La diagnosi psicopatologica nel lavoro psicologico-psichiatrico

Roberto Infrasca 1

1 Psicoterapeuta, La Spezia, Italy

Abstract

The psychopathological diagnosis, which is crucial in the psychological-psychiatric work, is performed through tests and interviews aimed at evaluating the cognitive processes and the patients’ behavior. Feeling-thinking-communicating-acting process is particularly important, as it characterizes patients’ evolutionary phases and allows to move closer to the diagnosis.

In this study, three patients with different psychological-psychiatric pathologies are described. For each case, verbal and non-verbal communication and psycho-emotional and cognitive sequence are analyzed. After this description, psychodiagnostic test results are discussed in order to highlight signs and symptoms of considered subjects.

The described method allows to “explore” psychodynamic spaces hidden by psychic defenses that prevent a clear understanding of the psychic functioning and the operative plot at the intra- and inter-personal level of the subject.

Keywords: Language; Evolutionary sequence; Psychology; Psychopathological diagnosis

CMI 2022; 16(1): 13-20

http://doi.org/10.7175/cmi.v16i1.1526

Case Series

Corresponding author

Roberto Infrasca

roberto.infrasca@libero.it


Received: 7 April 2022

Accepted: 22 June 2022

Published: 5 July 2022

Perché descriviamo questo caso?

Le patologie psicologico-psichiatriche sono difficili da individuare e distinguere; risulta dunque essenziale definire un procedimento utile all’individuazione di una diagnosi psicopatologica basandosi anche sulla comunicazione e sui rapporti intra- e inter-personali dei pazienti

Introduzione

Nel lavoro psicologico-psichiatrico sull’adulto, la diagnosi psicopatologica rappresenta un indicatore importante per indirizzare il quadro clinico osservato verso la terapia psicofarmacologica, quella psicoterapeutica o l’associazione delle stesse. La diagnosi diviene quindi un momento importante sia per il clinico sia per il paziente. Un valido e attendibile ausilio in questo settore clinico arriva dalla somministrazione di test e dal colloquio. Dai colloqui preliminari è possibile raccogliere notizie sulla storia del paziente, sulla sua infanzia e adolescenza e sugli eventuali micro- e macro-traumi subiti durante questi periodi maturativi. Un ulteriore e affidabile contributo proviene dall’utilizzazione di indicatori quali il linguaggio non verbale e un insieme ordinato che abbiamo definito “sequenza evolutiva”.

Riguardo al linguaggio non verbale [1], Mehrabian afferma che quello del corpo riveste un ruolo sostanziale nella comunicazione dei propri sentimenti e atteggiamenti (mimica facciale, gestualità, tono della voce, volume e ritmo della vocalità, ecc.), modalità che veicola per l’Autore il 93% del contenuto, mentre la comunicazione verbale (la parola) ne esprime solo il 7%. In tale scenario, la mera comunicazione verbale riferisce solo una piccola porzione dell’ampio spettro comunicativo appartenente alla personalità e alla sua semantica. Il linguaggio non verbale può rappresentare un mezzo per cogliere il messaggio reale e quello celato che può non essere esplicitato (difesa). Infine, deve essere tenuto presente che, quando le due strutture si evidenziano in netto contrasto, il messaggio è probabilmente ambiguo e scarsamente attendibile.

La sequenza evolutiva descrive la modalità psico-emotiva, cognitiva, comunicativa e comportamentale del paziente nel rapporto intra- e inter-personale. Tale aspetto evidenzia un suo valore caratterizzando tutti e tre i principali stadi evolutivi dell’individuo: infanzia, adolescenza e maturità. Di fatto la successione descrive la particolare modalità attraverso la quale il soggetto sente → pensa → comunica → agisce [2].

Nonostante la sua precoce formazione, tale susseguirsi evolutivo diviene molto importante in quanto racchiude in sé le molteplici esperienze vissute e la loro influenza sul profilo assunto dalle successive configurazioni, che determinano la possibilità di uno sviluppo adattivo o disadattivo dell’individuo. Tale originaria sequenza assume nei primi anni di vita (e in quelli successivi) il ruolo di “suggeritore interno”, struttura psico-emotiva che indica o impone all’individuo un particolare sentire e pensare, dimostrando, nella pratica clinica e nel presente lavoro, la sua influenza sul rapporto intra- e inter-personale e anche negli esiti dei test psicodiagnostici utilizzati.

Questa istanza, profondamente influenzata dalla modalità psichica, cognitiva, comunicativa e comportamentale acquisita nell’infanzia, viene letteralmente “forgiata” dalla valenza delle esperienze vissute, tonalità che condizionerà anche il profilo assunto dalla sua personalità, divenendo un’impronta che difficilmente sarà cancellata nel successivo tragitto evolutivo.

Nascita e formazione della sequenza evolutiva

Questa importante sequenza inizia a formarsi durante l’infanzia, quindi in un periodo evolutivo in cui il bambino è indifeso rispetto agli stimoli esterni (inizialmente quelli esercitati dalle figure genitoriali) in quanto non fornito di idonee strutture psichiche di difesa e data la sua plasmabilità psico-emotiva e cognitiva.

Nei primi mesi di vita il bimbo utilizza unicamente la prima struttura della sequenza, il “sentire”, ambito composto da elementari sensazioni neurofisiologiche (fame-sazietà, caldo-freddo, ecc.). Nei successivi periodi si assiste alla deambulazione, attraverso la quale il bambino inizia a scoprire l’ambiente e le sue reazioni, passaggio che determina un accrescimento del sentire, la sollecitazione di un primigenio pensiero e la comunicazione, dinamica evolutiva ampiamente influenzata dal profilo assunto, nell’infanzia, dai processi di attaccamento [3-5], di separazione-individuazione [6] e di sintonizzazione affettiva [7].

La fisionomia assunta dal rapporto con le figure genitoriali, relazione che avrà un ruolo decisamente rilevante durante l’età pediatrica (sino ai 12 anni), diviene essenziale, poiché le esperienze interpersonali con queste figure determineranno sensibili conseguenze su quelle intrapersonali del bambino. Questi vissuti verranno archiviati nel soggettivo Magazzino degli Elementi Esperienziali (MEE) [2], divenendo una traccia stabile che accompagnerà il bambino durante il suo percorso evolutivo (infanzia, adolescenza, maturità).

Nel primo elemento, il “sentire-provare” infantile, vengono memorizzate le esperienze quotidiane di tale periodo insieme alla valenza con cui sono state vissute, caratteristica che determina un profilo esperienziale positivo ed evolutivo (naturale) oppure negativo e disadattivo (psicopatogenetico). Per questo motivo, la sequenza assume rilevanza in quanto le sensazioni del bambino (sentire e provare) influiscono sul pensiero, sulla modalità comunicativa e sull’assetto comportamentale.

La fisionomia assunta da questi elementi partecipa attivamente alla costruzione della nascente personalità e delle sue importanti caratterizzazioni: l’identità sessuale, la consapevolezza di sé, uno schema di pensiero critico (insight) o circolare e riproduttivo (automatico), la modalità di relazionarsi, la tipologia del rapporto con la realtà, la consapevolezza di sé legata alla consapevolezza dell’altro oppure ancorata all’individualismo, la capacità o l’incapacità di rispondere a domande quali “Chi sono io?”, “Chi sei tu?”. Tramite queste caratterizzazioni il soggetto sperimenta quindi il suo complessivo “esserci” o “non esserci” nel mondo.

In questo scenario, la relazione del bambino con la caratterologia delle figure genitoriali e l’atmosfera familiare in cui vive assumono un ruolo decisamente rilevante per il modellamento della sequenza che il bambino utilizzerà nel costruire il vissuto di sé (realtà interna) verso gli altri e l’ambiente (realtà esterna). In altre parole, si tratta del cromatismo psico-emotivo e cognitivo attraverso il quale il bambino vive ed elabora due realtà: quella interiore (Io) e quella ambientale (non Io).

I risultati di un recente lavoro dal titolo “Come (non) si diventa grandi” [8], corroborati da calcoli statistici, permettono alcune ulteriori considerazioni. Muovendo dal presupposto che i genitori ragionevolmente affettivi risultano i più adatti per l’evoluzione dei fondamentali processi infantili (attaccamento, sintonizzazione affettiva, separazione-individuazione) e quindi tendono ad agevolare uno sviluppo adeguato del bambino, per il restante intreccio tra personalità genitoriali di tipo anaffettivo, autoritario e iperprotettivo questi processi possono incontrare rilevanti difficoltà e ostacoli nel loro naturale fluire, con negative riverberazioni sul bambino rispetto alla costruzione del suo sentire-pensare-comunicare-agire e quindi sul profilo della sua personalità di base costruita durante il periodo prescolare.

L’apprendimento e la costruzione degli indicatori descritti non rimangono confinati al pur prolungato stadio infantile, entrando in quello adolescenziale con i sensibili cambiamenti che questo prevede (corporei, ormonali, psichici, relazionali e sociali). Questo nuovo terreno esistenziale necessita perciò di un mutamento anche nella sequenza evolutiva per le nuove e mai sperimentate richieste della realtà (interiore ed esterna).

A seconda della sua valenza originaria, questo costrutto può evolvere gradualmente con correzioni, modificazioni e trasformazioni oppure rimanere pressoché similare al precedente, divenendo un “suggeritore interno” mutato e aggiornato, oppure datato, quindi disfunzionale e inadeguato. In questo ultimo caso, nell’adolescente si può osservare l’emergere di problematicità o di psicopatologia manifestata attraverso segni clinici di tipo depressivo, ansioso, anoressico.

Inoltre, tale stadio evolutivo prevede il moltiplicarsi di situazioni quotidiane (scuola, amicizie, infatuazioni amorose), nuovo terreno che necessita di una personalità dotata di una certa fluidità psichica che non metta in campo una severa reattività verso l’acquisizione di competenze relazionali, affettive e sociali più adeguate e aderenti alla realtà vissuta. La sintassi di tale passaggio evolutivo, che prevede sussulti, conflitti, partecipazione e rifiuto, può comunque concludersi attraverso una personalità capace di una gestione ispirata a un adeguato criterio di valutazione di questi controversi stati d’animo.

La personalità adolescenziale e il profilo assunto in questo stadio dalla sequenza evolutiva (dinamica modificata nella valenza dei suoi elementi o scarsamente mutata) transiteranno nella maturità portando con sé la propria fluidità psico-cognitiva, comunicativa e comportamentale o la messa in azione di difese psichiche rigide che influenzeranno regressivamente tali strutture.

Il successivo stadio adulto è quindi basato sulla valenza del profilo assunto dalla personalità durante il tragitto infantile e adolescenziale, non avendo a disposizione altre “fondamenta esperienziali” e modalità di funzionamento. Nell’adultità, il principale problema nasce da due fatti importanti e marcati: mentre l’infanzia e l’adolescenza prevedono molti diritti e poche responsabilità, l’essere adulto prevede molte responsabilità e solo i diritti fondamentali della persona.

La situazione adulta implica il lavoro, la relazione affettiva, la famiglia, la vita sociale e il tempo libero, condizioni che coinvolgono più o meno intensamente la personalità individuale. Soggetti caratterialmente problematici o sintomatologici che compensavano questi aspetti, sottoposti a responsabilità nuove e sollecitanti possono scompensarsi facendo emergere la problematicità o la psicopatologia sino ad allora silente. In questo panorama, mentre il lavoro può anche coinvolgere la struttura psichica ed emozionale, la relazione affettiva la implica sensibilmente, richiamando tracce e risonanze del sentire-pensare-comunicare-agire sperimentate nel periodo infantile.

La differenza tra questi periodi risulta considerevole. Mentre nell’infanzia la reattività psico-emotiva era solamente sentita e pensata, quindi invisibile, nel periodo adulto questa può assumere il profilo di un “passaggio all’atto” (acting-out) visibile e fonte di reazioni del partner e dei figli. Tale comportamento, qualora reiterato, inserisce incomprensioni, dissapori e contrasti che possono assumere una certa consistenza.

Di fatto, il passaggio diretto dal sentire all’agire, escludendo il coinvolgimento del pensiero e della comunicazione, permette all’impulsività di irrompere istantaneamente nella realtà senza le mutazioni e correzioni che l’attività pensante apporterebbe.

Strumenti per la diagnosi psicopatologica

La diagnosi psicopatologica del paziente adulto, come argomentato, può giovarsi di test psicodiagnostici di personalità quali: il Minnesota Multiphasic Personality Inventory-2 (MMPI-2), un test ad ampio spettro per valutare le principali caratteristiche strutturali di personalità e i disordini di tipo emotivo [9]; la Toronto Alexithimia Scale (TAS), uno strumento composto da 20 item usato per valutare l’alessitimia [10]; la Zung’s Self-Rating Depression Scale (SDS), un test di autovalutazione dell’ansia e della depressione che va a indagare la presenza di sintomi ansiosi o depressivi non ancora divenuti un vero e proprio disturbo [11]; l’Eating Disorder Inventory (EDI), uno strumento per l’autovalutazione di sintomi comunemente associati all’anoressia e alla bulimia [12]. Tali test psicodiagnostici sono quelli utilizzati nell’attuale ricerca, unitamente al colloquio clinico, prassi che si dimostra proficua essendo generalmente in grado di rivelare aspetti, sentimenti e atteggiamenti interiori non comunicati o inconsapevoli. La similarità nei risultati basilari tra questi strumenti (comunicazione, sequenza evolutiva e test) testimonia solitamente un attendibile legame tra gli stessi, coerenza peraltro verificata anche nel presente lavoro.

Inoltre, va sottolineato che nella sequenza psico-emotiva e cognitiva del sentire-pensare-comunicare-agire le prime due strutture non sono visibili (la loro dinamica avviene a livello interiore), mentre le altre due sono oggettive e quindi visibili (dinamica esteriorizzata). Comprendere l’influenza del contenuto racchiuso nel sentire-pensare del paziente diviene così decisamente importante nella relazione di aiuto.

L’ambito del colloquio clinico, che utilizza la comunicazione verbale, l’interpretazione del linguaggio non verbale e della sequenza psico-cognitiva del paziente, non risulta meno rilevante, mettendo in evidenza una serie di indicatori capaci di proporre scenari che ampliano la conoscenza del soggetto analizzato [13,14]. Questa multiforme attività prevede che il clinico sia in possesso di una ragionevole esperienza professionale e di senso empatico e umano.

Case series

Allo scopo di offrire una fisionomia concreta e pratica di quanto argomentato, di seguito vengono proposti alcuni casi reali e i risultati ottenuti dall’applicazione delle metodologie proposte, equiparabili a quelli della casistica molto vasta da cui provengono.

Caso 1. F 47 (depressione)

I colloqui clinici con la paziente rispetto alla comunicazione verbale e non verbale e alla sequenza psico-emotiva mettono in risalto alcuni tratti.

Comunicazione verbale e non verbale

La comunicazione è povera, composta da frasi brevi ed esplicite (“Non riesco più a vivere”, “Vorrei solo dormire”, “Non mi interessa più niente”). Le figure genitoriali sono dipinte come personalità negative e l’infanzia viene vissuta come un periodo spiacevole e sofferto. Le risposte sono telegrafiche (sì, no, molto, un po’). L’espressività del viso è bloccata a un lessico che “parla” di sofferenza, di vuoto interiore, di passività, di inutilità. La gestualità è rallentata, confinata ad alcuni scarsi e stereotipati movimenti. Il corpo è pressoché immobile e afono. Il tono della voce è basso e a tratti poco comprensibile. Lo sguardo evidenzia fissità. L’abbigliamento è di colore scuro.

Sequenza psico-emotiva e cognitiva

La sequenza del sentire-pensare-comunicare-agire evidenzia un andamento circolare tra le prime due strutture. Il sentire pare contenere vissuti che, pur facendo parte di una fase temporalmente distante (infanzia), mantengono nell’attualità una loro intensità. Tali vissuti parlano di una bambina che, attraverso il clima relazionale sperimentato per molti anni, avvertiva e pensava di essere “brutta”, inutile, non degna di amore, da rifiutare, in breve una nullità, sensazioni che hanno prodotto tristezza, disperazione, senso di colpa, sofferenza, solitudine, senso di impotenza, di vuoto e di rabbia, auto-aggressività (per esempio graffiarsi, mordersi, ecc.).

Questa consolidata visione e percezione di sé pare aver attraversato l’adolescenza con aggiustamenti e cambiamenti non sostanziali, approdando alla maturità. La comunicazione e il comportamento della maturità non paiono veicolare un messaggio diverso. Il sistematico movimento circolare tra un sentire e un pensare di tipo svalutativo, non visibili dall’esterno, può sollecitare la nascita di ideazione suicidaria (eliminazione dell’insopportabile e ossessiva sofferenza) e, in alcuni casi, lo svilupparsi di questa opprimente sollecitazione dinamica che avviene generalmente in assenza di comunicazione.

Risultati dei test psicodiagnostici

Il soggetto appare notevolmente ansioso, teso, nervoso e pervaso da sentimenti depressivi (prova sensazioni di infelicità, colpa e tristezza e tende a rimuginare e a preoccuparsi eccessivamente). Può riferire la presenza di disturbi somatici correlati ad ansia, fatica, stanchezza, rallentamento del linguaggio e delle funzioni psichiche (particolarmente di quelle ideative-cognitive, decisionali e della vita di relazione). Si mostra teso, “in allarme”, con atteggiamenti improntati a rigidità, perfezionismo, tendenti all’ordine e alla meticolosità. Nelle relazioni interpersonali si mostra intrapunitivo, anassertivo, passivo-dipendente e cerca di stabilire intensi legami emotivi nutrendo molte aspettative negli altri a copertura di profonde sensazioni di inadeguatezza, insicurezza e inferiorità (sembra subire costantemente la presenza di una sovrastruttura operante quale “critica” e “controllo” che determina i citati sentimenti di inferiorità e le conseguenti impasse decisionali). L’ostilità viene espressa attraverso modalità indirette.

Caso 2. F 41 (disturbo da attacchi di panico)

Comunicazione verbale e non verbale

Il primo “attacco di panico” è avvenuto tre mesi prima all’interno di un supermercato: ha abbandonato il carrello con gli acquisti ed è scappata. Da quel giorno la paziente deve essere accompagnata dalla madre a fare la spesa e non prende più mezzi locali di trasporto. All’inizio del colloquio sottolinea “Dottore, io non sono come i pazienti che vengono in questo Servizio Psicologico-Psichiatrico”. Tratta l’accaduto come se fosse un fatto successo ad altri. Non sa spiegare che cosa le sia successo nel supermercato, mantenendo un sistematico sorriso durante la narrazione. Ribadisce che lei è quella che è sempre stata: aperta e allegra, aggiungendo che, di fatto, nella sua vita non è cambiato nulla.

Il linguaggio non verbale si presenta invece maggiormente ricco di indicazioni. L’espressività del viso mostra un’univoca e serena mimica facciale, quasi fosse un sipario che serve a nascondere altri temuti scenari. L’abbigliamento ermetico (forse simbolo di difesa) non permette di osservare l’eventuale aumento della frequenza respiratoria durante il colloquio. La gestualità appare caratterizzata da una prudente difesa. Le mani si muovono con cautela e circospezione. Il tono della voce è uniforme senza inflessioni emozionali. Lo sguardo rimane fisso sull’interlocutore senza concedersi nessuno spostamento sull’ambiente.

Tale situazione pare evidenziare un inconsapevole “stato di allarme” del mondo interiore, come se tutte le energie fossero mobilitate per far fronte a un imprevedibile evento angosciante.

Sequenza psico-emotiva e cognitiva

La sequenza psico-cognitiva, osservata nei vari colloqui, pare evidenziare un antico legame con un sentire e pensare il proprio modo di essere che ha costruito un’immagine di sé indipendente, sicura e libera da limitazioni, fornita di autostima e fiducia in sé stessa. Tale assetto originario ha influenzato anche la comunicazione e il comportamento passando, con modificazioni formali, nell’adolescenza e nella maturità. La stabilità di questa (falsa) immagine di sé si è mantenuta sino al recente episodio, durante il quale al minimo contatto la paziente è letteralmente implosa, disorganizzandosi sensibilmente.

Nel tentativo di assomigliare ancora all’immagine idealizzata di sé (falso Sé), unica struttura personologica di cui ancora dispone, la paziente simula un complessivo equilibrio psichico (“non sono come i pazienti che segue”), aspetto smentito da una mimica facciale e un linguaggio corporeo che esprime silenziosamente inquietudine, paura, ansia e confusione esistenziale. L’incontro si chiude con una domanda rivelatrice di tale sentire “Dottore, ma devo ritornare?”.

Risultati dei test psicodiagnostici

Il soggetto con disturbo da attacchi di panico risulta depresso nell’umore e manifesta una notevole riduzione del suo repertorio comportamentale e una marcata polarizzazione ideoaffettiva su temi di sfiducia. Possono essere presenti sentimenti di colpa e valutazioni di incapacità. Le situazioni frustranti sono vissute come inevitabili e costrittive e danno luogo a sensi di ansietà diffusa. La visione di sé, della realtà e del futuro è decisamente pessimistica e ampiamente generalizzata.

Sono presenti accentuati segni di compiacenza formale conseguenti al bisogno del soggetto di accettazione e gratificazione a livello interpersonale, situazione dove anche l’autostima può risentire dei livelli di accettabilità sociale. Questi bisogni appaiono inseriti in un più generale quadro di dipendenza emotiva dall’ambiente. Il soggetto appare decisamente intollerante verso le situazioni nuove o caratterizzate da incertezza, nelle quali può sviluppare sentimenti di ansia, e tende a ridurle emettendo comportamenti di evitamento o pensieri ripetitivi (rimuginio). Il soggetto tende a nascondere internamente con sofferenza la sua ansia evitando di esplicitarla all’esterno. I principali segni sono legati a un rallentamento psicomotorio: abulia, sfiducia, assenza d’iniziativa. Generalmente il soggetto risulta ipercritico nella valutazione della propria capacità di affrontare situazioni difficili e tende a sopravvalutare i problemi reali, essendo eccessivamente prudente e analitico nel modo di affrontare la realtà. Vi è una tendenza comune nel negare la possibilità di sbagliare, cosa che determina una ridotta tolleranza alle frustrazioni.

Tale atteggiamento soggettivo ha come unico risultato quello di rinforzare l’immagine negativa e svalutativa della sua persona attraverso pensieri autocritici e autoaccusatori.

Presenta un atteggiamento immaturo e soprattutto rigido nell’affrontare nuove difficoltà. La struttura della personalità del soggetto è di tipo passivo-dipendente e presenta una sintomatologia fisica che ha come conseguenza l’accumulo di stress psicologico, con manifestazioni ansiose e attacchi di panico.

Caso 3. M 41 (stalking)

Comunicazione verbale e non verbale

La comunicazione verbale si evidenzia formale e solitamente priva di inflessioni emotive. Il paziente descrive la caratterologia genitoriale disegnando un padre permissivo e tollerante e una madre anaffettiva, distanziante e fredda verso i bisogni del bambino. Quando parla della sua ex compagna, la trama comunicativa è scandita da frasi quali “ho sbagliato”, “non dovevo”, “mi sono fatto prendere dalla rabbia”. Durante la narrazione del loro incontro sorride come un ragazzino innamorato.

Si mostra arrendevole e scandisce il discorso ripetendo di aver capito i propri sbagli. Le domande sulle cause della rottura del rapporto ottengono risposte che appaiono poco corrispondenti alla realtà dei fatti, nelle quali a volte viene inserito “l’amavo tanto”, “avevo per lei un amore sconfinato”. La sensazione è che il soggetto tenda a proporre un’immagine “migliorata” di sé nel tentativo di ridurre la possibilità di un giudizio sfavorevole nei suoi confronti. L’attività ideativa appare rigida e poco malleabile, con scarsa capacità di identificazione nell’altro.

L’ambito del linguaggio non verbale evidenzia un’espressività del volto che fa pensare all’adozione di una “maschera”. Lo sguardo dimostra molta attenzione all’interlocutore. In taluni momenti, la gestualità sembra derivare da uno schema infantile-adolescenziale che avviene all’interno di una dimensione ludica di gioco e di interazione. Durante la comunicazione nella quale il soggetto parla dell’ex partner, la variazione del tono di voce mette in luce l’irrompere di un’emotività rabbiosa. Nel corso della narrazione presenta tensione nella mascella, le mani subiscono contrazioni, a volte tendono a stringersi quasi dovessero agire rispetto alle emozioni che sta provando.

Sequenza psico-emotiva e cognitiva

Le modalità comunicative del soggetto aiutano a comprendere più chiaramente anche questa fase del processo psicodiagnostico. Una verosimile interpretazione sul piano conoscitivo e pratico del significato della sequenza analizzata mette in luce una dinamica particolare: la naturale sequenza del sentire → pensare → comunicare → agire sembra rigidamente legata a quella costruita nell’infanzia. Di fatto, tale successione evidenzia un netto passaggio tra sentire e agire che annulla il contributo delle altre importanti istanze (pensare e comunicare).

Il sentire mette in luce sentimenti di rabbia e aggressività verso una figura materna “abbandonica”, percezioni che sono transitate pressoché immutate nella vita adulta, stadio in cui l’originaria ferita psichica tende a percepire la rottura-separazione della relazione adulta come un comportamento che rievoca e riattiva i sentimenti abbandonici e di rifiuto vissuti. Inoltre, tale dinamica prevede che la ex compagna sia stata vissuta inconsapevolmente come “madre” e secondariamente come donna, e quindi che le richieste (silenti o comunicate) siano principalmente rivolte a questa prima figura con una carente capacità di identificazione con l’essere donna dell’ex compagna [15].

Risultati dei test psicodiagnostici

I sentimenti depressivi risultano particolarmente marcati, il soggetto mostra difficoltà nel differire il soddisfacimento degli impulsi, l’intolleranza per gli standard e i valori sociali.

È convinto che le persone intorno a lui siano ostili nei suoi confronti, è in costante tensione ed è incapace di tollerare la noia. Risulta spesso manipolatore, si presenta competente e sicuro, ma cela sentimenti di insoddisfazione e difficoltà. Il soggetto è incapace di mantenere relazioni durature, strette e responsabili con partner, familiari e amici, atteggiamento che determina relazioni improntate a una caratteristica oscillazione tra aggressività e passività. Le persone con questo profilo psicopatologico manifestano atteggiamenti caratterizzati da immaturità e narcisismo. La tendenza sessuale è spesso irregolare, con necessità di esperienze devianti: la propria struttura psicosessuale sembra principalmente indirizzata a constatare la vicinanza dell’altra e a colmare la sensazione interiore di vuoto, apparendo contrastante con il modello caratteristico della sessualità matura.

Si rileva una condizione di rabbia intensa sottostante a sentimenti di inferiorità, fallimento, immobilità e ambivalenza. Sono presenti evidenti sintomi depressivi con ansia e spunti fobici. Il soggetto tende a mostrarsi arrabbiato, ostile, immaturo, orale-dipendente (deprivazione e vuoto interiore) con forti bisogni di attenzione e sostegno, può manifestare problemi relativi all’autocontrollo. Di fatto, sono possibili episodi di “passaggio all’atto” (acting-out) e un orientamento verso comportamenti socialmente disapprovati: le capacità di controllo risultano difettuali e si rileva mancanza di insight.

Conclusioni

Il lavoro ha voluto evidenziare come il contemporaneo utilizzo delle modalità psicodiagnostiche descritte (test, prassi comunicativa e sequenza psico-emotiva) favorisca e renda maggiormente attendibile il processo diagnostico. Di fatto, l’utilizzo di tutti questi indicatori non si evidenzia come un’attività addizionale, avvenendo durante i consueti colloqui con il paziente. Applicata all’attività psicologico-psichiatrica, questa procedura è solitamente capace di segnalare aspetti (inconsapevoli) della personalità che non emergono dalla comunicazione verbale e si rivelano come tratti decisamente importanti per un inquadramento clinico maggiormente obiettivo del paziente.

Di fatto, l’interazione tra questi metodi permette di “esplorare” spazi psicodinamici nascosti da difese psichiche originarie che non permettono una comprensione chiara del funzionamento psichico e quindi della trama operativa a livello intra- e inter-personale del soggetto. Il lavoro ha anche ulteriormente verificato l’attendibilità dell’assioma “l’individuo non può non comunicare” [16]. Nel terreno diagnostico, l’attenta osservazione conferma questo principio, evidenziando come il paziente parli di sé anche attraverso i meccanismi di difesa attivati. Queste sono strutture che adottano un loro “linguaggio” sostitutivo della parola e si esprimono mediante un “lessico” particolare, semeiotica clinica interpretabile che aiuta e orienta il clinico a una diagnosi maggiormente realistica e affidabile.

Il processo descritto ha dimostrato un significativo legame tra quanto mostrato dai test psicodiagnostici e quanto emerge dall’interpretazione del linguaggio (verbale e non verbale) e dalla sequenza psico-emotiva e cognitiva, verificando conclusioni pressoché analoghe tra le diverse modalità di indagine clinica.

Il lavoro ha messo in luce come il problema della diagnosi psicopatologica possa giovarsi di una maggiore efficacia valutativa, adottando una modalità multivariata che esplori contemporaneamente i diversi aspetti della personalità del paziente, prassi affidabile che apporta una maggiore validità a questa importante struttura decisionale nel lavoro psicologico-psichiatrico.

Punti chiave

Fonti di finanziamento

Questo articolo è stato pubblicato senza il supporto di sponsor.

Conflitti d’interesse

Gli autori dichiarano di non avere conflitti d’interesse nella stesura di questo articolo.

Consenso alla pubblicazione

Il consenso alla pubblicazione è stato ottenuto dai pazienti qui descritti.

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