Un caso di febbre non risolta
Elena Guidetti 1, Monica Cevenini 1, Maria Luigia Cipollini 1, Maria Camilla Fabbri 1, Paola Tomassetti 1, Roberto Corinaldesi 1
1 Dipartimento di Medicina Clinica. Università degli Studi di Bologna. Ospedale Policlinico S. Orsola Malpighi, via Massarenti 9, 40138, Bologna, Italia
Abstract
Fever of unknown origin (FUO) is extremely difficult to diagnose. It is defined as an illness lasting more than 3 weeks with a temperature exceeding 38 °C on several occasions and with an uncertain diagnosis after 1 week of intensive investigations in the hospital.
The major causes of FUO are infection, neoplasm, and collagen vascular disease, but the percentages of each of these categories are subject to change due to improvements in diagnostic capability.
The diagnostic workup of FUO is complex and, to date, there is no consensus published in the literature regarding guidelines as to the correct approach. A number of diagnostic tests and numerous non-invasive and invasive procedures, which however sometimes fail to explain the fever, are often necessary. In about 20% of cases of FUO the diagnosis is never established.
In this article the case of a young man with fever of unknown origin is presented, the cause of which remains undiagnosed, in order to illustrate the difficulties of the diagnostic process.
A “watch and wait” approach seems to be acceptable in a clinically stable patient for whom no diagnosis can be made after extensive investigation, and the prognosis is likely to be good.
Keywords: Fever of unknown origin; Differential diagnosis of fever; Diagnostic workup
An unsolved case of fever
CMI 2012; 6(Suppl 1): 5-9
Caso clinico
Perché descriviamo questo caso
Il caso riportato è esplicativo delle difficoltà del processo diagnostico che il clinico incontra nella valutazione di una febbre di origine sconosciuta, nonostante i continui progressi delle risorse diagnostiche a disposizione, e a causa della mancanza di linee guida di riferimento condivise
Introduzione
Nella pratica clinica spesso si presentano pazienti che lamentano una febbre di origine sconosciuta (Fever of Unknown Origin – FUO): tale condizione richiede un attento e complesso inquadramento clinico e diagnostico. “FUO” è un termine coniato da Petersdorf e Beeson nel 1961 per indicare una febbre prolungata nel tempo (almeno 3 settimane), che supera 38 °C in alcune occasioni, in assenza di una causa definita, nonostante un’approfondita valutazione clinica, di laboratorio e strumentale, di almeno una settimana [1].
In assenza di criteri prestabiliti e univoci di procedimento, la valutazione di una febbre criptica necessita di una diagnosi personalizzata caso per caso e la sua gestione, che spesso richiede un approccio multidisciplinare, rimane tra i problemi più impegnativi per il clinico.
A tutt’oggi non esistono ancora linee guida specifiche e condivise, ma solo, da una revisione della letteratura, uno schema di approccio diagnostico ipotetico-deduttivo, basato su singoli casi e studi prospettici con casistica limitata [2,3], che ancora necessitano di ulteriore discussione.
Caso clinico
Un paziente di 22 anni veniva ricoverato nel settembre 2011 nella U.O. di Medicina Interna per l’insorgenza di febbricola persistente (37,2 °C) da circa cinque mesi, con occasionali picchi (fino a 40 °C), associata a un rialzo marcato e oscillante delle transaminasi di natura da determinare.
Il paziente riferiva inoltre, nel corso degli accessi febbrili, la presenza di artromialgie diffuse, faringodinia e astenia marcata.
Negava viaggi all’estero recenti. I parametri vitali e l’obiettività polmonare erano nella norma. L’addome si presentava trattabile, dolente alla palpazione profonda in ipocondrio destro e mesogastrio, senza segni obiettivi di organomegalia. I segni di Murphy e di Blumberg erano negativi. L’esame obiettivo del cavo orale dimostrava un’iperemia delle tonsille palatine. Non erano invece apprezzabili linfoadenomegalie superficiali e palpabili, tumefazioni articolari né rash cutanei.
Dall’anamnesi raccolta emergeva un abuso di sostanze anabolizzanti a scopo culturistico, della durata di circa 7-10 giorni e sospeso da circa un mese. Le sostanze utilizzate erano state: gonadotropina corionica umana, clomifene, mesterolone, liotironina, clenbuterolo e stanazolo.
Gli esami bioumorali eseguiti all’ingresso evidenziavano esclusivamente un’ipertransaminasemia (GOT = 169 U/l, GPT = 402 U/l), mentre non erano presenti alterazioni degli indici di colestasi e di flogosi.
L’emocromo, la funzionalità epatica, renale e tiroidea, il sangue occulto fecale (SOF), l’assetto anticorpale completo per l’autoimmunità e i marker neoplastici risultavano negativi. Lo striscio di sangue periferico osservato al microscopio ottico documentava la presenza di un quadro di normalità, come pure la tipizzazione linfocitaria, richiesta nel sospetto di un’alterazione ematologica.
La radiografia del torace escludeva lesioni pleuroparenchimali in atto o versamenti pleurici. L’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma risultavano nella norma, escludendo un quadro di endocardite batterica.
Nell’ipotesi di un’eziologia infettiva, sono stati eseguiti esami sierologici per epatite C, B, Treponema pallidum, Citomegalovirus, Adenovirus, Parvovirus B19, virus di Epstein-Barr, Brucella spp., Salmonella typhi, Borrelia burgdorferi, Legionella pneumophila, Aspergillus spp., Leishmania donovani, Toxoplasma gondii, Toscana virus, Chikungunya virus e West Nile virus, i quali sono risultati tutti negativi per infezione in atto. L’esame parassitologico delle feci non evidenziava parassiti o uova di elminti.
Nel corso del ricovero il paziente ha presentato due accessi febbrili accompagnati da brivido scuotente con temperatura fino a 40 °C, della durata ciascuno di circa 3 giorni e che si sono risolti spontaneamente senza alcuna terapia antibiotica. Durante tali episodi sono stati ripetutamente prelevati campioni di sangue e urine per esami colturali, i quali sono però risultati tutti negativi.
Da un approfondimento anamnestico è emerso un pregresso contatto con un familiare affetto da tubercolosi, ma gli accertamenti condotti hanno escluso la possibilità di malattia tubercolare in atto.
Nella ricerca di un possibile focus infettivo da sede non identificata, è stata richiesta una PET total body con 18-fluorodesossiglucosio (18-FDG), che non ha però mostrato alcun reperto patologico.
Al fine, invece, di escludere un disordine di natura neoplastica, o un possibile ascesso intraddominale, frequenti cause di FUO, è stata eseguita una TC torace-addome, la quale ha evidenziato la presenza di multipli linfonodi mesenteriali e un’area di ispessimento dell’ultima ansa ileale con captazione del mezzo di contrasto.
Alla luce di tale reperto, nel sospetto di una malattia infiammatoria intestinale, è stata eseguita un’ecografia dell’addome con studio delle anse intestinali, la quale però non ha confermato il reperto osservato alla TC. La pancolonscopia condotta fino all’ileo terminale non ha documentato alterazioni significative e l’esame istologico appariva caratterizzato da mucosa ileale con espansione dei follicoli linfoidi e aggressione ghiandolare. Tale dato era insufficiente per porre diagnosi di malattia infiammatoria cronica intestinale.
Quindi, al fine di escludere l’eventualità di una malattia delle vie biliari alla base della febbricola e dell’ipertransaminasemia, è stata eseguita una colangio-RMN, che è risultata negativa.
Si procedeva, infine, a biopsia epatica al fine di chiarire la possibile presenza di malattia epatica. Il quadro istopatologico, sottoposto a discussione collegiale fra clinici e patologi, è risultato a favore di una forma di epatite aspecifica, di non univoca interpretazione, con aspetti dismetabolici e tossici. Tale dato potrebbe essere inquadrato nel contesto di una patologia sistemica, la cui eziologia, nonostante i numerosi esami strumentali e laboratoristici effettuati, non è stata chiarita e sulla quale si sarebbe inserito il recente danno tossico da abuso di anabolizzanti.
Il caso riportato rientra in quel 20% circa dei casi di FUO riportati in letteratura [4] che, nonostante i progressi delle risorse diagnostiche a nostra disposizione, rimangono non diagnosticati.
Discussione
Classificazione della FUO |
Classica Nosocomiale Associata a immunodepressione (pazienti neutropenici e trapiantati) Associata a infezione da HIV |
Tabella I. Classificazione della FUO (Fever of Unknown Origin) [5,6]
La classificazione della FUO è riportata nella Tabella I.
Le cause principali di FUO sono riferibili a infezioni (circa il 28% delle casistiche), a neoplasie (17%) e a malattie infiammatorie a patogenesi non infettiva quali malattie reumatologiche e granulomatose (21%) [1,7] (Tabella II).
Nell’ambito delle infezioni, studi clinici riportano una maggiore prevalenza di tubercolosi, ritenuta scomparsa da alcuni decenni sul nostro territorio, ma in progressivo aumento negli ultimi anni.
Sul versante neoplastico, invece, i tumori più comuni che si presentano con un quadro di FUO appartengono soprattutto alla sfera ematologica (es. linfomi e leucemie), ma tra le principali patologie sottostanti si annoverano anche l’epatocarcinoma, i tumori metastatici del fegato e il carcinoma renale [8]. La febbre può essere correlata alla malattia stessa o a infezioni concomitanti, ostruzioni localizzate da tumore, complicazioni operatorie o post-operatorie. Tuttavia il numero di casi di FUO maligna sono in diminuzione rispetto ai dati del passato, a causa dell’aumento delle possibilità diagnostiche offerte dall’imaging più moderno.
Tra le forme collageno-vascolari, le più rappresentate sono l’artrite reumatoide, il morbo di Still dell’adulto, il lupus eritematoso sistemico (LES), la sarcoidosi, la polimialgia reumatica e l’arterite di Horton nell’anziano.
Infezioni |
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Neoplasie |
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Forme |
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Febbre da farmaci |
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Febbre fittizia |
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Altre (es. febbre mediterranea familiare, ipertiroidismo, tiroidite, insufficienza cortico-surrenale, ecc.) |
Tabella II. Le cause principali di FUO (Fever of Unknown Origin) [1,7]
Un’ulteriore origine di FUO che va sempre tenuta in considerazione è l’ipertermia da farmaci (antibiotici, farmaci antinfiammatori non steroidei, farmaci psicotropi e antitumorali) e la febbre da inganno o fittizia. Quest’ultima molto spesso viene attribuita a simulazione al fine di ottenere vantaggi concreti, ma talora riconosce cause oscure di natura psicologica, come la ricerca di vantaggi secondari o la fuga da situazioni stressanti [8]. Motivi clinici che possono portare il medico a porne il sospetto sono un andamento atipico della febbre, associato ad anamnesi complicate e illogiche e all’assenza di segni indiretti di rialzo della temperatura corporea come cute calda, tachicardia e brivido.
Per il vasto spettro di morbilità chiamate in causa, la gestione deve essere multidisciplinare e plurispecialistica.
Nell’approccio diagnostico non si può prescindere da un’attenta anamnesi e dal tradizionale esame obiettivo, che deve essere ripetuto con attenzione più volte al giorno.
Per ciò che concerne l’anamnesi, è importante considerare se altri membri della famiglia siano stati affetti o siano affetti da una malattia simile. In tal caso la causa potrebbe risiedere nell’esposizione a un agente infettivo, oppure la malattia potrebbe avere una base ereditaria (es. febbre mediterranea familiare). Una malattia multisistemica che si manifesti episodicamente, più volte nell’arco di anni, deve porre il sospetto di una collagenopatia.
L’occupazione del paziente deve essere sempre investigata in quanto può fornire indizi importanti su una eventuale esposizione professionale responsabile della FUO. Di pari importanza è altresì l’indagine su un viaggio all’estero pregresso, poiché la conoscenza della località geografica in cui il paziente è stato può indirizzare la ricerca su malattie endemiche tipiche del luogo piuttosto che su quelle comunemente presenti nel Paese di origine.
Da una revisione sistematica che ha preso in esame la letteratura pubblicata tra gennaio 1966 e dicembre 2000 riguardante la FUO, emergono diversi livelli di evidenza associati ai vari test diagnostici [9].
Nella Tabella III sono elencati gli esami diagnostici di primo, secondo e terzo livello per l’indagine sulle cause della FUO.
Esami di primo livello |
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Esami di secondo livello |
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Esami di terzo livello |
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Tabella III. Elenco degli esami diagnostici raccomandati nella ricerca dell’eziologia della FUO
In particolare emerge come la TC torace-addome costituisca la metodica maggiormente in grado di discriminare tra due delle più comuni cause di FUO: l’ascesso addominale e i disordini linfoproliferativi.
A tal fine anche la medicina nucleare può essere di ausilio. In particolare recenti studi dimostrano un’alta specificità (94%) del radiotracciante tecnezio (Tc), associata, però, a una bassa sensibilità (40-75%), e presentano risultati promettenti riguardo all’utilizzo del fluorodesossiglucosio [10,11].
Nel sospetto di un’endocardite, responsabile dell’1-5% dei casi di FUO, l’applicazione dei criteri di Duke maggiori, quali la dimostrazione della presenza del germe patogeno nell’emocoltura, il reperto di lesioni endocardiche e di un nuovo soffio, e minori risulta avere un’alta specificità (99%) e sensibilità (82%) [12].
Tra gli esami invasivi di terzo livello la biopsia epatica presenta un elevato livello di evidenza [13], così come la biopsia dell’arteria temporale. La biopsia midollare, per la sua bassa sensibilità, non è raccomandata di routine e l’indicazione viene lasciata alla discrezionalità del clinico in quei casi in cui persista il dubbio di una malattia ematologica sottostante.
Di incerta utilità e vantaggio rimangono invece l’esecuzione di un’esplorazione chirurgica e l’inizio di una terapia empirica a base di antibiotici o corticosteroidi, i quali potrebbero essere un elemento confondente la diagnosi e il quadro clinico del paziente.
Conclusioni
In letteratura non si trovano approcci sistematizzati per questo tipo di patologia, ma solo algoritmi non formali basati sulle esperienze cliniche e non sottoposti a un adeguato processo di validazione.
Nei pazienti in cui la messa in atto di tutte le strategie a nostra disposizione non abbia portato ad alcun risultato diagnostico, appare ragionevole continuare con il solo follow-up e la rivalutazione clinica frequente al fine di poter cogliere eventuali nuovi elementi diagnostici, evitando di perseverare in ulteriori indagini di tipo invasivo e con dubbio vantaggio in termini di costo-beneficio [8].
Spesso infatti la causa risiede più che in una patologia rara, in una comune malattia con presentazione insolita.
Punti chiave
Bibliografia