Impatto dello stato nutrizionale nei pazienti ospedalizzati

Filomena Pietrantonio 1

1 Dirigente Medico di Medicina Interna. UOC I Medicina Ospedale S. Eugenio ASL Roma C, Roma

Editoriale

Corresponding author

Dott.ssa Filomena Pietrantonio

filomena.pietrantonio@gmail.com

Introduzione

La malnutrizione è definita come «una carenza o un eccesso o un alterato equilibrio dell’energia e delle proteine e degli altri nutrienti che causa effetti avversi misurabili sulla composizione corporea e sui risultati clinici» [1].

Sia la malnutrizione per eccesso, sia quella da insufficiente apporto alimentare, entrambe riscontrabili in larghe percentuali dei pazienti ricoverati, sono correlate a un aumento di morbilità e mortalità, che si traduce anche in un incremento dei costi ospedalieri.

La malnutrizione da insufficiente apporto alimentare

La malnutrizione da insufficiente apporto alimentare colpisce circa il 50% dei pazienti ricoverati nei reparti in area medica e oltre il 40% dei ricoverati in ospedale [2].

Prevalenza di malnutrizione da insufficiente apporto alimentare in ospedale. Modificata da [3]

  • 20-50% dei pazienti ospedalizzati
  • 20% dei pazienti a domicilio
  • 46% dei pazienti medici
  • 27% dei pazienti chirurgici
  • 43% dei pazienti anziani
  • 53% dei pazienti con frattura di femore
  • 20-50% dei bambini ricoverati per patologia gastrointestinale e/o malattia cronica

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Figura 1. Correlazione tra malnutrizione e complicanze della degenza ospedaliera. Modificata da [8]

IVU = infezioni delle vie urinarie

Ha un andamento a spirale ingravescente, partendo spesso da una inadeguata alimentazione a domicilio che si aggrava in ospedale sia per cause correlate alla malattia (inadeguato introito di alimenti, difficoltà ad alimentarsi) sia per scarsa formazione del personale sanitario sull’argomento [4].

Numerosi studi hanno dimostrato la correlazione tra dieta e insorgenza di malattie croniche [5-7] e sarebbe molto interessante dimostrare la correlazione tra dieta nei mesi precedenti il ricovero, stato nutrizionale e outcome delle malattie croniche riacutizzate e trattate in regime di ricovero ospedaliero.

Inoltre, la malnutrizione da insufficiente apporto alimentare rappresenta un fattore prognostico negativo all’ingresso in ospedale in quanto correla positivamente con (Figura 1):

 

La valutazione nutrizionale all’ingresso è cruciale vista l’entità del problema e l’impatto sulla degenza: lo stato nutrizionale andrebbe, quindi, valutato entro le prime 72 ore dal ricovero mediante strumenti di valutazione appositi, quali Malnutrition Universal Screening Tool – MUST, Mini Nutritional Assessment – MNA e Subjective Global Assessment – SGA, riportati in Tabella I.

 

Gli strumenti per la valutazione dello stato nutrizionale hanno validità simile e la scelta dipende dal tipo di istituzione, dal tipo di pazienti e dalle risorse disponibili [10,11].

Le strategie di trattamento seguono step successivi [4]:

Strumenti di valutazione

Descrizione

MNA

www.mna-elderly.com

Strumento di monitoraggio e valutazione per i pazienti anziani a rischio di malnutrizione. È composto da 6 domande e dalla misurazione del BMI, del CBM e del CP

MUST

www.bapen.org.uk

Guida composta da 5 step per misurare il grado di malnutrizione (sottopeso o sovrappeso), usa il BMI e valuta la presenza di condizioni patologiche acute

SGA

www.ajcn.org

Strumento che include anamnesi ed esame obiettivo e suddivide i pazienti in tre categorie secondo il livello di nutrizione (prevalentemente usato nei pazienti dializzati)

NRS-2002

www.espen.org

Screening composto da due tabelle che includono quattro domande sui fattori di rischio per i pazienti ospedalizzati [9]

Tabella I. Metodi di valutazione dello stato nutrizionale

BMI = Body Mass Index (indice di massa corporea = peso (kg)/altezza (m)2); CBM = circonferenza del braccio; CP = circonferenza del polpaccio; MNA = Mini Nutritional Assessment; MUST = Malnutrition Universal Screening Tool; SGA = Subjective Global Assessment

Per quanto riguarda l’impatto sulla degenza ospedaliera, uno studio retrospettivo di coorte effettuato in Brasile e pubblicato nel 2003 ha effettuato una valutazione nutrizionale su 709 pazienti a 72 ore dall’ingresso in ospedale, evidenziando una prevalenza di malnutrizione da insufficiente apporto alimentare del 34,2% [12]. È stato quindi effettuato il monitoraggio delle complicanze e della mortalità e il calcolo dei costi sulla base dei rimborsi calcolati dalle compagnie assicurative (costo giornaliero della degenza, antibiotici utilizzati). Sono state riscontrate complicanze nel 27% dei pazienti malnutriti; la mortalità di questi ultimi era del 12,4% versus 4,7% nei pazienti normopeso, mentre il tempo di degenza era di 16,7 ± 24 giorni versus 10,1 ± 11,7. Lo studio ha concluso che la malnutrizione da insufficiente apporto alimentare è un fattore di rischio indipendente che aumenta morbilità, mortalità, lunghezza e costo della degenza [12].

Anche in Germania Löser ha dimostrato un aumento dei costi della degenza e durata dell’ospedalizzazione in relazione allo stato nutrizionale con una stima di aumento dei costi diretti di circa 9 miliardi di euro all’anno [4]. Considerando dati di studi realizzati in Europa sia Occidentale sia Orientale, Kondrup nel 2009 ha presentato una revisione della letteratura per valutare incidenza e prevalenza della malnutrizione negli ospedali europei confermando i dati già noti di incidenza di rischio nutrizionale all’ingresso in area medica dal 28% al 52% (prevalentemente dovuto alla presenza di pazienti anziani e polipatologici) e un valore di malnutrizione di circa il 19% nei pazienti ricoverati in reparti chirurgici [13].

La malnutrizione per eccesso

In realtà esiste anche l’altra faccia della medaglia: il crescente incremento a livello mondiale di sovrappeso e obesità nella popolazione (Figura 2) ha messo in luce i rischi derivanti dall’eccesso di peso anche nei pazienti ospedalizzati.

In effetti sovrappeso e obesità sono la quinta causa di morte a livello globale. Nel 2005, secondo la World Health Organization 1,6 miliardi di adulti erano sovrappeso, oltre 400 milioni obesi e 20 milioni di bambini al di sotto di 5 anni in sovrappeso. Le proiezioni per il 2015 prevedono che gli adulti in sovrappeso saranno 2,3 miliardi e gli obesi più di 700 milioni; se non verranno presi provvedimenti, l’obesità raddoppierà entro il 2030. Attualmente più di un adulto su 10 è obeso, con prevalenza delle donne che sono circa 100 milioni in più rispetto agli uomini obesi.

In Italia nel 2008 [16] i soggetti sovrappeso, cioè con BMI compreso tra 25 e 29,99 erano il 33,4% degli adulti (fino a 24 anni = 13%; tra 65 e 75 anni = 45%) e gli obesi (BMI superiore a 30) il 9,1% degli adulti (fino a 24 anni = 2%; intorno a 50 anni = 13%; a 60 anni = 15%; > 65 anni = 12,4% ).

L’obesità è un cofattore nel determinismo delle malattie croniche non trasmissibili: il 44% dell’esordio del diabete, il 23% della cardiopatia ischemica e il 7-14% di patologie tumorali sono strettamente correlate alle alterazioni del metabolismo provocate dal sovrappeso. Il 65% della popolazione mondiale vive in Paesi in cui il sovrappeso e l’obesità uccidono più persone che la malnutrizione da insufficiente apporto alimentare.

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Figura 2. Il tasso di obesità in alcuni Paesi del mondo. Modificato da [15]

Complicanze cliniche dell’obesità. Modificata da [14]

  • Stroke
  • Ipertensione endocranica idiopatica
  • Cataratta
  • Patologie respiratorie
    • Ridotta funzionalità
    • Apnee ostruttive nel sonno
    • Sindrome da ipoventilazione
  • Cardiopatia ischemica
  • Pancreatite
  • Non-alcoholic fatty liver disease (NAFLD)
    • Steatosi
    • Cirrosi
    • Steatoepatite
  • Patologie della colecisti
  • Diabete
  • Dislipidemia
  • Ipertensione
  • Patologie ginecologiche
    • Anomalie del ciclo mestruale
    • Infertilità
    • Sindrome dell’ovaio policistico
  • Tumori
    • Mammella
    • Utero
    • Cervice
    • Prostata
    • Rene
    • Colon
    • Esofago
    • Pancreas
    • Fegato
  • Osteoartrite
  • Flebite
    • Stasi venosa
  • Patologie cutanee
  • Gotta

Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che l’aumento del BMI è associato a un aumento del rischio di morte. I dati del Cancer Prevention Study, studio prospettico di mortalità su più di 1 milione di persone negli Stati Uniti, iniziato nel 1982, mostrano che con l’incremento del BMI aumenta il rischio cardiovascolare anche in soggetti non fumatori e senza altri fattori di rischio al momento dell’arruolamento. La curva di mortalità rappresenta un continuum, che inizia al valore del BMI di 25 kg/m2. Il valore di BMI tra 23,5 and 24,9 kg/m2 presenta il minor rischio cardiovascolare ed è stato utilizzato come valore standard di riferimento [17] (Figura 3).

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Figura 3. Relazione tra BMI e mortalità. Modificata da [17]

 

I risultati di studi collaborativi (57 studi prospettici con 895.576 partecipanti prevalentemente in Europa Occidentale e Nord America) hanno confermato la correlazione tra BMI e mortalità, evidenziando come in entrambi i sessi la mortalità sia inferiore per valori di BMI intorno a 22,5-25 kg/m2 soprattutto a causa della forte correlazione inversa con malattie respiratorie e tumore polmonare [18]. Ogni aumento del BMI di 5 kg/m2 risulta associato all’aumento del 30% della mortalità e, nello specifico, all’aumento del 40% della mortalità vascolare, del 60-120% di quella correlata a diabete, malattia renale ed epatica, del 10% di quella neoplastica e del 20% della mortalità per patologie respiratorie e altre cause.

Gli studi relativi alla ricerca di correlazioni tra sovrappeso e obesità, durata e costi della degenza presentano invece risultati non univoci.

In effetti alcuni studi associano solo i gradi superiori di obesità a un incremento di mortalità [19], non rilevando nei pazienti ospedalizzati (medici e chirurgici) alcun aumento della mortalità in relazione al BMI [20]. È stata invece dimostrata una maggiore permanenza presso le Unità di Terapia Intensiva (ICU) e maggior rischio di complicanze (Multiple Organ Disease) dei pazienti obesi e in sovrappeso [21]. Alcuni studi hanno evidenziato che su 62.045 malati presso le ICU si registrava per gli obesi una maggiore durata del supporto respiratorio, della degenza e dei relativi costi [22].

Secondo lo studio di Wigfield del 2006, solo per i grandi obesi (BMI > 40) si registrano maggiori complicanze [23].

I costi della malnutrizione

I dati della letteratura, quindi, confermano che una maggiore mortalità e una maggiore morbilità e durata della degenza dipendono dallo stato nutrizionale e suggeriscono che controlli preventivi potrebbero ridurre i costi per i sistemi sanitari nazionali [4].

Può essere difficile tuttavia confrontare strumenti di valutazione nutrizionale disegnati per gruppi di età non omogenei e scopi diversi [24].

Certamente la malnutrizione diagnosticata all’ingresso in ospedale correla con l’aumento della durata della degenza e una maggiore frequenza di complicanze [13,25].

Per quanto riguarda la stima dei costi correlati alla malnutrizione, invece, vi sono diverse problematiche. La revisione della letteratura mostra che sono state utilizzate metodologie diverse negli studi effettuati; c’è quindi una difficoltà oggettiva a comparare i dati in quanto studi diversi considerano costi differenti e non confrontabili, quali i supporti nutrizionali, la durata della degenza, le visite specialistiche, l’accesso ai servizi di base, ecc.

Un recente studio di Elia mostra come la malnutrizione da insufficiente apporto alimentare abbia determinato nel 2003 negli Stati Uniti un aumento dei costi ospedalieri dal 36% al 67%, e nel Regno Unito un aumento del 40% dei costi ospedalieri e del 10% dei costi sul territorio nei pazienti anziani (età maggiore di 65 anni) [26]. L’elevato valore dei costi della malnutrizione da insufficiente apporto alimentare è collegato alle spese dovute alle malattie collegate alla malnutrizione (DRM) (10% della spesa sanitaria totale) e all’aumento proporzionale degli anziani nella popolazione totale. Una delle limitazioni della stima dei costi legati alla DRM è che non riflette il risparmio potenziale degli interventi di politica sanitaria mediante valutazioni di costo-efficacia e costo-utilità degli interventi (es. di supporto nutrizionale) che sarebbe utile inserire in studi futuri.

Il costo stimato da Elia per la malnutrizione da insufficiente apporto alimentare in ambito ospedaliero è simile al costo combinato di obesità e sovrappeso.

Un recente studio di Cawley e Meyerhoefer sui costi sanitari dell’obesità negli Stati Uniti riporta che una persona obesa costa 2.741 dollari di più all’anno rispetto a un normopeso. A livello nazionale significa un aumento di 190,2 miliardi di dollari all’anno, il 20,6% della spesa nazionale sanitaria. Stime precedenti mostravano costi inferiori dovuti all’obesità ovvero 85,7 miliardi di dollari, il 9,1% della spesa sanitaria nazionale [27].

Gli studi relativi alla ricerca di correlazioni tra sovrappeso, obesità, durata e costi della degenza presentano risultati non univoci. In effetti studi effettuati negli Stati Uniti (National Health and Nutrition Examination Survey – NHANES dal 1999 al 2000) non hanno documentato una associazione diretta tra aumento del BMI e riduzione dell’aspettativa di vita, probabilmente per l’aumento della durata media della vita, il miglioramento delle cure mediche e la riduzione della mortalità dovuta alle malattie cardiovascolari [19].

Conclusioni e prospettive future

L’impatto economico della nutrizione sullo stato di salute comincia a stimolare soluzioni preventive, soprattutto a livello territoriale, attraverso l’azione su modifiche degli stili di vita, proponendo studi che valutano la dieta come terapia [28]. L’US Preventive Services Task Force raccomanda che i medici di base presentino ai pazienti obesi interventi di counselling dietetico intensivo per perdere peso. Attualmente viene suggerita la necessità di realizzare studi che valutino l’efficacia comparativa di diversi interventi mirati alla perdita di peso a livello di medicina di base in pazienti obesi con fattori di rischio cardiovascolare.

In relazione alla malnutrizione da insufficiente apporto alimentare, invece, è consigliata la valutazione dello stato nutrizionale entro le prime 72 ore dal ricovero.

Rimangono molti problemi aperti, in particolare per la mancanza di dati sui pazienti ricoverati in area medica, che rappresentano la popolazione più a rischio per problemi di nutrizione e di comorbilità e che per la maggior parte appartengono alla categoria degli anziani (età maggiore di 65 anni). Mancano infatti dati sui costi della degenza correlati allo stato nutrizionale confrontabili e raccolti in maniera omogenea nei reparti di Medicina Interna, che trattano circa l’80% dei pazienti ricoverati in area medica. Aree di ricerca future in ambito nutrizionale dovranno essere orientate a valutare la relazione tra stato nutrizionale (sottopeso e sovrappeso), durata della degenza e costi correlati, possibilmente comparando diversi sistemi sanitari in Paesi industrializzati e in via di sviluppo, con lo scopo di mettere in relazione, se possibile, anche le abitudini alimentari e la dieta pre-ricovero con l’esito della degenza.

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