SOCIETÀMUTAMENTOPOLITICA 11(22): 205-208, 2020 ISSN 2038-3150 (online) | DOI: 10.13128/smp-12640 societàmutamentopolitica r i v i s t a i t a l i a n a d i s o c i o l o g i a Citation: Cosimo Marco Scarcelli (2020) Un’intervista a Karen Ross: dodici domande su genere e partecipazione (ma non solo). SocietàMutamentoPo- litica 11(22): 205-208. doi: 10.13128/smp- 12640 Copyright: © 2020 Cosimo Marco Scar- celli. This is an open access, peer- reviewed article published by Firenze University Press (http://www.fupress. com/smp) and distributed under the terms of the Creative Commons Attri- bution License, which permits unre- stricted use, distribution, and reproduc- tion in any medium, provided the origi- nal author and source are credited. Data Availability Statement: All rel- evant data are within the paper and its Supporting Information files. Competing Interests: The Author(s) declare(s) no conflict of interest. L’intervista Un’intervista a Karen Ross: dodici domande su genere e partecipazione (ma non solo) a cura di Cosimo Marco Scarcelli Karen Ross è professoressa di Gender e Media presso la School of Arts and Cultures della Newcastle University (UK). I suoi ambiti di ricerca si focalizzano soprattutto sul- la relazione tra genere, media e società con un’attenzione particolare ai social media e alla comunicazione politica. Studiosa appassionata e sempre attiva, Karen ha scritto saggi fondamentali riguardo ai temi in questione; è d’obbligo ricordare Gender, Politics and News: A Game of Three Sides  (2017, Wiley Blackwell), la curatele Gender equali- ty and the media. A challenge for Europe (2016, Routledge; con Claudia Padovani) e A Handbook of Gender, Sex and Media (2012, Wiley Blackwell) e il suo lavoro come principal editor: The International Encyclopaedia of Gender, Media and Communication  (Wiley, 2020). Tra gli articoli più recenti si segnalano: Facing up to Facebook: politi- cians, publics and the social media(ted) turn in New Zealand (2015, in «Media, Culture & Society» con Fountaine S. e Comrie M.); Scaling Social Movements Through Social Media: The Case of Black Lives Matter (2018, in «Social Media + Society», con Mundt M., Burnett C.M.) e Women, men and news: It’s life, Jim, but not as we know it (2018, in «Journalism Studies»; con Boyle K., Carter C., Ging D.). Karen è stata Lead Rese- archer per il progetto AGEMI (Advancing Gender Equality in the Media), dal 2017 al 2019. È stata responsabile dell’European Institute for Gender Equality (EIGE) dal 2011 al 2013. È stata anche coordinatrice per UK e per l’Europa del Global Media Monito- ring Project. 206 a cura di Cosimo Marco Scarcelli D. Karen, intanto grazie mille per aver accettato di rispondere alle mie domande e per il contributo che potrai dare a questa special issue di «SocietàMutamentoPoliti- ca» che si concentra su genere e partecipazione. Sei una delle più importanti studiose nel campo di Gender & Media e lavori da molto tempo su diversi argomenti in questo settore. Cosa ti ha spinto a iniziare a concentrarti su questi specifici temi? R. All’inizio degli anni Novanta, mi sono candida- ta alle elezioni del consiglio comunale e, grazie a questa esperienza, mi sono improvvisamente resa conto che i media inquadravano le donne che lavoravano in politica in modi molto diversi dagli uomini. Dopo l’elezione (che ho vinto!), ho deciso di spostare i miei interessi di ricer- ca dalle tematiche relative alle rappresentazioni etniche, a qualcosa che mettesse al centro le donne, impegnate in politica, ma non solo, considerandole come oggetto e soggetto dei discorsi creati nella cronaca. Nel corso del tempo questo interesse si è espanso fino a includere il mio interesse attuale: i social media e il loro utilizzo da parte delle donne in politica. Ma non mi occupo soltanto di questo, per esempio, sto anche lavorando con una collega statunitense a un progetto nel quale stiamo esaminando in che modo i mezzi di infor- mazione in tre paesi (Stati Uniti, Finlandia, Regno Uni- to) inquadrano l’esperienza della violenza da parte del partner. D. Dal tuo, speciale, punto di vista cosa significa lavorare oggi sul rapporto tra genere e media e come è cambiato questo tipo di ricerca negli ultimi anni? R. Ho lavorato in questo campo di studi per quasi tre decenni e posso affermare che capire il modo in cui i media inquadrano le donne è fondamentale ora, così come lo è sempre stato. Se prendiamo in considerazione le notizie, possiamo affermare che il discorso è decisamente cambiato in que- sto periodo e che gli esempi di rapporti sessisti espliciti sono sempre meno. Ciò non toglie, però, che continuia- mo ad assistere ad una banalizzazione delle donne attra- verso le più disparate modalità e che ci sia un’articola- zione del discorso molto dissimile se si ha a che fare con gli uomini o con le donne. La svolta politica alla quale stiamo assistendo in tutta Europa e a livello globale, che evidenzia una certa tendenza verso destra, è accompagnata da una reazione avversa al progresso della condizione femminile. Non solo, c’è il pericolo di un possibile ribaltamento dei dirit- ti per i quali le donne (e gli uomini) si sono battuti per molti anni, pensiamo, ad esempio, al diritto a un aborto sicuro. Queste tendenze politiche retrograde non hanno risparmiato l’Accademia. In alcuni paesi, come l’Un- gheria, è stato vietato l’insegnamento delle discipline che stanno sotto al termine ombrello Women Studies. Accadimenti del genere ci dimostrano la minaccia che le analisi femministe e di genere possono rappresentare per alcune società e le loro istituzioni. E i media? I media rappresentano delle istituzioni molto importanti. Un altro cambiamento all’interno del campo di stu- di è quello relativo all’oggetto di ricerca, un mutamento spinto dall’esplosione dei media digitali e in particolare dei social media. Assistiamo, in altri termini, a un cre- scente interesse al modo in cui le disuguaglianze pre- senti nella società, così come vengono rappresentate dai media tradizionali, vengono sfidate (o, potrei dire, sem- plicemente replicate) dalle tecnologie digitali. Gran par- te del lavoro contemporaneo su genere e media, incluso il mio, si concentra ora su piattaforme come Instagram, Facebook e Twitter. In breve, si può osservare che la promessa della tecnologia come forza emancipatrice per le donne si è dimostrata in realtà un’arma a doppio taglio. Da un lato, alcune piattaforme consentono alle donne di avere una voce e di parlare con chiunque voglia ascoltarle senza essere filtrate dai media mainstream, dall’altro, quelle stesse piattaforme stanno consentendo una proliferazio- ne di abusi, specialmente contro le donne. D. Pensi che gli studi su genere e comunicazione rap- presentino oggi un campo di ricerca riconosciuto nel mon- do accademico? R. Dipende… Come ho accennato in precedenza, anche se nella maggior parte dei paesi è possibile tro- vare corsi di insegnamento dedicati a genere e media e talvolta perfino interi corsi di laurea ad hoc, in alcuni paesi questi studi sono sotto attacco. La partita si gioca su un campo più politico che pedagogico, come se l’in- segnamento potesse essere considerato come un mero argomento accademico separato dai mondi reali in cui avviene la pratica politica; come se la politica non fosse personale o non fosse pedagogica. D. In termini generali, qual è – a tuo parere – la con- nessione tra il ruolo dei media, il genere e la partecipazio- ne nella società contemporanea? R. Un modo ovvio in cui i media digitali hanno stimolato il coinvolgimento delle donne (e degli uomi- 207Un’intervista a Karen Ross: dodici domande su genere e partecipazione (ma non solo) ni) nella società è evidenziato dalle modalità in cui le piattaforme digitali come Twitter, Facebook e WhatsApp vengono utilizzate sui dispositivi mobili come meccani- smi per riunire le persone per protestare in modo rea- le e su strade reali; come testimoniano i (letteralmente) milioni di donne in tutto il mondo che hanno partecipa- to a manifestazioni e proteste contro il presidente Trump nei giorni successivi al suo insediamento. Un altro esempio evidente è l’attivismo femminista dell’hashtag #MeToo e la creazione di spazi digitali per combattere il sessismo e consentire alle donne di riunirsi in comuni- tà di interesse che possono anche dare forma all’azione. Infine, un altro aspetto interessante è quello legato allo sviluppo di e-business di proprietà delle donne, compre- se aziende focalizzate sui media e siti web femministi come Jezebel. D. Pensi che, in termini di media, genere e parteci- pazione, potrebbe esserci un ruolo specifico delle giovani generazioni, in particolare delle giovani donne? R. Sì! Le giovani donne sono “native digitali”, sono cresciute su Instagram e non solo usano la tecnolo- gia esistente per fare campagne su temi particolari, ma stanno anche sviluppando i propri strumenti tecnologi- ci, imparando a programmare e gradualmente prenden- do piede all’interno di un’industria tecnologica ancora troppo maschile. D. Concentrandoci sulla pandemia e su ciò che, a partire da gennaio 2020, sta accadendo nel mondo, abbiamo visto che diversi leader mondiali hanno seguito varie strategie per combattere la diffusione del virus e per comunicare con i cittadini. Pensi che il genere dei leader in questione abbia influito in qualche misura sulla loro comunicazione? R. Sì, in una certa misura sì. Ho anche scritto qual- cosa di recente su questo. Farei in questo caso un esempio in particolare e cioè quello di Jacinda Ardern, una delle donne elogiate per la sua leadership durante la pandemia. Ricordiamo che il suo successo non è dovuto solo al suo sesso, ma anche a ciò che è, a ciò in cui crede, ai suoi valori. Basti pensa- re a Margaret Thatcher, Imelda Marcos o anche Theresa May, per riconoscere che essere donna non è garanzia di efficacia, in una crisi globale o in qualsiasi altro momen- to storico. Ciò che è interessante, e un po’ ironico in termini di discorso giornalistico, è che gli stessi identici trat- ti di leadership che vengono attribuiti a un leader poli- tico come Jacinda Ardern, come compassione, empatia, umiltà e ascolto attivo, sono stati convenzionalmente intesi come “femminili” e quindi incompatibili con una leadership propriamente detta (quella, per inteso, classi- camente collegata al così detto “uomo forte”). Tuttavia, sembrerebbe che in una crisi globale siano invece carat- teristiche che rendono la leadership dav vero efficace. Naturalmente, tali tratti non sono realmente connessi ad un solo genere. Ma dobbiamo ricordare che, come la storia ci insegna, le donne non hanno praticamente mai avuto l’opportunità di diventare leader politici. Anche ora, nel 2020, ci sono solo 12 capi di governo donne su 193 nazioni che sono membri dell’Unione Interparla- mentare. D. Rimaniamo ancora un attimo sull’attualità e sul- la politica e muoviamoci verso un altro grande tema degli ultimi giorni, le elezioni statunitensi e Kamala Harris come prima donna vicepresidente della storia americana. Pensi che questo potrebbe rappresentare un cambiamento importante? R. Sì, spero davvero che questo cambiamento rap- presenti un punto di svolta in termini di chi può essere considerato un politico efficace. È già chiaro dai recenti annunci di Harris e Biden che le donne giocheranno un ruolo significativo nella loro amministrazione. La prima nomina di Harris è stata Karine Jean-Pierre come suo nuovo capo di stato maggiore. Jean-Pierre è un’attivista accademica haitiana-americana, lesbica. Lei è stata una figura chiave in tre campagne presidenziali, inclusa la storica vittoria di Barack Obama nel 2008. Inoltre, il 29 novembre, Joe Biden ha messo, per la prima volta, delle donne a ricoprire ruoli senior nel cam- po della comunicazione. Tuttavia, essere “solo” una donna, “solo” una don- na afro-indiana americana non conterà nulla se Harris non userà la sua posizione per spingere sul cambiamen- to, non solo per ciò che concerne le donne, ma anche per quel che riguarda la promozione attiva di un programma di equità. D. Vorrei ora parlare di uno dei tuoi ultimi lavori, The International Encyclopaedia of Gender, Media and Communication che hai recentemente curato per Wiley. Perché hai deciso di avviare un progetto così complesso e quale può essere oggi il ruolo di questa Enciclopedia? R. Ottima domanda! Sono un membro dell’Advisory Board per la serie International Encyclopaedia di Wiley e alcuni anni fa, quando consideravo le nuove proposte sui differenti argomenti, ho chiesto perché nessuno si facesse avanti con una proposta riguardante il genere e i media. 208 a cura di Cosimo Marco Scarcelli A quel punto tutti hanno rivolto il loro sguardo verso di me e qualcuno ha detto “ottima idea, perché non lo fai?”. Quindi, dopo un anno o due in cui ho pensato che fosse un progetto troppo articolato e, per questo, scoraggiante, mi sono detta “No, se qualcuno deve farlo, devo essere io”, così ho iniziato la mia avventura. Ho avuto la grande fortuna di poter coinvolgere nel progetto un team di bril- lanti associate editor, tra cui il mio intervistatore, il mio buon amico Cosimo Marco Scarcelli. Questo gruppo ha reso il progetto più facile per me, ma poi devo ammette- re che la collaborazione ha anche portato a un risultato migliore di quello che avrei potuto ottenere da sola. Sono immensamente orgogliosa di ciò che abbiamo ottenuto con l’Enciclopedia e spero che si riveli una fonte utile per docenti, colleghi ricercatori e studenti. D. Quali sono stati i momenti più difficili che hai affrontato in questo lavoro? Qual è stata la soddisfazione più grande? R. Forse la sfida più grande, come per qualsiasi acca- demico, è stata iniziare, ottenere il primo lavoro, pub- blicare il primo articolo. Ma sono stata fortunata perché all’inizio c’era un mercato del lavoro abbastanza vivace, ci si poteva muovere con più facilità e non si avevano carichi di insegnamento pesanti nei primi anni. Que- sto mi ha permesso di strutturare bene il mio curricu- lum sin dall’inizio. Un’opzione, bisogna dirlo, che non è disponibile per la maggior parte dei giovani studiosi che iniziano ora e che devono affrontare una situazione lavo- rativa molto più complicata. Immagino che la mia più grande soddisfazione professionale sia stata ottenere una cattedra. Però devo dire anche che ogni dottorando che vedo completare il suo percorso formativo per me rappresenta una meravi- gliosa soddisfazione. So bene che ciascuno di loro si sta lanciando verso un futuro incerto e precario. Ma sono sicura che, grazie alla loro tenacia e alla loro bravura, sopravviveranno. D. So che sei una studiosa molto attiva e quindi immagino che tu abbia un nuovo progetto nel cassetto... vuoi parlarci di qualcosa in particolare? R. Ho molti progetti in corso in questo momento, ciascuno con obiettivi e stadi di avanzamento differen- ti. Sono il coordinatore britannico ed europeo del Global Media Monitoring Project e presto esaminerò i dati che abbiamo raccolto nell’ultimo periodo di monitoraggio per iniziare a ragionarci e scrivere a riguardo. Sto anche lavorando con due colleghi in Nuova Zelanda a un progetto incentrato sulle elezioni neozelan- desi di ottobre 2020 e sui post di Facebook dei due prin- cipali leader del partito, Jacinda Ardern e Judith Collins. Poi…ho una collaborazione con una collega statu- nitense sulla rappresentazione delle notizie sulla violen- za di genere. Infine, sto lavorando con i colleghi del mio dipartimento, a un progetto su piccola scala che coinvol- ge i residenti in due case di cura locali per supportarli nelle riprese del loro “Corona Winter”: produrremo un cortometraggio con le riprese che hanno fatto, con l’o- biettivo di mostrare la resilienza, l’umorismo e la creati- vità delle persone anziane che vivono in strutture di case di cura, come correttivo all’insistenza dei media sul fatto che le case di cura sono i luoghi dove vai a morire. D. Un’ultima domanda, quali sono i tuoi consigli per un giovane studioso che vuole iniziare a lavorare in que- sto specifico campo? R. Innanzitutto le/gli direi: assicurati di volere dav- vero intraprendere la carriera accademica. Se è quello che vuoi, preparati a essere flessibile. Il tuo primo lavo- ro potrebbe non essere davvero quello a cui aspiravi: il settore specifico potrebbe non essere il tuo preferito e il contratto durare solo per un periodo breve, potrebbe richiedere molte ore di insegnamento, magari di argo- menti con cui non hai una grande familiarità. Ma pren- dilo! Devi prima mettere il piede nella porta e accumu- lare esperienza. Trova altri studiosi che ammiri e rispet- ti e chiedi se puoi fare due chiacchiere con loro. Fai in modo che alcuni colleghi intorno a te ti nutrano intellet- tualmente e ti sostengano. Fai attività volontarie, come organizzare panel di conferenze e rivedere articoli e pro- posal. Sii audace! Invia e-mail alle riviste nelle quali vor- resti pubblicare un giorno e offriti volontario per scrive- re la recensione di un libro. Renditi visibile. Ma attenzio- ne...sii gentile con te stesso, coltiva sempre l’amore per i tuoi amici e la tua famiglia. E ricordati di assaporare ogni istante della tua vita. (Traduzione di Cosimo Marco Scarcelli) Sulle tracce della partecipazione Simona Gozzo, Elisa Lombardo, Rossana Sampugnaro Quale genere di astensionismo? La partecipazione elettorale delle donne in Italia nel periodo 1948-2018 Dario Tuorto, Laura Sartori Partecipazione e genere in Europa: una questione di contesto? Simona Gozzo1 Partiti populisti, diritti e uguaglianza di genere Marilena Macaluso Il collo di bottiglia della rappresentanza di genere. Le elette nel Parlamento Italiano nel nuovo millennio (2001-2018) Rossana Sampugnaro Che genere di diritto? Il controverso rapporto tra movimenti delle donne e trasformazioni dell’ordinamento giuridico Delia La Rocca Meccanismi di riproduzione del gender gap nella sfera politica e nei media Marinella Belluati The ties that fight. Il potere integrativo delle reti online femministe Elena Pavan Sharing a Meme! 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Tratteggi di un’agency al femminile Ignazia Batholini Un’intervista a Karen Ross: dodici domande su genere e partecipazione (ma non solo) a cura di Cosimo Marco Scarcelli La mia Amica Vittoria Giuseppe Vecchio Le trame della ricerca sociologica: ritratto di Vittoria Cuturi Rossana Sampugnaro Leadership e gestione della complessità* Vittoria Cuturi Una questione complessa Simona Gozzo Complessità politica e complessità sociale (ma non solo) Gianfranco Bettin Lattes L’intuito di Vittoria Cuturi Roberto Segatori Una lezione di metodo Rossana Sampugnaro Il leader minimo Andrea Pirni Leadership e democrazia: il contributo di Vittoria Cuturi alla sociologia politica Lorenzo Viviani Complessità e leadership Antonio Costabile Leadership e radici sociali del potere legittimo Pietro Fantozzi Ripensare le politiche di salute nell’era neoliberista. Welfare mix e sofferenza psichica. Quali spazi d’intervento per la società civile? 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