Microsoft Word - 08_lughi.docx DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures Published 18 July 2020 Correspondence should be addressed to Giulio Lughi, Università di Torino. Email: giulio.lughi@mail.com DigitCult, Scientific Journal on Digital Cultures is an academic journal of international scope, peer-reviewed and open access, aiming to value international research and to present current debate on digital culture, technological innovation and social change. ISSN: 2531-5994. URL: http://www.digitcult.it Copyright rests with the authors. This work is released under a Creative Commons Attribution (IT) Licence, version 3.0. For details please see http://creativecommons.org/ licenses/by/3.0/it/ DigitCult 73 http://dx.doi.org/10.4399/97888255301487 2019, Vol. 4, Iss. 2, 73–80. DOI: 10.4399/97888255301487 La visualizzazione digitale negli studi di Cultural Heritage Abstract Il saggio si collega ad altri interventi apparsi sulla rivista DigitCult, focalizzati sulla possibilità di elaborare nuove forme di scrittura accademica, e più in generale critica e scientifica. Il saggio rileva, preliminarmente, come spesso anche le proposte più innovative scontino una sorta di dipendenza dalla centralità della scrittura: certamente si riconosce che il digitale offre ampie possibilità di espansione rispetto alla testualità scritta, ma nonostante ciò il ruolo guida della argomentazione e della strategia espositiva pertiene sempre allo scritto. Questo contributo intende invece proporre un punto di vista diverso, individuando nella componente visuale, e in particolare nel video interattivo, un possibile elemento trainante per elaborare nuove forme di discorso critico e interpretativo. A questo scopo vengono considerati alcuni precedenti storici (pre-digitali) rilevanti per il nostro discorso; successivamente vengono esaminati alcuni strumenti software che consentono di produrre testi incentrati sulla componente visiva; e infine viene proposto un esperimento di webdoc interattivo, centrato sul visuale, che analizza una complessa installazione site specific, opera dell’artista Giuseppe Penone. Digital Visualization in Cultural Heritage Studies This paper is related to other interventions that appeared in the DigitCult magazine, focused on the possibility of developing new forms of academic writing, and more generally of critical and scientific writing; we note, however, that often even the most innovative proposals somehow discount a sort of dependence on centrality of writing. Certainly it is recognized that digital paradigm offers great possibilities for expanding written textuality (e.g. with multimedia and the possibility of adding images, sounds and videos; or with the possibility of intervening directly on the code; or with the semantic management of the text through keywords and ontologies): but always, and in any case, the guiding role of the argumentation pertains to the writing. This paper instead aims to propose a different point of view, entrusting the visual component, and in particular the interactive video, with the leading role. For this purpose, interesting historical precedents are examined; some software tools are considered that allow the production of texts focused on the visual; and finally an interactive webdoc experiment - centered on the visual - is proposed, describing a complex site specific installation by the italian artist Giuseppe Penone. Giulio Lughi Università di Torino 74 | La visualizzazione digitale negli studi di Cultural Heritage doi:10.4399/97888255301487 DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures La rivista “DigitCult” ha avviato recentemente una metariflessione sulle prospettive aperte dal digitale nei processi di analisi critica ed interpretazione dei prodotti culturali, nonché sulle forme di comunicazione e disseminazione degli studi scientifici. Esistono forme testuali alternative, o almeno integrative, al classico paper scritto o alla monografia? La riflessione è stata anticipata da Riva (2017) nel suo saggio sulla monografia digitale, dove esplora il dibattito anglosassone su questo tema facendo riferimento anche alle proprie sperimentazioni presso la Brown University; poi è stata sistematizzata esplicitamente da Roncaglia (2018), nel contributo programmatico intitolato Nuove forme per la scrittura accademica: l’avvio di una sperimentazione; a seguire, il contributo sperimentale di Venerandi (2018), il quale affronta l’argomento in un saggio ipertestuale - attivato mediante lo scanning di un QR code - dove mette l’accento sull’importanza dei linguaggi di programmazione; poi il contributo di Leonetti (2019) - anch’esso un ipertesto esterno alla rivista attivato tramite QR code - dove viene sottoineata l’importanza delle marcature e relazioni semantiche all’interno del testo; infine il saggio di Meschini (2019) che affronta in prospettiva più ampia le problematiche della Digital Scholarship. Sullo sfondo di queste riflessioni traspare il grande tema della convergenza al digitale, cioè della moltiplicazione di potenza che il digitale offre alla trasmissione della conoscenza grazie al fatto che l’elaborazione logica di stringhe alfanumeriche è in grado di restituire, sui dispositivi di output, qualsiasi codice espressivo: dal testo scritto, all’immagine, alla grafica, al video, alla musica, configurandosi così come metamedium onnivoro capace di dar vita a molteplici forme espressive. Un processo indagato soprattutto da Lev Manovich (2013, 110), che elabora il concetto di deep remixability per indicare il potere unificante e al contempo ibrido del digitale: “Uniti in un ambiente software comune, i linguaggi di cinematografia, animazione, computer animation, effetti speciali, graphic design, e stampa sono venuti a formare un nuovo metalinguaggio”. Il tratto saliente, rispetto alle forme di testualità pre-digitale, è che in questa prospettiva il digitale non è semplicemente una tecnologia (come il video, l’audio, i procedimenti avanzati di stampa, ecc.) ma è anche e soprattutto un linguaggio e una logica, in grado di entrare nel cuore dei procedimenti di costruzione testuale e di interconnettere piani espressivi che nel paradigma industriale venivano accuratamente tenuti distinti: di qui le enormi potenzialità testuali, e quindi comunicative e culturali, che il digitale dispiega, dalla struttura argomentativa reticolare (ipertestualità), all’intrecciarsi di diversi codici espressivi (multimedialità), alla possibilità di dinamismo autonomo (programmabilità), alla capacità di risposta alle azioni del lettore/spettatore (interattività). Indicazioni ben presenti nei contributi sopra citati, nei quali tuttavia sembra di cogliere comunque una sorta di prevalenza attribuita al codice scritto, prevalenza che di fatto si risolve in un rapporto controverso fra testualità scritta e altre testualità, in particolare quella visuale. Emblematica in questo senso la posizione di Riva: “In short, rethinking my book as a digital monograph compelled me to shift the weight of my argument from the written to the visual component, embedding as much of my argument in the latter. At the same time, this also required a substantial shift in my writing strategy, reducing the overall “weight” of the textual component (from in excess of 100.000 words, in its first envisioned draft, to about 60.000 in the current plan) but investing the written text with a new crucial function: supporting the visualizations (in the shape of captions or internal annotations), on the one hand, and providing a narrative frame which allows the reader to connect the various visualizations among themselves, and follow a path toward some theoretical and methodological conclusions”. (69) dove si riconosce certamente il peso crescente che il visuale assume nelle forme testuali digitali, ma al tempo stesso si affida al testo scritto il compito (“investing the written text with a new crucial function”) di strutturare il telaio narrativo e argomentativo entro cui si collocano gli elementi visuali. Rispetto a questo approccio cercherò qui di spostare il punto di vista, focalizzando il discorso soprattutto sul ruolo della componente visuale, in particolare concentrandomi sull’utilizzo del video interattivo nei progetti di Digital Cultural Heritage. Per far questo riprenderò innanzitutto doi:.4399/97888255301487 Giulio Lughi | 75 DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures alcune osservazioni presenti nei contributi sopra segnalati: estenderò poi il discorso ad alcuni antecedenti (anche pre-digitali) che affrontano il tema del rapporto fra scritto e visuale; prenderò successivamente in esame la comparsa sul mercato - e quindi nelle pratiche di produzione testuale interattiva - di software autoriali nei quali si abbandona il modello “orientato allo scritto” per puntare decisamente verso una testualità “orientata al visuale”; e presenterò infine un esperimento di webdoc interattivo, elaborato da me e dai miei collaboratori, che applica queste forme di testualità espansa1 all’esplorazione e all’analisi di un’importante opera site specific di arte contemporanea, Il Giardino delle Sculture Fluide di Giuseppe Penone, collocato nel Parco Basso della reggia La Venaria Reale2 a poca distanza da Torino. Consideriamo innanzitutto i contributi, citati sopra, presenti in “DigitCult”. Vediamo che Roncaglia (3) si concentra soprattutto sulla forma ipertesto, ma sempre dal punto di vista della scrittura, all’interno della quale auspica un maggiore ricorso alla visualizzazione dei dati, le cosiddette infografiche, come “arricchimento” delle forme tradizionali di testualità; o ricorda le sperimentazioni di Marvin Minsky, il quale in un celebre esperimento3 “entra” in video nel testo scritto per commentarne alcuni passi: in entrambi i casi il “ruolo guida” della testualità risulta comunque affidato allo scritto, rispetto al quale le componenti visuali sono certamente prese in considerazione, ma più che altro come elementi integrativi, se non accessori. Venerandi, dal canto suo, punta soprattutto sul coding, la scrittura del codice come strumento per gestire in maniera articolata e flessibile le diverse componenti testuali, anche multimediali, nonché sul superamento del concetto di pagina lineare per proporre invece la piattaforma digitale come strumento organizzativo della nuova testualità. Anche nel suo caso si rileva tuttavia la posizione di secondo piano del visuale rispetto allo scritto, mentre la piena integrazione semiotica dei codici è espressa solamente in termini di auspicio (“Si potrebbe invece pensare...”). Nel paragrafo4 “Il multimediale” Venerandi infatti sottolinea come “La presenza di audio e video in contenuti digitali ha dato vita, specie in campo editoriale, a prodotti non sempre omogenei. Il video viene utilizzato come elemento che aumenta un contenuto testuale, ma questo aumento è ancora gestito in maniera grossolana: il video è un contenuto che viene giustapposto al testo, senza che vi sia una reale integrazione fra gli elementi. Si potrebbe invece pensare a contenuti, anche appartenenti a diversi media, che compongono la pagina della pubblicazione digitale e che tra di loro colloquiano a seconda delle interazioni del lettore”. Per quanto riguarda il contributo di Leonetti, la sua attenzione è puntata soprattutto sulle relazioni semantiche presenti nel testo, e sulle procedure di marcatura che consentono di evidenziarle e renderle individuabili attraverso appositi motori di ricerca. Il rapporto fra scritto e visuale non emerge dal suo contributo, ma va tuttavia notato che il software-autore5 che Leonetti suggerisce, e che ha utilizzato per elaborare il suo contributo, è decisamente “orientato allo scritto” nel senso di organizzato per pagine, all’interno delle quali sono incapsulabili immagini, video e altri elementi mediali. A conferma della problematicità del rapporto fra scritto e visuale, il saggio di Meschini affronta infine in maniera articolata il tema più ampio della Digital Scolarship, enucleandone la complessità in termini di opposizioni sistematiche fra elementi portanti (assetto documento-centrico e data- centrico, mono e multicodicale, individuale e collettivo, informativo e narrativo, sincronico e diacronico, forma breve e forma lunga, ecc.), riconoscendo sul piano teorico le potenzialità comunicative del visivo in quanto diverse da quelle del linguaggio verbale, ma mantenendo - come nel caso di Venerandi - una certa cautela, solo come ipotesi per il futuro, riguardo alla sua 1 Il tema della testualità “espansa” era stato proposto in una tavola rotonda dal titolo “Oltre il libro. Ebook e testualità espansa”, da me organizzata al Salone del Libro di Torino nel maggio del 2017, nell’ambito del programma “Talking About: la scienza per capire il mondo”, in convenzione fra Fondazione del Libro, della Musica e della Cultura e Università degli Studi di Torino e in collaborazione con StorycodeTorino: http://www.storycodetorino.com/oltre-il-libro-ebook-e-testualita-espansa/ 2 https://www.lavenaria.it/it/esplora/i-capolavori/giardino-delle-sculture-fluide 3 https://www.youtube.com/watch?v=6Gbe55mIn-w&feature=youtu.be&t=752 4 Il contributo di Venerandi è disponibile solo online e non è citabile per pagina. 5 https://www.epubeditor.it/home/home/ 76 | La visualizzazione digitale negli studi di Cultural Heritage doi:10.4399/97888255301487 DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures applicabilità nei testi argomentativi (“Di primo acchito può sembrare riduttivo...”; “...possano avere una carica non indifferente...”; “...può essere una componente rilevante...”): “...di primo acchito può sembrare riduttivo utilizzare il linguaggio audiovisivo in sostituzione di quello testuale, che richiede una maggiore partecipazione da parte del fruitore, con delle conseguenze fondamentali a livello cognitivo [...]. Non va dimenticato come l’aspetto sovrasegmentale e performativo del linguaggio verbale, e l’approccio sinestesico del doppio canale visivo/auditivo possano avere una carica non indifferente nel veicolare con efficacia anche concetti non strettamente narrativi. Inoltre la grammatica visiva ha un livello di espressività paragonabile a quella testuale, seppure di natura diversa; di conseguenza imparare a decodificarla può essere una componente rilevante in quell’attività più generale che è l’educazione alla complessità”. (17) Come si vede il rapporto scritto/visuale rappresenta uno snodo concettuale fondamentale, con tutte le sue contraddizioni e problematicità: l’opposizione fra scritto e visuale presenta infatti una complessità semiotica che va ben oltre la definizione della digital scholarship, in quanto tocca anche aspetti psicologici, cognitivi e culturali. E proprio per esplorare rapidamente l’ampiezza di questa tematica, e contestualizzare meglio il modo in cui essa può incidere nei testi critico- scientifici, vale la pena di considerare alcuni antecedenti storici (anche pre-digitali) nei quali è possibile riscontrare una sorta di tensione a superare la dimensione solo scritta dell’argomentazione critica per sperimentare forme interpretative più complesse. Innanzitutto va menzionato - come precursore - il dibattito sul cosiddetto pseudo-saggio (Gallerani 2019), forma ibrida in cui già tra Otto e Novecento si manifesta l’inquietudine testuale della critica letteraria che prova ad uscire dalla forma canonica del “saggio” per declinarsi secondo generi “altri” (il dialogo, l’autoritratto, la biografia romanzesca, la riscrittura parafinzionale, l’autobiografia, ecc.): un campo di sperimentazioni testuali che in origine resta legato solamente allo scritto, ma che nei suoi esiti più recenti va a contaminarsi con varie forme mediali, tra cui ovviamente quelle visive. Se ci spostiamo nel settore della critica d’arte, appare di notevole interesse la sperimentazione promossa da Carlo Ludovico Ragghianti, il quale tra il 1954 e il 1963 realizza diciannove critofilm: termine da lui coniato (Scremin 2001, 11) per indicarne la esplicita funzione critico-scientifica in contrasto con altre forme di documentari artistici (ad esempio quelli “letterari” di Roberto Longhi e Umberto Barbaro, o quelli “narrativi” di Luciano Emmer). Si tratta di un’operazione di critica d’arte sviluppata esclusivamente attraverso l’immagine in movimento, tanto che idealmente il critofilm dovrebbe essere muto. Ragghianti rivolge particolare attenzione agli aspetti tecnici dell’operazione, al punto da elaborare una precisa metodologia di ripresa e dare peculiare rilievo al montaggio, oltre a far costruire appositamente dei carrelli speciali per i movimenti di macchina e per la messa a fuoco: riprendendo la nostra opposizione scritto/visuale, potremmo dire che mentre nei documentari di Longhi il codice dominante è il linguaggio verbale, nei critofilm di Ragghianti l’attenzione si sposta decisamente sulle potenzialità (anche tecnologiche) del visuale. Se quella di Ragghianti è la sperimentazione di uno studioso singolo, negli anni Sessanta del Novecento il tema delle capacità analitiche del visuale investe un’intera disciplina, con le prime formulazioni di sociologia visuale6: un campo di studi e un metodo di indagine che da una parte si esplica nell’analisi di materiale iconografico preesistente per studiare i fenomeni sociali; dall’altra - più interessante per il nostro discorso - si misura con la produzione di materiali iconografici, foto e video, i quali costituiscono essi stessi il discorso scientifico di analisi del sociale (Faccioli, Losacco 2010). In termini più generali, l’ipotesi di utilizzare il video per elaborare un discorso critico trova oggi ampia applicazione nei video essay, i quali hanno una diffusione molto ampia a tutti i livelli, tanto da dar vita a veri e propri Festival per studenti di scuole e università7. Peraltro spesso, anche nelle forme più raffinate - come nella lettura di Giulio Paolini da parte di Sergio Risaliti8 - emerge 6 https://visualsociology.org/ 7 https://tinyurl.com/u43h8n9 8 https://tinyurl.com/s5k2k9a. doi:.4399/97888255301487 Giulio Lughi | 77 DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures molto chiaramente il predominio della testualità scritta (in questo caso realizzata oralmente); oppure viceversa - come nel caso del progetto Finite Rants lanciato da Fondazione Prada9, che “intende testare la versatilità del saggio visuale nell’esprimere il pensiero attraverso le immagini e dimostrare la sua attualità nella produzione visiva contemporanea” - a prevalere è la componente visuale, in questo caso segnata da una forte caratterizzazione artistico-sperimentale o di cinema d’avanguardia. In ogni caso il video essay resta legato alla dimensione del video lineare, senza aprirsi alla possibilità interattive, programmabili e dinamiche che il digitale mette a disposizione: paradossalmente, la potenza del digitale viene utilizzata solo a livello di postproduzione e poi blindata dentro il video lineare, senza assumerne il controllo da fuori: come si può vedere nel progetto - peraltro articolato e affascinante - Indy Vinyl di Ian Garwood (2020), i cui video essay - benché trattino tematiche legate all’immersività e alla realtà virtuale - restano legati alla forma del video lineare, scontando quasi una sorta di dipendenza dalla matrice documentaristica. Non è un caso che sia invece uno studioso di media digitali, e non di cinema, a intravedere le potenzialità di queste forme interpretative: in un intervento a proposito di un video essay che tratta dei rapporti fra cinema e videogame10, Jenkins (2013) afferma che: “... it represented an innovative form of scholarship. I am hoping we will see more examples of these kinds of analytic video essays in the future”. Su questa linea Scolari (2013), riprendendo l’intervento di Jenkins, estende ulteriormente la prospettiva chiedendosi se sia possibile articolare un discorso scientifico transmediale andando ovviamente oltre la pratica, consueta nelle pubblicazioni scientifiche, di inserire semplicemente materiali iconici illustrativi o esplicativi nel testo scritto: Scolari propone invece di rifarsi alla lezione di McLuhan, e in particolare ai libri prodotti dallo studioso canadese in collaborazione con disegnatori come Quentin Fiore o Harley Parker. Ciò su cui insiste Scolari è la perfetta integrazione semiotica fra testo scritto e testo visuale negli esperimenti di McLuhan, una perfetta fusione di intenti analitico-comunicativi e strumenti espressivi che Scolari definisce “un big bang tipografico e cognitivo”. Infine, uscendo da una concezione riduttiva di testo11, legato alla pagina o ad un supporto magnetico, va considerato l’esempio di un intero museo che si presenta come un unico, grande testo visuale didattico-argomentativo: il museo M912 di Mestre (VE) propone infatti un racconto- analisi del Novecento italiano totalmente basato sulla esposizione di materiali visivi multimediali; in più aggiunge la dimensione interattiva che consente al visitatore di scegliere i propri percorsi conoscitivi. Da oltre centocinquanta archivi il museo ha raccolto oltre seimila foto, ottocento video, e riproduzioni digitali di manifesti, poster, pagine di quotidiani e riviste; ma ciò che qui interessa è il deciso “orientamento al visuale” del progetto espositivo (tenuto conto che si tratta di un museo storico e non artistico): qui si è attuato un vero e proprio rovesciamento di prospettiva, in quanto non è più il testo scritto che svolge il ruolo di guida del discorso argomentativo, incapsulando ove necessario dei materiali visivi, ma sono i materiali visivi che conducono la danza, aprendosi - ove necessario - ad accogliere brevi testi parlati o scritti. Di fronte a questo panorama concettuale complesso e dinamico, in cui scritto e visuale sembrano dialogare in un perenne equilibrio instabile, prendiamo ora in esame alcuni concreti strumenti operativi, software applicativi a disposizione della comunità scientifica per sperimentare nuove forme di testualità “espansa”; e va detto subito che ci troviamo di nuovo di fronte alla dicotomia fra strumenti “orientati allo scritto” e strumenti “orientati al visuale”. Sono software sviluppati soprattutto nell’ultimo decennio, strumenti-autore che puntano a rendere accessibili ad un ampio pubblico le funzionalità più avanzate di design digitale interattivo senza dover conoscere i linguaggi di programmazione13: vengono considerati comunemente come strumenti di content 9 http://www.fondazioneprada.org/project/finiterants/ 10 https://vimeo.com/43326496 11 In un breve saggio (Lughi 2013) ho a suo tempo ipotizzato che nello scenario del digitale, e soprattutto nel paradigma mobile/locative, testi e spazi tendano a fondersi verso un’unica dimensione esperienziale: “testi come spazi” e “spazi come testi”. 12 https://www.m9museum.it/ 13 Naturalmente è possibile che alcuni studiosi, o team di ricerca particolarmente organizzati, siano in grado - anche in ambito umanistico - di sviluppare un prodotto testuale lavorando direttamente sul codice, o almeno assemblando gruppi di programmatori in grado di interagire produttivamente in vista di 78 | La visualizzazione digitale negli studi di Cultural Heritage doi:10.4399/97888255301487 DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures curation, un settore oggi orientato soprattutto al social marketing, ma che inizialmente era (ed è ancora in parte) orientato a potenziare la scrittura argomentativa, giornalistica o scientifica. Nel primo gruppo - “orientato allo scritto” - va considerato ad esempio Scalar14, probabilmente la piattaforma più articolata e potente per la scrittura accademica. Un prodotto libero, open source, con la possibilità di strutturare il testo in maniera reticolare, interattiva, e con buone potenzialità di marcatura semantica dei contenuti multimediali. Come recita la presentazione della piattaforma: “Scalar enables users to assemble media from multiple sources and juxtapose them with their own writing in a variety of ways, with minimal technical expertise required”. Altrettanto interessante Pubcoder15, la cui caratteristica più rilevante è la capacità di gestire interattivamente singoli “oggetti” di svariata natura all’interno della pagina, con una serie di funzioni integrate che vanno dall’animazione ai questionari all’inserimento di smart object. Sulla stessa linea Atavist16, strutturato per pagine scorrevoli sia in senso orizzontale sia verticale, all’interno delle quali possono essere incorporati i blocks, elementi testuali di varia natura tra cui ovviamente immagini e video (gestibili con vari artifici grafici come gallerie e accostamenti), ma anche tabelle, mappe, grafici, in collegamento dinamico con programmi esterni di gestione dei dati, e con grandi capacità di embedding nei confronti di altri programmi (ad es. slide Powerpoint, post di Instagram e Twitter, Storymap, servizi di mail, repository di audio, gif dinamiche, ecc.). Sull’altro fronte troviamo invece i software “orientati al visuale”: qui gli elementi nucleari, le unità di base del testo non sono le pagine scritte, come nei casi precedenti, ma le clip video, il cui assemblaggio e coordinamento struttura il discorso argomentativo. Va citato Prezi17, con i suoi più recenti sviluppi, per il carattere pionieristico nell’utilizzo della grafica vettoriale che consente di dare profondità alla struttura del testo, offrendo al lettore non solo la mobilità interattiva orizzontale tipica dell’ipertesto, ma anche quella verticale, a scatole cinesi, che permette di sviluppare visivamente gli approfondimenti necessari. Nell’ambito del marketing sono molto diffusi oggi Wirevax18 e Eko19: in entrambi il filo conduttore è dato da clip video, che possono essere agganciate ad altri elementi video o ad altri materiali multimediali, compresi naturalmente i testi scritti. In entrambi questi prodotti è molto sviluppata la componente interattiva, che si manifesta sia con la possibilità di organizzare racconti a bivi, sia di aprire schede esplicative aggiuntive, sia di collegarsi a servizi online esterni. Sempre “orientati al video”, ma non tanto per il marketing quanto per la costruzione di testi argomentativi complessi, come reportage giornalistici o saggi a forte tasso di interattività, sono invece Racontr20 e Klynt21: questi software sono sicuramente i prodotti più maturi in questo settore, e puntano entrambi sulla possibilità di aggiungere al video degli strati testuali, dei layer, indipendenti dal video stesso e gestibili con semplici comandi che non richiedono competenze di programmazione. A differenza del video lineare, nel quale si possono certamente incorporare in postproduzione altri elementi visivi o scritti, che tuttavia vengono blindati nel video al termine del processo di rendering, nel caso dei software qui citati gli strati testuali rimangono indipendenti e possono essere spostati, eliminati, fatti apparire e scomparire grazie ai comandi interattivi, o possono diventare essi stessi attivatori di dinamiche all’interno del testo stratificato. Questa estrema flessibilità, che rende espandibile e manovrabile il testo in tutte le direzioni, compresa quella verticale della profondità, costituisce il banco di prova ideale per cercare di dar vita a quelle un risultato professionalmente rilevante. Ma sembra più realistico pensare invece all’impiego di software-autore come quelli che esamineremo qui rapidamente, in cui l’eventuale intervento sul codice è limitato a semplici aggiustamenti o personalizzazioni: si tratta di software che infatti trovano largo impiego nelle redazioni editoriali, o giornalistiche, o da parte di autori freelance. 14 https://scalar.me/anvc/scalar/ 15 https://www.pubcoder.com/ 16 https://atavist.com/ 17 https://prezi.com/ 18 https://www.wirewax.com/ 19 https://eko.com/ 20 https://racontr.com/ 21 https://www.klynt.net/ doi:.4399/97888255301487 Giulio Lughi | 79 DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures inquietudini sperimentali, sul rovesciamento di prospettiva e integrazione fra scritto e visuale, di cui abbiamo ricostruito rapidamente alcune tappe a partire dal Novecento pre-digitale e che costituiscono oggi un punto centrale nel dibattito sulla valorizzazione del Cultural Heritage. In questa direzione ho sviluppato insieme ai miei collaboratori, all’interno del laboratorio CARMEL22 per la piattaforma INVISIBILIA23, il webdoc interattivo Il Giardino delle Sculture Fluide di Giuseppe Penone, consultabile a questo indirizzo: https://www.invisibilia.net/penone/ Il webdoc è stato sviluppato con il software Klynt, ed è quindi decisamente “orientato al visuale”: consente una consultazione nomadica, tipicamente ipertestuale, proprio come l’installazione site specific di Penone lascia libero il visitatore fisico di errare senza indicazioni fra le varie sculture che popolano il giardino. Inoltre il webdoc gioca sulla molteplicità degli strati testuali, sulla loro profondità, opacità e trasparenza per sperimentare le diverse forme di complessità testuale che restituiscono l’esperienza emozionale, “mediata” ma coinvolgente, della visita al giardino. Informazioni più dettagliate sull’opera di Penone e sul webdoc stesso sono comunque disponibili all’interno del prodotto, oltre che in analisi specifiche di taglio semio- mediologico (Biggio 2018) e storico-artistico (Cammarata 2019) pubblicate su “DigitCult”. La problematica dell’opposizione fra scritto e visuale resta comunque aperta: è un’opposizione tutt’altro che banale, che affonda le sue radici nella nostra storia culturale (ricordiamo solamente Ut pictura poesis di Orazio24; e poi Pictura est laicorum literatura di Gregorio Magno25; e ancora Ceci tuera cela di Victor Hugo26). Un’opposizione che evidentemente non può essere risolta astrattamente ma più realisticamente gestita - mediante strumenti applicativi aperti e flessibili - con spostamenti di peso tra le due componenti, in funzione dei diversi obiettivi comunicativi che si vogliono raggiungere. Il tutto in un contesto teorico in cui i concetti di documentazione, divulgazione, spettacolarizzazione27 necessitano ancora di un inquadramento sistemico alla luce del paradigma digitale: nel frattempo, il terreno è aperto per le sperimentazioni e per le discussioni, accompagnando la riflessione teorica con applicazioni operative - come quella qui proposta - nella prospettiva di alimentare il dibattito. 22 https://www.invisibilia.net/?page_id=1013 23 https://www.invisibilia.net/ 24 Orazio sintetizza così, nella tradizione classica, il lungo dibattito sui rapporti fra scritto e visuale che - attraversando Aristotele e Platone - risale fino a Simonide di Ceo, VI sec. a.C.: Poema loquens pictura, pictura tacitum poema. 25 Si attribuisce questa formula a papa Gregorio Magno (VII sec.), ad indicare come le immagini possano rappresentare per i laici (gli illetterati) una forma alternativa di accesso ai sacri testi (scritti) della fede. 26 L’espressione compare nel secondo capitolo del romanzo Notre-Dame de Paris (1831), ambientato alla fine del Quattrocento, e significa che “il Libro ucciderà la Cattedrale”: con l’invenzione di Gutenberg, secondo Hugo, la cultura scritta è destinata a prendere il sopravvento sul mondo immaginifico, tattile e sensoriale rappresentato dalle grandi architetture gotiche. 27 Ho affrontato recentemente il tema della spettacolarizzazione (Lughi 2019) in un saggio mirato soprattutto all’ambito artistico, da cui tuttavia si possono ricavare indicazioni anche per altre forme di comunicazione culturale. 80 | La visualizzazione digitale negli studi di Cultural Heritage doi:10.4399/97888255301487 DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures Bibliografia Biggio, Federico. “Digital Arts and Humanities for Cultural Heritage - Interpretation and Enunciation in Digital Documentation Practices of Cultural Heritage”. 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