Microsoft Word - DEF Claudio Kulesko __ Don't Fear the Reaper revised.docx LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 197 Don’t Fear the Reaper di CLAUDIO KULESKO Abstract Moving from the concept of «patchwork», used by Gilles Deleuze in regards of XIX century North-American Literature, this essay explores the relations and the possible interactions be- tween the works and themes of Walt Whitman and Edgar Allan Poe. I try to analyze the work of these two authors from two different perspectives on the natural world: the first one related to organic processes and life cycles, the second to dissolutive processes and to the horrors of death. Final aim of the text is the construction of a synthetic field, able to give account of the duplicity of those two dimensions in the operativity of nature. What will emerge from this synthetic field is the New World’s non pulsed man, split between the two conceptual characters of Whitman’s va- grant-sower and Poe’s catatonic-dreamer. All our times have come Here but now they’re gone Seasons don’t fear the reaper Nor do the wind, the sun or the rain, we can be like they are. Blue Öyster Cult, (Don’t Fear) The reaper Due figli del Nuovo Mondo Troviamo, alle origini della letteratura americana, due campi di forze, attraversati da schegge vaganti: un orizzonte di pura luce, abbagliante come un’alba, e un vortice crepu- scolare, infestato da spettri. Da un lato, Walt Whitman, «un cosmo, il figlio di Manhattan, turbolento, carnale, sensuale, che mangia e beve e procrea» (Whitman 1965: 53). Dall’al- tro, Edgar Allan Poe, un abisso, un coacervo di infermità e follia, «non lavato, gli occhi torvi e gonfi, senza giacca né cravatta, il davanti della camicia stazzonato e sudicio» (Cabau 1961: 126). Ciascuno di questi due poli agisce come una sorta di imponente pulsazione, intercettando i frammenti che ne turbano la quieta linearità, producendo sciami e molti- tudini: il ruggire dell’oceano e l’inarrestabile danza dei miasmi pestilenziali, lo sconfinato LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 198 tappeto di fili d’erba e trentadue piccoli oggetti, simili all’avorio1. E poi i poemi, i racconti, i romanzi brevi, i dialoghi, le annotazioni, i fogli sparsi e gli articoli di giornale. Nelle pa- gine di questi due esploratori, il «vagabondo-seminatore» e il «sognatore-catatonico», l’atto di scrittura condensa la caccia al frammento e la raccolta dei materiali all’interno di un campionario ‒ rivelando una certa parentela con le figure, tipicamente americane del pioniere, del trapper e del cercatore d’oro. Dopotutto, «se il frammento è l’innato ameri- cano, è perché l’America stessa è fatta di stati federati e di diversi popoli migranti (mino- ranze): dappertutto collezione di frammenti, assillata dalla minaccia della Secessione, os- sia della guerra» (Deleuze 1996: 80). A questa incessante attività di selezione, tuttavia, si va a sommare un enigmatico amor fati, che coinvolge entrambi gli autori: l’ipostatizzazione culturale di Whitman con il corpo della Terra e con il calore della luce solare, e quella di Poe con le tenebre e il mondo dei morti. È questo intreccio di ricerca cosciente e vertiginosa incoscienza a caratterizzare raccolte quali Foglie d’Erba, o i Racconti del Grottesco e dell’Arabesco, due opere ‒ o, me- glio, due collezioni ‒ nelle quali i frammenti della letteratura e quelli dell’immaginario sembrano disporsi obbedendo a due opposti principi. Una sorta di manicheismo segreto, che accenna a due diverse dimensioni temporali: una orientata al futuro e alla composi- zione, l’altra all’imperturbabilità della decomposizione. Tenteremo di seguire questa duplice pista, che dalle maestose foreste di sequoie con- duce alle soglie del caos ‒ il marasma dei frammenti, il maelstrom. Dopotutto, è proprio dai singoli «frammenti che appare lo sfondo nascosto, celeste o demoniaco» (ibid.: 81), la loro appartenenza a un ritmo specifico e la loro destinazione ultima. Man mano che cia- scun frammento si fa avanti, fuoriuscendo con aria di sfida dal proprio campo di forze, si staglia la figura di un immenso Arlecchino, dall’abito intessuto di toppe di varie forme e colori: è la natura reimmaginata come parata ‒ come combinazione e ricombinazione di parti, o come effetto di risonanza reciproca tra serie. Il Tempo della Semina Io me ne rido di ciò che voi chiamate dissolu- zione, conosco l’ampiezza del tempo. Walt Whitman, Il Canto di Me Stesso Il canto del vagabondo-seminatore è il Canto di Me Stesso (Song of Myself), l’inno dell’eroe individualista che percorre la strada polverosa e gli ampi spazi delle praterie, che nulla di più pretende dalla vita, e che ha il coraggio di affermare: «Esisto come sono, ed è abbastanza» . Questo «myself», tuttavia, ha tutte le caratteristiche di un mondo a se 1 Una serie rispettivamente riferita a Out of the Rolling Ocean the Crowd, La Maschera della Morte Rossa, Il Canto di Me Stesso e Berenice. LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 199 stante, «più lontano e più grande» (Whitman 1965: 53) di quello presente, di un «Me» meno angusto dell’«Io» europeo. In esso, risuonano le voci dei prigionieri e degli schiavi, dei malati e dei ladri, «dei deformati e dei triviali, degli stupidi, degli schiocchi e dei di- sprezzati, [della] nebbia nell’aria, [degli] scarabei che arrotolano pallottoline di sterco» (ibid.: 55). «Voci proibite […] voci velate a cui io tolgo il velo», scrive Whitman, «voci vol- gari, da me trasfigurate e rese chiare» (ibid.: 57). Questo procedere all’aria aperta, sotto la luce del sole ‒ il rischiaramento delle voci e la loro trasfigurazione in un discorso collettivo ‒ sono il contrassegno della democrazia radicale di cui Whitman si fa portavoce. Il canto del poeta vagabondo accompagna un’intensa attività di cucitura collettiva, di accosta- mento di frammenti disuguali in un colorato patchwork, ricco di contrasti e complemen- tarità. E se la frammentarietà rappresenta il carattere fondamentale dello spirito ameri- cano, la relazionalità e l’orizzontalità sono l’ago e il filo che hanno consentito di produrre un’Unione. Per certi versi, il vagabondo-seminatore assomiglia al leggendario Johnny Appleseed2, che trascorse la sua vita percorrendo disarmato le zone selvagge, seminando alberi di mele e prendendosene cura, battendo nuovi sentieri e stringendo legami di amicizia ‒ ani- mato dalla speranza di poter costruire e sfamare una giovane nazione. Da ciò si evince che il myself non si esaurisce in un «my-self», nella sfacciata rivendicazione delle propria li- bertà e autonomia individuale, e neppure si limita a indicare una comunità a venire ‒ uno spazio futuro in cui gli individui potranno esprimersi liberamente, e realizzare i propri desideri. Il «Me stesso» è anche uno snodo, una monade che racchiude una fitta e com- plessa rete di relazioni, che comprendono la natura stessa. Scrive Whitman: Un fanciullo mi chiese: “Cos’è l’erba?” e me ne offrì con le sue mani cariche; come po- tevo rispondere al fanciullo? Io non so cosa sia più di quanto egli stesso non lo sappia. Penso che debba essere il vessillo della mia inclinazione, tessuto di verde speranza. Oppure penso che sia il fazzoletto del Signore, un dono profumato, un ricordo lasciato volutamente cadere, recante in qualche angolo il nome del suo proprietario. O imma- gino che l’erba sia essa stessa un fanciullo, un bimbo nato dalla vegetazione. (ibid.: 45) 2 John Chapman (1774-1845) detto, appunto, ‘Johnny Appleseed’ (in italiano ‘Giovannino Semedi- mela’), fu missionario della chiesa neo-cristiana fondata dal teologo e mistico-visionario svedese Emanuel Swedenborg. Viaggio attraverso le regioni selvagge del West, piantando lungo il suo cam- mino migliaia di semi di melo, giungendo a essere considerato uno dei primi ambientalisti e un vero e proprio filantropo. Nessuno sa con esattezza perché Chapman si sia dedicato a questa attività. Gra- zie al segmento a lui dedicato in Lo Scrigno delle 7 Perle (Melody Time, 1948), antologia di animazione prodotta da Walt Disney, Appleseed divenne una vera e propria leggenda. Ritraendo Chapman come un eterno fanciullo innocente, amico delle piante, degli animali e delle popolazioni autoctone, il cor- tometraggio Disney riesce a far emergere il significato profondamente spirituale del viaggio di Cha- pman ‒ mostrando come costruire un Nuovo Mondo significhi, al tempo stesso, costruire una Nuova Umanità. LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 200 Persino la blade of grass, il filo d’erba nella sua fragile singolarità, così inerme da ras- somigliare a un bambino indifeso, rimanda alla «natura sfrenata, nella sua potenza origi- naria» (ibid.: 43), presentandosi come una traccia del Dio creatore o, forse, dell’«Anima Suprema», l’Oversoul teorizzata da Ralph Waldo Emerson ‒ il grande vecchio della filoso- fia americana, maestro e guida spirituale di Whitman. Il concetto di Anima Suprema rinvia agli antichi temi platonici e neoplatonici del- l’Anima del Mondo, della Super-Anima o dell’Animale Supremo: un’entità incorporea che conterrebbe in sé tutta la materia planetaria, vivificata e animata da questo stesso princi- pio spirituale3. Il pensiero di Emerson, il «trascendentalismo», è tuttavia contraddistinto da una peculiare «propulsività», da una particolare forma di trascendenza, fondata sull’auto-superamento del mondo. L’Oversoul si realizza e si oltrepassa, in virtù di un in- contenibile «tendere-oltre», ossia attraverso un costante oltrepassamento dinamico della propria attualità. Coltivando la finitezza e l’imperfezione della propria anima individuale ‒ protendendole verso l’infinita perfezione dell’Anima Suprema: l’uomo verrà a scoprire che il mondo è il miracolo perenne che l’anima compie […] e apprenderà che non vi è storia profana, perché tutta la storia è sacra; e che l’universo è rappresentato da un atomo, da un momento di tempo. Egli non tesserà più allora una vita, macchiata di ritagli e di scampoli ma vivrà con una unità divina. (Emerson 2011: 30) La realizzazione di questa unità dell’essere umano con il principio spirituale è in grado di riunire i frammenti (persino i più bassi e i più volgari), e di guidarli verso il futuro. Un’unità che non può non convergere su un’idea di oltrepassamento. Difatti, «se tutte le cose si muovono, germinano e fioriscono, perché noi dovremmo portare con noi, nella nuova ora, brandelli e reliquie?», domanda Emerson, per poi proseguire notando che «la Natura ha orrore di ciò che è vecchio e [che] la vecchiaia sembra [essere] l’unica malattia» (Emerson 1962: 200). Fluendo copiosa dalla sua antica sorgente creativa, «l’anima, [al tempo stesso individuale e cosmica], guarda fermamente innanzi, creandosi un mondo proprio, lasciandosi indietro mondi interi» (Emerson 2011: 9). L’«inclinazione originaria» di cui parla Whitman risponde a questo insieme di tendenze allo sconfinamento, alla germinazione e alla composizione. Una combinazione che si tinge di verde, il colore della speranza, ma che è anche l’orizzonte vegetale delle praterie e delle immensità boschive ‒ straripanti di vita, pericoli e avventure. Facendo collidere potente- mente natura e cultura, Emerson e Whitman mostrano come il conseguimento dell’unità dei frammenti sia un obiettivo rigorosamente performativo, qualcosa che deve essere co- struito, coltivato e coraggiosamente rinnovato nel tempo. Una compositività che, oltre a 3 Tra i testi fondamentali che trattano il tema dell’«Anima Mundi» vi sono il Timeo (2003) di Platone (in particolare il capitolo VI) e le Enneadi (2000) di Plotino (Enneade IV, 4). In epoca moderna, il più importante recupero di questo concetto può essere ritrovato in Sull’anima del mondo (2016), di Frie- drich W. Schelling. LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 201 definire il campo operativo della natura ‒ inaugurando una nuova stagione del naturali- smo filosofico ‒ finisce per connotare lo stesso spirito americano. Le opere di Emerson, così come quelle di Whitman, sono pervase dalla necessità di lasciarsi alle spalle il passato britannico, di costruire un nuovo assemblaggio, un Nuovo Mondo, fondato sulla libertà dei frammenti, e sulla loro partecipazione attiva all’unità di un organismo aperto. In entrambi i casi, quello della natura e quello della cultura o della scrittura, «l’Uno non è il trascendente che può contenere anche l’immanenza, ma l’immanente contenuto in un campo trascendentale; Uno è sempre l’indice di una molteplicità» (Deleuze 2010: 12). È per questo motivo che la trascendenza emersoniana è sempre un trans scandere (un «sa- lire al di là»), un desiderio di superamento che scopre, nell’alleanza con gli altri frammenti, ossia nella federazione, la modalità più adatta ad aumentare la potenza individuale. Ri- spetto alla forma statica e indifferenziata della società ‒ fondata sulla socievolezza umana e sul principio della pace sociale ‒ la federazione sembrerebbe rispondere a un’associati- vità, a una potenza combinatoria, attribuibile alla natura stessa e contrassegnata dalla complicità. Si è complici nell’intimità, nel segreto e nel crimine, tuttavia, ciò che contrad- distingue questo tipo di relazione è pur sempre la condivisione di una medesima avven- tura. Nella sua introduzione agli Études sur la Mathèse di Malfatti de Montereggio, Deleuze scrive: La comunità [rappresenta] la realizzazione di un mondo comune, la cui universalità non può venir compromessa né frammentata, ed è tale che, nel corso stesso di questa realizzazione, la sostituzione reciproca dei suoi membri sia sempre possibile, perché indifferente […] Nella complicità, invece, vi è sì un mondo comune, ma ciò che ne co- stituisce la comunione è […] il fatto che ciascuno debba realizzarlo nella totale irridu- cibilità agli altri, per conto proprio e senza alcuna sostituzione possibile. (ibid.: 19) È per questo motivo che il Canto di Me Stesso accompagna sempre il viaggio di una fe- derazione ‒ dalla molecola al filo d’erba, dal pellegrino alla nazione ‒ infondendo spe- ranza in un mondo comune a venire, modulando il delicato rapporto melodico tra singo- larità e collettività. Solo il tradimento dello spirito della federazione ‒ della sua propulsi- vità costitutiva o del rapporto di complicità tra parti ‒ è in grado di dar vita a qualcosa come «Una nazione sotto Dio, indivisibile» («One Nation under God, indivisible»),4 o addi- rittura di precipitare la federazione nella guerra fratricida. La natura appare ora come un «insieme di parti eterogenee: [un] patchwork infinito [che definisce] il mondo come campionario» (Deleuze 1996: 80). Non si tratta più di una 4 Come stabilito dalla Pledge of Allegiance, il giuramento di fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’Ame- rica, composto da Francis Bellamy nel 1892 e ufficialmente adottato dal Congresso dal 1942. L’ag- giunta «under God» («al cospetto di Dio» o «sotto Dio») è del 1954, presentandosi come la modifica più recente ‒ fortemente voluta dal presidente Dwight D. Eisenhower, allo scopo di riaffermare la trascendenza religiosa della nazione. «President Eisenhower signs ‘in God We Trust’ into law». His- tory, 7 Giugno 2019. LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 202 forma (né della forma di tutte le forme), ma di un «processo di relazionalità [che] inventa una polifonia. Non [...] totalità ma riunione, «conclave», «assemblea plenaria» […] un tes- suto di relazioni mobili, che fanno sì che la melodia di una parte intervenga come motivo della melodia di un’altra (l’ape e il fiore)» (ibid.: 83). L’Anima del Mondo è questa grande macchina sintetico-compositiva, l’«hypersynth» che campiona, sintetizza e combina auto- maticamente la trama melodica. Nondimeno, ciascun frammento resta contraddistinto dal proprio irriducibile ritmo, dalle deviazioni e digressioni che inventa, dalle differenze di velocità rispetto agli altri elementi del suo ambiente. Ciascun frammento è un filo d’erba o un germoglio, al tempo stesso unico e parziale. E tuttavia, è proprio questa parzialità a caratterizzare le dimensioni temporali della composizione e della germinazione: il molte- plice, con la sua pluralità prospettica e ritmica, produce attivamente la natura ‒ questa particolare forma di unità, caratterizzata da una segreta complicità tra le sue parti e da un comune desiderio di superamento. In questa ricerca di una salute generale, tanto degli individui quanto dei loro concate- namenti, l’assimilazione e l’accrescimento divengono «nutrizione»: il filo d’erba assorbe i nutrienti di cui ha bisogno dal suolo, dalla superficie cutanea del corpo planetario, per poi essere assimilato dal bufalo, o dalla lepre, e così via. L’immensa prateria verdeggiante, abitata da animali, piante e umani, diviene l’indice di questa grande salute. La morte viene bandita: i figli caduti tornano al grembo della madre, che ne causa la rinascita sotto infinite forme, lungo una catena di potenziamento individuale e reciproco ‒ un’immagine che evoca le figure della Madre Terra, o delle antiche divinità della vegetazione, che partori- scono e nutrono i loro «fanciulli d’erba». All’interno di questo campo, dominato da rigo- gliose forze vitali, la morte è una nota a margine del compostaggio, del passaggio da uno stato di veglia a uno stato di sonno temporaneo, seguito da un immediato e molteplice risveglio ‒ il risveglio di una vita che moltiplica se stessa, divenendo contemporanea- mente batterica, vegetale e animale. Un «Saṃsāra atomico», nel quale le parti che compo- nevano un intero si ricombinano, obbedendo a un’inconscia pulsione di intensificazione e rafforzamento, alla base della stratificazione di tutta la natura. In questo primo senso, Arlecchino ci è apparso come la banda nomade, la «muta di ac- crescimento» che dà inizio alla caccia selvaggia o, ancora, la potenza polifonica degli eco- sistemi e della stessa biosfera. Questa dimensione verde speranza, rigorosamente eco|si- stemica, narrata e cantata da Whitman, si contrappone al tenebroso vortice che domina l’opera di Poe. Se Whitman tenta di incanalare nell’atto di scrittura la speranza e il calore del sole ‒ nel tentativo di produrre un rafforzamento generale delle facoltà umane ‒ Poe sembra condurre il lettore in una dimensione atemporale e gelida, promuovendo un acuirsi dell’immaginazione, a discapito della salute generale dell’organismo. L’atmosfera di demoniaca alienazione che pervade gli scritti di Poe fu spesso bersaglio delle critiche e dell’ironia di Whitman, il quale, tuttavia, il 16 novembre 1875, presenziò alla seconda se- poltura di Poe, confidando a un cronista un singolare sogno, legato alla figura del maestro dell’horror americano: LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 203 A mezzanotte in punto, vidi un vascello andare per il mare in tempesta […] beccheg- giare fuori controllo ‒ le vele strappate, il telaio infranto ‒ attraverso la furia del ne- vischio, i venti di bufera e le onde della notte. In piedi sul ponte, stava una figura esile e slanciata, di una certa bellezza; un uomo pallido, apparentemente compiaciuto del terrore, dell’oscurità e dello spaesamento dei quali era al tempo stesso il centro e la vittima. Il protagonista di questo mio oscuro sogno racchiude in sé l’intera persona di Edgar Poe, il suo spirito, le sue vicende e i suoi poemi ‒ essi stessi, a loro volta, una collezione di oscuri sogni. (Whitman 1892; traduzione mia) Il Corvo Vola nell’Abisso Quell’uccello d’ebano, col suo austero decoro, Indusse a un sorriso le mie fantasie meste, “Benché” dissi “rasata sia la tua cresta, un vile Non sei, orrido antico Corvo venuto da notturne rive Qual è il tuo nome nobile sulle plutonie rive?” Disse il Corvo: “Mai più”. Edgar Allan Poe, Il Corvo Alla moltitudine dei ritmi della germinazione e della composizione si contrappone quella dei ritmi della decomposizione. È il tempo del Verme Conquistatore, che ha come motore immobile la morte, «un cerchio che sempre ritorna, nello stesso identico punto» (Poe 1999: 37), e come araldo la miriade di forze che scompongono gli organismi viventi. Si tratta di folle atmosferiche ‒ tempeste e pensieri ossessivi, epidemie o sciami ‒ forze che sembrano ergersi dalla materia per aggredire la materia stessa, assecondando una macabra logica autofagica, smembrando i corpi e trascinandoli nell’abisso dal quale pro- vengono. Alla singolarità anonima e preindividuale di «una-vita» si congiunge il richiamo spettrale di «una-morte» (Deleuze 2010: 9; Land 2012: 369): la morte in quanto virtualità annidata all’interno corpi, evocata dall’espressione «si muore» ‒ in opposizione alla morte del corpo proprio, alla quale si accompagna la dissoluzione dell’Io individuale. E la morte stessa corrisponde innanzitutto a questo duplice locus-loculum (lo spazio ambiguamente occupato da un corpo o da un cadavere), uno spazio ripiegato su se stesso, dal quale tutte le intensità vitali provengono e al quale fanno ritorno. «Una tendenza idraulica alla dissi- pazione di ogni intensità» (Land 2012: 283) o un vortice a «intensità-zero» (Deleuze & Guattari 1975: 376). Il sognatore-catatonico, strappato allo stato cosciente dalle droghe e dagli alcolici ‒ o «abitualmente sotto l’impero dell’oppio», come il protagonista di Ligeia (Poe 1974: 71) ‒ scivola verso questo freddo assoluto, il Grande Freddo (Deleuze & Guattari 2017: 230) della dimensione cadaverica. Il sognatore risiede proprio in questa zona d’ombra, nell’in- terzona situata tra le attività di composizione e decomposizione. Qui, al limitare del LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 204 tempo, risiedono gli dei e gli spiriti dei defunti, e tutte quelle entità cadute fuori dal dive- nire temporale. Un luogo imperturbabile e quasi eidetico, nel quale Poe ambienta i suoi celebri dialoghi (La Conversazione di Eiros e Charmion e Il Colloquio di Monos e Una), o nel quale immortala paesaggi onirici o arcadici, caratterizzati da una perfezione al limite del delirio (come in L’Isola della Fata e in Il Dominio di Arnheim). A differenza del vagabondo- seminatore, che percorre l’orizzonte e le vette, il sognatore-catatonico è uno scandaglia- tore delle profondità, un esploratore di lande desolate. Una figura meravigliosamente ri- tratta nel breve romanzo Le Avventure di Gordon Pym, nel quale, dopo tutta una serie di tragiche vicissitudini, un marinaio e quel che resta della sua ciurma si inoltrano negli ostili territori del Polo Sud, finendo per imbattersi in una terrificante creatura, tetramente av- volta in un sudario. Tra i ghiacci eterni, Gordon Pym, l’unico sopravvissuto, incontra la Morte stessa, in tutta la sua terrificante immensità ‒ pur riuscendo, infine, a far ritorno a casa sano e salvo. Come nella storia di Gordon Pym, una volta portati alla coscienza e ricomposti attra- verso la scrittura, gli oscuri frammenti che il sognatore ha rinvenuto durante la trance divengono il veicolo di affetti perturbanti e demoniaci ‒ vere e proprie «schegge mortali», dirette alla gola del lettore. L’atmosfera decadente e spesso malsana dei racconti di Poe emana da luoghi privi di connotazioni spazio-temporali e da sequenze di eventi al confine con il soprannaturale (Il Ritratto Ovale), con la follia (L’Angelo del Bizzarro) o persino con la necrofilia e il sadismo (Berenice) ‒ eventi che sollecitano l’immaginazione a trovare i propri limiti e che mettono «l’anima del lettore in balia dello scrittore» (Poe 1842). Se Whitman invita il lettore ad affrancarsi dalla propria finitudine, aumentando collettiva- mente la propria potenza, Poe circoscrive diabolicamente la parzialità, evidenziandone i limiti e la fragilità di fronte alla morte e all’ignoto, all’errore e alla pazzia. Al pari dei pro- tagonisti de Il Cuore Rivelatore e Il Gatto Nero, il lettore è costretto a confrontarsi con un suono sommesso e tuttavia ossessivo, quello della pulsazione primordiale della matrice di ogni vita: la morte stessa. Schopenhauer, nel suo Il Mondo Come Volontà e Rappresentazione, traccia un’affasci- nante e utile similitudine tra la musica e il modus operandi della natura, suggerendo una possibile pista: Nel basso fondamentale io riconosco […] la natura inorganica, la massa del pianeta. Tutti i suoni acuti, agili e veloci, sono notoriamente da considerare come originati dalle oscillazioni secondarie del suono grave, al suono del quale essi risuonano sem- pre lievemente insieme […] Ciò è analogo al fatto che l’insieme di tutti i corpi e degli organismi della natura devono essere considerati come sorti per sviluppo graduale dalla massa dal pianeta: questa dunque la loro sorgente, come pure il loro supporto. (Schopenhauer 2015: 287) Il pianeta, ciò che non è né Terra né Mondo e che precede storicamente lo sviluppo di ogni organismo, è il regno della morte o, meglio, il luogo di una radicale assenza di vita. Se LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 205 il mondo-per-noi rappresenta l’insieme delle conoscenze e delle tecnologie umane (il Mondo), mentre il mondo-in-sé comprende ciò che ancora può essere portato alla luce attraverso di esse (la Terra, la rappresentazione costruita dalle scienze naturali), il pia- neta ‒ anonimo e impersonale, privo di qualsiasi osservatore ‒ racchiude tutta la desola- zione e l’orrore di un «mondo-senza-di-noi» (Thacker 2019). Il trascendentalismo ameri- cano, che sfida e, per certi versi, assalta il mondo per mezzo dei saperi scientifici e filoso- fici5, trova il suo contraltare nel trascendentalismo negativo di Poe, per il quale l’a priori corrisponderebbe in primo luogo alla materia inorganica, a ciò che è non-vivo e che oltre- passa ogni immaginazione e ogni rappresentazione ‒ andando a liquefare quelle partico- lari cristallizzazioni di frammenti che sono l’Io e il Noi. È questa la grande scoperta degli autori della letteratura horror: la dimensione cadaverica come inaccessibile sito di pro- duzione, al tempo stesso vivo e morto, intrinsecamente refrattario alle leggi di natura, alle regole del pensiero e a quelle del discorso razionale. «All’opposto del mondo-per-noi, un mondo umanocentrico fatto a nostra immagine, vi è la nozione di mondo occulto, non in senso relativo ma assoluto […] ciò che è nascosto, celato, avvolto dalle tenebre» e che non può essere in alcun modo disvelato con mezzi parziali (ibid.: 62). In Rivelazione Mesmerica, Poe offre alcune delucidazioni sulla sua bizzarra filosofia oc- culta, fondata sull’imperturbabilità del mondo inorganico: Vi sono due corpi ‒ il rudimentale e il completo, corrispondenti alle due condizioni del verme e della farfalla. Ciò che noi chiamiamo «morte» non è che la dolorosa meta- morfosi […] Gli organi sono gabbie necessarie a contenere gli esseri rudimentali, fin- ché non saranno muniti di penne per volare […] Per gli esseri inorganici ‒ per gli an- geli ‒ l’intera materia imparticolata è sostanza. (Poe 1965: 110-113) Trapassare alla dimensione cadaverica equivale perciò a «transdiscendere» all’interno di un’orrida versione inorganica dell’Anima Suprema. Sprofondare in questo stato di pro- fonda catatonia significa pervenire alla felicità negativa, ossia all’assenza di qualsiasi sti- molo. Nel corso di questo processo di spoliazione, la coscienza viene semplicemente vola- tilizzata, non essendo altro che un mero intrattenimento, al quale gli organismi si dedi- cano, o una bruta necessità dettata dalla sopravvivenza. Per Poe, l’Aldilà corrisponde a un al di là assoluto ‒ non un oltrepassamento, ma una caduta nel buio: «Per lo spirito che va nella tenebra oh, è certo un Eldorado! Ma il viandante che l’attraversa non osa, non può guardarla davvero; i suoi misteri non sono svelati ai deboli occhi umani, ancor non chiusi» (Poe 1999: 42). In questa notte meontologica, le moltitudini epidemiche (Re Peste, La Maschera della Morte Rossa), le bocche affamate (Il Verme Conquistatore) e gli strumenti di sezionamento e smembramento (Berenice, Il Mistero di Marie Roget, Il Delitto della Rue Morgue), sono gli 5 Sfociando, infine, nel pragmatismo di autori quali Peirce, James e Dewey, promotori del progresso sociale e scientifico. LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 206 agenti decompositivi del corpo planetario. Se, nella versione di Whitman, la morte rap- presenta solo un’illusione, un breve intervallo tra l’unità e la molteplicità, in quella di Poe essa assume i connotati di una molteplicità che si tuffa in una imperscrutabile unità. Ciò che Poe ha reso visibile è lo scarto tra la frammentazione del corpo e la liberazione dell’anima ‒ la quale, pervenendo al silenzio inorganico attraverso una sorta di «aneste- sia», giunge infine a coincidere con il pianeta, ossia con il mondo-senza-di-noi. E sarebbe proprio l’anima, il «corpo superiore» e privo di organi, a premere dalle profondità del «corpo rudimentale», affinché quest’ultimo si risolva a deporre gli organi. Non a caso, que- sto corpo superiore coinciderebbe a-priori con l’unica sostanza, al di là di ogni particola- rità e di ogni parzialità. Questa tendenza degli organismi a fuggire verso l’inorganico defi- nisce quella che Poe, settantacinque anni prima della freudiana pulsione di morte, deno- minò «perversità»: una misteriosa inclinazione all’autodistruzione e all’abbandono degli appigli offerti dalle facoltà sensitive e razionali (Poe 1965: 526-533). Sotto l’egida della morte, lo stesso concetto di vita diviene impensabile: ogni istante si tramuta in un passo verso la dimensione cadaverica, la vita in un mero accidente della morte o in un suo epifenomeno, ogni desiderio in un segreto desiderio di annientamento. Come scrive Timothy Morton in Dark Ecology «La vita è un’ambigua e spettrale entità ‘non-morta’, oscillante tra due diversi tipi di morte: le macchinazioni della pulsione di morte e la dissoluzione degli oggetti fisici» (2016: 97; traduzione mia). Tuttavia, è proprio questa dimensione contraddittoria a mettere a dura prova sia la ragione che l’immagina- zione umane, proiettandoci all’interno di un campo di puro orrore. Osservata dall’abisso della morte, la natura rassomiglia più a un vortice distruttivo (il maelstrom) o a un buco nero, che a una madre benevola. Arlecchino sembrerebbe essere tornato alle sue origini pagane: l’Hölle König o Helle King, il signore dell’Inferno che, nelle notti più oscure, va a caccia di anime, accompagnato dalla sua coorte di demoni. Il verde viene letteralmente divorato dal nero, e sovrastato da una impenetrabile cappa di dispe- razione e rassegnazione6. Oscurare il Verde, Coltivare il Nero The quiet hum of the earth’s dreaming is my new song When I awake, the world will be born anew Wolves in the Throne Room, I will lay down my bones among the rocks and roots 6 L’idea di un «annerimento» pessimista e nichilista del verde è stata suggerita da Niall Scott nel suo “Blac- kening the Green”, all’interno della raccolta Melancology. Black metal theory and ecology (2014). LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 207 Ogni discorso riguardante la natura è apparentemente condannato a concludersi con una scelta tra due opzioni radicalmente antagoniste: o la natura è vita e composizione, o è morte e annientamento; un’alternativa che diviene immediatamente etica, comportando un’ulteriore scelta, quella tra ottimismo e pessimismo. Nell’Anti-Edipo, tuttavia, Deleuze e Guattari ci mettono in guardia dall’opporre drasticamente queste due differenti dimensioni: Il modello della morte appare quando il corpo senza organi respinge e depone gli or- gani […] fino all’auto-mutilazione, fino al suicidio. E tuttavia non c’è opposizione reale tra il corpo senza organi e gli organi in quanto oggetti parziali […] C’è solo la morte che desidera, a titolo di corpo senza organi o di motore immobile, e c’è anche la vita che desidera, a titolo di organi di lavoro. Non si tratta qui di due desideri, ma di due pezzi, di due sorte di pezzi della macchina desiderante, nella dispersione della mac- china stessa […] La repulsione è la condizione di funzionamento della macchina, ma l’attrazione è il funzionamento stesso. (Deleuze & Guattari 1975: 376-377) Oltre a non richiede un intervento da parte del principio di non contraddizione, la sim- metria tra vita e morte non sembrerebbe neppure riducibile a un rapporto di tipo dialet- tico ‒ che ne comporterebbe la distribuzione lungo momenti differenti. La composizione e la decomposizione risuonerebbero l’una nell’altra, tramite la combinazione sincronica di due semplici principi, quello di repulsione e quello di attrazione ‒ dando così origine alla complessità dei fenomeni naturali e alle labirintiche circonvoluzioni del vivente. L’in- terrogativo sullo statuto morale della natura (benevola madre o matrigna spietata? Gaia o Medea?), lascia spazio a un’esplorazione delle sovrapposizioni e degli intrecci prodotti da questo duplice riecheggiare. Difatti, pur rappresentando la matrice originaria, il luogo al quale tutta la vita dovrà prima o poi fare ritorno, il «basso fondamentale» descritto da Schopenhauer non è il metro dominante dei processi naturali o della composizione musi- cale, ma un ritmo fondamentale, non-orientato, ateleologico e contrassegnato da diffe- renze di velocità ‒ sul quale le tonalità medie del mondo animale e vegetale, nonché quelle squisitamente alte prodotte dall’essere umano, possono innalzarsi liberamente. Per Scho- penhauer, è proprio in virtù di questa assenza di direzionalità che la Volontà, cieca e idiota, si andrebbe a oggettivare secondo modi e temporalità differenti, attraverso il mondo mi- nerale, vegetale, animale e umano ‒ senza contare la miriade di differenze che si vengono a instaurare tra i diversi generi e le diverse specie, o tra gli individui appartenenti al me- desimo genere o alla medesima specie. Si tratta di un campo di pura sperimentazione rit- mica, dischiuso dal nereggiare del nero nel verde, e da un corrispettivo verdeggiare del verde nel nero. Una reciprocità che ci costringe ad abbandonare l’eco-utopia di un’armo- nizzazione totale dei frammenti ‒ di una pacificazione perpetua, all’insegna dell’unità po- litica, ecologica ed epistemologica ‒ ma che ci invita anche a non lasciarci sprofondare nell’abisso di progetti suicidi, tra i fantasmi dell’estinzione e della guerra totale. LA DELEUZIANA – ONLINE JOURNAL OF PHILOSOPHY – ISSN 2421-3098 N. 10 / 2019 – RHYTHM, CHAOS AND NONPULSED MAN 208 Lasciandosi alle spalle le rigide contrapposizioni dialettiche tra il bianco e il nero, tra il nulla e l’essere, tra il vuoto e il pieno (una serie di contraddizioni risolvibili solo in virtù di un miracolo, o di un artificio retorico), la complementarità del verde e del nero spri- giona una miriade di variazioni tonali ‒ la parata di ritmi, forme e colori che contraddi- stingue la blusa di Arlecchino. Un sapere frammentario, al tempo stesso poetico, empirico ed estetico, che riflette la potenza e l’originalità del patchwork. BIBLIOGRAFIA Cabau, J. (1961). E.A. Poe. (Trad. it. di G. Veronesi). Milano: Mondadori. Deleuze, G. (1996). Critica e clinica. (Trad. it. di A. Panaro). Milano: Raffaello Cortina Editore. Deleuze, G. (2010). Immanenza. (Trad. it. di F. Polidori). Milano-Udine: Mimesis Edizioni. Deleuze, G., & Guattari, F. (1975). 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Los Angeles, CA: Southern Lord Records.