori tedeschi non vedevano di buon occhio ch'egli rag- giungesse questo scopo, e che si abboccasse col papa; e ciò non perchè stimassero una vergogna per la Germania, l'atto umile del loro sovrano d'innanzi al capo supremo di tutti i cristiani, ma perchè, assolto, egli verrebbe restituito in tutti i suoi diritti, ed inviso com'era, ricollocato a capo delle popolazioni tedesche. È per evitare gli effetti di questa pubblica avversione, è per sfuggire all'azione delle leggi locali, sotto la condanna delle quali egli era caduto, che Enrico, impaziente d' ogni dimora, non vuole aspettare che il papa giunga in Augusta. Furbo e pauroso, egli teme le influenze contrarie dei Signori e del popolo sull'animo del pontefice, 1 Essai sur les mœurs dos nations ; Chap. 46. — 2« — teme che si frappongano casuali od intenzionali indugi, per i quali, svanisca ogni sua speranza di ritenere il trono e di risorgere agli' onori ed alla potenza dell'impero; vuole ad ogni costo, assicurarsi l'assoluzione, e, per non perdere i vantaggi de' suoi temporali effetti, riceverla nel più breve tempo possibile. Ecco perchè nel cuor dell'inverno, Arrigo s'incammina per monti e per valli onde incontrare il papa che già si avviava verso Germania al convegno d'Augusta; ecco perchè i Signori tedeschi cercano con ogni mezzo d'impedirgli il passo per le loro terre, e l'im- peratore come un misero viandante, come un profugo da tutti respinto e scacciato, è costretto, pur di raggiungere la sua meta, a deviare per sentieri più aspri e più lunghi; ecco perchè cede il territorio d. Bougey al duca di Savoia onde questi gli lasci libero il valico del Cenisio; ecco perchè, ira la seconda e terza cinta del famoso castello, se ne sta per tre giorni, vestito di sacco, tremante dal freddo, esausto dal digiuno ed i n s i s t e r l a soglia di quella porta, pregando ed invocando che gli si schiuda. Più si avvicinava il termine fisso in cui, per forza delle stesse leggi nazionali, egli sarebbe decaduto dai suoi diritti sovrani e più accrescevano i suoi timori e le sue smanie. Il Bernried il quale scrisse una vita di Gregorio VII, solo pochi anni dopo la di lui morte, così ebbe ad esprimersi sulla discesa di Enrico IV a Canossa- " Egli ed i suoi complici si affrettarono con ogni mezzo affine di " ricevere in tempo la communione, poiché secondo le leggi tento- ' mche, non dubitavano che sarebbero stati privati delle loro terre « e dei loro benefici se fossero rimasti per un anno intero sotto il " peso della scommunica. „ 1 1 deputati stessi dell'Imperatore, i quali, per sua cura, lo pre- ce dettero ai piedi di Gregorio, portatori delle scuse e delle preghiere del penitente sovrano, supplicavano, in nome di lui, il pontefice, affinchè affrettasse U momento dell'assoluzione, ed esponevano i mo- d U n t a l d e s i d e r i 0 < <*e « se prima dei detto giorno (l'an- X e r » l ] t l l l T e d ; D e R t 8 Ge8t ia ° r e 9 0 r i i VH> 85. Muratori ; return uaucarum Scnptorei, p. 889. — 27 — " niversario della scommunica) l'imperatore non fosse stato prosciolto " dall'1 scommunica, egli, secondo le leggi palatine, verrebbe consi- • derato indegno del regio onore. „ 1 In quello stesso capitolo del diritto pubblico germanico ove si attribuisce al solo papa la facoltà di pronunziare la scommunica contro l'imperatore, vengono pure indicati i casi, in cui questi è passibile d'una tal pena. Ciò dimostra non solo l'accordo tacito od espresso che doveva esistere fra quella nazione e la Santa Sede, ma come quella civile legislazione avesse tutto contemplato con ragione profonda e chiara e con quale fondamento di logica, d'ordine e di sicurezza pro- cedevasi da parte del papa, quando si presentava il caso di dover mandare ad effetto contro i principi, l 'ultima conseguenza della censura massima, cioè la deposizione. Ecco come si esprimeva su questo argomento, il codice del diritto Alemanno o Svevo: 4 Nes- „ suno può proclamare la scommunica contro l'Imperatore se non » il Papa. (Imperatorem in bannum declarare nemo potest nisi Papa). „ Ma ciò egli non deve fare se non per tre cause : la prima, qualora » l'imperatore dubitasse della fede ortodossa; la seconda, se si se- „ parasse dalla sua legittima moglie ; la terza, se distruggesse le „ chiese od altri luoghi pii. „ 2 Era particolarmente per questo terzo motivo che Arrigo avevo, attirato sopra di sè l'anatema del Romano Pontefice ; giacché, cosa altro faceva egli se non distruggere le chiese quando, contrariamente ai sacri canoni ed alle intenzioni del papa, preponeva ad esse uomini incapaci e indegni, e che le sedi vescovili erano da lui mutate in fonti di scandalo e sentine d'ogni vizio? Anche le inaudite sue cru- deltà a danno dei miseri sassoni, le sue dissolutezze e la condotta infame che tenne verso l'infelice sposa Berta, avrebbero rese più che giuste le censure della Chiesa contro di lui ; ma Gregorio, longanime più che la legge, aspettò i mali estremi per ricorrere agli estremi rimedi. ' Lamberto di Schafnabourg ; Historia Imperatorum; Rerum Germanica- rum Scriptores (Pistorim). " Juria Alemannici aeu Suqvici ; c. 29. Apud Senckenberg. — 28 — Quantunque il papa non ripetesse le ragioni della sua condotta da altre fonti che dall'autorità del sacro suo carattere, e non s'in- spirasse da altro diritto fuorché da quello di Vicario in terra di Gesù Cristo, di maestro e giudice della Chiesa universale, pure tutti i suoi atti trovavansi in una perfetta conformità col diritto pubblico europeo ed in specie col germanico. Le leggi della Germania fondavansi sul concetto dell'unione fra il potere civile ed il potere ecclesiastico, e dappoiché, per volontà ed elezione del papa, l'impero d'occidente era diventato un privilegio e cóme un appannaggio dei sovrani tedeschi, si strinsero maggiormente i legami di questi verso la Santa Sede, e aumentaronsi, con l'onore, gli oneri e gli obblighi verso di essa. Nel codice dell'antico diritto germanico o svevo, là ove si tratta specialmente dell'eresia, e della regola cui deve uniformarsi lo Stato nella sua azione contro di essa, si fà esplicitamente menzione dei diritti che competono alla Chiesa, ed in particolare al papa, onde possa efficacemente essere custodito quello che stimavasi massimo fra i beni sociali, cioè, l'unità della fede. * Chiunque, trovasi scritto , nel codice tedesco, fra i principi secolari, non punisce gli eretici „ ma li protegge e favorisce, deve essere scommunicato per giudizio „ ecclesiastico, e se entro un intero anno non torna a penitenza, il „ vescovo che lo scommunicò deve denunziare al papa il di lui de- B litto ed esporre, da quanto tempo egli, a causa del suo delitto, „ trovasi nella condizione dei scommunicati. Ciò fatto, il papa lo deve „ privare degli uffici del principato, e di tutti gli onori relativi. „ Così deve giudicarsi dei grandi e dei potenti come dei poveri. E „ ciò i pontefici fanno colla pienezza del loro diritto, giacché Iddio „ disse a Geremia: Io t' ho costituito giudice d' ogni uomo e ìZ' ogni „ regno. „ 1 Poiché così definivano in materia di ecclesiastica giurisdizione le stesse leggi civili della Germania, non si dirà che Gregorio VII esagerava i suoi diritti e le sue ragioni, quando, scrivendo ai tedeschi, dichiarava ' Juris Alemannici seu Sue vici-•pr®famen; cap. CCCLI. Apud Senekenberg. — 29 — loro che se aveva destituito Enrico, lo aveva fatto perchè così lo vo- leva e l'imponeva l'autorità delle leggi divine ed umane: " Debere desti- tuì... divinarum et humanarum legum testatur et jubet auctoritas. „ 1 Confrontando quei dettami della giurisdizione locale con gli atti di Gregorio VII, apparirà evidente che i tedeschi non potevano in nessuna guisa sentirsi offesi dalla sentenza apostolica, si compren- derà pure come non dovette essere che cinque secoli più tardi, per opera del protestantesimo, che, mutate le menti, scomposto l'ordine della società cristiana, alterato il concetto dell'autorità religiosa, si cominciò a maledire ciò che prima si era cordialmente approvato, e che i posteri si sdegnarono di quei medesimi fatti a cui gli an- tenati avevano dato sincero plauso. Come rivelasi dagli accennati testi, le così dette pretese del Sa- cerdozio contro l'Impero, altro non erano che un energico ed auto- revole richiamo allo spirito cristiano delle leggi e delle costituzioni stesse della Germania. Tanto è ciò vero che Ugo di Flavigny 2 e Paolo Bernried 3 scrittori che vissero ambedue ai tempi di Gregorio VII ci dicono che, in occasione della seconda scommunica lanciata nel 1080 contro l'imperatore, il papa aggiungeva alle ragioni del suo sacro e sommo magistero, quelle del giure tedesco, che parimenti condan- navano l'empio Arrigo; e nella formula stessa della sentenza di deposi- zione, dichiarava di promulgarla appoggiandosi | sull'autorità di Dio e della Dieta Tedesca. „ Non è il papa che direttamente elegge colui che deve essere so- stituito al deposto principe, ma egli conferma e consacra la dignità imperiale in Rodolfo di Svevia, che, dice Gregorio, " i tedeschi si „ elessero per loro re. „ Simili espressioni di considerazione e deferenza pel diritto pubblico vigente in Germania, contengonsi pure negli atti del settimo concilio tenuto dal papa in Roma. 4 Non vi poteva essere presso quei popoli il minimo dùbbio circa 1 Gregor. VII. Epistola ad Germanos, 1076; extravag. 26, col. 672. ' Chronicon ad ann. 1076. 3 Vita Gregorii VII. * Collect. Concil; Mansi; Labbe. — S o - la legittimità della sentenza pontificia, e la regolarità perfetta delle norme e dei modi segniti. Perciò Stefano vescovo di Alberstadt poteva, in queste poche parole, scrivere a Yaltramio arcivescovo di Magde- burgo, l'intera giustificazione di Gregorio VII : " Chi vende le dignità „ spirituali è eretico. Ora il Signore Arrigo, che chiamasi re, vende „ vescovati ed abbazie : ha venduto i vescovati di Costanza, di Bam- „ berga, di Magonza e molti altri per denaro; quelli di Ratisbona, „ d'Ausburgo, di Strasburgo, per soldaii, l'abbazia di Fulda per un „ adulterio e per peggio il vescovato di Monaco. Negare impudente- „ mente questi fatti non è possibile : il cielo n' è testimonio, la terra „ n' è testimonio, tutti ed anche lo scolaretto ed il fanciullo sem- „ plice che esce dal fornaio, conchiudono : Dunque il Signore Ar- „ rigo è un eretico ; e per tante abbominazioni essendo scommunicato „ dalla Apostolica Sede, non può ritenere sopra di noi nè il regno, „ nè alcuna potestà perchè siamo cattolici. „ 1 Più concisamente e con maggior energia, il Langravio di Assia Luigi II, esprimeva il senti- mento pubblico, quando così redarguiva il simoniaco vescovo di Bam- berga, restìo a riconoscere la sentenza pontificia: " Mi stupisco, gli „ scriveva, come avendo ancora una stilla di sangue nelle vene non „ arrossiate di dare il titolo di re e di Signore ad Enrico, ovvero, „ dire ch'egli è'instituito da Dio. „ 2 Era un laico che così parlava ad un prelato : ciò caratterizza l'epoca ; ed anche la causa di Gre- gorio VII. VI. L'umiliazione di Canossa, come abbiamo già accennato, devesi prin- cipalmente alla pressione delle leggi germaniche ed al timore che Ar- rigo aveva del giudizio dei suoi connazionali. Ora devesi aggiungere che i Signori tedeschi sicuri sulle regole della loro costituzione, furono dispiacenti di quell' assoluzione anticipata, e quasi strappata al ponte- fice, tanto che glie ne mossero lamento, quasi non avesse voluto, come 1 Migne col. 207. • ' Piatoriua; Scriptores rerum germanicarum, tom. II, pag-, 643. — 31 — conveniva, tener conto delle loro leggi, e di ciò che la costituzione sta- biliva riguardo allo scommunicato principe. Gregorio è quasi costretto di scusarsi presso i tedeschi per essere stato indulgente e per aver dato ascolto al re penitente prima di trattare con essi in Ger- mania. Ciò risulta particolarmente da una lettera che il Papa scrive poco dopo i fatti di Canossa ai Signori di Germania ancora adunati a Triburg, e nella quale fa una commovente descrizione - delle sof- ferenze e delle suppliche del contrito imperatore, onde impietosire gli animi e concluderne che, lungi dell'essere stato troppo clemente, sembravagli avere usato il massimo rigore ; e che, padre di tutti i cristiani, non poteva rifiutare più oltre un assoluzione con tante la- grime, e con tanti segni di vero pentimento chiesta. 1 E noto altresì come, malgrado 1' amara esperienza di replicati disinganni, Gregorio temporeggiasse prima di deporre effettivamente Enrico e di riconoscere per imperatore Rodolfo, eletto in sua vece ; senza disapprovare nè disdire la nuova elezione legittimamente fatta dalla Dieta di Forsheim, aspettava a sanzionarla, nella speranza che Enrico si ravvedesse e tornasse nel sentiero della giustizia. Di queste caritatevoli dilazioni i Signori tedeschi che non con- sideravano altro che il loro diritto particolare e i termini delle loro leggi, tnuovevano lamenti al papa, rimproverandolo, accusandolo quasi, di venir meno ai doveri del suo alto ministero; nelle loro lettere a Gregorio, non dissimulavano la sorpresa ed il dispiacere che pro- vavano nel vedere che, già eletto Rodolfo, lo scommunicato Enrico fosse ancora dal Romano Pontefice considerato quale re, ed i scrit- tori di quei paesi e di quei tempi, traducendo l'impressione generale cagionata in Germania da quei fatti della pontificia longanimità e mitezza, così scrivevano: " Il Signore Apostolico, immemore dell'A- „ postolico vigore, molto s* è mutato dalla sua prima sentenza, giac- „ che colui che prima con Apostolica severità aveva scommunicato „ Enrico con tutti i suoi complici ed avevagli potentemente tolta , ed interdetta la potestà di regnare, ed aveva coll'autorità apostolica 1 Epist. Gregorio VII; lib. IV, 12. — 32 — „ disciolto dai nodi del giuramento tutti coloro che avevangli giu- „ rata fedeltà, ora ne rimette in questione la causa, fa di nuovo in- „ cominciare ciò eh' era già terminato, muove dubbio sopra una cosa „ ornai certa e dei due re, Arrigo e Rodolfo, permette che si discuta „ ancora, quale dei due giustizia vuole che regni, quale debba es- „ sere deposto e quale possa tenere lo scettro con sicurezza. „ 1 I Signori di Sassonia, di Turingia, di Baviera, di Lorena, di Franconia ecc. furono sconcertati nelle loro aspettative e quasi offesi nei privilegi che loro accordava la costituzione imperiale, dalla tol- leranza del papa : " essi furono delusi „ così prosegue lo scrittore citato, " nella ferma speranza che avevano riposta sulla pietra apo- „ stolica, essi che credevano che cielo e terra sarebbero stati scossi „ dalle loro fondamenta prima che la Cattedra di Pietro perdesse la „ costanza di Pietro. „ Essi stimavano che la lettera che avevano mandata al papa dovesse " come il canto del gallo, eccitare Grego- „ rio a riassumere il vigore primiero e farlo tornare al rispetto di „ Gesù Cristo dal quale erasi allontanato per timore d'una vile ser- „ vetta „ 2 (la prudenza mondana). Benché una certa asprezza trasparisca da questi termini, pure servono ad illustrare le condizioni morali della Germania rispetto alla gran contega fra papa ed imperatore. I tedeschi stimavano, un poco pure per effetto di risentimento politico, che Gregorio VII, nel pu- nire Arrigo, peccasse per troppa dolcezza o non avesse il pieno sentimento dei suoi diritti. Quanto, sotto 1' impressione attuale dei fatti, si era lungi da quel fantasma d'orgoglio mostruoso e di smisurata ambizione con cui lo si è voluto considerare più tardi, dai protestanti e dai razionalisti! Abbiamo dato qualche breve cenno che valesse a indicare i rap- porti morali e giuridici fra il potere pontificio e la nazione germanica in ordine alla gran contesa del secolo decimoprimo ; studiando le con- dizioni morali di quel tempo ed il mirabile coordinamento delle due ' Urunone di Merzbourg, In Commentario de Bello Saxonico. ' Brunone di Merzbourg, Ibid. — 33 — potestà, religiosa e civile, nel governo delle società cristiane, vediamo l'autorità pontificia sorgere e colpire solo quando la prepotenza at- tenta all'ordine generale, e al diritto della Chiesa che per i popoli era garanzia massima di giustizia e di libertà; per ciò che riguarda i fatti in questo breve saggio esposti, si può una volta di più con- statare ciò che un dotto e autorevole scrittore protestante ebbe a di- chiarare : " che, cioè, nella storia non havvi esempio di un solo papa il quale abbia contrastato i diritti di un principe, quando questi non avesse già oltrepassato i limiti della sua legittima potestà „. 1 1 Senckenberg ; De Liberi. Eccles. Germ.; § 111.