Colite da C. difficile in una paziente immunocompromessa trattata con fidaxomicina
Marcello Feasi 1
1 S.C. Malattie Infettive, E.O. Ospedali Galliera, Genova
Abstract
The incidence of C. difficile-associated colitis has significantly increased in recent years in hospitals and long-term healthcare facilities. It has a great impact on morbidity and mortality, particularly in high-risk patients (e.g. elderly and subjects with comorbidities or immunosuppression), who frequently have severe or recurrent infections and sometimes do not respond to conventional therapy with metronidazole or vancomycin. Fidaxomicin, recently approved in clinical use, is a new option for the treatment of C. difficile infections.
A 65-year-old woman with cryptogenetic decompensated cirrhosis underwent orthotopic liver transplantation and started immunosuppressive therapy. She had a prolonged hospitalization of nine months after transplantation with several infectious complications and numerous episodes of severe C. difficile-associated colitis. Metronidazole and vancomycin were not completely effective. Fidaxomicin showed a sustained clinical cure without other recurrence.
Keywords: C. difficile; Immunocompromised patient; Fidaxomicin
Clostridium difficile colitis in an immunocompromised patient treated with fidaxomicin
CMI 2015; 9(Suppl 1): 11-15
http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v9i1s.1039
Caso clinico
Disclosure
Il presente supplemento è stato realizzato con il supporto di Astellas Pharma S.p.A
Perché descriviamo questo caso
Data la crescente incidenza dell’infezione da Clostridium difficile, appare di cruciale importanza considerare la possibile presentazione di forme gravi e ricorrenti, specialmente nei pazienti immunocompromessi e sottoposti a lunghe terapie antibiotiche, e soprattutto analizzare le possibilità terapeutiche attualmente disponibili
Introduzione
L’infezione da Clostridium difficile, bacillo Gram-positivo anaerobio e sporigeno, rappresenta la causa più frequente di diarrea in ambito nosocomiale o correlata alle cure sanitarie in genere ed è classicamente definita “colite da antibiotici” per la abituale associazione con un precedente utilizzo di antibioticoterapie [1]. Negli ultimi anni l’impatto clinico di questa infezione, sia per morbilità sia per mortalità, è risultato in significativo aumento in relazione all’età sempre più avanzata e alle plurime comorbilità dei pazienti ospedalizzati o che accedono frequentemente ai servizi sanitari [2,3]. In effetti gli abituali fattori di rischio per lo sviluppo di questa infezione sono costituiti da:
Tra i soggetti ospedalizzati, quelli colonizzati da C. difficile risultano, a seconda delle varie casistiche, il 7-25%, e i casi sintomatici (presenza di ceppi di C. difficile produttori di tossina) il 2-8% [2]. L’infezione da C. difficile è poi, di per sé, causa di prolungamento dell’ospedalizzazione o di nuovi ricoveri di pazienti dimessi o residenti presso strutture assistenziali.
La significativa incidenza di questa infezione nei pazienti ricoverati pone problematiche relative all’utilizzo delle terapie antibiotiche per le altre patologie e quindi al trattamento dell’infezione da C. difficile stessa soprattutto nei casi di maggiore gravità o ad andamento protratto o recidivante [6]. Inoltre, le terapie cosiddette “standard” con metronidazolo o vancomicina in alcuni casi possono andare incontro a fallimento [7].
Recentemente una nuova molecola, fidaxomicina, primo antibiotico della classe dei macrociclici, è stata introdotta nella pratica clinica per il trattamento delle infezioni da C. difficile. Negli studi clinici fidaxomicina ha mostrato la non-inferiorità nell’efficacia terapeutica rispetto a vancomicina, un’ottima tollerabilità ma soprattutto un tasso di recidive post-trattamento significativamente inferiore [8].
Caso clinico
Una donna di 65 anni affetta da cirrosi epatica a eziologia criptogenetica è giunta per la prima volta alla nostra osservazione nel luglio 2012 per scompenso epatico con ascite. In anamnesi risultavano inoltre le seguenti patologie: fibrillazione atriale parossistica e ipertiroidismo.
La paziente, dopo l’iniziale stadiazione biochimica e strumentale epatica (MELD score = 18), è stata inviata per la presa in carico presso un Centro trapianti d’organo. In considerazione del progressivo peggioramento clinico e dei parametri di funzionalità epatica osservato nei mesi successivi, la paziente è stata ricoverata a novembre 2012 presso la Terapia Intensiva Epatologica del Centro Trapianti e durante tale degenza ha manifestato un primo episodio di colite da C. difficile, trattata con vancomicina e risolta dopo 10 giorni di terapia. La paziente, quindi, è stata sottoposta a trapianto ortotopico di fegato nel dicembre 2012 (MELD score = 34 al trapianto) con inizio della terapia immunosoppressiva con everolimus, micofenolato e prednisone.
Il decorso post-trapianto è stato caratterizzato da numerose complicanze infettive, quali pleuro-polmonite, infezione urinaria da K. pneumoniae multi-resistente, due episodi di peritonite batterica spontanea, riattivazione dell’infezione da Cytomegalovirus, per le quali la paziente è stata trattata con le terapie di volta in volta mirate anche per tempi prolungati. Sempre in continuità dello stesso ricovero, nel gennaio e febbraio 2013 si sono verificate recidive dell’infezione da C. difficile, trattate la prima con metronidazolo (risolta dopo 12 giorni di terapia) e la seconda con vancomicina (guarita dopo un trattamento di 10 giorni). Inoltre in relazione al quadro clinico di encefalopatia associato a insufficienza respiratoria la paziente è stata trasferita in Terapia Intensiva, dove ha avuto una pleuro-polmonite da S. maltophilia e insufficienza renale acuta con necessità di emodialisi temporanea.
La paziente è stata quindi nuovamente trasferita presso la degenza semi-intensiva, dove ha manifestato una recidiva grave di colite con stato tossiemico e distensione colica trattata per tempo protratto con vancomicina associata a tigeciclina e.v. con lento miglioramento fino a stabilizzazione dopo 20 giorni di terapia.
Parametro |
Valore rilevato |
Valori normali |
Emoglobina (g/dl) |
8,6 |
12,3-15,3 |
Creatinina (mg/dl) |
2 |
0,5-0,9 |
Clearance creatinina* (ml/min) |
25 |
90-130 |
Albuminemia (g/dl) |
2,4 |
3,5-5,2 |
Proteina C reattiva (mg/dl) |
7,6 |
< 0,5 |
Tabella I. Risultati degli esami ematochimici effettuati alla paziente a giugno 2013
* calcolata secondo MDRD
Dopo la degenza di sette mesi presso il Centro Trapianti, la paziente è stata trasferita al nostro reparto di Malattie Infettive nel giugno 2013: le condizioni generali e di trofismo risultavano molto scadenti, con evidente prostrazione in relazione al prolungato decorso clinico con allettamento; gli esami ematochimici evidenziavano anemia con Hb = 8,6 g/dl, insufficienza renale con creatinina = 2 mg/dl, clearance della creatinina calcolata sec. MDRD = 25 ml/min, albuminemia = 2,4 g/dl, proteina C reattiva = 7,6 mg/dl (Tabella I).
Nel corso della degenza, inoltre, abbiamo osservato infezioni urinarie da P. aeruginosa e E. faecalis, un nuovo episodio di encefalopatia con stati confusionali e intense parestesie agli arti inferiori, fratture spontanee delle vertebre dorsali trattate con vertebroplastica. Inoltre si è verifica una nuova recidiva di colite da C. difficile ad andamento protratto trattata con metronidazolo con modesta risposta clinica.
In considerazione di tale decorso di una paziente immunocompromessa e ospedalizzata da lungo tempo, si è deciso di procurare fidaxomicina, un farmaco recentemente approvato per l’utilizzo clinico ma non ancora commercializzato in Italia1. La paziente è stata trattata con fidaxomicina alla posologia standard di 200 mg ogni 12 ore per 10 giorni: durante la terapia non si sono evidenziati eventi avversi e si è osservato un significativo miglioramento clinico fino alla risoluzione completa della sintomatologia diarroica a 7 giorni dall’inizio della somministrazione del farmaco. Nelle settimane successive, inoltre, non si sono osservate recidive.
La paziente, conseguentemente al miglioramento delle condizioni generali e iniziata la riduzione posologica dei farmaci immunosoppressivi, dopo tre mesi di degenza nel nostro reparto, è stata dimessa con rientro al domicilio.
Nella Tabella II è riportato il decorso clinico della paziente limitatamente alle infezioni da Clostridium difficile.
Al follow-up a 18 mesi la paziente risulta libera da infezione.
Farmaco usato |
Tempo in terapia |
Risoluzione diarrea |
Prima infezione |
||
Vancomicina |
14 giorni |
Sì, dopo 10 giorni |
Prima recidiva (dopo 2 mesi) |
||
Metronidazolo |
14 giorni |
Sì, dopo 12 giorni |
Seconda recidiva (dopo 1 mese) |
||
Vancomicina |
14 giorni |
Sì, dopo 10 giorni |
Terza recidiva, grave (dopo 2 mesi) |
||
Vancomicina + tigeciclina |
25 giorni |
Sì, dopo 20 giorni |
Quarta recidiva (dopo 2 mesi) |
||
Metronidazolo |
14 giorni |
No |
Fidaxomicina |
10 giorni |
Sì, dopo 7 giorni |
Tabella II. Riassunto schematico delle risposte cliniche della paziente alle terapie somministrate per l’infezione da Clostridium difficile nei diversi reparti di degenza
Discussione
L’infezione da C. difficile, conseguentemente all’aumentato impatto epidemiologico e clinico, si è caratterizzata negli ultimi anni per le seguenti criticità:
Oltre ai pazienti anziani e lungodegenti, anche quelli immunocompromessi per qualsiasi causa sono a maggior rischio di presentare tali quadri clinici e le relative complicanze.
Figura 1. Fattori che hanno contribuito all’insorgenza e in seguito all’andamento recidivante dell’infezione da Clostridium difficile
Come evidenziato in letteratura [12,13], la condizione di immunocompromissione, come ad esempio quella che si verifica a seguito dei trapianti di cellule staminali, di midollo o d’organo solido in terapia immunosoppressiva o nell’infezione da HIV, costituisce un fattore di rischio indipendente per l’infezione da C. difficile. Infatti l’alterazione dell’immunità umorale di questi pazienti aumenta il rischio di colonizzazione da C. difficile e di sviluppo di quadri clinici più gravi e recidivanti.
Nel caso clinico descritto si è evidenziata la coesistenza di plurimi fattori di rischio per l’infezione da C. difficile:
Tutti questi fattori hanno contribuito all’insorgenza di colite da C. difficile caratterizzata da episodi di grave intensità e ad andamento recidivante mantenuto proprio dallo stato di immunosoppressione cronica (Figura 1).
La paziente è stata trattata con ripetuti cicli di metronidazolo o vancomicina alle posologie e per i tempi convenzionali, ottenendo solo una risposta clinica parziale o temporanea. In effetti vari studi hanno stimato che il tasso di fallimento terapeutico con tali molecole può raggiungere il 15% [7,14], con maggiore frequenza nei pazienti con plurimi fattori di rischio sopra descritti.
Fidaxomicina è stata introdotta recentemente nella pratica clinica per la terapia della colite da C. difficile [15]. Questa molecola si caratterizza per lo stretto spettro antibatterico con un minimo impatto sulla microflora enterica, l’attività battericida e di inibizione della formazione di spore di C. difficile e il raggiungimento di elevate concentrazioni fecali. Tali caratteristiche risultano importanti per la possibilità di trattamento delle forme più gravi di questa infezione in pazienti complessi.
Gli studi clinici di confronto tra fidaxomicina e vancomicina hanno evidenziato la non inferiorità nell’efficacia clinica della prima ma soprattutto un tasso di recidive di infezione significativamente inferiore. Inoltre, l’efficacia clinica duratura è risultata maggiore con fidaxomicina [14,16]. L’efficacia e la tollerabilità di fidaxomicina sono state anche confermate in casistiche di pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali o d’organo solido [12].
Nel caso descritto il trattamento con fidaxomicina è stato ben tollerato, non ha determinato alterazioni delle concentrazioni della terapia immunosoppressiva ed è risultato prontamente efficace, verosimilmente per una maggiore azione di bonifica intestinale. La paziente nel follow-up anche a lungo termine non ha manifestato ulteriori recidive.
Conclusioni
Fidaxomicina rappresenta una nuova opzione terapeutica a disposizione del clinico per l’infezione da C. difficile. Le caratteristiche farmacologiche, la tollerabilità e soprattutto l’efficacia clinica associata al minor rischio di recidive, rispetto ai trattamenti convenzionali, sono aspetti favorevoli per un suo utilizzo soprattutto nei quadri clinici più gravi e ricorrenti dei pazienti con comorbilità e immunocompromissione [17,18].
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1 Fidaxomicina è disponibile in Italia da novembre 2013