Del simbolo atanasiano / Leopoldo de Feis. .C ho rei ~C.v+Aa/r^ AUf m ' e y'/ 'ccks/k YtoO Xa[xpavò|xsvov xaì Tuaxsoòjievov. « Spi- « rito increato che procede dal Padre che noi riceviamo per il Figlio « ed in cui per il Figlio crediamo » (1). Nel simbolo inoltre è det- to: « Fides autem eatholica haec est, ut unum Deum in Trinitate « et Frinitatela in unitate veneremur, non confnndentes personas « neque substantiam separalites. » Questo è tutto contro Pri- scilliano, il quale al dire di Orosio « Trinitatem solo verbo loquebatur, nani unionem absque ulta existentia aut proprietate adserens, sub- fi) La versione di questo luogo data dal Franzelin ed accettata dal IuDgmaun (Diss. II p. 119) « aecipit et esse creditur ex Filio » non è accettabile. 5 — lato et, Patrem Filium Spiritimi Sanctum liunc esse unum Ohristum docebat » (1). In sostanza, secondo Orosio, Priscilliano non avreb- be ammesso che la differenza nominale nella Trinità secondo 1’ ere- sia di Sabellio. hToi non sappiamo se l’errore imputatogli da Orosio, veramente Priscilliano l’avesse sostenuto : però possiamo prestargli fede vedendo come nella sua stessa Apologia insista sulle voci uno e singolare. Così scrivendo a S. Damaso Papa, dopo aver condan- nate tutte le eresie e detto doversi battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, aggiunge : « Non dicit (Scriptura), in nominibus tamquam in multis sed in uno, quia unus Deus trina potestate venerabilis omnia et in omnibus Ghristus est » (2). Il mede- simo nell’ Apologetico (p. 6), dice : « Ipse (Christus) est qui fuit est et futurus est, et visus a saeculis verbum caro factus inhabita- vit in nobis.... In coelos venientibus ad se iter construit totus in Patre et Pater in ipso.... sicut Johannes ait : tria sunt quae testi- monium dicunt in terra, aqua, car,o et sanguis, et ìiaec tria unum sunt ; et tria sunt quae testimonium dicunt in coelo Pater, Verbum et tSpiritus et haec tria unum sunt in Christo lesu » (3). Dalle quali parole si può argomentare che Priscilliano riducesse la Tri- nità all’ unica persona di G. 0. e perciò il simbolo sentenziava altra essere la persona del Padre, altra del Figlio ed altra dello Spirito Santo. Ma una delle ragioni per cui fu negata a S. Atanasio la pater- nità del simbolo è il vedersi in esso una professione di fede con- traria alle eresie cristologiche di Nestorio e di Eutiche sorte molto tempo dopo di lui. Ora se questa opinione ha influito a rapirgli tale gloria, ha ancora bisogno di essere dimostrata vera. In quanto a me sarei d’ avviso di tenerla per falsa; ed eccone il perchè. (1) Orosii ad Augustinum Commonitorium, ed. Scheps p. 154. (Priscill. oper. Vindob. 1889). (2) Priscill. ad Damasum Epist. II §. 45 ed. c. (3) La confessione esplicita dei tre testimoni (I Ioh. v. 7-8) fatta da Priscil- liano verso il 383, cioè circa il tempo dei più antichi codici che noi abbiamo, riferita nella versione dell’ antica itala, unita a quella pur esplicita di S. Cipria- no del III secolo (Dicit scriptura : « ego et Patér unum sumus » : et iterum de Patre et Filio et Spiritu Sancto scriptum est * et tres unum sunt. » — De uni- tate Eccl. p. 250 Yen. 1547), il quale anch’ egli servivasi d’ una versione del sec. II. secondo la testimonianza stessa del Tischendorf, da un gran colpo al- 1’ opinione di coloro che credono intruso il vers. 7 di S. Giovanni, poggiati solo sopra argomenti negativi, sopra il silenzio cioè dei codici. Anche una spiegazio- ne del simbolo Niceno, che è dei tempi di S. Damaso, allude, secondo me, a questo testo quando scrive: « Pater Deus, et F. D. et S. S. D. et hi tres unum sunt in lesa Cristo » (Mansi, Supp. ad Cono. I. p. 241, Lucae 1740). 6 — Anzi tutto è provato che il simbolo è sorto in Occidente, e T Oc- cidente non fu macchiato mai dell’ eresia di Nestorio e di Eutiche; quindi non facea d 7 uopo istruire il popolo contro un errore che non c7 era. Difatti, tra vari commentarii che si hanno del simbolo solo uno, quello di Troyes, del secolo X ed abbastanza prolisso, ac- cenna a Nestorio, e nemmeno a proposito, nello spiegare le parole « non conversione divinitatis in carnem »; gli altri tutti parlano di Ario e di Sabellio per ciò che si riferisce alla divinità del Figlio ed alla Trinità personale. Insommala dottrina di Nestorio è in radice condannata (lai Simbolo, ma non è tenuta presente ; altrimenti si sarebbe fatto un cenno più chiaro ed esplicito ai dodici anatemi di S. Cirillo ed alla divina maternità della Beata Vergine, per la cui causa specialmente Nestorio suscitò tanto scandalo nella Chiesa di Oriente. Nè il monofisitismo di Eutiche è espressamente avuto di mira dal simbolo. Il quale dice che il Cristo è uno « non conversione « divinitatis in carnem, sed assumptione humanitatis in Deum » ; ed i monofìsiti invece credevano che le due nature si fossero confuse in modo che la divina avesse come assorbita la natura umana, sic- ché dopo V incarnazione non ne sussistesse che una sola, e questa di- vina. Contro la quale eresia S. Leone scrisse la celebre epistola dommatica a Flaviano di Costantinopoli, e da cui nulla fu tolto dall7 autore del simbolo. Anche la sostanza del verso « aequalis Pa- « tri secundum divinitatem, miuor Patre secundum liumanitatem » è così espressa da S. Leone: « De nostro enim illi est minor Patre humanitas, de Patre illi est aequalis cum Patre barmanitas » (IV in tDv/ fin.). Meglio al simbolo si avvicina S. Agostino, quando dice G. C. « aequalein Patri secundum divinitatem, minorem autem Patri se- cundum carnem hoc est secundum hominem. » (Ep. 137). Non Nestorio nè Eutiche dunque ebbe di mira il Simbolo, ma Ario specialmente ed Apollinare. E quando G. C. è detto « perfetto Dio è perfetto uomo », contro questi due eresiarchi specialmente è detto: « Adversus Arium veram et perfectam Verbi divinitatem, adversus Apollinarem perfectam liominis in Christo defeiulimus ve- ritatem ». Così S. Agostino (Serm. 238J. E giacché questo è un argo- mento precipuo della presente questione, giova trattarlo più parti- colarmente. Il Simbolo dice che G. C. è perfetto uomo « ex ani- « ma rationali et lmmana carne consistens ». Ora l 7 errore principale di alcuni Ariani e specialmente degli Apollinaristi era che nega- vano al Cristo l 7 anima razionale, la Xoyix^, diceudo che il Ver- ino faceva le veci della medesima; e solo gli attribuivano l 7 anima sensitiva, la àloyog. Non è possibile, dicevano, che il Cristo fosse un perfetto uomo, perchè ove ha perfetto uomo, ivi ha pec- — 7 cato, e similmente due perfetti non possono divenire uno: Aio xéXsta £v ysvéa^at oò Sùvaxai. « Confessiamo, diceva lo stesso Apollinare , che il Verbo di Dio non venne ad un uomo santo come ai Pro- feti ; ma lo stesso Verbo si fece carne, senza però aver presa la mente umana, mente mutabile che è soggetta a turpi pensieri, ma la divina immutabile e celeste ». Perciò un Simbolo attribuito a S. Girolamo, come fatto per ordine di S, Damaso, dice espressa- mente che G. 0 . prese dalla B. V. carne, anima e senso. « Natus ex Virgine carnem animam et sensum, hoc est perfectum suscepit hominem » (1). Stando così le cose, io trovo che le verità professate nel simbolo sono le medesime, di cui si occupò il celebre Sinodo Alessandrino presieduto da S. Atanasio nel 362, e m’ imagino che ciò abbia dato occasione di far credere che Fautore del medesimo sia questo grande Dottore della divina Trinità. Il Sinodo Alessandrino è uno dei più famosi del IV secolo; e per la materia trattata e per T approvazione che ebbe da tutto V Oriente ed Occidente, compreso il Romano Pontefice, potrebbe anche considerarsi come Concilio Generale. Esso dapprima si oc- cupò dello scisma d ? Antiochia soggetta in quel tempo a tre partiti, dei quali ciascuno avea il suo capo, degli Ariani cioè sotto Euzoio, dei Meleziani sotto S. Melezio e degli Eustaziani con Paolino allora semplice prete. Ma V affare andò a male per la troppa fretta di Lu- cifero di Cagliari lasciato ad Antiochia per conciliare gli animi. Il Concilio avrebbe voluto che i Meleziani si fossero uniti agli Eusta- ziani, i quali per parte loro mancando di Vescovo avrebbero dovuto riconoscere Melezio. Ma Lucifero consacrò Paolino e lo scisma durò per molti anni ancora (2). Si trattò in secondo luogo della spinosissima questione dell’am- raettere o no alla comunione della Chiesa i caduti nell’ eresia di Ario; e specialmente se si dovessero assolvere e conservare nel loro grado i Vescovi che in qualche maniera avessero dato mano alla eresia, o professandola o communicando cogli eretici; ed in mezzo ai troppo indulgenti ed ai troppo rigoristi si venne ad una compo- sizione dei pareri, decidendosi che i capi ed autori delle eresie fos- sero senza remissione deposti, e se pentiti, ammessi come laici so- lamente alla communione; e gli altri che o per violenza o per igno- (1) Cfr. Migne S. Athau. op. De Incarnat. D. JV. I. C. contro, Apollinarem n. 736 segg. ; Leontii Byzant. Advers. fraudes Apollinaristarum. 1. c. p. 331 n.; Burn 1. c. p. 64. (2) Leopoldo de Feis. Storia di Liberio Papa e dello scisma dei Semiariani. (Studi e Documenti di Storia e Diritto, a. 1894 c. Vili). Estratti, p. 156 segg. 8 — ranza o per inganno avessero partecipato in qualsiasi modo all’ere- sia, fossero riabilitati e confermati nel loro ufficio e dignità. Questa decisione fa presa anche da tutto 1’ Occidente e fu occasione dello scisma che a torto prese il nome da quel gran difensore della giu- stizia e della fede nicena, che fu Lucifero di Cagliari (1). Ma per ciò che più direttamente ci riguarda, il Concilio vuole che gli Eustaziaui rappresentanti del partito ortodosso ricevano sia quelli che tornavano dall’Arianesimo, sia i Meleziani, della cui fede alcuni dubitavano, come discepoli e pupilli; e non pretendano altro da loro se non che condannino 1’ eresia di Ario, e professino la fede nicena. Comanda inoltre che anematizzino quelli che dicono creatura lo Spirito Santo e diviso dalla sostanza del Verbo, e con- dannino Sabellio e Paolo Samesateno, Valentino, Basilide ed i Manichei. Ma siccome c’ erano alcuni che ammettevano tre ipostasi nella Trinità ed altri una sola, furono interrogati sul senso dato alle parole, ed avendo i primi risposto che intendevano colle medesime ammettere nella divinità tre persone distinte e gli altri una sola essenza o sostanza, furono lasciati tutti liberi nella loro credenza col patto che professassero la fede nicena. Però contro alcuni più sospetti fu fatto un vero processo, e furono interrogati, se profes- sando tre ipostasi, intendessero colle medesime tre sostanze diverse tra loro, e ciascuna per sè divisa dalle altre come le creature e diverse come Toro, V argento ed il bronzo; oppure se ammettes- sero come altri eretici, tre principii o tre Dei. Ma essi risposero che nulla di tutto ciò professavano; che credevano alla Trinità non nominale soltanto, come i Sabelliani, ma reale e sussistente, cioè credevano esistente e sussistente il Padre, sostanziale e sussistente il Figlio, sussistente ed esistente lo Spirito Santo. Nè avevano mai detto che vi fossero tre principii o tre Dei, ma riconoscevano nella santa Trinità una sola deità ed un solo principio, ed il Figlio con- sustanziale al Padre, e lo Spirito Santo non una creatura nè alieno ma proprio e indiviso dalla sostanza del Figlio. Dopo questi furono interrogati quelli che professavano una sola ipostasi, se nel senso di Sabellio ciò dicessero, con cui si toglie di mezzo il Figlio e lo Spirito Santo, ovvero se credessero che il Verbo mancasse di sostanza e lo Spirito Santo d’ipostasi. Fd essi risposero che per ipostasi intendevano dire sostanza; chè credeva- no in una sola deità ed in una sola natura, nè dicevano altra es- sere la sostanza del Padre, altra del Figlio, altra dello Spirito (1) Leopoldo de Feis, 1. c. — 9 — Santo. Così si vide che quelli che ammettevano tre ipostasi pro- fessavano la stessa dottrina di quelli che ne ammettevano una e fu deciso che non si dovessero più oltre inquietare e che si pas- sasse sopra alle pure voci. La dottrina della divinità e delle relazioni della Trinità fu ancora tratteggiata in poche parole da S. Atanasio nella lettera che scrisse all’ imperatore Gioviano, raccomandandogli e commen- tando la fede Nicena. A questa accennando, S. Gregorio ^Nazianzeno dice che quegli fu il primo e il solo, o in compagnia di pochissimi, che professasse apertamente e chiaramente in iscritto la trinità e la unità sostanziale nella divinità. np&xog %aì póvo$ xal aòv <5X£- you; dbwxAjJuy xy]v àXyjfrstav aacpàjg oòxaoai xoà Sta^^Syjv xwv xpitpv 9’SÓxyjxa xai oòatav éyypcc:pco£ ó[ioXo^y]^ccc, (1). Tanto per la divina Trinità. Siccome poi sembrava che alcuni monaci presenti al Concilio Alessandrino non rettamente sentissero della Incarnazione del Salvatore, così furono interrogati aneli’ essi. Risposero che non credevano alla venuta del Verbo allo stesso modo come nei profeti è scritto : « Factum est Verbum Domini »; ma confessavano che lo stesso Verbo si fece carne e rimanendo Dio prese la forma di servo. Aggiunsero inoltre che credevano avere il Salvatore preso non un corpo inanimato ed insensibile e senza mente, non essendo possibile che fattosi il Signore per noi uomo, il suo corpo potesse sussistere senza mente (2). Dopo tali dichiarazioni il Concilio dichiara che nemmeno essi sieno da in- quietarsi, ma che come amanti della pace sieno da riceversi nella communione cattolica. Questo breve sunto che abbiamo tolto, non dagli Atti del Con- cilio che più non abbiamo, ma dalla lettera sinodale, ci mostra che nella Chiesa si voleva in questo tempo sacrificare alla pace ogni questione di parole, quando fosse salva la fede, e che la dottrina della Trinità e della divina Incarnazione fu trattata e sviluppata in ogni sua parte per togliere qualunque appiglio a tutti gli ere- tici presenti e futuri. Lo stesso vediamo fatto nel Simbolo Atana- siano, in guisa che possiamo dire che se S. Atanasio non n y è Fau- tore, ne fu come 1’ ispiratore, sì che i posteri V attribuissero a lui. Certamente gli Atti del Sinodo non rimasero in Alessandria , ma (1) S. Greg. Naz. Orai. XXI, 33; Theod. IV. 3. Questi dice che S. Atanasio prima di rispondere a Gioviauo convocò per consiglio pochi vescovi, cui allude S. Gregorio Nazianzeno. (2) Per Apollinare, come abbiamo veduto sopra, la mente era la divina ; e forse i monaci mandati al Concilio o non erano entrati nell’ animo del loro Ve- scovo, ovvero giuocavano di astuzia. 10 — furono mandati e distribuiti in tutto l’Oriente ed Occidente e ser- virono di regola per ammettere alla communione cattolica tutti gli eretici o sospetti di eresia. « Assensus est buie sententine Occidens et per tam necessarium Concilium e Satanae faucibus ereptus est mundus » dice S. Girolamo contro i Luciferiani. In Italia ed a Roma specialmente gli Atti furono portati da S. Eusebio di Vercelli e da Lucifero di Cagliari (1); ed una tradi- zione Vercellese antichissima fa S. Eusebio autore con S. Atanasio del Simbolo ed insieme traduttore, che poi avrebbe portato a Roma e presentato al Papa Liberio (2). Inoltre 1’ IJghelli nel T. IV del- P Italia Sacra scrive che S. Gaudenzio Vescovo di Brescia fece un commentario sul Simbolo di Atanasio il quale sarebbe nell’ an- tica « Bibliotheca Patrum » ove sinora non è ancora apparso. Però queste opinioni, quantunque non sieno accettabili, pure ci ripor- tano al sinodo Alessandrino come fondamento del simbolo. Quelli poi che ne fanno autore S. Atanasio si dividono in due partiti. Altri dicono che lo componesse quando fu esiliato a Tre- viri da Costantino, ed altri quando fu chiamato a Roma da S. Giulio. Il titolo premesso ai più antichi codici greci del simbolo accenna a questa seconda sentenza. Esso quivi è detto sx&saig opo- Xoyiag xyfe xaO’oXiwjs matscog xoo ixsyocXou ’A&avaacoo ILxTpidpxoo ’AXs£av§pwcs Tcpòg ’IoóXiov nóTtav (3). Il Papa Gregorio IX pare che sia della prima nella professione di fede che mandò per mezzo dei suoi legati a Costantinopoli il 1234. « Propterea quicumque non crediderit Spi- rito in Sanctum a Filio procedere in via perditionis esse. linde S. Athanasius, dum in partibus occidentalibus exulabat, in expositione fide! quam latini s verbis reddidit, sic ait: Pater a nullo est factus •etc. (4). L’ una e Y altra sentenza è falsa ; solo è vero che il sim- bolo fu scritto originariamente latinis verbis, come riconosceva il Papa, e che il testo greco è versione dal latino: fatto ormai rico- nosciuto da tutti, antichi e moderni. I codici che ne riportano il testo originale ed intero, come quello che si legge anche presentemente, non vanno più al di là del secolo Vili. Le fonti però sarebbero del IV e V secolo. Ed è cosa degna di nota che di 40 versetti di cui si compone il sim- bolo, più della metà sono o sembrano tolti dalle opere di S. Ago- (1) L. de Feis, 1. c. (2) Io. Sleph. Ferreri, S. Eusebii Vercell. Ep. et Martyr, Vita et res gestaey Vercellis a. 1609, p. 86 seg. (3) Genebrardi. De SS. Trinitate , III, p. 189 seqq. Migne P. G. XXVIII, p. 158 segg. (4) Mansi Sappi, ad Cono. Voi. II, p. 999 seqq. — li- stino, alcuni si trovano in quelle di Fausto e Vincenzo di Lirino (1), e più alla lettera nella professione di fede fatta nel Concilio di Toledo Panno 633. Però va osservato clie mentre tanta uniformità di frasi si trovi tra il simbolo c la detta professione, questa non accenna adatto a quello, ma alle divine scritture ed alla dottrina dei santi Padri; la qual cosa indurrebbe a credere che ai vescovi di Toledo esso non fosse affatto noto. « Secundum divinas seri- pturas et doctrinam quam a sanctis Patribus accepimus, Patrem et Filium et Spiritum Sanctum unius deitatis atque substantiae confìtemur, in personarum diversitate Trinitatem credentes in divi- nitate, * unitatelo praedicantes, nec personas eonfundimus , nec sub- stantiam segaramus. Patrem a nullo factum vel genitum dicimus; Filium a Patre non factum nec genitum asserimus; Spiritum vero Sanctum non creatum nec genitum sed procedentem ex Patre et Filio profitemur. Ipsum autem Pominum nostrum Iesum Christum Pei Fi- lium... ex substantia Patris ante saecula genitus... Incarnatus est ex Spirita Sancto et... Maria Virgine... aequalis Patri secundum divini- tatem, minor Patre secundum humanitatem... haec est Catholieae Fcclesiae fides; liane confessionem conservamus atque tenemus; quam quisquis firmissime custodierit perpetuam salutem habebit » (2). Dopo il Concilio di Toledo un canone del sinodo d’Autun (c. il 670) nomina una « fìdem S. Athanasii »; ma che questa sia il simbolo di cui ci occupiamo, o piuttosto il Niceuo, non è ben chiaro. Pare tuttavia che veramente sia l’Atanasiano, perchè trat- tasi dell7 obbligo fatto al clero di saperlo a mente ed insegnarlo insieme al simbolo apostolico. « Si quis presbyter... symbolum quod sancto inspirante Spiritu Apostoli tradiderunt et Fidem S. Athanasii praesulis irreprehensibiliter non recensuerit ab Episcopo condemnetur ». Questa legge è conforme a ciò che è detto in un sermone attribuito a S. Cesario d7Arles (503-543), che cioè il clero debba tenere a mente il « Sermonem Athanasii Episcopi, cuius inicium est « Quicumque vult » (3). Il Burn con queste ed altre autorità che alludono al simbolo conchiude che esso dovette essere formato al secolo V nella Gallia da un discepolo di S. Agostino. E risalendo sempre da uno ad altro autore, è venuto nella persuasione che il luogo fosse il mo- nastero di Lerino (Cannes), in cui erano stati educati Fausto, Vincenzo e Cesario. Inoltre vuole che sia stato composto fra gli (1) Burn, 1. c. p. 48 seqq. (2) Labbaei, Condì. VI, p. 1449 seq. Venet. 1729. (3) Burn, 1. c. p. LXXVIII, LXXXV. — 12 — anni 425-430 (1). Forse la proposizione parrà ad alcuno audace; però ha molti gradi di probabilità e nou può esser leggiermente criticata. Anzi se si volesse fare un nome, si potrebbe giudicare opera dell’abbate Onorato fondatore e capo del monastero e scuola di Ferino, e maestro di Ilario di Arles, di Vincenzo autore del celebre Commonitorio, di Lupo di Troyes, e Fausto terzo abbate di Ferino e Vescovo di Biez. Di lui il suo discepolo Bario scrive: « Quotidianus in sincerissimi tractatibus confessionis Patris ac Filii ac Spiritus Sancti testis fuisti, nec facile tam exerte, tam lucide quisquam de divinitatis Trinitate disseruit, cum eam per- sonis distingueres et gloriae aeternitate ac maiestate sociares ». Certo questa medesima lode diè il Xazianzeno a S. Atanasio; nè v ? ha trattato tanto semplice e chiaro che spieghi il mistero della SS. Trinità, quanto il Simbolo atanasiano. E Fausto : « Ergo se- quamur illa prius quae docuit : teneamus in primis fidem rectam. Credamus Patrem et Filium et Spiritino Sanctum unum Deum. Ubi enim est unitas esse non potest inaequalitas etc » (2). Co- munque però sia la cosa, è certo che non è di Vigilio di Tapso fiorito nella seconda metà del secolo Y, al quale l’attribuì il Que- snel che fu seguito dal Paggi e da altri. F’ unica ragione che si porta., è che Vigilio sotto il nome di S. Atanasio pubblicò vari dialoghi contro gli Ariani. Però sta contro, che il simbolo non è un dialogo; ed una spiegazione o trattato di lui sugli attributi di Dio è mille miglia lontano dal nostro per stile e per forma (3). Stando così le cose ed avendo codici che riportano intiero il simbolo nell’ Vili e IX secolo, non che vari commentari del me- desimo segolo che lo dicono di S. Atanasio, il che denota che esso dovette essere compilato molto tempo innanzi, cade la sentenza di quelli che dicono il simbolo intero essere stato formato tra Tanno 860 ed 870. Di questa opinione sono lo Swainson ed il Hurnby (4). Basterebbe a farli ricredere il solo frammento di Treviri scritto circa il 730, ma che il libraio lo dichiara copiato da uno più an- tico. « Haec invini Treviris in uno libro scriptum sic incipiente... Domini nostri Ihesu Còristi fìdeliter credat. Est ergo fìdes recta ut credamus et confitemur » ecc. e così in seguito fino al termine del simbolo con poche varianti (5). Cade ancora la sentenza dello (1) Burn, 1. c. p. XCV seq. (2) Hylarii Vita S. Honorati, c. 38; Euseb. Coll. 72, in Depositione S. Honorati. (3) Cfr. Lib. Ili, contra Varimadum. Migne P. L. Tom. LXII, p. 411 seg. (4) Swainson, The Nicene and Apostles Creeds 1887. Lumby, Historie of thè creeds. 1887. (5) Burn, 1. c. p. XXV segg. — 13 — Harnack che crede essere stato il simbolo composto in due tempi diversi, la prima parte durante il regno dei Visigoti ariani in Spagna (V-VI secolo) e la seconda, cioè la cristologica, in un tempo incerto, ma, come ei pensa, nell’ VIII-IX secolo (1). Il simbolo è un ampliamento dell’Apostolico e del Xiceno, quindi non poteva essere formato che una sola volta e di un sol pezzo. E poi non abbiamo il sinodo di Autun del VII secolo che già nomina la fides S. Athanasii ? ed il codice di Treviri della prima metà del secolo Vili che riferisce la seconda parte come frammento d' un libro antico? S*e dunque la prima parte è del V secolo del medesimo tempo sarà anche la seconda. Tanto più che, come abbiamo osser- vato, le questioni cristologiche ivi svolte sono quellé stesse che furono definite nel sinodo alessandrino. Se fosse stato fatto dopo , avremmo, ciò che manca, le definizioni intorno al Xestorianismo, al Monofitismo, al Monotelismo ed all' Adozianismo. Abbiamo detto innanzi che di 40 versetti di cui si compone il simbolo più della metà sono stati tolti dalle opere di S. Agostino, ed il resto da altri autori. Questo mostra che il simbolo non è altro che una felicissima compilazione fatta per chiarire le verità fondamentali della nostra fede, accennate tutte nel simbolo Apo- stolico e Xieeno. Essendo poi stato accettato come autorità da tutta la Chiesa occidentale ed orientale è una vera definizione della fede (2), una vera « fides catholica » come nel simbolo stesso è chiamata e fu intitolata nei più antichi codici. Ma intorno a ciò non ci fermiamo di più. Solo amo conchiudere con una osservazione sopra il v. 22. del simbolo che tratta della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. Se questo è dell 7 epoca assegnatagli dal Burn, il dogma della processione dello Spirito Santo sarebbe entrato nel simbolo o nella Fides ca- tholica approvata da tutte le Chiese, prima che in quello di Toledo del 447 e prima che in quello Xiceno-Costantinopolitano, per opera d’ un altro Sinodo Toletano nel 589. I codici più antichi greci lo riportano tradotto in questa maniera: Tò Trvsùjjta xò Ayiov Arcò xoò naxpòs xai xoù 4ioti oò tcoiyjxòv, oò ttxiaxòv o55e yevvYjxòv ’aXXà sy.Ttopsusxov. In seguito a Costantinopoli fu mutato in quest’ altra maniera, ma non sì che non conservasse il dogma della Processione : Tò uvsOpa xò aytov Ttapà (1) Harnack, Dogmengeschichte, Tom. II, p. 298 seg. Fribourg 1888. (2) Denzinger. Enchiridion symbolorum et definitionum ecc. Nespoli 1856 p. 41. — Compilazione nobilissima, quasi tutta di luoghi scritturali è pure, il « Te Demn * composto verso lo stesso tempo. Kraus, Recti-Enciclopadie der Ckristlichen ecc. — 14 — Ilaxpòg xaì Ytou oò tioi'/jO-sv oò xxtaO-sv àXXà èxxopsuó{j,evov (1). E che vera- mente i codici più antichi lo riportassero è un fatto tanto certo che i Padri radunati a Firenze non dubitarono di riferirlo in pubblico Concilio: ’Allavocaioc; sv x^ ófioXoytq: xyjg éaoxoo tuoxscós cpyjat * xò nvsDjia xò (Xytov arcò xoò Ilaxpòg xaì xoò Yioò oò... àXkà, éxuopsósxov. Ciò era naturale, perchè la dottrina della Processione P abbiamo tanto nei aostri Pa- dri latini quanto nei greci, e perciò prima che al simbolo Niceno fosse dagli Occidentali aggiunta la parola Filioque non c’ era nes- suna differenza di fede e d’opinione tra gli uni e gli altri. Quando cominciarono le liti? Quando nel secolo Vili dopo gli Spagnuoli in Francia e sul monte degli Olivi in Palestina monaci occidentali ivi stabiliti cominciarono a cantare il simbolo niceno-costantinopoli- tano colP aggiunta della parola Filioque. Allora fu un continuo gridare allo scandalo ed all’ eresia da parte prima d’ un monaco orientale e poi di altri, ed il grido si sente sino ai nostri giorni, benché siamo in tempi, non di entusia- smi e fanatismi, ma di fredda critica. Ora ai nostri fratelli dissi- denti vorrei qui fare una domanda quale fecero al Concilio di Nin- fea in Bitinia nel 1234 i legati del Papa Gregorio IX (2). « Di grazia, » essi dissero, « è lecito a noi credere ciò che è di necessità di fede ? — Certamente, risposero gli Orientali. — E ciò che è lecito credere, forse che non c’ è lecito scrivere? — Leci- tissimo. — Ancora una domanda: ciò che è lecito credere e scri- vere, non è ancora lecito cantare e predicare? — Senza dubbio è lecito. — Ma che lo Spirito Santo proceda dal Figlio è di verità di fede; dunque è a uoi lecito credervi, scrivere, cantare, e predicare. — Se così è, provate. — Lo provino i vostri stessi Santi Padri. Ascoltiamo S. Cirillo (Alessandrino) che nel primo sermone che tenne de latria così si esprime. Lo Spirito Santo in nessun modo è mutabile, che se fosse qualche cosa di mutabile, ciò che è segno di debolezza, questa macchia ridonderebbe nella stessa divina na- tura, essendo egli del Padre ed anche del Figlio, siccome quello che procede da tutti e due sostanzialmente, dai Padre cioè per mezzo del Figlio. ’Eaxì xoò Gsoò xaì Ilaxpòg xai [A7]v xaì xoò Yioò, xò oocxa- èg àpcpoìv, T^youv ex Ilaxpòs Yioò Tipo^eónevov IIvsò|ia (3). Misero quindi sotto i loro occhi le seguenti parole del medesimo S. Cirillo, tolte (1) Genebrardi, De S. Trinitate. Ili p. 189 seg. Paris 1569. Il Migne riporta varie edizioni del simbolo, le quali tutte hanno le parole in questione, meno una. P. G. XXVIII p. 1581. (2) Mansi, Suppl. ad Condì. Voi. II p. 999 segg. Lucae 1740. Qualche espres- sione del latino dei legati abbiamo mutata dietro il testo greco. (3) Cirill. Alex. De Adoratione etc. voi. I, p. 9, E. Lutetiae 1638. — 15 dalla lettera dommatica contro JSTestorio, lettera clie fu letta ed ap- provata in tre Ooncilii ecumenici, in quello di Efeso cioè (Act. 13), di Calcedonia (Act. 53), e Costantinopolitano (Coll. 6): « Lo Spi- rito Santo non è diverso dal Figlio, perchè è detto Spirito di ve- rità. Ma Cristo è verità; dunque procede da lui e da Dio Padre » (1). Si sarebbe potuto citare F sx&sais xrjs Tùaxstos di S. Gregorio Tauma- turgo: c-oxs OOV èvéXute xoxè Y'tòc; Ilaxpì, o5xe Ytq> nveDjJta ; e F altra attri- buita al medesimo santo, che benché posteriore è certamente del IY o Y secolo: « Confessiamo che il Figlio e lo Spirito Santo sie- no consustanziali al Padre, rimanendo ingenito il Padre, generato il Figlio dal Padre e lo Spirito Santo eternamente procedente dal- la sostanza del Padre per mezzo del Figlio » (2). E perchè le profes- sioni di fede esprimono la fede del popolo e non i sofismi dei Teo- logi, avrebbero anche potuto citare quella che fece il sinodo di Seleucia in Mesopotamia nel 410, ventinove anni solamente dopo quello di Costantinopoli, che diceva tradotta in latino « et confite- lo ur in Spiritum vivum et Sanctum Paracletum, vivum de Patre et Filio in una Trinitate etc».La quale professione collima con quel- la di S. Epifanio nelF Ancorato (7) pubblicato prima del Concilio Costantinopolitano I: IlvsOpa xò ayiov àsì, oò yevvYjxòv, oò xxioxòv... àXXà sx xvjg aùxyjg oògta£ IIaxpÒ£ xai Yloò, Ilveòpa ayxov... sv |iia(p IIaxpÒ£ xai Yiov, ex xoù Ilaxpòs xai YioQ xp£xov x^ òvofiaatqc. Anzi un Padre stesso del Conci- lio Costantinopolitano non si esprime diversamente. Questo è S. Gregorio Nisseno, il quale dice espressamente che lo Spirito Santo è detto essere dal Padre ed è provato con testi monii essere anche dal Figlio , xai sx Ilocxpog Xéysxat xai ex xoD Yloò stvai Ttpogjiapxupsixai. Qui manca la parola procede, ma la sostanza è la stessa. Queste au- torità davano noia ad alcuni ; e perciò le troviamo abrase nei codici più recenti (3), come troviamo V altra del Simbolo Atanasiano; segno che qualche volta manca anche la buona fede, nè nel que- stionare è sempre la verità che si cerca. Di questo peccato però, mi gode Y animo in dirlo, è innocente il popolo orientale e la gran parte del clero siccome quelli che credono come noi nella natura della Trinità, secondo la fede cattolica predicata dai Padri, sanzio- nata nei Ooncilii e professata da tutti nella preghiera, nei riti e nei monumenti stessi. Ma, obbiettano: Leone III fece sopprimere dal simbolo niceno la voce Filioque e lo pubblicò legittimo in greco e latino sopra due tavole di argento. I monaci occidentali fecero malissimo a inodifi- (1) Labbaei Conc. Voi. III. p. 405. (2) S. Greg. Taum. Opera. Paris 1622 p. 13 e 101. (3) Greg. Nyss., Serm. Ili in Orai. Dom. Mai, SS. VV. Tom. VII, p. 6. Cfr. Frànzelin, De Deo Trino p. 483 segg. — 16 — care di privata autorità il simbolo, e perciò rettamente operò il Ro- mano Pontefice; tanto più che c’ era in mezzo lo scandalo dei Greci, e non tutti i dogmi è necessario far entrare nel simbolo. In seguito, quando lo scandalo dovea cessare, col sopravvenirne un altro mag- giore, dato questa volta dagli Orientali, lo scisma cioè di Fozio, Benedetto Vili non solo non riprovò V aggiunta della paròla Filio- que, ma V accettò anche nella Chiesa Romana. Però a voler essere sinceri e di buona fede, bisognerà confessare che Leone III non la sentiva diversamente dal suo successore Benedetto Vili. Tanto ci dicono i monumenti che vanno citati interi per non dover fare stra- zio della verità. La storia ci dice che ai prelati francesi che erano stati mandati al Papa da Carlo Magno per patrocinare 1' aggiunta da essi fatta al simbolo, ed aveangli letti gli atti del Concilio di Aix, in cui con autorità tolte dalla Scrittura e dai Padri si pro- vava la Processione dello S. S. dal Figlio, Leone III rispose: « Ita sentio, ita teneo, ita cum bis auctoribus et sacrae scripturae aucto* ritatibus. Si quis aliter de hac re sentire voluerit, defendo, et nisi conversus fuerit et secundum hunc sensum tenere voluerit, contra- ria sentientem, funditus abiicio » (1). Anni addietro in una stazione balnearia feci relazione con un Archimandrita ortodosso. Con lui conversando un giorno, il di- scorso cadde sopra i motivi che tengono divisa da Roma la parte più eletta della Chiesa. Mi apparve di buona fede, e confesso che rimanemmo talmente d’ accordo intorno al torto che gli Orientali hanno per il loro contegno ostile, che uscii in queste espressioni : Se ora si fosse fatto un Concilio, V unione sarebbe bella e con- chiusa. Solo in un momento disse di non poter approvare il dominio temporale e politico dei Papi, causa di infiniti guai alla Chiesa. Che un potere politico, risposi, abbia fatto male alla Chiesa, è un fatto accertato, ma esso è quello dei re, non già dei Papi; come è un fatto evidentissimo che nessuna eresia e nessuno scisma avrebbe messo radice senza l’aiuto della potestà civile. Esempio ne sieno i Protestanti tutti deir Occidente e gli stessi Ortodossi Orientali; i quali contro ogni legge cristiana nelle liti di natura religiosa hanno fatto ricorso al potere secolare, ed imitando sconsigliatamente il cavallo della favola, che ricorso all' uomo per vendicarsi del cervo, si lasciò da lui mettere il freno e dominare, per non stare col Romano Pontefice e colla Chiesa universale, secondo la Gerarchia fondata da Gesù Cristo medesimo, costituendosi acefali si sono posti sotto il dominio di re che dispoticamente li governano. Per contrario il potere temporale dei Papi è stato sempre una (1) La.bb aei Condì. Voi. Vii. p. 1994. — 17 — arma posta in loro mano a difesa della propria libertà ed indipen- denza. Quando questo è mancato, la loro sorte è stata V esilio, la prigione e la morte. Su di ciò non voglio fare un lungo trattato, perchè la mia non è che una digressione, uno sfogo, uno scatto ; ma mi sia lecito accennare ad un fatto storico non considerato, che io sappia, da nessun altro. Hel secolo IY la Chiesa era come per incanto passata dalla persecuzione alla protezione d7 un impe- ratore cristiano. Costantino avea determinati bene i rapporti della potestà ecclesiastica e della civile tra loro conservando per questa il pretorio e lasciando ai Yescovi il governo della Chiesa. Perciò invitato a giudicare la causa d^ un Vescovo donatista si rifiutò dicendo di aspettare egli stesso il giudizio di Gesù Cristo. Il suo figlio Costanzo ne seguì le orme per quanto potè; però dopo la vittoria avuta su Magnenzio, divenuto assoluto padrone dell’ Impero, trovandosi a Milano, il 355, circondato da Yescovi turbolenti od Ariani, e riuscitogli contrario il Sinodo quivi radunato per giudi- care o piuttosto condannare S. Atanasio, mandò chi in Roma pren- desse anche colla forza e trascinasse alla sua presenza il Papa Liberio. Così fu fatto. E come questi gli fu dinanzi, in tal guisa cominciò a dire : « ]Soi, perchè tu sei cristiano e Vescovo d 7 una nostra città, abbiamo giudicato bene di farti chiamare, perchè tu rinunzi alla comunione di quel birbante di Atanasio ». Questo voleva dire che se Liberio fosse stato vescovo d’una città propria, libero ed indipendente, l’ imperatore V avrebbe lasciato in pace, e non l’avrebbe, come suo suddito, contro ogni diritto colla minaccia dell’esilio eccitato a commettere un' azione ingiusta. Liberio tenne fermo e fu esiliato (1). E questo, testimonio ne è tutto l 7 Oriente e tutti i paesi dei Protestanti, avviene tutte le volte che Y autorità della Chiesa non è libera di sè stessa. In Roma abbiamo avuto dei martiri, altrove coi martiri e colle vittime anche dei felloni e degli apostati. Tutti quelli che hanno voluto scuotere il giogo del Papa, per reggersi hanno dovuto passare sotto le forche, prendere il freno e divenire il ludibrio di re divenuti loro papi. Anche il Patriarca di Costantinopoli ha con il titolo di Milet-Bachi il suo potere civile sopra tutti i Cristiani delPimpero del Sultano. Egli può a suo talento creare e deporre Preti Vescovi ed Arcivescovi; può relegarli dovunque gli piaccia; può punire i cristiani come meglio creda, ed imporre quei tributi e quelle tasse che più gli conven- gano. Ma qual differenza! Se tale sistema deve legare i Yescovi (1) Theodor. H. E. II, 15. Leopoldo de Feis. Storia di Liberio Papa ecc. Cap. Ili, p. 59 seqq. dell’ Estratto — Studi e Documenti di Storia e Diritto a. 1893, p. 216 seqq. 18 — alla volontà del Patriarca, il Patriarca è legato strettamente al- 1’ arbitrio del Governo Ottomano. Simile danno e servaggio mai non volle e non vuole la Chiesa Romana, e perciò in tutti i tempi domanda per se assoluta libertà e piena indipendenza da qualunque pressione di potentati. Ed al contrario del Patriarca di Costantinopoli, che si dibatte sempre tra la morte e la vita, il Papa ha sempre rinunziato a protezioni od appannaggi, perchè come diceva un illustre Prelato francese: « le salaire de la papauté serait menaqant quand il serait payé, dégra- dant quand il serait disputò, ruineux quand il serait retenu » (1). Stando così le cose, se punto ci cale della nostra dignità, quando è salva la fede, la giustizia e la carità, non facciamo questione di forme e di accidenti, non cerchiamo se la voce Filioque debba o no aggiungersi ad un simbolo; se il pane per il sacrilizio debba essere lievitato od azimo; se per il battesimo lavi più 1’ acqua che sale o quella che scende dall’ alto; tutte formalità, riti e consuetu- dini che vanno lasciate libere a ciascuna Chiesa secondo che dai maggiori per tradizione furono loro comunicate; ma cerchiamo la unione che fa la forza, quell’ unione voluta da Gesù Cristo che diceva : « Fiet unum ovile et unus Pastor » . Quando nel citato concilio di Alessandria si trattò la questione delle voci oùaìa ed óEóaxaais, dice S. Gregorio Nazianzeno che la lite andò tant’oltre che ci fu pericolo che i confini della terra insieme a poche sillabe non si dividessero e rompessero, e che S. Atanasio coll’ aver appianate pacificamente le difficoltà acquistò più gloria che non con tutte le sue opere, vigilie, fughe, patimenti ed esilii (2). Maggiore sarà la nostra, se questi confini già divisi e rotti, imi- tando i Padri di quel grande e necessario Sinodo, cerchiamo di riunire ed aggiustare; ora specialmente che Leone XIII, che Dio conservi per lunghi anni ancora, sì che possa vedere la fine dello errore ed il trionfo della verità e della carità; ora, dico, che il Romano Pontefice per primo ha stese le sue braccia per invitare all’ unione tutti popoli che da Gesù Cristo prendono il nome e dinanzi al quale non ha più distinzione tra giudeo e greco, tra ro- mano e barbaro. « Tutti i popoli cristiani si debbono unire nel Pontefice Romano come nel capo loro, e chi si parte dall’ unità e dottrina della Romana Chiesa, senza dubbio si parte da Christo » (3). (1) Mgr. Gerbet, Kvèqne de Perpiguan, Memorandum des Catholiques frangati sur les mcnaces da Piemont contre Rome; Doelltnger-Bayle, VÉjlise et les Ègli- ses, 1862 p. XI; PiTZirios V Eglise Orientale II, 74 III, 10 segg. (2) S. Greg. Nazianz. Orai. XXI, 35, 36. (3) Savonarola. Il trionfo della Croce IX, 6. Estratto dalla Pubblicazione Periodica di Studii Orientali — BESSARIONE — Roma, SS. Apostoli, 51.