Un tumore neuroendocrino primitivo del fegato?
Monica Cevenini 1, Elena Guidetti 1, Eleonora Galassi 1, Martina Ferrata 1, Paola Tomassetti 1, Roberto Corinaldesi 1
1 Dipartimento di Medicina Clinica. Università degli Studi di Bologna, Ospedale Policlinico S. Orsola Malpighi, via Massarenti 9, 40138, Bologna, Italia
Abstract
The aim of the present report is to present a possible primitive case of a neuroendocrine tumour (NET) of the liver. During a routine ultrasound examination, a 51-year-old woman was diagnosed with a lesion in the second segment of the liver, suggestive of a metastasis. A well differentiated neuroendocrine carcinoma (G2, Ki67 = 4.4%) was identified by liver biopsy, positive for chromogranin, synaptophysin and neuron specific enolase. An additional extensive examination aimed at finding the primitive lesion was unsuccessful and PET with 68Gallium revealed a single liver lesion. A left lobectomy was performed, but 15 months later a second liver lesion with the same characteristics as the previous one was observed and was surgically treated, followed by therapy with octreotide LAR 30 mg. A four-year follow-up did not show evidence of a different primitive NET: therefore, while it is improbable that a metastatic G2 primitive tumour would not have presented in the 4-year period, a diagnosis of primitive NET of the liver was made. The paper gives the opportunity of describing an unusual case of a primitive liver neuroendocrine tumour and of presenting the successful treatment of both surgery and cytoreductive pharmacological therapy.
Keywords: Primary hepatic carcinoid; Neuroendocrine tumours; Hepatic carcinoid tumors
A primitive neuroendocrine liver tumour?
CMI 2012; 6(Suppl 1): 11-15
Caso clinico
Perché descriviamo questo caso
I tumori neuroendocrini primitivi del fegato sono neoplasie molto rare e rappresentano pertanto un’importante sfida diagnostica per il clinico nella diagnosi differenziale con i tumori neuroendocrini metastatici il cui primitivo è in sede occulta. Questo nostro caso è di interesse per l’approccio diagnostico con cui è stata e viene, ancora oggi, seguita la paziente
Introduzione
I tumori neuroendocrini (NET) originano da cellule neuroendocrine disseminate in molti organi e tessuti e il fegato è la più frequente sede di metastatizzazione [1]. Nel 54% dei casi originano a livello del tratto gastrointestinale, nel 30% a livello polmonare, nel 2,3% a livello pancreatico e, con minor frequenza, in altre sedi.
I NET primitivi del fegato, come emerge dai dati della letteratura, costituiscono lo 0,3% di tutti i NET, e da ciò risulta evidente l’estrema rarità di queste neoplasie. Furono descritti per la prima volta nel 1958 da Edmonson [2,3] e ad oggi sono riportati in letteratura solamente 95 casi [4,5]. Sono più frequenti nelle donne (58,5%) e negli individui di mezza età (si presentano mediamente a 49,8 anni d’età) [6]. Il fegato è l’organo più frequentemente sede di metastasi da NET, e questo giustifica la relativa difficoltà a porre diagnosi differenziale fra tumore primitivo epatico e secondario, soprattutto per la possibilità dell’esistenza di un primitivo occulto a diagnosi tardiva.
Caso clinico
Una donna di 51 anni, asintomatica, si sottopone a un’ecografia addominale di controllo nel marzo del 2006, nel corso della quale viene diagnosticata una neoformazione di 3 cm in corrispondenza del II segmento epatico, con vascolarizzazione periferica, di probabile natura secondaria.
Figura 1. Immagine PET-TC rilevata nella paziente nel gennaio 2008: recidiva di malattia a livello del III segmento epatico. La freccia indica la lesione epatica
Viene quindi eseguita una TC toraco-addominale per caratterizzare meglio la formazione epatica e individuare il tumore primitivo: la già nota lesione capta rapidamente il mezzo di contrasto in fase arteriosa, con rapido wash-out in fase portale; non vengono localizzate formazioni compatibili con un tumore primitivo in altra sede. La biopsia epatica eco-guidata, con tecnica immunoistochimica, pone diagnosi di carcinoma neuroendocrino ben differenziato G2 (Ki67 = 4,4%), con positività per cromogranina A, sinaptofisina, enolasi neuronospecifica e per il recettore SSTR2A, e negatività per amine e peptidi.
Nel sospetto che la lesione epatica sia di natura metastatica, la paziente viene sottoposta a ulteriori indagini: clisma del tenue, pancolonscopia e ultrasonografiaendoscopica (EUS), che permettono di esplorare le vie digestive superiori, inferiori e il pancreas. Tali indagini risultano tutte negative. La PET con fluorodesossiglucosio (FDG) risulta negativa, la PET con 68Gallio, che rileva le lesioni che esprimono i recettori per la somatostatina, evidenzia la sola lesione epatica. Negativi risultano i marker per neoplasie del tratto digerente (CEA, CA 19-9) e genitale (CA 125).
Nell’ottobre dello stesso anno la paziente viene sottoposta a intervento di lobectomia sinistra, con ricerca intraoperatoria del tumore primitivo, che risulta negativa. Viene quindi eseguito uno stretto follow-up con TC torace-addome a cadenza dapprima trimestrale, poi semestrale.
Nel gennaio 2008 si evidenzia la presenza di una formazione di 2,7 cm a livello del III segmento epatico, confermata anche da una PET con gallio (Figura 1).
Una nuova biopsia epatica evidenzia la natura neuroendocrina della lesione con indice di proliferazione < 5%, e la paziente viene sottoposta a un secondo intervento chirurgico di lobectomia epatica. Viene instaurata, quindi, una terapia con analoghi della somatostatina, octreotide LAR 30 mg ogni 28 giorni, e follow-up semestrale con TC toraco-addominale.
La paziente, all’ultimo controllo di gennaio 2012, risulta totalmente libera da malattia a livello epatico e, ad oggi, non è stata ancora identificata l’eventuale presenza di una neoplasia primitiva.
Discussione
L’origine del tumore primitivo epatico non è ad oggi ben definita. Si crede che questa neoplasia possa originare da cellule neuroendocrine disseminate nell’epitelio dei dotti biliari intraepatici, e la scarsità di tali cellule in questo epitelio ne spiegherebbe la rarità.
Altre ipotesi patogenetiche vedono l’origine di questi tumori nella proliferazione di tessuto ectopico pancreatico e surrenalico presente nel fegato o in uno stato di flogosi cronica dell’albero biliare, che potrebbe dare origine a una metaplasia intestinale predisponente lo sviluppo di NET [7].
È sempre da tener presente che un tumore apparentemente primitivo epatico potrebbe essere una metastasi da primitivo occulto. Infatti, la causa più frequente di diagnosi di primitivo epatico è il mancato ritrovamento del reale primitivo. Nell’84% dei casi il sospetto di un primitivo epatico viene fugato da un accurato iter diagnostico e da uno stretto follow-up, che portano alla luce la neoplasia di origine [8,9].
Domande da porsi di fronte a una singola lesione di natura neuroendocrina, istologicamente dimostrata, in sede epatica
Se le tecniche diagnostiche a disposizione non permettono di individuare il tumore primitivo, è fondamentale eseguire uno stretto follow-up del paziente, al fine di accertare un’eventuale comparsa della malattia primitiva.
Se anche in questo caso l’indagine risulta negativa, si può verosimilmente porre diagnosi di tumore neuroendocrino primitivo del fegato.
L’esordio clinico della malattia è generalmente aspecifico e correlato all’effetto massa a livello epatico e degli organi adiacenti; il dolore addominale è il sintomo più frequente (33%), associato ad astenia e calo ponderale, anche se nel 23% dei casi il tumore può essere del tutto asintomatico. Solo nel 5% dei casi la neoplasia si presenta con la sindrome da carcinoide legata alla presenza di tessuto secernente serotonina [4].
Indagini di primo livello |
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Indagini di secondo livello |
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Indagini di terzo livello |
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Tabella I. Esami per l’indagine diagnostica su una lesione endocrina epatica
La diagnosi di NET primitivo epatico si basa sulla diagnosi differenziale con altri tumori epatici, quali epatocarcinoma (HCC), colangiocarcinomi e tumori metastatici. Per rilevare queste lesioni, che nella maggior parte dei casi non danno alcun segno clinico di sé nelle fasi iniziali, hanno grande importanza le metodiche di diagnostica per immagine, tra cui in prima istanza soprattutto l’ecografia, seguita dalla TC e dalla RMN, per la loro maggiore definizione e affidabilità nel riprodurre le scansioni degli organi addominali. Tuttavia, benché tali metodiche possano porre una diagnosi presuntiva, è spesso necessario ricorrere alla biopsia e all’esame istologico, eco-guidato o TC-guidato. La Tabella I riporta i principali esami per l’indagine diagnostica delle lesioni in sede epatica di natura endocrina.
A differenza di quanto avvenuto per il carcinoma epatocellulare, per i NET primitivi del fegato non sono stati delineati dei criteri diagnostici, data la rarità di questi tumori primitivi. Di fronte a un nodulo epatico, la negatività all’immunoistochimica per marcatori specifici permette di escludere, nella diagnosi differenziale di nodulo epatico, la diagnosi di HCC o di metastasi da neoplasie del tratto gastrointestinale o polmonare. L’esame istologico con associate tecniche di immunoistochimica conferma la diagnosi di NET per la positività per cromogranina A, sinaptofisina, enolasi neuronospecifica, i marcatori peculiari delle neoplasie neuroendocrine.
Marcatori aspecifici di neoplasia
Posta la diagnosi istologica di NET, è necessario indagare sulla sua origine primitiva o secondaria: la sola indagine istologica non è infatti dirimente.
Si deve ricorrere quindi alle tecniche di imaging: l’indagine di primo livello è l’ecografia addominale, che mostra di solito una massa iperecogena con multiple aree cistiche. Indagini di secondo e terzo livello sono invece la TC con mdc, che mostra una formazione captante il mdc in fase arteriosa con rapido wash-out in fase portale, la RM e la PET con gallio. Alle tecniche di imaging i tumori primitivi del fegato si presentano generalmente come piccole masse, singole, a localizzazione centrale nel parenchima del lobo epatico. Una localizzazione multicentrica, invece, è maggiormente indicativa per secondarismi.
Una volta posta la diagnosi, il trattamento di scelta è quello chirurgico, volto alla resezione radicale della massa, che è possibile nell’85% dei pazienti [10]. Recenti studi hanno dimostrato una prognosi favorevole a 5 anni dall’intervento nel 74% dei pazienti operati, con un tasso di ricorrenza del 18%, con recidiva sia epatica sia linfonodale [11]. In quei pazienti in cui non sia possibile una chirurgia radicale, una chirurgia citoriduttiva palliativa associata alla chemioembolizzazione è il miglior compromesso. Terapie sistemiche come la terapia radiorecettoriale o la terapia con analoghi della somatostatina sono di largo impiego. In pochi casi di tumore non resecabile è stato praticato il trapianto di fegato con buoni risultati [12].
Conclusioni
Nel caso da noi descritto è possibile pensare a un tumore primitivo del fegato. Infatti le caratteristiche della lesione, ovvero una formazione unica, centrale e non funzionante, sono in accordo con quanto riportato in letteratura per i tumori primitivi in tale sede [13].
Inoltre l’accurata ricerca del primitivo e lo stretto follow-up, mediante tecniche di imaging, a cui è stata sottoposta la paziente fino ad oggi sono fortemente indicativi di tumore primitivo: non vi sono infatti segni di ricomparsa di malattia, dopo resezione chirurgica, a livello epatico o insorgenza di neoplasia in altra sede.
La paziente, a quattro anni dalla recidiva, è libera da malattia: questo ci permette, con una certa sicurezza, di porre diagnosi di tumore primitivo. Se infatti fosse presente un tumore primitivo in altra sede, con indice di proliferazione G2, già metastatico al fegato al momento della diagnosi nel 2006 e recidivato nel 2008, verosimilmente, ad oggi, si sarebbe nuovamente manifestato, sia in forma primitiva sia secondaria. Ciò non deve escludere la paziente da un attento futuro follow-up.
Punti chiave
Bibliografia